Canone (aumento)

19 Settembre 2017

Nelle locazioni ad uso commerciale le parti possono liberamente predeterminare le misura del canone, fatta salva però la disposizione dell'art. 79 della l. n. 392/1978 che sanziona con la nullità ogni patto finalizzato ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello contrattualmente pattuito. È però legittima la clausola contrattuale che preveda aumenti del canone graduali e differenziati nel tempo giustificati da particolari esigenze economiche del conduttore desumibili dal contratto a tutela degli interessi giuridicamente rilevanti di entrambe le parti contraenti, purché non sia volta a neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria eludendo i limiti quantitativi posti dall'art. 32 della citata legge, dovendosi in tal caso ritenere nulla ex art. 79.
Inquadramento

Tra le obbligazioni che fanno capo al conduttore c'è anche quella di corrispondere il canone di locazione pattuito e gli eventuali oneri accessori (intendendosi per tali le spese che il locatore ha sostenuto per la fornitura del riscaldamento o per altri servizi condominiali goduti dall'inquilino) alla scadenza indicata nel contratto, secondo le modalità concordate.

Anche per i crediti derivanti da fitti e pigioni non è necessaria - ai fini della decorrenza degli interessi - la costituzione in mora quando il termine per pagare è scaduto e la prestazione deve essere effettuata nel domicilio del creditore.

Sia per l'uso abitativo e sia per quello diverso, la misura del canone, pur ormai libera nella sua iniziale quantificazione, non può essere modificate nel corso del rapporto. Sotto tale profilo, l'art. 13 della l. n. 431/1998 per l'abitativo e l'art. 79 della l. n. 392/1978 per l'uso diverso, sono più che chiari nel preveder la nullità di ogni pattuizione, in qualsiasi forma prevista, che determini un importo del canone superiore a quello risultante dal contratto scritto o che determini un qualsivoglia vantaggio per il locatore in contrasto con il dettato normativo.

La legge non impedisce però alle parti di quantificare il canone in misura variabile di anno in anno, ma pretende che ciò avvenga in sede di conclusione del contratto e non già a rapporto già iniziato, quando magari il conduttore si trova in una indubbia posizione di debolezza di fronte alla nemmeno tanta ventilata intenzione del locatore di porre termine al contratto alla sua prima scadenza.

In evidenza

Nelle locazioni non abitative le parti sono libere di determinare liberamente il canone di locazione e, sussistendo specifici presupposti, possono anche prevedere aumenti in misura differenziata per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto

L'immodificabilità del canone

Il principio generale ispiratore della determinazione del canone nelle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione, al pari peraltro di quelli ad uso abitativo, è quello della libera contrattazione, nel senso che il locatore, nell'indicare in contratto la misura del corrispettivo, è vincolato solo al rispetto delle normali leggi non scritte di mercato e della concorrenza, che di fatto indicano i limiti dell'ammontare annuo dei canoni da richiedere per immobili con medesime caratteristiche site nella zona in cui è posto l'immobile da concedere in locazione.

Tale principio trova unica deroga nella possibilità per le parti di contrattualmente prevedere l'aggiornamento ISTAT annuale del canone in correlazione al potere di acquisto della moneta, pure nei limiti della misura del 75% dell'indice dei prezzi Istat al consumo per le famiglie di operai e impiegati e con facoltà (art. 41 l. n. 14/2009, quella di conversione del decreto cosiddetto milleproroghe), per l'uso diverso dall'abitazione, di pattuire un aggiornamento del canone nella misura del 100% solo nel caso in cui la durata del contratto sia determinata in misura superiore a quella prevista dalla legge.

Il che significa che ogni pattuizione avente ad oggetto veri e propri aumenti del canone deve ritenersi nulla in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello inizialmente previsto nel contratto, senza che il conduttore possa, sia al momento della stipula del contratto e sia nel corso del rapporto, rinunciare al proprio diritto di astenersi dal corrispondere aumenti non dovuti (Cass. civ., sez. III, 15 aprile 2011, n.8733).

A salvaguardia di tale divieto resiste , sempre per le locazioni disciplinate dall'art. 27 della l. n. 392/1978, il disposto dell'art. 79 della predetta legge, che colpisce con la nullità ogni pattuizione diretta a pretendere un canone maggiore e nel contempo conferma l'immodificabilità del corrispettivo della locazione nel corso del rapporto, se non nei limiti dell'aggiornamento Istat.

