Canone (aumento)Fonte: Cod. Civ. Articolo 1587
19 Settembre 2017
Inquadramento
Tra le obbligazioni che fanno capo al conduttore c'è anche quella di corrispondere il canone di locazione pattuito e gli eventuali oneri accessori (intendendosi per tali le spese che il locatore ha sostenuto per la fornitura del riscaldamento o per altri servizi condominiali goduti dall'inquilino) alla scadenza indicata nel contratto, secondo le modalità concordate. Anche per i crediti derivanti da fitti e pigioni non è necessaria - ai fini della decorrenza degli interessi - la costituzione in mora quando il termine per pagare è scaduto e la prestazione deve essere effettuata nel domicilio del creditore. Sia per l'uso abitativo e sia per quello diverso, la misura del canone, pur ormai libera nella sua iniziale quantificazione, non può essere modificate nel corso del rapporto. Sotto tale profilo, l'art. 13 della l. n. 431/1998 per l'abitativo e l'art. 79 della l. n. 392/1978 per l'uso diverso, sono più che chiari nel preveder la nullità di ogni pattuizione, in qualsiasi forma prevista, che determini un importo del canone superiore a quello risultante dal contratto scritto o che determini un qualsivoglia vantaggio per il locatore in contrasto con il dettato normativo. La legge non impedisce però alle parti di quantificare il canone in misura variabile di anno in anno, ma pretende che ciò avvenga in sede di conclusione del contratto e non già a rapporto già iniziato, quando magari il conduttore si trova in una indubbia posizione di debolezza di fronte alla nemmeno tanta ventilata intenzione del locatore di porre termine al contratto alla sua prima scadenza.
Il principio generale ispiratore della determinazione del canone nelle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione, al pari peraltro di quelli ad uso abitativo, è quello della libera contrattazione, nel senso che il locatore, nell'indicare in contratto la misura del corrispettivo, è vincolato solo al rispetto delle normali leggi non scritte di mercato e della concorrenza, che di fatto indicano i limiti dell'ammontare annuo dei canoni da richiedere per immobili con medesime caratteristiche site nella zona in cui è posto l'immobile da concedere in locazione. Tale principio trova unica deroga nella possibilità per le parti di contrattualmente prevedere l'aggiornamento ISTAT annuale del canone in correlazione al potere di acquisto della moneta, pure nei limiti della misura del 75% dell'indice dei prezzi Istat al consumo per le famiglie di operai e impiegati e con facoltà (art. 41 l. n. 14/2009, quella di conversione del decreto cosiddetto milleproroghe), per l'uso diverso dall'abitazione, di pattuire un aggiornamento del canone nella misura del 100% solo nel caso in cui la durata del contratto sia determinata in misura superiore a quella prevista dalla legge. Il che significa che ogni pattuizione avente ad oggetto veri e propri aumenti del canone deve ritenersi nulla in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello inizialmente previsto nel contratto, senza che il conduttore possa, sia al momento della stipula del contratto e sia nel corso del rapporto, rinunciare al proprio diritto di astenersi dal corrispondere aumenti non dovuti (Cass. civ., sez. III, 15 aprile 2011, n.8733). A salvaguardia di tale divieto resiste , sempre per le locazioni disciplinate dall'art. 27 della l. n. 392/1978, il disposto dell'art. 79 della predetta legge, che colpisce con la nullità ogni pattuizione diretta a pretendere un canone maggiore e nel contempo conferma l'immodificabilità del corrispettivo della locazione nel corso del rapporto, se non nei limiti dell'aggiornamento Istat. Nelle locazioni ad uso non abitativo la legge consente infatti alle parti la libera determinazione del canone iniziale, ma prevede che questo sia suscettibile soltanto di aggiornamenti nel corso del rapporto, così da neutralizzare l'incidenza della perdita del potere di acquisto della moneta. L'aumento implica infatti un accrescimento non solo dell'espressione monetaria ma anche del valore reale del corrispettivo dovuto dal conduttore, mentre l'adeguamento importa soltanto una variazione della quantità monetaria, fermo rimanendo il suo valore effettivo Tutto ciò non è però non pone ostacoli alla legittimità della clausola del contratto che contempli aumenti graduali del canone, ove tale necessità sia scaturita da determinati fatti o vicende che hanno avuto incidenza sulla