Riconoscimento delle decisioni in materia di scioglimento del matrimonio (reg. ce n. 2201/2003)
16 Ottobre 2017
Inquadramento IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE Il primo comma dell'art. 21 reg. CE n. 2201/2003 sancisce il principio dell'automatico riconoscimento delle decisioni in tema di separazione personale, divorzio e annullamento del matrimonio pronunciate in uno Stato membro negli altri Stati membri, principio peraltro già noto nell'ordinamento italiano in forza degli artt. 64 ss. l.n. 218/1995. L'automaticità del riconoscimento si fonda sulla presunzione che i requisiti richiesti per lo stesso siano stati soddisfatti e, soprattutto, sulla reciproca fiducia sulla quale devono fondarsi i rapporti tra gli attori del processo di integrazione europea. A seguito del riconoscimento vengono attribuiti al provvedimento gli stessi effetti che lo stesso ha prodotto nello Stato d'origine: invero, il riconoscimento si sostanzia, infatti, nell'attribuzione alla sentenza della stessa imperatività ed efficacia che le è propria nello Stato in cui è emanata, in modo che la stessa possa godere nel territorio di tutti gli Stati membri della medesima autorità che la caratterizzando nell'ordinamento d'origine. Pertanto, in giurisprudenza si è affermato che è inammissibile la domanda volta ad ottenere lo scioglimento di un matrimonio civile già precedentemente sciolto da un provvedimento tedesco, considerato che suddetto provvedimento straniero è automaticamente riconosciuto nello Stato italiano. A riguardo si è evidenziato che, difatti, il Regolamento (CE) del Consiglio n. 2201/2003 del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale prevede che le decisioni pronunciate in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento (Trib. Bari, sez. I, 9 dicembre 2008, in Giur. Merito, 2010, n. 3, 659, con nota di D'auria). Tuttavia, vi sono alcune circostanze, cd. ostative, enucleate dall'art. 22 reg. CE n. 2201/2003 in presenza dei quali le decisioni rese in materia di separazione personale, di divorzio e di annullamento del matrimonio non possono essere automaticamente riconosciute. Le condizioni che ostano al riconoscimento devono essere interpretate restrittivamente perché la politica generale, nella prospettiva di un'unione effettiva tra gli Stati membri, è quella volta ad affermare una sempre maggiore fiducia tra gli Stati. Il riconoscimento non appare subordinato, in un parallelismo con il sistema già proprio delle Convezioni di Bruxelles del 1968 e di quella di Lugano, al passaggio in giudicato della decisione nello Stato di provenienza o, rectius, al raggiungimento da parte della stessa di un elevato grado di stabilità costituito dall'impossibilità di aggredire la medesima con impugnazioni di frequente esperimento e di non raro successo. Il che è un'ulteriore conferma della volontà di fondare il sistema sulla reciproca fiducia tra gli operatori dei diversi Stati membri. É invero irrilevante la circostanza che nel sistema di destinazione l'efficacia di tali decisioni sia, diversamente, subordinata al passaggio in giudicato. Proprio in materia di riconoscimento delle pronunce in tema di invalidità o scioglimento del vincolo matrimoniale, le quali hanno, per l'appunto, efficacia di accertamento (decisioni di annullamento del matrimonio) o costitutiva (pronunce di divorzio) una tale situazione può verificarsi molto spesso ed implicare, come detto, il riconoscimento nel sistema italiano delle suddette decisioni anche a prescindere dal passaggio in giudicato con le relative automatiche conseguenze anche quanto alla necessità di aggiornamento dei registri dello stato civile invece subordinata nel nostro ordinamento al passaggio in giudicato formale delle stesse. Tuttavia il riconoscimento automatico non può operare qualora l'interessato agisca in accertamento negativo in ordine alla sussistenza dei requisiti per il riconoscimento. In questo caso sarà necessario l'espletamento di un vero e proprio procedimento a seguito del quale l'autorità dichiara, in una pronuncia di accertamento, se la decisione può essere o non può essere riconosciuta. Aggiornamento dei registri dello stato civile
