Diritto di opzioneFonte: Cod. Civ. Articolo 2441
18 Ottobre 2017
Inquadramento
Il diritto di opzione costituisce, nel diritto societario europeo, il tradizionale meccanismo di tutela dell'interesse patrimoniale e amministrativo dei soci. Nella specie, assolve alla funzione di consentire a questi ultimi di conservare inalterata la misura della partecipazione a fronte di operazioni di aumento del capitale sociale. Infatti, nel caso di aumento del capitale sociale a pagamento, è riconosciuto ai vecchi azionisti e ai titolari di obbligazioni convertibili in azioni il diritto di sottoscrivere, in via preferenziale rispetto a terzi, le azioni di nuova emissione. La disciplina del diritto di opzione nella s.p.a. è contenuta nell'art. 2441 c.c., richiamato per la s.a.p.a. dall'art. 2454 c.c. Detta disciplina risulta diversamente articolata a seconda che a deliberare l'aumento del capitale sociale sia una società quotata o una società non quotata.
La funzione del diritto è quella di evitare un annacquamento dei diritti amministrativi e patrimoniali della partecipazione del socio (Nobili, 3; Ginevra, Art. 2441, 2614 ss.; sulla diversa funzione del diritto di sottoscrizione nella società a responsabilità limitata, quale diritto che beneficia di una tutela rafforzata al fine di garantire la partecipazione del socio: cfr. Speranzin, Diritto di sottoscrizione, 20 ss.). Il riconoscimento del diritto può rivelarsi problematico nelle società (soprattutto a larga base azionaria), in cui la struttura finanziaria si presenta articolata in una pluralità di categorie di azioni: le complicazioni discendono dal collocamento delle azioni di nuova emissione fra le diverse categorie e dagli eventuali meccanismi di protezione di ciascuna categoria che possono/devono trovare applicazione. In generale, opera la regola di prossimità: a ciascun azionista devono essere offerte azioni della medesima categoria detenute e, per la differenza, azioni di altre categorie. Tale regola, pur essendo dettata per le azioni di risparmio (art. 145 T.u.f.), è suscettibile di applicazione anche nel caso di altre categorie di azioni (ma non nel caso delle obbligazioni convertibili in azioni: cfr., da ultimo, Ginevra, Art. 2441, 2619). Si discute, tuttavia, se sia configurabile anche un c.d. diritto al rango (: il diritto al mantenimento dei reciproci rapporti fra le categorie di azioni), e, in particolare, sulla necessità di far approvare all'assemblea speciale di categoria (delle azioni ordinarie) la delibera di aumento del capitale con emissione di azioni ordinarie offerte in opzione a tutte le categorie di azioni (sul problema, v. Portale, Opzione, 215 s.; per la soluzione affermativa, Mignoli, Le assemblee, 209 s. e 220 ss.; Nobili, Contributo, 143 ss.; Marasà, La seconda Direttiva, 674; Portale, Uguaglianza, 732; Abu Awwad, Art. 2376,v 1039; contra, Libonati-Ferro Luzzi, Categorie, 707 s.; Costi, Aumento, 572 ss.; Ventoruzzo, 1062). Sotto diverso profilo, nelle società quotate, il riconoscimento del diritto è problematico perché il rispetto del procedimento di offerta delle azioni in opzione implica che la fissazione del prezzo avvenga non in prossimità del collocamento. Il che può, in ragione della volatilità dei titoli, determinare, alternativamente, ‘‘un trasferimento di ricchezza dai vecchi azionisti ai sottoscrittori'', se il prezzo è inferiore al valore di mercato, ovvero ‘‘il fallimento dell'operazione'', nel caso in cui il prezzo sia superiore al valore di mercato (Bigelli, Gli aumenti, 15 ss. e 33 ss.).