funzione economica e sull'equilibrio dell'intero rapporto. Per effetto del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, risulta legittima la clausola con cui si convenga una determinazione del canone in misura differenziata, crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto, ancorata però ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull'equilibrio economico del sinallagma contrattuale oppure legata ad una giustificata riduzione del canone per un limitato periodo iniziale: salvo che emerga una sottostante volontà delle parti volta, in realtà, a perseguire surrettiziamente lo scopo di neutralizzare esclusivamente gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo, così, i limiti quantitativi posti dall'art. 32 della l. n. 392/1978 ( sia nella sua formulazione originaria e sia in quella novellata dalla l. n. 118/1985, art. 1, comma 9-sexies) ed incorrendo, conseguentemente, nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79 della legge predetta. In tal senso si è espressa anche la Corte di Cassazione con sentenza n. 19524 del 30 settembre 2015, che nel ribadire la radicale nullità di ogni variazione del canone estranea al mutato potere di acquisto della moneta, ha posto, come condizione imprescindibile per l'ammissibilità di una modifica quantitativa del corrispettivo inizialmente pattuito, il fatto che il c.d. «aumento a scaletta» sia espressamente riferibile ad elementi oggettivi chiari e predeterminati al momento della stipula del contratto. Su tali premesse ha accolto il ricorso proposto dal conduttore che, in disaccordo con la decisione assunta in suo danno dal giudice del merito, aveva censurato la dichiarata legittimità del graduale aumento del canone applicatogli pur in difetto di qualsivoglia parametro di riferimento che lo giustificasse.
Nella prassi è frequente il ricorso ad accordi che contemplino successivi aumenti del canone in modo da giungere poi, dopo un certo tempo, ad una somma finale. Il caso più tipico capita quando viene posto a carico del conduttore l'onere di ristrutturare, con rilevanti interventi e pari costi, il bene concesso in locazione: le parti possono allora concordare che il canone sia fissato, per i primi anni, in un minore importo rispetto a quello preteso, che poi verrà invece richiesto quando il contratto andrà a regime.
La legittimità di tali clausole contrattuali sembra d'altro canto emergere dallo stesso dettato dell'art. 32 della menzionata l. n. 392/1978, il quale, riferendosi al canone da aggiornare, usa la formula al plurale, cioè «nelle misure contrattualmente stabilite» , lasciando quindi intendere che dette misure possano essere differenti sin dall'inizio del rapporto. Non si rinviene dunque , nel citato art. 32, una limitazione alla libertà delle parti di negoziare la misura del canone in maniera variabile in aumento nei vari anni, anche in considerazione del fatto che il locatore potrebbe altrimenti richiedere sin dall'inizio del rapporto il canone nella misura massima invece che frazionarlo. Lo stesso conduttore, proprio in un'ottica di economicità aziendale, può ritenere per lui più conveniente una graduazione progressiva dell'entità del canone. Deve pertanto ammettersi la possibilità per la parti di prevedere, al momento della stipula del contratto, variazioni del canone per un determinato numero di anni di durata del contratto o addirittura nella sola ipotesi di rinnovazione del contratto stesso, qualora però la necessità di aumenti graduali scaturisca da determinati fatti o vicende aventi una incidenza sulla funzione economica dell'intero rapporto e che detti aumenti siano appunto finalizzati a mantenere l'equilibrio tra le rispettive prestazioni della parti. Ciò può accadere tenendo conto di determinate peculiarità del rapporto locatizio tali da comportare la necessità di agevolare la posizione del conduttore, magari impreparato a far fronte da subito alle pretese economiche avanzate dal locatore oppure perché tenuto ad accollarsi le spese di ristrutturazione del bene concesso in locazione. Dopo un primo orientamento negativo da parte dei giudici di legittimità diretto a sancire l'illegittimità ex art. 32 della clausola contrattuale avente ad oggetto la preordinata maggiorazione annuale del canone (Cass. civ., sez. III, 9 luglio 1992, n. 8377),è dunque divenuto prevalente nel più recente filone giurisprudenziale che, richiamandosi al generale principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo, ha