Sul punto il reg. CE n. 2201/2003 ha risolto alcune questioni in passato oggetto di discussione, chiarendo che non è necessario alcun procedimento per l'aggiornamento delle iscrizioni nello stato civile di uno Stato membro a seguito di una decisione di divorzio, separazione personale dei congiuri o annullamento del matrimonio pronunciata in un altro Stato membro contro la quale non può essere più proposta impugnazione. É stato pertanto ridotto significativamente l'ambito di applicabilità della procedura di exequatur, posto che la pubblicità legale è il mezzo con il quale in concreto ricevono esecuzione le decisioni relative allo scioglimento del vincolo matrimoniale. Condizione per l'aggiornamento automatico dei registri dello stato civile è, invece, il passaggio in giudicato nello Stato di origine della pronuncia sulla separazione personale, sul divorzio o sull'annullamento del matrimonio. Si è per questo opportunamente ritenuto, argomentando ex art. 27, che l'ufficiale di stato civile richiesto dell'aggiornamento dei registri abbia il potere di verificare la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento previsti dal Regolamento e disporre la sospensione in attesa del passaggio in giudicato della decisione. La Suprema Corte ha chiarito che la definitività del giudicato straniero, in rapporto a quanto dispone il par. 2 dell'art. 21 reg. CE n. 2201/03, non è esclusa dalla pendenza di un ricorso, ex art. 93, comma 4, Cost. federale tedesca, dinnanzi la Corte costituzionale tedesca avente ad oggetto atti o provvedimenti ritenuti lesivi di diritti fondamentali del soggetto ricorrente (Cass., n. 22093/2009, in Dir. famiglia, 2010, n. 2, 661, con nota di Sinagra). Qualora l'ufficiale non voglia procedere all'aggiornamento dei registri ed il diniego sia confermato dal prefetto, la parte interessata può attivare la procedura di exequatur dinanzi alla Corte di Appello ai sensi degli artt. 28 e ss. del regolamento. Circostanze ostative al riconoscimento automatico. Manifesta contrarietà della decisione all'ordine pubblico dello stato richiesto
Di solito l'accertamento delle condizioni ostative al riconoscimento è un'operazione obiettiva ed automatica, mentre il requisito dell'ordine pubblico è più delicato, implicando una valutazione di discrezionalità nel riconoscimento di un provvedimento straniero. La rilevanza dell'ordine pubblico nelle cause matrimoniali è inoltre maggiore rispetto a quanto avviene nelle controversie civili ed in quelle commerciali. Il reg. CE n. 2201/2003 ha peraltro cercato di limitare la rilevanza del motivo ostativo al riconoscimento rappresentato dalla contrarietà del provvedimento all'ordine pubblico. Si è infatti stabilito che la contrarietà all'ordine pubblico deve essere “manifesta” ed, inoltre, il disposto di cui all'art. 24 impedisce che le Corti nazionali possano invocare, quale condizione ostativa al riconoscimento del provvedimento, la circostanza che lo stesso abbia dichiarato lo scioglimento del matrimonio per cause non previste dalla legge nazionale. Ne deriva che alla clausola dell'ordine pubblico deve farsi riferimento solo in situazioni eccezionali, con un onere di motivazione effettivo circa la ricorrenza di siffatte circostanze nel caso concreto. Si è evidenziato che il concetto di ordine pubblico – già inteso da autorevole dottrina anche come ordine pubblico processuale che racchiude i principi che definiscono i tratti indefettibili della giurisdizione quale limite al riconoscimento automatico delle sentenze straniere dovrebbe essere oggetto di una rimeditazione che tenga conto e della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea e di quella della Corte europea dei diritti dell'uomo e quindi dell'avvenuta ricostruzione in sede pretoria di una serie di principi alla base dell'ordine pubblico processuale europeo. L'ordine pubblico rilevante è quello internazionale, costituito dall'insieme dei principi fondamentali caratterizzanti la struttura etico-sociale della comunità nazionale, esistenti in un preciso momento storico e nell'ordinamento interno, in quanto già nella vigenza dell'abrogato art. 797 c.p.c. la giurisprudenza riteneva che il limite al riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di stato delle persone e di rapporti di famiglia fosse costituito dal rispetto di un nucleo essenziale di principi fondamentali. In una differente prospettiva, tuttavia, la Suprema Corte ha precisato che il concetto di ordine pubblico italiano, cui la sentenza straniera deve conformarsi per poter essere delibata consiste nel complesso dei principi cardine dell'ordinamento giuridico, i quali caratterizzano la stessa struttura etico sociale della comunità nazionale in un determinato momento storico, conferendole