L’apparenza del diritto alla prova del registro dell'anagrafe condominiale

02 Agosto 2017

La Suprema Corte, a Sezioni Unite, ha da tempo escluso l'operatività dell'istituto dell'apparenza del diritto in ambito condominiale, precisando che condomino è solo chi sia effettivamente proprietario, all'interno dell'edificio ovvero del complesso residenziale, di unità abitative; il principio suddetto è destinato a riflettere i propri effetti nella quotidianità della vita del condominio
Il quadro normativo

La tematica afferente la titolarità di diritti, facoltà ed obblighi inerenti la posizione di condomino ha registrato, nella giurisprudenza di legittimità, orientamenti oscillanti.

Secondo una prima impostazione, anche in ambito condominiale vigerebbe il principio dell'apparenza del diritto, per cui dovrebbe essere considerato condominio chi, pur non essendo tale, ne eserciti i diritti apparenti. Tale regula iuris - affermata, tra le altre, da Cass. civ., sez. II, 1 settembre 1990, n. 9079, per cui «il principio dell'apparenza del diritto può essere invocato anche in tema di condominio di edifici ai fini dell'individuazione del soggetto tenuto al pagamento delle quote condominiali se il suo costante comportamento abbia indotto l'amministratore a ritenere in buona fede che egli fosse il proprietario di un appartamento, appartenente invece ad altro soggetto», e Cass. civ., sez. II, 20 marzo 1999, n. 2617, per cui «l'amministratore di un condominio può invocare il principio dell'apparenza del diritto, che giustifica il suo errore di terzo in buona fede, per ottenere il pagamento della quota per spese comuni da colui che si comporta da condomino non avendo l'onere di controllare preventivamente i registri immobiliari per accertare la titolarità della proprietà» - fonda, principalmente sul rilievo attribuito dal legislatore al principio dell'apparenza del diritto (v., ad esempio, l'art. 1189 c.c.), che ne dovrebbe determinare l'applicazione analogica ad ogni situazione oggettiva in cui il terzo si sia dimostrato indotto a confidare, senza colpa, nella rispondenza al diritto della situazione esteriorizzata.

Alla stregua di un diverso - ed opposto - orientamento, invece, obbligato al pagamento delle spese condominiali sarebbe solo ed esclusivamente il vero proprietario dell'unità abitativa collocata all'interno del condominio, giacché difetterebbe l'ubi consistam della tesi predetta, in quanto non si avrebbe alcuna esigenza di tutela dell'affidamento del terzo che abbia contrattato in buona fede con chi sia ragionevolmente apparso legittimato, non essendo il condominio terzo rispetto al rapporto giuridico con i condomini, siccome esso stesso parte del medesimo rapporto.

Hanno sostenuto tale posizione, tra le altre, Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1994, n. 6187, per cui, «in tema di ripartizione delle spese condominiali, è passivamente legittimato, rispetto all'azione giudiziale per il recupero della quota di competenza, il vero proprietario della porzione immobiliare e non anche chi possa apparire tale -come uno dei coniugi che curi personalmente ed attivamente la gestione della proprietà dell'altro coniuge-, difettando, nei rapporti fra il condominio ed i singoli partecipanti ad esso le condizioni per l'operatività del principio dell'apparenza del diritto, strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dei terzi in buona fede», nonché Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1994, n. 4866, la quale ha precisato che, «in tema di ripartizione delle spese condominiali è passivamente legittimato rispetto all'azione giudiziaria per il recupero della quota di competenza, il vero proprietario della porzione immobiliare e non anche colui che si sia comportato nei rapporti con i terzi, come condomino senza esserlo, difettando nei rapporti fra il condominio e i singoli partecipanti ad esso, le condizioni per l'operatività del principio dell'apparenza del diritto, strumentale essenzialmente all'esigenza di tutela dei terzi in buona fede».

La posizione delle Sezioni Unite

Il contrasto è stato ricondotto ad unità da Cass. civ., sez. un., 8 aprile 2002, n. 5035 che, seguendo l'impostazione da ultimo delineata, hanno escluso l'applicazione del principio dell'apparenza del diritto nei rapporti tra condominio e condomino in quanto esso -ancorché rispondente ad uno schema negoziale di vasta portata, trascendente, come detto, l'ambito delle singole figure legislativamente disciplinate e riconducibile a quello più generale della tutela dell'affidamento incolpevole- ha una sua innegabile specificità e peculiarità, nel senso che «non è suscettibile di incauti impieghi, specie in relazione a quelle fattispecie che trovano già nella legge una compiuta disciplina, venendo in considerazione solo in presenza dell'esigenza di tutelare il terzo in buona fede in ordine alla corrispondenza fra la situazione apparente e quella reale. Nel caso del rapporto tra il condominio (che pacificamente è ente di gestione) e il singolo condomino (proprietario esclusivo di determinate porzioni di piano o di unità immobiliari dello stabile condominiale) … un'esigenza di tutelare…l'affidamento incolpevole del condominio (che terzo non è) e, quindi, di dare a tal fine corpo e sostanza ad una situazione apparente per non pregiudicare il condominio medesimo, non si pone affatto».

Sennonché, nell'occasione la Corte evidenziava, altresì, che, porre a carico dell'amministratore l'onere di accertarsi comunque presso i pubblici registri, con indagini non sempre rapide e facilmente esperibili, l'effettiva titolarità del diritto in capo al soggetto-apparente condomino, sarebbe stata conclusione che avrebbe spinto la condotta dell'amministratore oltre i parametri dell'ordinaria diligenza e della correttezza che devono improntare il comportamento delle parti del rapporto obbligatorio in sede di esecuzione: ne faceva conseguire, pertanto, una limitazione di tali complesse indagini all'ipotesi in cui il condominio avesse voluto intraprendere un'iniziativa giudiziaria contro il condomino moroso, in quanto l'istituto dell'apparenza, che ha natura sostanziale e non processuale, «non può valere a giustificare un'iniziativa giudiziaria svincolata dalla realtà».