affermato la piena legittimità della pattuizione contrattuale con cui si stabilisca una quantificazione del canone in misura differenziata e crescente nell'arco della durata della locazione (Cass.civ., sez. III, 6 ottobre 2016, n. 20014; Cass.civ., sez. III, 10 novembre 2016, n.22909). Non è pertanto impedito alle parti di quantificare il canone in misura variabile di anno in anno, ma si pretende che ciò avvenga in sede di conclusione del contratto e non già quando il rapporto di locazione è iniziato. E' d'altro canto innegabile che nelle locazioni ad uso diverso dall'abitazione si attenuino, al momento della stipula del contratto, quelle esigenze di tutela del conduttore che invece sussistono per l'uso abitativo, non fosse altro perché in tale settore, vista la natura commerciale o professionale degli interessi perseguiti dal conduttore, le parti si vengono a trovare in una posizione di sufficiente parità ed in grado di difendere adeguatamente i rispettivi interessi, al punto da poter scegliere liberamente se concludere o meno il contratto anche in presenza di una previsione di un giustificato graduale aumento del canone nel corso della durata dell'intero rapporto locatizio. Sul presupposto però che ogni pattuizione avente ad oggetto non già l'aggiornamento del corrispettivo ai sensi di legge, ma veri e propri aumenti del canone, è impedito al conduttore, anche nel corso del rapporto e non soltanto in sede di conclusione del contratto, di rinunziare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti: il diritto del conduttore a non erogare somme eccedenti il canone legalmente dovuto (corrispondente a quello pattuito, maggiorato degli aumenti c.d. Istat, se previsti) sorge nel momento della conclusione del contratto e persiste durante l'intero corso del rapporto (Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 2016, n. 20384).
I presupposti oggettivi
Per l'aumento graduale devono però sussistere alcuni elementi essenziali affinché simile accordo non venga travolto dalla nullità invece sancita dal più volte citato art. 79. Deve esserci, in primo luogo, una predeterminazione sin dall'inizio del rapporto di locazione della misura finale del canone a cui si giungerà mediante successivi aumenti frazionati per un determinato lasso temporale. E' indispensabile inoltre che vi sia la specifica indicazione in contratto dei motivi giustificativi di tale scelta, quale possono essere la necessità di eseguire sull'immobile opere di manutenzione straordinaria con onere a carico del conduttore oppure la previsione del conduttore di sviluppo futuro dell'attività svolta nel bene locato Deve trattarsi di fattori del tutto indipendenti dalle variazioni annue del potere d'acquisto della moneta (che comunque può continuare a pretendersi) e che permettano di escludere, secondo un accertamento devoluto insindacabilmente al giudice di merito, l'intento simulato del locatore di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria. Le parti, in buona sostanza, restano libere di fissare la misura del canone, prevedendone anche modifiche purché in via preventiva. L'unico divieto resta pertanto quello di prevedere aumenti non predeterminati nel contratto e non ancorati al mutato potere d'acquisto della moneta e, come tali, destinati ad avere una entità non prevedibile al momento della stipulazione del contratto. Può ben dirsi allora che il limite posto dal legislatore all'autonomia contrattuale riguardi esclusivamente l'aggiornamento del canone in relazione al potere di acquisto della moneta e non già la misura del canone in sé. Sempre però che sussistano i presupposti sopra evidenziati. Attenzione però, perché più di recente(Cass.civ., sez. III, 10 novembre 2016, n. 22909) la Corte ha affermato la piena e incondizionata libertà alle parti di assicurare al locatore un corrispettivo crescente sempre in termini di valore reale durante l'arco di svolgimento dello stesso rapporto. E ciò sia mediante la previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna frazione di tempo, sia mediante il frazionamento della intera durata del contratto in periodi temporali più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione e sia correlando l'entità del canone all'incidenza di elementi o fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la visione delle parti, sull'equilibrio economico del rapporto contrattuale . Il tutto salvo che le parti non abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, imponendo, in tal caso, l'onere al conduttore che invoca la eventuale nullità del patto di allegare gli elementi, eventualmente desumibili dal testo del contratto o extratestuali, idonei a rivelare l'effettivo intento delle parti di eludere il divieto di cui agli artt. 32 e 79 della l. n. 392/1978. In difetto di una simile allegazione o della prova dell'evento elusivo delle parti il patto di determinazione differenziata del canone per frazioni di tempo successive deve ritenersi comunque valido. Per i contratti di locazione ad uso diverso dall'abitazione è venuto meno il limite dell'aggiornamento annuale del canone fissato dall'art. 32 della legge n. 392/1978, limitatamente a quelli con una durata superiore al minimo stabilito dalla legge. L'art. 41 della l. n. 14/2009, al comma 16-duodecies,ha previsto la facoltà per il locatore di pattuire in tali contratti un aggiornamento del canone nella misura del 100% delle variazioni Istat dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. Resta invece sempre fermo al 75% il massimo dell'aggiornamento che è possibile richiedere per le locazioni con la durata uguale o minore di quella prevista dall'art. 27 della l. n. 392/1978, vale a dire di sei o di nove anni. Il testo della modifica apportata all'art. 32 dell'ormai vetusta ( ma ancora valida) legge n. 392/1978 non è per il vero di lineare esposizione. Il secondo comma del citato articolo l'art. 32 deve ora così leggersi: «Le variazioni in aumento del canone, per i contratti stipulati per durata non superiore a quella di cui all'art. 27, non possono essere superiori al 75 % di quelle, accertate dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati». Al terzo comma viene precisato che tale modifica è applicabile anche ai contratti in corso «al momento dell'entrata in vigore del limite di aggiornamento di cui al secondo comma...». Una espressione infelice per dire che l'aggiornamento del canone nella maggiore misura possibile è applicabile non solo per i contratti che si andranno a stipulare dopo l'entrata in vigore della l. n. 14/09, ma anche per quelli, sempre di durata superiore ai canonici sei anni (o nove per alberghi e teatri), che già sono in corso alla data del 28 febbraio 2009 di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della legge stessa. Nulla è cambiato dunque per i contratti (la maggior parte, per il vero) di durata di sei o nove anni, a dimostrazione del fatto che il legislatore ritiene che la normativa dettata dalla l. n. 392/78 per le locazioni ad uso diverso dall'abitazione ancora sia in grado di rispondere positivamente alle concrete esigenze del mercato locatizio.
Di fronte a rapporti locativi che hanno di regola almeno una durata minima di sei o di nove anni è sembrato giusto al legislatore dare la possibilità alle parti di pattuire espressamente un aggiornamento annuale del canone, sebbene in misura limitata proprio per rispondere all'esigenza di tutela del conduttore in quanto ritenuto «parte debole» del rapporto contrattuale. Permane invece l'obbligo del locatore di richiedere annualmente al proprio conduttore l'aggiornamento del canone con i mezzi più idonei a rendere noto la sua volontà di modificare la misura del corrispettivo dovutogli, pur nei limiti previsti dalla legge: la richiesta di aggiornamento può essere fatta con ogni mezzo, anche oralmente o per fatti concludenti, ferme naturalmente le ovvie difficoltà della prova. L'aggiornamento previsto dall'art. 32 presuppone comunque una esplicita convenzione, non essendo stabilita alcuna sua applicazione automatica, proprio in conseguenza della natura convenzionale ( e non legale) del canone. Il locatore deve sempre richiedere al conduttore anno per anno l'applicazione dell'aumento Istat, talché la mancata formalizzazione della predetta richiesta esclude il diritto del locatore a percepire l'aggiornamento (App. Torino n. 94/2008). Detta a richiesta continua a configurarsi quindi come un onere del locatore, al cui adempimento è legato il suo diritto ad ottenere l'aggiornamento del canone con riferimento al solo anno in cui esso è riferibile in base alla legge, vale a dire a quello precedente. Se è vero però che la richiesta si configura come un onere a carico del locatore, al cui adempimento è legato il suo diritto ad ottenere l'aggiornamento del canone, altrettanto vero è che la legge non prevede però che tale richiesta debba rivestire una determinata forma.