una individuata e inconfondibile fisionomia, nonché nelle regole inderogabili, provviste dal connotato della fondamentalità, che le distingue dal più ampio genere delle norme imperative, immanenti ai più importanti istituti giuridici, ivi compresi i principi desumibili dalla Carta costituzionale, tenuto conto del contesto europeo, internazionale e convenzionale nel quale tali principi cardine etico giuridici sono da collocare (Cass., sez. I, n. 7613/2015). Nondimeno, già con riferimento alla legge n. 218/1995, la Corte di Cassazione ha riconosciuto che agli effetti del diritto internazionale privato, l'ordine pubblico che impedisce l'ingresso nell'ordinamento italiano della norma straniera che vi contrasti si identifica con l'"ordine pubblico internazionale", da intendersi come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l'ordinamento interno in un determinato periodo storico o fondati su esigenze di garanzia, comuni ai diversi ordinamenti, di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo (Cass., sez. III, n. 19405/2013). I principi di ordine pubblico internazionale devono essere intesi alla stregua del diritto vivente, concretizzati in un dato momento storico e soggettivi, sotto il profilo della relatività in termini di concretezza, a mutamenti in relazione all'evoluzione sociale (Cass., n. 17349/2001). Problematiche in ordine alla compatibilità con l'ordine pubblico derivano nella fase patologica dei matrimoni regolati dalla legge islamica. A riguardo, sono state ritenute compatibili con i principi essenziali del foro le norme marocchine ed albanesi che prevedono il divorzio immediato per maltrattamenti (v., in sede applicativa, tra le altre, Trib. Pordenone, 14 settembre 2005, in Riv. dir. int. priv. proc., 2006, 181; Trib. Tivoli, 14 novembre 2002, ivi, 2003, 402; Trib. Napoli, 26 aprile 2000, in Giur. napoletana, 2000, 460). Più volte la giurisprudenza interna ha invece escluso la compatibilità con l'ordine pubblico del ripudio unilaterale previsto da alcune legislazioni islamiche. Invero, il rispetto dell'uguaglianza dei coniugi costituisce principio fondamentale ed inderogabile del nostro ordinamento sicché è negato il riconoscimento a provvedimenti esteri di divorzio basati sull'arbitrio di uno dei coniugi ed integranti sostanzialmente un ripudio (App. Milano, 17 dicembre 1991, in Riv. dir. intern. priv. proc., 1993, 109). In sede applicativa, inoltre, si è ritenuto legittimo il diniego dell'ufficiale di stato civile di trascrivere nel nostro ordinamento lo scioglimento del matrimonio avvenuto per ripudio unilaterale, attesa la violazione del contraddittorio e, quindi, dell'ordine pubblico processuale nei confronti della moglie (App. Venezia, 9 aprile 2015, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2015, n. 11, 1102). Peraltro, occorre verificare gli effetti in concreto raggiunti dal provvedimento che, anche se formalmente denominato di ripudio, può essere riconosciuto ove si accerti l'insanabile rottura dell'unione coniugale e che lo stesso non lede la dignità dei coniugi. L'art. 25, reg. CE n. 2201/2003 impedisce di considerare ostativa al riconoscimento, per contrarietà all'ordine pubblico la semplice divergenza tra la legge applicabile nello Stato membro nel quale è emanato il provvedimento e quella vigente nello Stato richiesto del riconoscimento. Secondo una parte della dottrina il motivo ostativo in esame sarebbe configurato diversamente in questo caso rispetto a quanto desumibile dall'art. 64 l. n. 218/1995, poiché in tale ipotesi il riferimento è a decisioni che producono effetti contrari all'ordine pubblico, di talché il riconoscimento sarebbe impedito soltanto ove il contrasto con l'ordine pubblico sia tale da determinare effetti “indesiderabili”. A riguardo, su un piano generale, già prima dell'emanazione del Regolamento c.d. Bruxelles II bis, la Suprema Corte aveva enunciato il principio per il quale non può essere ritenuta contraria all'ordine pubblico, per il solo fatto che il matrimonio sia stato sciolto con procedure e per ragioni e situazioni non identiche a quelle contemplate dalla legge italiana, una sentenza di scioglimento del matrimonio pronunciata, fra cittadini italiani, dal giudice straniero il quale abbia fatto applicazione del diritto straniero, atteso che attiene in realtà all'“ordine pubblico” solo l'esigenza che lo scioglimento del matrimonio venga pronunciato solo all'esito di un rigoroso accertamento - condotto