Opzione e prelazione
Occorre distinguere il diritto di opzione dal diritto di prelazione. L'art. 2441, comma 3, c.c. prevede, infatti, un procedimento per collocare le azioni c.d. inoptate, e cioè le azioni con riferimento alle quali non è stato esercitato il diritto di opzione. La funzione assolta dall'opzione e dalla prelazione è chiaramente diversa: il diritto di opzione si spiega in un'ottica conservativa della partecipazione; il diritto di prelazione sulle azioni inoptate (che non può essere eliminato, se non escludendo o limitando il diritto di opzione) soddisfa, viceversa, anche esigenze di accrescimento della quota. Il procedimento di collocamento dell'inoptato è diverso a seconda che le società siano o meno quotate. Se la società non è quotata, le azioni vengono offerte a coloro che hanno esercitato il diritto, i quali devono farne richiesta in sede di esercizio dell'opzione: si ritiene, tuttavia, che sia legittima la prassi di offrire ai soci l'inoptato per un certo numero di giorni. In tale ipotesi, l'obiettivo perseguito è quello di “ridurre gli spazi di discrezionalità degli amministratori” (Ginevra, Art. 2441, 2624). Se la società è quotata, le azioni sono collocate direttamente sul mercato dagli amministratori. Il mancato riconoscimento di un diritto di prelazione nelle società quotate, oltre ad ovviare a difficoltà tecniche, si giustifica in ragione del fatto che il diritto di prelazione, espressione di un favor ‘‘rafforzato'' (nella misura in cui si aggiunge all'opzione) per la conservazione degli assetti proprietari originari, non pare conforme alla naturale vocazione aperta delle società quotate.
L'offerta in opzione è oggetto di deposito presso il registro delle imprese (cfr. Speranzin, Art. 2441, 859 s., per l'individuazione delle ipotesi in cui tale forma di pubblicità può non essere osservata: v., in particolare, il caso in cui vi sia la rinuncia di tutti i soci al diritto di opzione; Ginevra, Art. 2441, 2620 s.): inoltre, deve essere contestualmente resa nota mediante un avviso pubblicato sul sito internet della società, con modalità atte a garantire la sicurezza del sito medesimo, l'autenticità dei documenti e la certezza della data di pubblicazione, o, in mancanza, mediante deposito presso la sede della società. Il termine per l'esercizio del diritto non deve essere inferiore a quindici giorni, potendo essere solo modificato in aumento.
Il contegno del socio può essere di tre tipi. Il diritto può essere (i) esercitato e gli amministratori possono chiedere il rispetto di determinate modalità di esercizio del diritto (Ginevra, Art. 2441, 2623); (ii) ceduto, monetizzando quindi il suo valore. Sulla possibilità che lo statuto preveda la possibilità di estendere i limiti alla circolazione delle partecipazioni anche alla cessione dell'opzione: Ginevra, Art. 2441, 2620); infine (iii), non esercitato, perché il socio può rimanere semplicemente inerte: il che si verifica, per lo più, nelle società a larga base azionaria. Si discute se il socio, nell'ipotesi in cui non abbia esercitato il diritto di opzione, in presenza di perdite che azzerino il capitale sociale, possa impugnare la delibera assembleare di azzeramento del capitale sociale (in senso negativo, Trib. Roma, 10 luglio 2015; ma v., in senso affermativo, Cass., 7 novembre 2008, n. 26842).
Le cause di esclusione o limitazione del diritto di opzione
I casi di esclusione o limitazione del diritto di opzione sono tipizzati e tassativi, per quanto si configuri una ipotesi generale, quella dell'art. 2441, comma 5, c.c., che sembra da sempre minare la tassatività dell'elenco (infra). Quanto all'esame delle singole cause di esclusione o limitazione del diritto di opzione, appare opportuno procedere in modo separato in ragione delle specifiche problematiche poste da ciascuna di esse.
