Mentre per gli edifici pubblici le prime disposizioni sull'abbattimento delle barriere architettoniche sono state emanate fin dall'inizio degli anni settanta, per gli edifici privati le barriere architettoniche sono state oggetto di disciplina specifica soltanto alla fine degli anni ottanta con la l. 9 gennaio 1989, n. 13. Ma l'applicazione delle disposizioni che facilitano l'installazione dell'ascensore e di tutte le altre opere necessarie per consentire a chiunque la piena accessibilità degli edifici ha incontrato forti resistenze al principio e la situazione è finalmente diventata soddisfacente solo nell'ultimo periodo, in cui la giurisprudenza ha fatto spesso riferimento al (e applicazione del) principio di solidarietà condominiale. Alle due previsioni di maggioranze deliberative già contemplate dalla legge speciale del 1989 e poi dalla normativa codicistica riformata se ne è aggiunta adesso una terza per effetto della legge di Bilancio 2023.
Inquadramento
La specifica normativa sulle barriere architettoniche ha avuto inizio, per quanto riguarda gli edifici privati, con la l. 9 gennaio 1989, n. 13 e il suo regolamento di attuazione d.m. n. 236 del 14 giugno 1989; mentre per gli edifici pubblici la prima normativa era già stata realizzata in precedenza con la l. 30 marzo 1971, n. 118 e il suo regolamento di attuazione d.p.r.27 aprile 1978, n. 384, poi sostituito dal d.p.r.24 luglio 1996, n. 503.
Nello specifico, ai sensi dell'art. 2 del d.m. n. 236/1989 e dell'art. 1del d.p.r.n. 503/1996, per barriere architettoniche si intendono:
a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea;
b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di spazi, attrezzature o componenti;
c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l'orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi.
Finalità della normativa
Lo scopo della normativa speciale del 1989 era non solo quello di predisporre le prescrizioni tecniche necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata ed agevolata - prescrizioni di cui è stata disposta l'obbligatorietà per tutti gli edifici di nuova costruzione - ma anche di favorire (mediante la maggioranza agevolata indicata nell'art. 2, comma 1, della l. n. 13/1989 e altre previsioni contenute nella stessa disposizione e in quelle successive, comprese varie agevolazioni fiscali) l'adeguamento degli edifici già esistenti, senza però renderlo obbligatorio, in quanto, a seconda delle situazioni specifiche, in alcuni casi sarebbe stato destinato ad avere costi anche molto elevati, mentre, in casi estremi, poteva rivelarsi addirittura tecnicamente irrealizzabile. Così l'adeguamento per le costruzioni già esistenti (con scelta assai saggia) è stato lasciato su base volontaria, prevedendo le agevolazioni sopra ricordate.
Più di recente lo spesso obiettivo è stato perseguito anche mediante la previsione di un beneficio fiscale (una detrazione che è adesso del 75% prevista dall'art. 119-ter del d.l. n. 34 del 19 maggio 2020), che viene così a riproporre la precedente possibilità di usufruire di contributi pubblici previsti inizialmente dagli artt. 9 segg.della l. n. 13/1989 e dalle analoghe previsioni contenute in alcune leggi regionali, che però nel tempo sono stati stanziati in misura sempre minore fino a perdere una effettiva rilevanza.
Applicazione della legislazione speciale
Ma la normativa del 1989 ha prodotto una situazione anomala: infatti, a dispetto della sua chiara ratio legis, dapprima ha visto un'applicazione molto rigida dei limiti da essa stessa previsti per l'approvazione delle relative delibere, non tanto nella giurisprudenza di merito, quanto in quella della Corte di Cassazione, che di fatto ne ha sminuito l'efficacia in modi rilevante (Cass. civ., sez. II, 25 giugno 1994, n. 6109).
La situazione è poi cambiata in maniera radicale dopo che la Corte Costituzionale, con una importante decisione peraltro emessa non specificamente sulla legge n. 13/1989, ma in materia di passaggio coattivo a favore del fondo non intercluso disciplinato dall'art. 1052 c.c. (Corte Cost. 10 maggio 1999, n. 167). La Corte ha infatti richiamato e valorizzato la ratio e le finalità della l. n. 13/1989 e, dopo di essa, vi è stato un deciso cambiamento anche da parte della giurisprudenza di legittimità, che ha richiamato spesso nelle sue motivazioni proprio la sentenza della Corte Costituzionale; tuttavia, a distanza di più di venticinque anni dall'entrata in vigore della legge speciale, si assiste tuttora a decisioni altalenanti in materia.