Nelle locazioni ad uso non abitativo la legge consente infatti alle parti la libera determinazione del canone iniziale, ma prevede che questo sia suscettibile soltanto di aggiornamenti nel corso del rapporto, così da neutralizzare l'incidenza della perdita del potere di acquisto della moneta. L'aumento implica infatti un accrescimento non solo dell'espressione monetaria ma anche del valore reale del corrispettivo dovuto dal conduttore, mentre l'adeguamento importa soltanto una variazione della quantità monetaria, fermo rimanendo il suo valore effettivo

Tutto ciò non è però non pone ostacoli alla legittimità della clausola del contratto che contempli aumenti graduali del canone, ove tale necessità sia scaturita da determinati fatti o vicende che hanno avuto incidenza sulla funzione economica e sull'equilibrio dell'intero rapporto.

Il c.d «aumento a scaletta»

Per effetto del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, risulta legittima la clausola con cui si convenga una determinazione del canone in misura differenziata, crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto, ancorata però ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull'equilibrio economico del sinallagma contrattuale oppure legata ad una giustificata riduzione del canone per un limitato periodo iniziale: salvo che emerga una sottostante volontà delle parti volta, in realtà, a perseguire surrettiziamente lo scopo di neutralizzare esclusivamente gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo, così, i limiti quantitativi posti dall'art. 32 della l. n. 392/1978 ( sia nella sua formulazione originaria e sia in quella novellata dalla l. n. 118/1985, art. 1, comma 9-sexies) ed incorrendo, conseguentemente, nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79 della legge predetta.

In tal senso si è espressa anche la Corte di Cassazione con sentenza n. 19524 del 30 settembre 2015, che nel ribadire la radicale nullità di ogni variazione del canone estranea al mutato potere di acquisto della moneta, ha posto, come condizione imprescindibile per l'ammissibilità di una modifica quantitativa del corrispettivo inizialmente pattuito, il fatto che il c.d. «aumento a scaletta» sia espressamente riferibile ad elementi oggettivi chiari e predeterminati al momento della stipula del contratto. Su tali premesse ha accolto il ricorso proposto dal conduttore che, in disaccordo con la decisione assunta in suo danno dal giudice del merito, aveva censurato la dichiarata legittimità del graduale aumento del canone applicatogli pur in difetto di qualsivoglia parametro di riferimento che lo giustificasse.

In evidenza

La Corte aveva per il vero già affermato uguale principio con la sentenza n. 4933 del 12 marzo 2015 e, ancor prima, con la n. 10834 del 17 maggio 2011, dove, in entrambe, giustificava la riduzione del canone per un limitato periodo iniziale solo qualora ciò non rappresentasse un espediente per derogare al divieto d variazione previsto dalla norma imperativa.

Nella prassi è frequente il ricorso ad accordi che contemplino successivi aumenti del canone in modo da giungere poi, dopo un certo tempo, ad una somma finale.

Il caso più tipico capita quando viene posto a carico del conduttore l'onere di ristrutturare, con rilevanti interventi e pari costi, il bene concesso in locazione: le parti possono allora concordare che il canone sia fissato, per i primi anni, in un minore importo rispetto a quello preteso, che poi verrà invece richiesto quando il contratto andrà a regime.

In evidenza


La riduzione del canone per un limitato periodo iniziale è legittima solo qualora ciò non rappresenti un espediente per derogare al divieto di variazione previsto dalla norma imperativa.

La legittimità di tali clausole contrattuali sembra d'altro canto emergere dallo stesso dettato dell'art. 32 della menzionata l. n. 392/1978, il quale, riferendosi al canone da aggiornare, usa la formula al plurale, cioè «nelle misure contrattualmente stabilite» , lasciando quindi intendere che dette misure possano essere differenti sin dall'inizio del rapporto. Non si rinviene dunque , nel citato art. 32, una limitazione alla libertà delle parti di negoziare la misura del canone in maniera variabile in aumento nei vari anni, anche in considerazione del fatto che il locatore potrebbe altrimenti richiedere sin dall'inizio del rapporto il canone nella misura massima invece che frazionarlo.

Lo stesso conduttore, proprio in un'ottica di economicità aziendale, può ritenere per lui più conveniente una graduazione progressiva dell'entità del canone. Deve pertanto ammettersi la possibilità per la parti di prevedere, al momento della stipula del contratto, variazioni del canone per un determinato numero di anni di durata del contratto o addirittura nella sola ipotesi di rinnovazione del contratto stesso, qualora però la necessità di aumenti graduali scaturisca da determinati fatti o vicende aventi una incidenza sulla funzione economica dell'intero rapporto e che detti aumenti siano appunto finalizzati a mantenere l'equilibrio tra le rispettive prestazioni della parti.