a) Esclusione o limitazione del diritto di opzione se l'interesse della società lo esige. Secondo l'art. 2441, comma 5, c.c., il diritto può essere escluso o limitato se l'interesse della società lo esige. Come anticipato, la protezione accordata ai soci mediante il diritto di opzione sembra rimanere formale nella misura in cui i margini per un'esclusione sono ampiamente assicurati da detta causa, la cui genericità — nonostante i molteplici tentativi dottrinali diretti a conseguire un'interpretazione restrittiva del nesso giustificativo fra interesse sociale ed esclusione dell'opzione - affievolisce il carattere “chiuso” dell'elenco. Nell'interpretazione dell'art. 2441, comma 5, c.c. gli interessi rilevanti sono compositi: l'interesse conservativo dei soci, da un lato, e l'interesse della società all'esclusione dell'opzione, dall'altro. È pacifico che debba trattarsi di un interesse concreto (Trib. Milano, 31 gennaio 2005; Cass., 7 novembre 2008, n. 26842). Si discute, invece, sul rapporto fra esclusione dell'opzione e interesse sociale. Pur nella pluralità delle opinioni, siffatto rapporto è stato generalmente inteso in termini di necessarietà o di opportunità: per alcuni, l'esclusione deve rappresentare l'unica via per soddisfare l'interesse sociale (Jaeger, L'interesse, 222 ss.; Rosapepe, 54 ss.; nel senso che è richiesto un nesso di necessarietà “tra decisione presa e l'esclusione dell'opzione”, Ginevra, Art. 2441, 2629 s.; per altri, può costituire (semplicemente) la via preferibile (Nobili, Contributo, 189). In giurisprudenza prevale la tesi più elastica: la locuzione “esige” viene cioè intesa nel senso che “l'interesse sociale deve dimostrarsi effettivo e riconoscibile” (così Trib. Milano, 7 febbraio 2006, secondo cui “la locuzione «quando l'interesse della società lo esige» deve essere interpretata” come idonea a giustificare il sacrificio del diritto di opzione, che è legittimo, “quando rappresenta la soluzione anche solo preferibile e ragionevolmente più conveniente”).
b) Esclusione o limitazione del diritto di opzione in caso di conferimenti in natura. Si discute se l'ipotesi dell'art. 2441, comma 4, prima parte, c.c. – secondo cui il diritto di opzione non spetta per le azioni di nuova emissione che devono essere liberate mediante conferimenti in natura – sia una (effettiva) causa di esclusione del diritto di opzione, tanto che nella fattispecie in esame si utilizza l'espressione «il diritto di opzione non spetta». Secondo parte della dottrina, ne deriva che, in tale ipotesi, è sufficiente allegare la “coerenza” del programma di aumento del capitale sociale rispetto al bene oggetto di conferimento (Ginevra, Art. 2441, 2631). Si è rilevato che, in caso di società unipersonale, nell'ipotesi di esclusione dell'opzione a fronte di un aumento del capitale sociale con conferimento di beni in natura o di crediti, non trovi applicazione il procedimento di cui all'art. 2441, comma 6, c.c. (Orientamenti del comitato triveneto dei notai in materia di atti societari, settembre 2011, orientamento H.G.30).
c) Esclusione o limitazione “semplificata” del diritto di opzione. L'art. 2441, comma 4, seconda parte, c.c. prevede una causa di esclusione per le sole società quotate sui mercati regolamentati, in cui lo statuto può escludere il diritto nei limiti del dieci per cento del capitale sociale preesistente, a condizione che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni e ciò sia confermato in apposita relazione da un revisore legale o da una società di revisione legale (c.d. anche esclusione “semplificata”). I quorum per l'introduzione della clausola nello statuto sono quelli degli artt. 2368-2369 c.c. se non è diversamente previsto (Massima del Consiglio Notarile di Milano n. 90 del 22 novembre 2005). La disposizione in questione solleva numerose questioni interpretative (sulle quali, v. Ginevra, Art. 2441, 2637 ss.; Speranzin, Art. 2441, 864 ss.; Balp-Ventoruzzo, Esclusione, 795 ss.; Abu Awwad, Il diritto, in part. 85 ss.). Si pone anzitutto il dubbio su quale sia il ‘‘capitale preesistente'' ai fini del calcolo della misura percentuale dell'esclusione del 10%: la preesistenza potrebbe, infatti, essere riferita sia al momento dell'introduzione della clausola facoltizzante l'esclusione sia al momento dell'aumento del capitale sociale. In ordine al criterio di determinazione del prezzo di emissione, che deve essere «corrispondente al prezzo di mercato», si tratta di accertare che cosa significhi ‘‘corrispondenza''; entro quali limiti il prezzo di emissione possa discostarsi dal valore di mercato; se il prezzo di emissione possa essere fissato al di sopra o al di sotto del valore di mercato e se intercorra un rapporto fra il neo-introdotto parametro della ‘‘corrispondenza al prezzo di mercato”' e i criteri di determinazione del prezzo di cui all'art. 2441, comma 6, c.c. Non è chiaro inoltre il momento temporale della determinazione del prezzo: se quest'ultima debba essere preventiva ovvero se possa essere (anche) successiva alla delibera di aumento (sulla fattispecie in questione, v. Ginevra, Art. 2441, 2637 ss.; Speranzin, Art. 2441, 864 ss.; Balp-Ventoruzzo, Esclusione, 795 ss.; Abu Awwad, Il diritto, in part. 85 ss.).