nel rispetto dei diritti di difesa delle parti, e sulla base di prove non evidenzianti dolo o collusione delle parti stesse - dell'irrimediabile disfacimento della comunione familiare, il quale ultimo costituisce l'unico inderogabile presupposto delle varie ipotesi di divorzio previste dall'art. 3 l. n. 898/70 (Cass., sez. I, n. 10378/2004). In sostanza, è ammesso il riconoscimento di una sentenza di divorzio pronunciata su presupposti diversi da quelli previsti dall'ordinamento italiano, ove non sia in dubbio la dissoluzione del vincolo coniugale e l'impossibilità di ricostruzione del nucleo familiare. Pertanto, non è stata ritenuta incompatibile con l'ordine pubblico la decisione statunitense di divorzio immediato per mutuo consenso (Cass., sez. I, n. 16978/2006). Sotto altro profilo, la Suprema Corte ha chiarito che in tema di riconoscimento delle sentenze straniere, non è contraria ai principi fondamentali dell'ordine pubblico la sentenza straniera di divorzio che non indichi compiutamente le condizioni di affidamento e di mantenimento inerenti alla prole minorenne degli ex coniugi, dal momento che nessun principio costituzionale impone che la definitiva regolamentazione dei diritti e dei doveri scaturenti da un determinato status sia dettato in un unico contesto, tant'è che nel nostro ordinamento è prevista la sentenza non definitiva di divorzio, che statuisce sullo status e rinvia per l'adozione dei provvedimenti conseguenti (Cass., sez. I, n. 13556/2012). In senso analogo, in sede di merito, è stata ritenuta riconoscibile la sentenza straniera che non stabiliva nulla sui figli (Trib. Belluno, 5 novembre 2010, n. 221, in Il civilista, 2010, 18). Su un piano generale, non può trascurarsi che con una recente ordinanza, la Suprema Corte ha sottoposto in via di interpretazione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione Europea i seguenti quesiti: a) se la violazione delle regole sulla litispendenza, contenute nei paragrafi 2 e 3 dell'art. 19 reg. n. 2201/2003, incida esclusivamente sulla determinazione della competenza giurisdizionale, con conseguente applicazione dell'art. 24 reg. CE n. 2201/2003, o, al contrario, possa costituire motivo ostativo al riconoscimento nello Stato membro, la cui autorità giurisdizionale sia stata preventivamente adita, della pronuncia assunta nello Stato membro, la cui autorità giurisdizionale sia stata successivamente adita, sotto il profilo dell'ordine pubblico processuale, tenuto conto che l'art. 24 reg. CE n. 2201/2003 richiama soltanto le regole determinative della competenza giurisdizionale contenute negli artt. da 3 a 14 reg. n. 2201/2003, e non il successivo art. 19; b) se l'interpretazione dell'art. 19 reg. n. 2201/2003, inteso solo come criterio determinativo della competenza giurisdizionale, contrasti con la nozione Eurounitaria della litispendenza nonché con la funzione e con la finalità della norma, volta a dettare un insieme di regole inderogabili, di ordine pubblico processuale, a garanzia della creazione di uno spazio comune caratterizzato dalla fiducia e dalla lealtà processuale reciproca tra gli Stati membri, all'interno del quale possa operare il riconoscimento automatico e la libera circolazione di decisioni (Cass., sez. I, n. 15183/2017). Violazione del diritto di difesa del convenuto
La rilevanza di tale motivo ostativo al riconoscimento è subordinata alla ricorrenza di tre condizioni, ovvero alla circostanza che la decisione è stata resa in contumacia, al fatto che l'atto introduttivo del giudizio non sia stato notificato in tempo utile per consentire al convenuto di difendersi compiutamente nonché all'inequivocabile accettazione della decisione da parte dello stesso. Proprio quest'ultima previsione rende differente la clausola ostativa in esame rispetto a quella di cui all'art. 27 n. 2 della Convenzione di Bruxelles. Per domanda giudiziale o atto equivalente devono intendersi, in accordo con la giurisprudenza della Corte di Giustizia, i documenti che l'attore deve depositare nel procedimento nel quale è stata resa la decisione riconoscenda all'esito della valutazione dei quali il convenuto possa decidere se costituirsi o meno in giudizio (CGCE, 13 luglio 1995, C-474/93, § 19). In particolare tali documenti devono consentire di estrarre tutte le informazioni relative al procedimento in virtù del quale il convenuto sia in grado di comprendere la materia del contendere e gli argomenti invocati dall'attore, oltre