La richiesta di aggiornamento di cui al più volte citato art. 32 mira ad assolvere una duplice funzione, quella di rendere manifesta la volontà del locatore di conseguire l'aggiornamento annuale del canone e quella di indicare l'ammontare della prestazione dovuta dal conduttore. Si è visto però che tale richiesta, nel silenzio della legge, può essere validamente formulata in qualsiasi forma, sia verbalmente che implicitamente mediante l'invio di una fattura in cui sia indicato un canone maggiore rispetto all'ultimo pagato, inglobante un aumento corrispondente all'intervenuta variazione Istat: ciò consente infatti al conduttore di comprendere in maniera chiara ed univoca la volontà del locatore di ricevere il canone aggiornato e nel contempo gli permette di desumere, previa comparazione con il minor canone prima corrisposto, la misura della percentuale di aggiornamento applicato, così da compiere la necessaria verifica in merito alla legittimità della richiesta medesima. Ferma dunque la facoltà del conduttore di richiedere al locatore i necessari chiarimenti, può ritenersi che la richiesta diretta a conseguire l'aggiornamento Istat contenuta nella fattura inviata al conduttore sia idonea e funzionale al raggiungimento dello scopo prefissosi dalla legge e più sopra evidenziato (Cass.civ., sez. III, 21 settembre 2012, n.16068). E' stato invece ribadita (Cass. civ., sez. III, 16 aprile 2013, n. 9134) la nullità della clausola contrattuale che prevede l'aggiornamento automatico del canone su base annua senza necessità di richiesta espressa del locatore. Ciò sul presupposto che gli aggiornamenti annuali possano avvenire soltanto su specifica richiesta del locatore, da operarsi successivamente all'avvenuta variazione degli indici di riferimento e non anche genericamente al momento della stipula del contratto (Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2012, n.3014). La certezza dell'entità dell'obbligazione del conduttore risulta pertanto tutelata soltanto dalla previsione di tale specifica e necessaria richiesta, puntualmente riferita all'avvenuta variazione degli indici Istat. L'aggiornamento annuale del canone va calcolato secondo il criterio della cosiddetta variazione assoluta , prendendo cioè come base sempre il canone iniziale e tenendo conto dell'intera variazione Istat ( al 75%) verificatasi per l‘intero periodo tra il momento di determinazione del canone originario e il momento della richiesta, restando ininfluente, ai fini di tale calcolo, che per qualche annualità intermedia non sia stato richiesto in precedenza l'aggiornamento, giacché tale omissione impedisce soltanto l'accoglimento della domanda relativa alla corresponsione degli aggiornamenti pregressi.
Casistica
Carrato - Scarpa, Le locazioni nella pratica del contratto e del processo, Milano, 2015; Celeste - Scarpa, Il contenzioso, Milano, 2015; Cuffaro - Calvi - Ciatti, Della locazione, disposizioni generali in Il codice civile, commentario diretto da Busnelli, Milano, 2014; D'Ascola, Spunti critici in materia di locazioni ad uso diverso dall'abitativo, in Rass. loc. e cond., 2004, 269; Lazzaro - Preden, Le locazioni ad uso non abitativo, Milano, 2010. |