Ciò può accadere tenendo conto di determinate peculiarità del rapporto locatizio tali da comportare la necessità di agevolare la posizione del conduttore, magari impreparato a far fronte da subito alle pretese economiche avanzate dal locatore oppure perché tenuto ad accollarsi le spese di ristrutturazione del bene concesso in locazione.

Dopo un primo orientamento negativo da parte dei giudici di legittimità diretto a sancire l'illegittimità ex art. 32 della clausola contrattuale avente ad oggetto la preordinata maggiorazione annuale del canone (Cass. civ., sez. III, 9 luglio 1992, n. 8377),è dunque divenuto prevalente nel più recente filone giurisprudenziale che, richiamandosi al generale principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo, ha affermato la piena legittimità della pattuizione contrattuale con cui si stabilisca una quantificazione del canone in misura differenziata e crescente nell'arco della durata della locazione (Cass.civ., sez. III, 6 ottobre 2016, n. 20014; Cass.civ., sez. III, 10 novembre 2016, n.22909).

Non è pertanto impedito alle parti di quantificare il canone in misura variabile di anno in anno, ma si pretende che ciò avvenga in sede di conclusione del contratto e non già quando il rapporto di locazione è iniziato. E' d'altro canto innegabile che nelle locazioni ad uso diverso dall'abitazione si attenuino, al momento della stipula del contratto, quelle esigenze di tutela del conduttore che invece sussistono per l'uso abitativo, non fosse altro perché in tale settore, vista la natura commerciale o professionale degli interessi perseguiti dal conduttore, le parti si vengono a trovare in una posizione di sufficiente parità ed in grado di difendere adeguatamente i rispettivi interessi, al punto da poter scegliere liberamente se concludere o meno il contratto anche in presenza di una previsione di un giustificato graduale aumento del canone nel corso della durata dell'intero rapporto locatizio.

Sul presupposto però che ogni pattuizione avente ad oggetto non già l'aggiornamento del corrispettivo ai sensi di legge, ma veri e propri aumenti del canone, è impedito al conduttore, anche nel corso del rapporto e non soltanto in sede di conclusione del contratto, di rinunziare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti: il diritto del conduttore a non erogare somme eccedenti il canone legalmente dovuto (corrispondente a quello pattuito, maggiorato degli aumenti c.d. Istat, se previsti) sorge nel momento della conclusione del contratto e persiste durante l'intero corso del rapporto (Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 2016, n. 20384).

I presupposti oggettivi

Per l'aumento graduale devono però sussistere alcuni elementi essenziali affinché simile accordo non venga travolto dalla nullità invece sancita dal più volte citato art. 79. Deve esserci, in primo luogo, una predeterminazione sin dall'inizio del rapporto di locazione della misura finale del canone a cui si giungerà mediante successivi aumenti frazionati per un determinato lasso temporale. E' indispensabile inoltre che vi sia la specifica indicazione in contratto dei motivi giustificativi di tale scelta, quale possono essere la necessità di eseguire sull'immobile opere di manutenzione straordinaria con onere a carico del conduttore oppure la previsione del conduttore di sviluppo futuro dell'attività svolta nel bene locato Deve trattarsi di fattori del tutto indipendenti dalle variazioni annue del potere d'acquisto della moneta (che comunque può continuare a pretendersi) e che permettano di escludere, secondo un accertamento devoluto insindacabilmente al giudice di merito, l'intento simulato del locatore di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria.

Le parti, in buona sostanza, restano libere di fissare la misura del canone, prevedendone anche modifiche purché in via preventiva. L'unico divieto resta pertanto quello di prevedere aumenti non predeterminati nel contratto e non ancorati al mutato potere d'acquisto della moneta e, come tali, destinati ad avere una entità non prevedibile al momento della stipulazione del contratto.

Può ben dirsi allora che il limite posto dal legislatore all'autonomia contrattuale riguardi esclusivamente l'aggiornamento del canone in relazione al potere di acquisto della moneta e non già la misura del canone in sé. Sempre però che sussistano i presupposti sopra evidenziati.

Attenzione però, perché più di recente(Cass.civ., sez. III, 10 novembre 2016, n. 22909) la Corte ha affermato la piena e incondizionata libertà alle parti di assicurare al locatore un corrispettivo crescente sempre in termini di valore reale durante l'arco di svolgimento dello stesso rapporto. E ciò sia mediante la previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna frazione di tempo, sia mediante il frazionamento della intera durata del contratto in periodi temporali più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione e sia correlando l'entità del canone all'incidenza di elementi o fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la visione delle parti, sull'equilibrio economico del rapporto contrattuale .