L'iniziale suddivisione nei due orientamenti contrapposti - il primo favorevole all'applicazione estensiva della normativa e il secondo invece più propenso ad una applicazione particolarmente rigida (per effetto di una interpretazione irragionevole del concetto di inservibilità delle parti comuni) dei vincoli da essa pure previsti riguardo alle deliberazioni assembleari approvate con la maggioranza agevolata - continua a sussistere, come dimostrano pure le più recenti decisioni emesse in materia, che sono ben rappresentative di questa situazione, come emerge da un pur sommario esame degli orientamenti più recenti.
BARRIERE ARCHITETTONICHE: ORIENTAMENTI A CONFRONTO
Applicazione alla sopraelevazione dell'ascensore e all'ampliamento della scala
In tema di eliminazione delle barriere architettoniche, la l. n. 13/1989 costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell'interesse generale, l'accessibilità agli edifici, sicché la sopraelevazione del preesistente impianto di ascensore ed il conseguente ampliamento della scala padronale non possono essere esclusi per una disposizione del regolamento condominiale che subordini l'esecuzione dell'opera all'autorizzazione del condominio, dovendo tributarsi ad una norma siffatta valore recessivo rispetto al compimento di lavori indispensabili per un'effettiva abitabilità dell'immobile, rendendosi, a tal fine, necessario solo verificare il rispetto dei limiti previsti dall'art. 1102 c.c., da intendersi, peraltro, alla luce del principio di solidarietà condominiale (Cass. civ., sez. II, 28 marzo 2017, n. 7938).
Conseguenze del principio di solidarietà condominiale
- In tema di condominio, l'installazione di un ascensore su area comune, allo scopo di eliminare delle barriere architettoniche, rientra fra le opere di cui all'art. 27, comma 1, della l. n. 118/1971 ed all'art. 1, comma 1, del d.p.r. n. 384/1978, e, pertanto, costituisce un'innovazione che, ex art. 2, commi 1 e 2, della l n. 13/1989, va approvata dall'assemblea con la maggioranza prescritta dall'art. 1136, commi 2 e 3, c.c., ovvero, in caso di deliberazione contraria o omessa nel termine di tre mesi dalla richiesta scritta, che può essere installata, a proprie spese, dal portatore di handicap, con l'osservanza dei limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c., secondo quanto prescritto dal comma 3 del citato art. 2; peraltro, la verifica della sussistenza di tali ultimi requisiti deve tenere conto del principio di solidarietà condominiale, che implica il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all'eliminazione delle barriere architettoniche, trattandosi di un diritto fondamentale che prescinde dall'effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati e che conferisce comunque legittimità all'intervento innovativo, purché lo stesso sia idoneo, anche se non ad eliminare del tutto, quantomeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell'abitazione (Cass. civ., sez. VI/II, 9 marzo 2017, n. 6129).
- In tema di installazione di ascensore in condominio e quindi di parti comuni negli edifici, la solidarietà costituisce principio generale di applicazione erga omnes e ad hoc: così, è consentita l'installazione di un ascensore, in quanto diretto ad eliminare le barriere architettoniche, mediante delibera assunta con maggioranza speciale in deroga a quella qualificata codicistica. È, quindi, legittima, e va pertanto confermata, la sentenza di merito con cui, accertati la presenza di condomini con problematiche di salute, l'adozione della delibera a maggioranza degli intervenuti rappresentanti la metà del valore dell'edificio, l'assenza di pregiudizi al passaggio di una persona anche seduta ed accompagnata ed al decoro architettonico nonché di ostacoli all'eventuale passaggio di mezzi di soccorso (mediante apposita c.t.u.) e quindi la ratio decidendi, la relativa correttezza giuridica, l'assoluta esaustività e congruità logico-formale, venga, di fatto, convalidata la delibera dell'assemblea condominiale (Cass. civ., sez. II, 5 agosto 2015, n. 16486).
- La verifica, ai sensi dell'art. 1120, ultimo comma, c.c., se l'installazione di un ascensore nell'atrio di uno stabile condominiale rechi pregiudizio, oltre che alla stabilità o la sicurezza del fabbricato, in decoro architettonico dell'edificio, nonché all'uso o godimento delle parti comuni ad opera dei singoli condomini, implica una valutazione anche in ordine alla ricorrenza, o meno, di un deprezzamento dell'intero immobile, essendo lecito il mutamento estetico che non cagioni un pregiudizio economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni a un'utilità la quale compensi l'alterazione architettonica che non sia di grave e appariscente entità. Nel compiere tale verifica, inoltre, è necessario tenere conto del principio di solidarietà condominiale, secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento, al fine dell'ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali, di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all'eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto, peraltro, di un diritto fondamentale che prescinde dall'effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati (Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2012, n. 18334).