d) L'offerta di azioni ai dipendenti. L'ultimo comma dell'art. 2441 c.c. consente di escludere, con deliberazione dell'assemblea assunta con la maggioranza richiesta per le assemblee straordinarie, il diritto di opzione per le azioni di nuova emissione, se queste sono offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società o di società che la controllano o che sono da essa controllate. Si tratta, chiaramente, di un meccanismo di incentivazione e di fidelizzazione dei dipendenti che si affianca a quello dell'art. 2349 c.c. e 2358, u.c., c.c. (sul tema, cfr. Zanardo, 738 ss., la quale valuta proprio l'applicabilità della fattispecie di esclusione di cui all'art. 2441, comma 4, seconda parte, c.c. ai piani di stock option). Per alcuni, viene in considerazione un'ipotesi di tipizzazione dell'interesse sociale rilevante ai fini dell'esclusione dell'opzione (Guerrera, Art. 2441, 1179); per altri, la ratio della disposizione – che rappresenta “un passo avanti nella direzione della configurazione legislativa di una generale responsabilità sociale della s.p.a.” – è diversa, nel senso che la “partecipazione dei dipendenti è utile al generale perseguimento degli scopi sociali” (Ginevra, Art. 2441, 2636). Se si accoglie tale ultima soluzione interpretativa, non dovrebbe trovare applicazione il procedimento di esclusione previsto dall'art. 2441, comma 6, c.c. Le azioni possono essere riservate a tutti o solo ad alcuni dipendenti, così come solo a determinate categorie (cfr. Cass., 22 luglio 2016, n. 15217; Ginevra, Art. 2441, 2637; Speranzin, Art. 2441, 845).
e) Esclusione dell'opzione e concordato preventivo Infine, si deve ricordare che gli interessi dei soci in un'operazione di aumento del capitale sociale sono destinati ad essere del tutto sacrificati nel caso in cui la società versi in stato di crisi. Invero, ai sensi dell'art. 163, comma 5, l. fall. se la proposta di concordato preventivo prevede l'intervento di terzi e se il debitore è una società per azioni o a responsabilità limitata, può essere individuato, quale soluzione per il superamento della crisi, l'aumento di capitale della società con esclusione o limitazione del diritto d'opzione. Si tratta, come è stato osservato in dottrina, di una norma con cui è stata introdotta anche nel nostro ordinamento la possibilità di disporre delle partecipazioni dei soci (D'Attorre, Le proposte ostili, in La nuova mini-riforma della legge fallimentare, Torino, 2016, 117 ss.; Id., Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Fall., 2015, 1163 ss.). Detta circostanza segna la differenza fra la proposta concordataria che può essere formulata dal debitore (in cui tale possibilità non è configurata), rispetto a quella che viene presentata dal terzo. In tale ultima ipotesi, vi è, infatti, una deroga a tutte le regole sostanziali e procedimentali sottese all'esclusione e alla limitazione del diritto di opzione.