Il tutto salvo che le parti non abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, imponendo, in tal caso, l'onere al conduttore che invoca la eventuale nullità del patto di allegare gli elementi, eventualmente desumibili dal testo del contratto o extratestuali, idonei a rivelare l'effettivo intento delle parti di eludere il divieto di cui agli artt. 32 e 79 della l. n. 392/1978. In difetto di una simile allegazione o della prova dell'evento elusivo delle parti il patto di determinazione differenziata del canone per frazioni di tempo successive deve ritenersi comunque valido.

L'aggiornamento Istat

Per i contratti di locazione ad uso diverso dall'abitazione è venuto meno il limite dell'aggiornamento annuale del canone fissato dall'art. 32 della legge n. 392/1978, limitatamente a quelli con una durata superiore al minimo stabilito dalla legge. L'art. 41 della l. n. 14/2009, al comma 16-duodecies,ha previsto la facoltà per il locatore di pattuire in tali contratti un aggiornamento del canone nella misura del 100% delle variazioni Istat dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. Resta invece sempre fermo al 75% il massimo dell'aggiornamento che è possibile richiedere per le locazioni con la durata uguale o minore di quella prevista dall'art. 27 della l. n. 392/1978, vale a dire di sei o di nove anni.

Il testo della modifica apportata all'art. 32 dell'ormai vetusta ( ma ancora valida) legge n. 392/1978 non è per il vero di lineare esposizione. Il secondo comma del citato articolo l'art. 32 deve ora così leggersi: «Le variazioni in aumento del canone, per i contratti stipulati per durata non superiore a quella di cui all'art. 27, non possono essere superiori al 75 % di quelle, accertate dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati». Al terzo comma viene precisato che tale modifica è applicabile anche ai contratti in corso «al momento dell'entrata in vigore del limite di aggiornamento di cui al secondo comma...». Una espressione infelice per dire che l'aggiornamento del canone nella maggiore misura possibile è applicabile non solo per i contratti che si andranno a stipulare dopo l'entrata in vigore della l. n. 14/09, ma anche per quelli, sempre di durata superiore ai canonici sei anni (o nove per alberghi e teatri), che già sono in corso alla data del 28 febbraio 2009 di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della legge stessa.

Nulla è cambiato dunque per i contratti (la maggior parte, per il vero) di durata di sei o nove anni, a dimostrazione del fatto che il legislatore ritiene che la normativa dettata dalla l. n. 392/78 per le locazioni ad uso diverso dall'abitazione ancora sia in grado di rispondere positivamente alle concrete esigenze del mercato locatizio.

DECORRENZA DELL' AGGIORNAMENTO ISTAT DEL CANONE : ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Richiesta aggiornamento Istat del canone

Nel caso in cui un contratto di locazione ad uso non abitativo preveda la possibilità dell'aggiornamento secondo gli indici Istat nonchè il pagamento a semestralità posticipate, la richiesta di adeguamento proveniente dal locatore anteriormente alla scadenza del primo semestre comporta la revisione del canone locativo per l'intero semestre in corso e non ancora scaduto (Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2017, n. 6490).

La richiesta deve essere formalmente manifestata ogni anno

E' nulla, ai sensi del combinato degli artt. 32 e 79 della l. n. 392/1978, la clausola contenuta nel contratto (art. 5) con la quale le parti abbiano convenuto l'automaticità dell'aggiornamento annuale del canone, senza la necessità di specifica richiesta del locatore riferita all'intervenuta variazione ISTAT, intendendo questa integrata dalla volontà al riguardo già espressa anticipatamente dallo stesso locatore. La richiesta del locatore di aggiornare il canone di immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione non ha efficacia retroattiva e non sussiste pertanto il diritto agli arretrati (Trib. Salerno 19 ottobre 2016).

Di fronte a rapporti locativi che hanno di regola almeno una durata minima di sei o di nove anni è sembrato giusto al legislatore dare la possibilità alle parti di pattuire espressamente un aggiornamento annuale del canone, sebbene in misura limitata proprio per rispondere all'esigenza di tutela del conduttore in quanto ritenuto «parte debole» del rapporto contrattuale.

Permane invece l'obbligo del locatore di richiedere annualmente al proprio conduttore l'aggiornamento del canone con i mezzi più idonei a rendere noto la sua volontà di modificare la misura del corrispettivo dovutogli, pur nei limiti previsti dalla legge: la richiesta di aggiornamento può essere fatta con ogni mezzo, anche oralmente o per fatti concludenti, ferme naturalmente le ovvie difficoltà della prova.