In sostanza: il principio dell'apparenza veniva solo parzialmente superato, riducendone l'ambito di operatività alle ipotesi di rapporti stragiudiziali che non sfociassero in sede contenziosa.

Il registro di anagrafe condominiale

L'inapplicabilità (parziale) del principio dell'apparenza del diritto in ambito condominiale ha tuttavia determinato una serie di problemi di carattere pratico, non ravvisandosi sempre una perfetta sovrapposizione tra il regime proprietario effettivo e quello nella disponibilità dell'amministratore (si pensi al caso di alienazione dell'immobile o di successione mortis causa, che non siano state comunicate all'amministratore).

Nell'ottica della correttezza e diligenza nell'esecuzione del rapporto obbligatorio si era pertanto osservato, in dottrina, come non apparisse del tutto avulsa dal contesto la pretesa che fosse il condomino alienante (o, in ipotesi, anche l'acquirente) ad informare tempestivamente l'amministrazione dell'avvenuto trasferimento; in altra direzione si era altresì sostenuta la configurabilità di un'obbligazione accessoria di informazione del creditore dell'obbligazione (nella specie, l'amministratore), quale obbligo di protezione la cui violazione rileverebbe nel successivo giudizio di inadempimento.

In tale contesto, è intervenuta la riforma che ha previsto (art. 1130, comma 1, n. 6, c.c.), a pena di revoca, un nuovo obbligo a carico dell'amministratore: la tenuta, cioè, del registro di anagrafe condominiale, contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare, nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza. Correlativamente, ogni variazione dei dati va comunicata all'amministratore in forma scritta, entro sessanta giorni, prevedendosi, altresì, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, non solo la possibilità che l'amministratore richieda, con lettera raccomandata, le informazioni necessarie all'aggiornamento del registro di anagrafe ma anche, nell'ipotesi di omessa o incompleta risposta nel termine di trenta giorni dalla richiesta, la facoltà, per costui, di acquisire personalmente le informazioni necessarie, addebitandone il relativo costo al condomino.

Il contenuto del registro

Con proprio provvedimento del 19 febbraio 2015, peraltro, il Garante per protezione dei dati personali, pur dichiarando non luogo a provvedere sulla specifica questione sottoposta al proprio vaglio, ha chiarito che le informazioni da inserire nel registro di anagrafe condominiale devono essere raccolte e trattate nel rispetto dei principi dettati dal d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 con particolare attenzione ai principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza: sicché, da un lato, non v'è obbligo alcuno, in capo ai condomini, «di allegare atti o copie di essi a riprova delle dichiarazioni rese»; dall'altro eccede i limiti della citata normativa, l'amministratore che chieda - ovvero autonomamente reperisca presso i pubblici registri, in caso di inottemperanza del condomino - copia dell'atto di acquisto.

L'ulteriore arretramento del principio di apparenza

Se le Sezioni Unite avevano limitato il proprio dictum ai rapporti di carattere obbligatorio (i.e. morosità del condomino rispetto al condominio), residuavano ancora dubbi rispetto ad altri «accadimenti» della vita condominiale, quale il regolare svolgimento dell'assemblea in presenza di convocazione indirizzata al condomino apparente: è in tale contesto che si inserisce Cass. civ., sez. II, 30 aprile 2015, n. 8824 (conforme alla precedente Cass. civ., sez. II, 11 giugno 2001, n. 7849) la quale, facendo applicazione anche in tal campo del principio affermato dalla Sezioni Unite, afferma la necessità di convocare, a pena di illegittimità della delibera, solo i condomini-veri proprietari e non coloro che si comportano come tali senza esserlo, atteso che nei rapporti tra il condominio ed i singoli partecipanti ad esso mancano le condizioni per l'operatività del principio dell'apparenza dei diritto volto, essenzialmente, alla tutela dei terzi di buona fede e tenuto conto che i condomini non possono essere ritenuti terzi rispetto al condominio.

In applicazione di tale principio dunque, già prima della riforma ed in assenza di una previsione quale quella risultante dal novellato art. 1130 c.c., Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 2005, n. 2616 aveva ritenuto perfettamente valida la norma del regolamento condominiale impositiva ai condomini dell'obbligo di comunicare all'amministratore i trasferimenti degli immobili di proprietà esclusiva.

In conclusione

Va da sé che, pur in presenza di norme che tendono ad ulteriormente «sgravare» la posizione del condominio rispetto a fenomeni successori che interessino le unità immobiliari di proprietà esclusiva (si pensi all'art. 63, commi 4 e 5, disp. att. c.c.), nondimeno la previsione della tenuta obbligatoria di un registro di anagrafe condominiale va salutata positivamente, considerando che esso è in grado, ove correttamente e tempestivamente aggiornato, di eliminare in nuce problemi pratici di non poco conto quale, come testé evidenziato, la corretta convocazione in caso di successione nella titolarità esclusiva di unità immobiliari site nel condominio, non solo a titolo particolare, ma anche mortis causa (rispetto alla quale resta a questo punto da valutare la persistente validità del dictum di Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2007, n. 6926).

Guida all'approfondimento

Scarpa, La conoscenza dei dati dei condomini: amministratore diligente o eccedente, in Immob. & proprietà, 2015, 563;

Amendola, Nota in merito all'applicabilità, nei rapporti fra il condominio ed i singoli condomini, del principio della cosiddetta apparenza giuridica, in Giur. it., 2003, 1.

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