f) Ipotesi in cui non ricorre una causa di esclusione o limitazione del diritto di opzione. Non ricorre una causa di esclusione o limitazione del diritto di opzione nell'ipotesi di c.d. opzione indiretta (su cui Giannelli, L'opzione; Ginevra, Art. 2441, 2639 ss.). Fattispecie, quest'ultima, che si configura nell'ipotesi in cui le azioni di nuova emissione vengono collocate presso un intermediario (banche, enti, società finanziarie soggette al controllo) e poi offerte in opzione ai soci. Detta tecnica risponde all'obiettivo di ovviare ai problemi derivanti dal mancato collocamento. Nel caso in cui i soci non intendano sottoscrivere le azioni, a divenire socio è lo stesso intermediario (sull'opzione indiretta, cfr., oltre a Giannelli, L'opzione, Ginevra, Art. 2441, 2639 ss.; Speranzin, Art. 2441, 870 ss.). Del pari, si ritiene altresì che non costituisca una causa di limitazione del diritto di opzione la previsione della possibilità per gli amministratori di stabilire il prezzo (e sovrapprezzo) di emissione in una fase successiva entro valori prefissati. Il procedimento di esclusione o limitazione del diritto di opzione
A decidere sull'esclusione o limitazione del diritto può essere, oltre (naturalmente) all'assemblea, anche l'organo amministrativo: la delega all'aumento del capitale può altresì prevedere tale facoltà, che può essere attribuita agli amministratori in via originaria o successivamente (cfr., Speranzin, Art. 2443, 2677 ss., ove un esame delle diverse questioni). L'art. 2441, comma 6, c.c. fissa il sistema di cautele sostanziali e procedimentali per procedere con l'esclusione o limitazione del diritto di opzione. Con finalità informative e con l'obiettivo di consentire un controllo successivo (ultra, sub 6 e 7), gli amministratori devono predisporre una relazione illustrativa sulle ragioni dell'esclusione e della limitazione. È altresì necessario che vengano indicati i criteri utilizzati nella determinazione del prezzo. Gli amministratori devono comunicare la relazione al collegio sindacale o al consiglio di sorveglianza e al soggetto incaricato della revisione legale dei conti almeno trenta giorni prima di quello fissato per l'assemblea. Entro quindici giorni il collegio sindacale deve esprimere il proprio parere sulla congruità del prezzo di emissione delle azioni: tale parere (e, nell'ipotesi prevista dal quarto comma, la relazione giurata dell'esperto designato dal Tribunale ovvero la documentazione indicata dall'art. 2343-ter, comma 3, c.c.) deve restare depositata presso la sede della società durante i quindici giorni che precedono l'assemblea e fino a quando quest'ultima non abbia deliberato affinché i soci possano prenderne visione. Si ritiene che non operi, ai fini dell'assunzione della delibera in esame, il meccanismo della convocazione dell'assemblea su richiesta dei soci (art. 2367 c.c.), proprio in ragione del fatto che detta delibera si inserisce in un iter complesso che presuppone lo svolgimento di un'attività essenziale da parte degli organi gestori e di controllo come la redazione della relazione e del parere (così Speranzin, Art. 2441, 869; Ginevra, Art. 2441, 2632). Il prezzo di emissione
Con riferimento alle ipotesi del primo periodo del quarto comma (: aumento di capitale da liberarsi con conferimenti in natura ) e del quinto comma (: esclusione dell'opzione perché l'interesse sociale lo esige), l'art. 2441, comma 6, c.c., pur facendo riferimento ad un ‘‘prezzo di emissione'', impone tuttavia un sovrapprezzo (: un ‘‘sovrapprezzo obbligatorio''), che deve essere diversamente fissato, a seconda che si tratti di società con azioni quotate o non quotate (cfr. G. Mucciarelli, Il sopraprezzo, 14 ss.). In particolare, se la società è quotata (e – in questo caso – trova applicazione anche l'art. 158 T.u.f.), il prezzo di emissione deve essere determinato ‘‘in base al valore del patrimonio netto e tenuto conto ‘‘anche dell'andamento delle quotazioni dell'ultimo semestre'' (si è rilevato che “l'andamento delle quotazioni rappresenta, nel sesto comma dell'art. 2441 c.c., un correttivo al parametro principale del patrimonio netto”: Portale, Opzione, 220). La ragione sottesa alla previsione di un sovrapprezzo