Menomazione in modo sensibile dell'utilità per un condomino
In tema di deliberazioni condominiali, l'installazione dell'ascensore, rientrando fra le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui alla l. n. 118/1971, art. 27, comma 1, e al d.p.r.n. 384/1978, art. 1, comma 1, costituisce innovazione che, ai sensi della l. n. 13/1989, art. 2 è approvata dall'assemblea con la maggioranza prescritta rispettivamente dall'art. 1136, commi 2 e 3, c.c.; tutto ciò ferma rimanendo la previsione della l. n. 13/1989, art. 2, comma 3, che fa salvo il disposto degli artt. 1120, comma 2, e 1121, comma 3, c.c. La condizione di inservibilità del bene comune all'uso o al godimento anche di un solo condomino, che, ai sensi dell'art. 1120, comma 2, c.c. rende illegittima e quindi vietata l'innovazione deliberata dagli altri condomini, è riscontrabile anche nel caso in cui l'innovazione produca una sensibile menomazione dell'utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene (Cass. civ., sez. II, 29 novembre 2016, n. 24235).
Leggi regionali dichiarate incostituzionali
- È dichiarato costituzionalmente illegittimo - per violazione dell'art. 117, comma 2, lett. m), Cost. - l'art. 20, comma 1, della l. Regione Liguria n. 12/2015, che ha inserito il comma 1-bis all'art. 5 della l. Regione Liguria n. 15/1989. La disposizione impugnata dal Governo, limitandosi a prescrivere un obbligo di non peggioramento delle «caratteristiche originarie di accessibilità» in caso di realizzazione di opere edilizie sugli edifici esistenti aperti al pubblico non già adeguati alle norme sul superamento delle barriere architettoniche, introduce una significativa deroga all'art. 82 del TUE, che impone invece di conformare ai requisiti costruttivi e funzionali necessari per eliminare ogni barriera architettonica tutti gli edifici pubblici e privati aperti al pubblico, sia quelli di nuova costruzione, sia (in forza del rinvio alla sezione prima del capo III della parte II del TUE) quelli già esistenti, qualora sottoposti a interventi di ristrutturazione. In tal modo, la disposizione regionale invade l'ambito riservato alla potestà legislativa esclusiva statale di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni rese in favore delle persone portatrici di handicap (cui pertiene il citato art. 82 del TUE), alterando la delicata graduazione di interessi rimessa, nel sistema di tutela delle persone disabili, al legislatore statale. Secondo la giurisprudenza costituzionale (sent. n. 111/2014), le disposizioni in materia di accessibilità e di superamento delle barriere architettoniche attengono alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» (LEP), di cui all'art. 117, comma 2, lett. m), Cost., che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (Corte Cost. 16 dicembre 2016, n. 272).
- È costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 117, comma 2, lett. m), Cost., l'art. 26, comma 1, della l. Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste 8 aprile 2013, n. 8, il quale prevede che le disposizioni in materia di abbattimento delle barriere architettoniche non si applicano agli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande non raggiungibili con strade destinate alla circolazione di veicoli a motore. La disposizione censurata, in ragione dello specifico contenuto precettivo, non è riconducibile alla materia del commercio ma, pur inserendosi in un più ampio contesto normativo ascrivibile al governo del territorio, attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Tale titolo di legittimazione dell'intervento statale non rappresenta una materia in senso stretto ma una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle. La norma impugnata, pertanto, viola la suddetta potestà legislativa esclusiva statale, con riguardo all'attuazione dei diritti delle persone portatrici di handicap, in quanto deroga all'art. 82, comma 1, del d.p.r.n. 380/2001, che prevede che le opere edilizie che riguardano edifici pubblici ed edifici privati aperti al pubblico siano eseguite in conformità alla normativa vigente in materia di eliminazione e di superamento delle barriere architettoniche (Corte Cost. 5 maggio 2014, n. 111).
Prevalenza dell'esigenza di condomini disabili in attuazione dei principi costituzionali
Nel conflitto tra le esigenze dei condomini disabili abitanti ad un piano alto, praticamente impossibilitati, in considerazione del loro stato fisico, a raggiungere la propria abitazione a piedi, e quelle degli altri partecipanti al condominio, per i quali il pregiudizio derivante dall'installazione di ascensore si risolverebbe non già nella totale impossibilità di un ordinario uso della scala comune, ma soltanto in disagio e scomodità derivanti dalla relativa restrizione e nella difficoltà di usi eccezionali della stessa, va dato privilegio alle prime, in conformità ai principi costituzionali della tutela della salute (art. 32 Cost.) e della funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.) (Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 2012, n. 2156).