che di essere al corrente del giudizio nel quale potrà spiegare le proprie difese (CGUE, 8 maggio 2008, C-14/07). Tuttavia non si chiarisce quando la decisione oggetto di riconoscimento deve considerarsi inequivocabilmente accettata dal convenuto. L'accettazione può invero essere senza dubbio effettuata esplicitamente, ad esempio attraverso una lettera del convenuto all'attore, ma anche risultare implicitamente dalla mancata impugnazione del provvedimento che, peraltro, potrebbe dipendere anche dalla semplice assenza di motivi di gravame. Tale motivo ostativo al riconoscimento si è ritenuto parte del cd. ordine pubblico processuale che impone il rispetto nel procedimento che ha condotto all'emanazione della decisione riconoscenda soprattutto del diritto di difesa del convenuto piuttosto che di regole come quella della competenza. Si è quindi evidenziato che una decisione assunta nello Stato d'origine a seguito di un procedimento monitorio puro non potrebbe essere riconosciuta (Cass., n. 3190/1993, in Foro it., 1995, I, 3552, con nota di Ficcarelli). Il terzo motivo ostativo al riconoscimento delle decisioni in materia di scioglimento del vincolo matrimoniale corrisponde all'art. 27 n. 3 della Convenzione di Bruxelles del 1968 e si ricollega all'incompatibilità del provvedimento con un altro reso precedentemente tra le parti proprio nello Stato membro nel quale è chiesto il riconoscimento. Tale motivo di non riconoscimento tende a salvaguardare l'armonia interna dello Stato richiesto e, più in particolare, ad evitare che all'interno dello stesso producano effetto decisioni incompatibili (ovvero che si escludano reciprocamente) pronunciate tra le stesse parti. Per accertare la sussistenza del contrasto di giudicati sarà necessario effettuare un test di compatibilità tra gli effetti delle pronunce. Ciò significa che una sentenza di divorzio non sarà sempre incompatibile con una pronuncia di separazione personale, mentre una siffatta incompatibilità ricorrerà in ogni caso nella situazione opposta. Non potrà inoltre essere riconosciuta una decisione di divorzio ove nello Stato richiesto sia efficace una pronuncia di annullamento del matrimonio. Tuttavia non sempre le decisioni rese in materia matrimoniale sono idonee a passare in giudicato, soggiacendo, per alcuni aspetti (ad esempio, quelli economici) alla clausola rebus sic stantibus. Si è posto inoltre il problema dell'invocabilità di un siffatto limite al riconoscimento della sentenza anche con riferimento ad una decisione di rigetto della domanda resa, precedentemente, proprio nello Stato richiesto. In proposito si è infatti osservato che sebbene le decisioni di rigetto non beneficino del regime del riconoscimento automatico previsto dal regolamento, esse esplicano comunque, nello Stato in cui sono state emanate, tutti gli effetti preclusivi ad esse ricollegabili secondo il diritto interno. Contrasto con una decisione resa in uno stato diverso da quello richiesto del riconoscimento
Osta, infine, al riconoscimento delle decisioni in tema di separazione personale, divorzio ed annullamento del matrimonio il conflitto tra la pronuncia della quale si domanda il riconoscimento ed una decisione incompatibile resa precedentemente tra le stesse parti in un altro Stato membro ovvero in uno Stato terzo. Il conflitto è pertanto risolto in base al criterio della priorità di una pronuncia rispetto all'altra (cfr. Lupoi, secondo il quale una tale regola costituisce un corollario dell'effetto automatico della res judicata all'interno dell'ordinamento comunitario). L'avvenuta pronuncia, in un giudizio di separazione pendente in Italia, dei provvedimenti provvisori a tutela dei figli minori non impedisce il riconoscimento dell'efficacia della sentenza definitiva di separazione precedentemente emessa in altro Stato membro dell'Unione Europea, non potendo trovare applicazione gli artt. 22 e 23 reg. CE n. 2201/2003 del 27 novembre 2003, i quali presuppongono la coesistenza di statuizioni aventi gli stessi caratteri e la medesima natura, oltre che entrambe definitive, siano o meno a stabilità provvisoria, mentre i predetti provvedimenti, ai sensi dell'art. 20 del regolamento, sono destinati a perdere efficacia allorché l'autorità giurisdizionale competente a conoscere del merito della causa abbia adottato i provvedimenti appropriati in via definitiva (Cass., sez. I, n. 22093/2009). Riferimenti
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