obbligatorio deve essere ricercata nell'intento di evitare diluzioni del valore delle partecipazioni per i vecchi azionisti (: funzione c.d. “anti-annacquamento”). Nell'ipotesi di c.d. esclusione semplificata viene in considerazione un diverso criterio rispetto a quello individuato per i casi del primo periodo del quarto comma e del quinto comma dell'art. 2441 c.c.: il prezzo di emissione deve corrispondere al prezzo di mercato. Si discute sul significato di detta corrispondenza (cfr. per l'indicazione dei criteri di calcolo, Marchetti, Gli aumenti, 273 s.; Balp-Ventoruzzo, 819 ss.). Alcuni pongono a fondamento della previsione l'intento di evitare che il riconoscimento del diritto di preferenza ai sottoscrittori dedicati possa risolversi in un vantaggio ingiusto a danno dei vecchi soci (‘‘secondo una ratio non dissimile da quella che ispira l'art. 92 t.u.f.'': così, Giannelli, L'aumento, 278); altri attribuiscono una funzione ‘‘compensativa'' al prezzo di emissione, posto che si deve tener presente, nella determinazione del prezzo, della possibilità per i soci di acquistare le azioni sul mercato, con la conseguenza che il valore di mercato corrisponde ad un importo maggiore. In questo senso, si compensa il socio di quanto sarà costretto a corrispondere per il fatto di dover acquistare liberamente le azioni sul mercato [Blandini, Società, 282; per una diversa ricostruzione rispetto alle opinioni ora richiamate, Abu Awwad, Il diritto, in part. 129 ss., secondo la quale il criterio della corrispondenza, che induce ad operare una riduzione teleologica della fattispecie (: non essendo ritenuta ricompresa in quest'ultima l'ipotesi di destinazione dell'aumento al mercato), si pone a tutela della concreta possibilità dei soci di procedere all'acquisto diretto delle azioni sul mercato regolamentato nel caso in cui l'aumento sia destinato fuori dal mercato regolamentato].
Si discute su quali siano le conseguenze discendenti dalla violazione del diritto di opzione: il caso è quello in cui la delibera di esclusione o limitazione del diritto sia stata assunta in difetto dei presupposti formali e sostanziali di legge (ad es. fissando per la sottoscrizione un termine inferiore di legge). Secondo un orientamento (un po' risalente), la delibera sarebbe nulla (Trib. Milano 18 aprile 1991, in Giur. it., 1991, I, 2, 768; Trib. Napoli 13 agosto 1992). Muovendosi, peraltro, dalla soluzione interpretativa che fa discendere la nullità dalla sola violazione di norme poste a tutela di interessi generali, parrebbe doversi escludere che, nel caso in questione, venga in considerazione detta fattispecie, perché la norma tutela interessi, appunto, individuali dei soci: la delibera sarebbe quindi annullabile (Cass. 20 gennaio 2011, n. 1361; cfr., Zanarone, 419 ss.; Ginevra, Aumento, 755 s., nt. 9; Cass. 7 novembre 2008, n. 26842). Secondo un altro orientamento, la delibera di aumento sarebbe inefficace (Ascarelli, 541). Si pone poi il quesito in merito agli strumenti di cui dispone il socio nell'ipotesi in cui gli amministratori abbiano collocato le azioni presso terzi o abbiano collocato le azioni presso i soci, ma in misura non proporzionale (Ginevra, Art. 2441, 2627). Sul punto, a fronte dell'opinione tradizionale, secondo cui sarebbe possibile per il socio (il cui diritto è stato violato) ottenere in via coattiva le azioni (: il difetto di rappresentanza degli amministratori sarebbe opponibile al terzo, il quale avrebbe sottoscritto titoli nulli: Nobili, 124), parte della dottrina ritiene che dovrebbe trovare applicazione la sanzione dell'annullabilità opponibile al terzo solo in caso di mala fede (Ginevra, Art. 2441, 2627, ove ulteriori riferimenti). Il socio (il cui diritto è stato violato) può far ricorso agli strumenti cautelari e al riscatto, fermo restando che, in ragione dei principi di diritto cartolare, a fronte della successiva circolazione delle azioni, la violazione del diritto non è comunque opponibile al terzo in buona fede, pur operando i rimedi risarcitori (Speranzin, 860 s., per ulteriori indicazioni; contra Ginevra, Art. 2441, 2627 s.).
Riferimenti
Normativi:
Giurisprudenza:
Prassi:
Dottrina:
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