Nozione di inservibilità riguardo alla installazione di un ascensore
- In tema di condominio negli edifici, nell'identificazione del limite all'immutazione della cosa comune, disciplinato dall'art. 1120, comma 2, c.c., il concetto di inservibilità della stessa non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione - coessenziale al concetto di innovazione - ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità; si può tener conto di specificità - che possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità della compressione del diritto del singolo condomino - solo se queste costituiscano una inevitabile e costante caratteristica di utilizzo - fattispecie relativa alla installazione di un impianto di ascensore, recante pregiudizio alla fruibilità di un pianerottolo e di un appartamento (Cass. civ., sez. II, 12 luglio 2011, n. 15308).
- L'art. 2 della l. 9 gennaio 1989 n. 13, recante norme per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati, che prevede la possibilità per l'assemblea condominiale di approvare le innovazioni preordinate a tale scopo con le maggioranze indicate nell'art. 1136, commi 2 e 3, c.c. in deroga all'art. 1120, comma 1, c.c. che richiama l'art. 1136, comma 5, c.c. e quindi, le più ampie maggioranze ivi contemplate, dispone tuttavia che resta fermo il disposto dell'art. 1120, comma 2, c.c. il quale vieta le innovazioni che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso e al godimento anche di un solo condomino, comportandone una sensibile menomazione dell'utilità secondo l'originaria costituzione della comunione. Ne deriva che a maggior ragione sono nulle le delibere che ancorché adottate a maggioranza al fine indicato siano lesive dei diritti di altro condomino sulla porzione di sua proprietà esclusiva, indipendentemente da qualsiasi considerazione di eventuali utilità compensative (Cass. civ., sez. II, 25 giugno 1994, n. 6109).
Derogabilità alla larghezza minima delle scale
Le “specifiche” previste dall'art. 8, d.m. 14 giugno 1989, n. 236 (e, precisamente, per quel che riguarda l’ampiezza delle scale, dal punto 8.1.10, nella parte in cui è stabilito che le rampe di scale che costituiscono parte comune devono avere una larghezza minima di 1,20 m.) non sono inderogabili, perché, come stabilito dall’art. 7 dello stesso d.m. (e con salvezza degli adempimenti amministrativi ivi prescritti e delle relative eccezioni), il progetto può prevedere “soluzioni alternative alle specificazioni e alle soluzioni tecniche, purché rispondano alle esigenze sottintese dai criteri di progettazione” (Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2019, n. 2050).
Non è valida la deliberazione, pure se approvata ai sensi dell'art. 2 della l. n. 13/1989, che deliberi l'esecuzione di un impianto di ascensore che si presenta pregiudizievole per la sicurezza e la stabilità dell'edificio perché non è conforme alle prescrizioni antincendio (Cass. civ., sez. II, 31 maggio 2019, n. 15021).
Da ricordare che si è ritenuto costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2 e 32 Cost., dell'art. 3, comma 2, Cost. e dell'art. 42, comma 2, Cost., l'art. 1052, comma 2, c.c., nella parte in cui non prevede che il passaggio coattivo di cui al comma 1 possa essere concesso dall'autorità giudiziaria quando questa riconosca che la domanda risponde alle esigenze di accessibilità - di cui alla legislazione relativa ai portatori di handicap degli edifici destinati ad uso abitativo. Infatti, premesso che la concessione del passaggio coattivo è subordinata dalla norma denunciata non solo alla inadeguatezza dell'accesso alla via pubblica ed alla sua non ampliabilità, ma anche alla sussistenza di una ulteriore condizione, rappresentata dalla circostanza che la domanda risponda «alle esigenze della agricoltura e dell'industria»; e considerato che, con tale disposizione, il legislatore, per il caso di fondo non intercluso, ha inteso altresì ricollegare la costituzione della servitù coattiva di passaggio alla sussistenza in concreto di una interesse generale, all'epoca identificato nelle esigenze dell'agricoltura o dell'industria, al quale rimane estraneo ogni rilievo relativo alle esigenze abitative, pure se riferibili a quegli interessi fondamentali della persona la cui tutela è indefettibile; l'omessa previsione della esigenza di accessibilità della casa di abitazione «lede il principio personalista che ispira la Carta costituzionale e che pone come fine ultimo dell'organizzazione sociale lo sviluppo di ogni singola persona umana». Inoltre, la norma denunciata, impedendo od ostacolando la socializzazione degli handicappati, comporta anche una lesione del fondamentale diritto di costoro alla salute psichica, la cui tutela deve essere di grado pari a quello della salute fisica. Né, d'altronde, la previsione della servitù in parola può trovare ostacolo nella garanzia accordata al diritto di proprietà dall'art. 42 Cost., poiché il peso che in tal modo si viene ad imporre sul fondo altrui può senz'altro annoverarsi tra quei limiti della proprietà privata determinati dalla legge, ai sensi della citata norma costituzionale, allo scopo di assicurarne la funzione sociale (Corte Cost. 10 maggio 1999, n. 167).
La modifica delle disposizioni sulle maggioranze speciali
L'anomalia, a cui si è fatto cenno, della disciplina sulle barriere architettoniche negli edifici privati ha trovato ulteriore conferma pure nell'ambito della legge di Riforma del condominio n. 220/2012, che da una parte ha modificato l'art. 1120, comma 2, c.c. in tema di innovazioni, prevedendo - per alcune di esse, che il Legislatore della Riforma ha considerato con particolare favore (e che infatti erano in parte già previste in leggi speciali) - che è ammessa, nel rispetto della «normativa di settore» (con formulazione assai ambigua), la deliberazione con la maggioranza ordinaria indicata dall'art. 1136, comma 2, c.c. (invece di quella prevista in generale per le innovazioni dal comma 5) quando hanno ad oggetto, fra l'altro (n. 2) «le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche», aggiungendo che l'amministratore è tenuto a convocare l'assemblea entro trenta giorni dalla richiesta anche di un solo condomino interessato all'adozione di tali deliberazioni.
In evidenza
In tema di deliberazioni condominiali, nel previgente regime, si era affermato che l'installazione dell'ascensore, rientrando fra le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all'art. 27, comma 1, della l. n. 118/1971 e all'art. 1, comma 1, del d.p.r. n. 384/1978, costituiva innovazione che, ai sensi dell'art. 2 della l. n. 13/1989, è approvata dall'assemblea con la maggioranza prescritta rispettivamente dall'art. 1136, commi 2 e 3, c.c., ferma rimanendo la previsione del comma 3 del citato art. 2 della l. n. 13/1989, che faceva salvo il disposto degli artt. 1120, comma 2, e 1121, comma 3, c.c. (Cass. civ., sez. II, 29 luglio 2004, n. 14384).
Ma, come si è già detto, una maggioranza agevolata in materia di barriere architettoniche era già contenuta nell'art. 2 della l. n. 13/1989 (la quale oltretutto è stata oggetto di specifica modifica, proprio per effetto della legge di Riforma n. 220/2012, rispetto a quella prevista in origine) e così la precedente maggioranza agevolata introdotta dalla legge speciale continua a coesistere insieme all'analoga (o almeno) similare ipotesi prevista adesso dall'attuale art. 1120, comma 2, n. 2), c.c. (peraltro le due maggioranze coincidono); tuttavia il coordinamento fra le due disposizioni si presenta assai poco agevole sia per la sostanziale identità (almeno parziale) delle situazioni contemplate dall'art. 1120, comma 2, riformato, con quelle disciplinate dalla precedente legge speciale, sia per l'ambiguità della formulazione dell'ipotesi contenuta nell'art. 1120 vigente.
Nell'imprecisione della nuova previsione, si può solo osservare che l'ipotesi disciplinata dal nuovo n. 2) dell'art. 1120 c.c., sembra approvabile dall'assemblea con la maggioranza disposta dall'art. 1136, comma 2, c.c. anche nei casi in cui l'innovazione a cui essa si riferisce non rivesta pure eventuali requisiti specifici richiesti dalla legge speciale, ma d'altro canto non si può sottacere che, in questo modo, la portata delle nuove disposizioni assume una valenza, per un verso, integrativa e, per altro verso, di segno addirittura elusivo rispetto alle condizioni previste dalle disposizioni già vigenti.
In ultimo va rilevato - e conviene sottolinearlo in quanto si tratta di una scelta ingiustificata e davvero non condivisibile - che la legge di Riforma ha inopinatamente elevato la maggioranza prevista dal testo originario dell'art. 2, comma 1, della l. n. 13/1989, mediante l'espresso rinvio all'art. 1120, comma 2, c.c. che, a sua volta, richiama l'art. 1136, comma 2, c.c. con la conseguenza che l'assemblea condominiale delibera le innovazioni relative all'abbattimento delle barriere architettoniche con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio (mentre in precedenza era consentito approvare queste delibere, purché fossero adottate in una assemblea di seconda convocazione, con un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio). Questa nuova maggioranza si presenta quindi decisamente peggiorativa rispetto alla disposizione originale e assolutamente da censurare, in quanto non fa altro che dimostrare in maniera emblematica l'assenza, da parte del Legislatore del 2012, di un piano organico e ragionato su cui basare la Riforma, che avrebbe invece dovuto porre al centro della nuova normativa il condomino e le sue esigenze meritevoli di apposita tutela giuridica, come nel caso dei portatori di handicap.
Ma la situazione fin qui riassunta ha subito una nuova modifica per effetto dell'art. 1, comma 365, della l. 29 dicembre 2022, n. 197 (Finanziaria 2023), che, oltre a prorogare per altri tre anni (fino al 31 dicembre 2025, quindi) il bonus fiscale, già previsto dall'art. 119-ter del d.l. 19 maggio 2020, n. 34 – relativo alla detrazione del 75% per gli interventi finalizzati al superamento e all'eliminazione delle barriere architettoniche – ha inserito nell'art. 119-ter del d.l. n. 34/2020, convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, il nuovo comma 4-bis, ai sensi del quale, per le deliberazioni in sede di assemblea condominiale che hanno per oggetto gli interventi direttamente finalizzati al superamento e all’eliminazione di barriere architettoniche negli edifici già esistenti, è necessaria la maggioranza dei partecipanti all’assemblea che rappresenti almeno un terzo del valore millesimale dell’edificio.
In questo modo la Legge Finanziaria ha ripristinato ancora una volta una maggioranza deliberativa agevolata, particolarmente facile da raggiungere rispetto alle altre maggioranze esistenti, di cui si può usufruire per approvare le barriere architettoniche, in modo simile a come veniva prevista nel testo iniziale dell'art. 2 della l. n. 13/1989, prima che venisse aumentata dalla legge di riforma n. 220/2012.
Le modifiche del 2020 alla legge n. 13/1989
L'art. 10, comma 3, del d.l. 16 luglio 2020, n. 76 (c.d.Decreto Semplificazioni), convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, ha innovato la disciplina prevista dalla legge n. 13/1989, stabilendo che:
- ciascun partecipante alla comunione o al condominio può realizzare a proprie spese ogni opera disciplinata dagli artt. 2 della legge n. 13/1989 e 119 del d.l. n. 34/2020, anche servendosi della cosa comune nel rispetto dei limiti fissati dall'art. 1102 c.c.;
- alla l. n. 13/1989 sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'art. 2, comma 1, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: "Le innovazioni di cui al presente comma non sono considerate in alcun caso di carattere voluttuario ai sensi dell'art. 1121, primo comma, c.c. Per la loro realizzazione resta fermo unicamente il divieto di innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, di cui al quarto comma dell'articolo 1120 del codice civile."; b) l'art. 8 è abrogato.
A seguito della modifica normativa è stato deciso che per effetto della novella, l'art. 2 della l. n. 13/1989, nel testo attualmente vigente, prevede, quale unico limite alle innovazioni finalizzate ad abbattere barriere architettoniche, quello del pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato (Trib. Milano, sent. 20 luglio 2021, n. 6312).
Casistica
CASISTICA
Ascensore installato nel vano scala
È legittima la delibera dell'assemblea di condominio che, con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 5, c.c., richiamato dall'art. 1120 c.c., deliberi l'installazione di un ascensore nel vano scala condominiale a cura e spese di alcuni condomini soltanto, purché sia fatto salvo il diritto degli altri condomini di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi di tale innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione dell'impianto ed in quelle di manutenzione dell'opera, ed ove risulti che dalla stessa non derivi, sotto il profilo del minor godimento delle cose comuni, alcun pregiudizio a ciascun condomino ai sensi dell'art. 1120, comma 2, c.c., non dovendo necessariamente derivare dall'innovazione un vantaggio compensativo per il condomino dissenziente (Cass. civ., sez. II, 8 ottobre 2010, n. 20902).
Ascensore installato su parte di un cortile e di un muro comuni
- L'installazione di un ascensore, al fine dell'eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata da un condomino su parte di un cortile e di un muro comuni, deve considerarsi indispensabili ai fini dell'accessibilità dell'edificio e della reale abitabilità dell'appartamento e rientra pertanto nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell'art. 1102 c.c. (Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2014, n. 14809).
- L'installazione di un ascensore, al fine dell'eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata da un condomino su parte di un cortile e di un muro comuni, deve considerarsi indispensabile ai fini dell'accessibilità dell'edificio e della reale abitabilità dell'appartamento, e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell'art. 1102 c.c., senza che, ove siano rispettati i limiti di uso delle cose comuni stabiliti da tale norma, rilevi, la disciplina dettata dall'art. 907 c.c. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, neppure per effetto del richiamo ad essa operato nell'art. 3, comma 2, della legge 9 gennaio 1989, n. 13, non trovando detta disposizione applicazione in ambito condominiale (Cass. civ., sez. II, 3 agosto 2012, n. 14096).
Ascensore installato in un cavedio
Ai fini della legittimità della deliberazione adottata dall'assemblea dei condomini ai sensi dell'art. 2 della l. 9 gennaio 1989, n. 13, l'impossibilità di osservare, in ragione delle particolari caratteristiche dell'edificio (nella specie, di epoca risalente), tutte le prescrizioni della normativa speciale diretta al superamento delle barriere architettoniche non comporta la totale inapplicabilità delle disposizioni di favore, finalizzate ad agevolare l'accesso agli immobili dei soggetti versanti in condizioni di minorazione fisica, qualora l'intervento (nella specie, installazione di un ascensore in un cavedio) produca, comunque, un risultato conforme alle finalità della legge, attenuando sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell'abitazione (Cass. civ., sez. VI/II, 26 luglio 2013, n. 18147)
Lesione dei diritti di un condomino sulla sua proprietà esclusiva
L'art. 2 della l. 9 gennaio 1989, n. 13, recante norme per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati, dopo aver previsto la possibilità per l'assemblea condominiale di approvare le innovazioni preordinate a tale scopo con le maggioranze indicate nell'art. 1136, commi 2 e 3, c.c. - così derogando all'art. 1120, comma 1, che richiama il comma 5 dell'art. 1136 c.c. e, quindi, le più ampie maggioranze ivi contemplate - dispone tuttavia, al comma 3, che resta fermo il disposto dell'art. 1120, comma 2, c.c. il quale vieta le innovazioni che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso e al godimento anche di un solo condomino, comportandone una sensibile menomazione dell'utilità, secondo l'originaria costituzione della comunione. Ne deriva che è nulla la delibera, la quale, ancorché adottata a maggioranza al fine indicato (nella specie, relativa all'installazione di un impianto di ascensore nell'interesse comune), sia lesiva dei diritti di un condomino sulle parti di sua proprietà esclusiva, e la relativa nullità è sottratta al termine di impugnazione previsto dall'art. 1137, ultimo comma, c.c., potendo essere fatta valere in ogni tempo da chiunque dimostri di averne interesse, ivi compreso il condomino che abbia espresso voto favorevole (Cass. civ., sez. II, 24 luglio 2012, 12930).
Tutela antidiscriminatoria
In materia di tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni, costituisce discriminazione, ai sensi dell'art. 2 della l. n. 67/2006, la situazione di inaccessibilità ad un edificio privato aperto al pubblico determinata dall'esistenza di una barriera architettonica - tale qualificabile ai sensi della l. n. 13/1989 e dell'art. 2 del d.m. n. 236/1989) - che ponga il disabile in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone, consentendo il ricorso alla tutela antidiscriminatoria (di cui all'art. 3 della l. n. 67/2006, applicabile ratione temporis), anche nei confronti di privati, quando l'accessibilità sia impedita o limitata, a prescindere dall'esistenza di una norma regolamentare apposita che, attribuendo la qualificazione di barriera architettonica ad un determinato stato dei luoghi, detti le norme di dettaglio per il suo adeguamento (Cass. civ., sez. III, 23 settembre 2016, n. 18762).
È stato deciso che rientrano nell'ambito della "discriminazione indiretta" ai sensi dell'art. 2, l. n. 67/2006, le barriere architettoniche che ostacolano l'accesso in un edificio, ma non risponde di esse anche il comune che ha rilasciato la concessione edilizia in sanatoria, prima, ed il permesso di agibilità, poi, sebbene l'edificio non fosse conforme alle prescrizioni della l. n. 13/1989 (Cass. civ., sez. I, 15 giugno 2023, n. 17138).
Servoscala
In tema di eliminazione delle barriere architettoniche, la l. n. 13/1989 costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell'interesse generale, l'accessibilità agli edifici, sicché il diritto al mantenimento ed all'uso dei dispositivi antibarriera (nella specie, un dispositivo servo scale), installati (anche provvisoriamente) in presenza di un soggetto residente portatore di handicap, non costituisce un diritto personale ed intrasmissibile del condomino disabile, che si estingue con la morte dello stesso (Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 2016, n. 3858).
Rilevanza della disciplina sulle distanze
- L'accertamento della illegittimità di un intervento edilizio per violazione delle distanze legali, qualora venga in rilievo il tema del superamento delle barriere architettoniche, deve essere effettuato necessariamente alla luce del dettato della legge n. 13/1989 e quindi non può essere rimesso all'arbitrio del giudice (Cass. civ., sez. II, 10 aprile 2015, n. 7273).
- Le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purché siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l'applicazione di quest'ultima non sia in contrasto con le prime; nell'ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l'inapplicabilità della disciplina generale sulle distanze che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, è in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all'art. 1102 c.c., deve ritenersi legittima l'opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà continue, sempre che venga rispettata la struttura dell'edificio condominiale (Cass. civ., sez. II, 16 maggio 2014, n. 10852).
Deroga alla pendenza massima dei percorsi
La normativa di settore diretta al superamento delle barriere architettoniche, che importi una deroga alla pendenza massima dei percorsi, pur costituendo un limite all'esplicazione del diritto dominicale in relazione alle caratteristiche delle nuove costruzioni e pur incidendo fortemente sulla regolarizzazione di quelle esistenti, non genera un diritto alla sua osservanza sull'esclusivo presupposto del diritto dominicale, se non è presente anche la qualitas hominis a tutela della quale è stata emanata o non si prospetti comunque la concreta incidenza del lamentato ostacolo sulla propria sfera personale, a causa di situazioni di disagio motorio attuale o di prevedibile e prossima modifica peggiorativa(Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2014, n. 12963).
Irretroattività della normativa speciale
Le prescrizioni contenute nella l. n. 13/1989 e nel d.m. di attuazione n. 236/1989, si applicano, conformemente al principio di irretroattività fissato dall'art. 11, comma 1, delle preleggi, ai soli edifici realizzati successivamente all'entrata in vigore della legge o agli edifici preesistenti la cui integrale ristrutturazione sia successiva (Cass. civ., sez. II, 14 giugno 2022, n. 19087).
Diritto del portatore di handicap di parcheggiare nel cortile condominiale
Il diritto del portatore di handicap, con capacità di deambulazione sensibilmente ridotta, di poter parcheggiare il più vicino possibile all’ingresso condominiale in uno degli stalli ricavati nel cortile, si deve considerare preminente rispetto all’interesse degli altri condomini, che non soffrono analoghe difficoltà; e di conseguenza la delibera che respinge una simile richiesta è nulla, per violazione dell’art. 1102 c.c. nella sua lettura costituzionalmente orientata (Trib. civ. Verbania, sent. 2 dicembre 2020, n. 513).
Installazione dell'ascensore e rilevanza del vincolo storico dell'edificio
Anche con riferimento ad un ascensore installato in un edificio di interesse storico è stato deciso che, riguardo al pregiudizio lamentato dal compossessore, l'installazione di un ascensore su area comune allo scopo di eliminare delle barriere architettoniche rientra fra le opere contemplate dall'art. 27, comma 1, l. n. 118/1971, e dall'art. 1, comma 1, d.p.r. n. 384/1978 e che, pertanto, si deve tenere conto del principio di solidarietà condominiale, che implica il contemperamento di vari interessi, tra i quali si deve includere anche quello delle persone disabili all'eliminazione delle barriere architettoniche (Cass. civ., sez. II, 12 aprile 2018, n. 9101).
Installazione dell'ascensore che limita una servitù
Con riferimento alla costruzione, in adiacenza alla parete di un edificio condominiale, di un ascensore esterno che determina la riduzione da 4,15 a 2,50 metri dell'estensione di una servitù di passaggio pedonale e carrabile esistente sulla strada su cui insiste l'edificio, è stato deciso che non comporta diminuzione dell’esercizio della servitù l’esecuzione di opere ovvero la modifica dello stato dei luoghi che, pur riducendo la larghezza dello spazio di fatto disponibile a tal fine, la conservino, tuttavia, in quelle dimensioni che non comportino una riduzione o una maggiore scomodità dell’esercizio delle servitù; infatti, ai fini del giudizio di liceità, ai sensi dell'art. 1067, comma 2, c.c., degli atti di godimento compiuti dal proprietario del fondo servente sullo stesso, non rileva in alcun senso la valutazione circa la praticabilità di soluzioni alternative, più o meno convenienti oppure più o meno comode, quanto la verifica dell’incidenza di tali atti sul contenuto essenziale dell’altrui diritto di servitù (Cass. civ., sez. II, 6 giugno 2018, n. 14500).
Riferimenti
Celeste, Barriere architettoniche e tutela dei portatori di handicap, Milano, 2008;
Ditta, L'evoluzione giurisprudenziale della normativa sul condominio: un caso emblematico (il principio della funzione sociale della proprietà e l'abbattimento delle barriere architettoniche), in Riv. giur. edil., 1999, II, 35;
Celeste, Barriere causa di discriminazioni e procedimento per la rimozione, in Amministr. immob., 2010, fasc. 148, 535;
Ditta - Terzago, Comunione e condominio, Milano, 2002, 60;
Roberti, La servitù coattiva per fondo non intercluso: nuove prospettive degli interessi generali, in Nuove leggi civ. comm., 2000, 150;
Ditta, Nuovi orientamenti in tema di eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, 338
De Pretis - Pedicini - Pellizzer - Villani, Commentario a legge 9 gennaio 1989, n. 13, in Nuove leggi civ. comm., 1991, 324;
Ruscello, Condominio negli edifici, rapporto di convivenza e principio di solidarietà, in Rass. dir. civ., 1989, 837;
Dionisi, Verso la “depatrimonializzazione” del diritto privato, in Rass. dir. civ., 1980, 644;
Basile, Regime condominiale ed esigenze abitative - contributo alla revisione del condominio negli edifici, Milano, 1979;
Lipari, Sviluppo della persona e disciplina condominiale (proposte per una riforma ella legislazione sl condominio), in Riv. giur. edil., 1974, II, 3.
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