L'aggiornamento previsto dall'art. 32 presuppone comunque una esplicita convenzione, non essendo stabilita alcuna sua applicazione automatica, proprio in conseguenza della natura convenzionale ( e non legale) del canone. Il locatore deve sempre richiedere al conduttore anno per anno l'applicazione dell'aumento Istat, talché la mancata formalizzazione della predetta richiesta esclude il diritto del locatore a percepire l'aggiornamento (App. Torino n. 94/2008). Detta a richiesta continua a configurarsi quindi come un onere del locatore, al cui adempimento è legato il suo diritto ad ottenere l'aggiornamento del canone con riferimento al solo anno in cui esso è riferibile in base alla legge, vale a dire a quello precedente.

Se è vero però che la richiesta si configura come un onere a carico del locatore, al cui adempimento è legato il suo diritto ad ottenere l'aggiornamento del canone, altrettanto vero è che la legge non prevede però che tale richiesta debba rivestire una determinata forma.

In evidenza

Nei contratti di locazione inerenti immobili adibiti ad uso diverso dall'abita-zione la clausola con cui le parti convengono l'aggiornamento automatico del canone su base annuale senza necessità di richiesta espressa del locatore è affetta da nullità in base al combinato disposto degli artt. 32 e 79 della l. 392/1978.

La richiesta di aggiornamento di cui al più volte citato art. 32 mira ad assolvere una duplice funzione, quella di rendere manifesta la volontà del locatore di conseguire l'aggiornamento annuale del canone e quella di indicare l'ammontare della prestazione dovuta dal conduttore. Si è visto però che tale richiesta, nel silenzio della legge, può essere validamente formulata in qualsiasi forma, sia verbalmente che implicitamente mediante l'invio di una fattura in cui sia indicato un canone maggiore rispetto all'ultimo pagato, inglobante un aumento corrispondente all'intervenuta variazione Istat: ciò consente infatti al conduttore di comprendere in maniera chiara ed univoca la volontà del locatore di ricevere il canone aggiornato e nel contempo gli permette di desumere, previa comparazione con il minor canone prima corrisposto, la misura della percentuale di aggiornamento applicato, così da compiere la necessaria verifica in merito alla legittimità della richiesta medesima. Ferma dunque la facoltà del conduttore di richiedere al locatore i necessari chiarimenti, può ritenersi che la richiesta diretta a conseguire l'aggiornamento Istat contenuta nella fattura inviata al conduttore sia idonea e funzionale al raggiungimento dello scopo prefissosi dalla legge e più sopra evidenziato (Cass.civ., sez. III, 21 settembre 2012, n.16068).

E' stato invece ribadita (Cass. civ., sez. III, 16 aprile 2013, n. 9134) la nullità della clausola contrattuale che prevede l'aggiornamento automatico del canone su base annua senza necessità di richiesta espressa del locatore. Ciò sul presupposto che gli aggiornamenti annuali possano avvenire soltanto su specifica richiesta del locatore, da operarsi successivamente all'avvenuta variazione degli indici di riferimento e non anche genericamente al momento della stipula del contratto (Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2012, n.3014).

La certezza dell'entità dell'obbligazione del conduttore risulta pertanto tutelata soltanto dalla previsione di tale specifica e necessaria richiesta, puntualmente riferita all'avvenuta variazione degli indici Istat.

L'aggiornamento annuale del canone va calcolato secondo il criterio della cosiddetta variazione assoluta , prendendo cioè come base sempre il canone iniziale e tenendo conto dell'intera variazione Istat ( al 75%) verificatasi per l‘intero periodo tra il momento di determinazione del canone originario e il momento della richiesta, restando ininfluente, ai fini di tale calcolo, che per qualche annualità intermedia non sia stato richiesto in precedenza l'aggiornamento, giacché tale omissione impedisce soltanto l'accoglimento della domanda relativa alla corresponsione degli aggiornamenti pregressi.

Casistica

CASISTICA


Legittimità della clausola di aumento graduale del canone

Alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi legittima la clausola in cui venga pattuita l'iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto; e ciò, sia mediante la previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna frazione di tempo; sia mediante il frazionamento dell'intera durata del contratto in periodi temporali più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione; sia correlando l'entità del canone all'incidenza di elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione dei paciscenti, sull'equilibrio economico del sinallagma. La legittimità di tale clausola deve essere peraltro esclusa là dove risulti - dal testo del contratto o da elementi extratestuali della cui allegazione deve ritenersi onerata la parte che invoca la nullità della clausola - che le parti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dalla l. n. 392/1978, art. 32, (nella formulazione originaria ed in quella novellata dalla l. n. 118/1985, art. 1, comma 9-sexies), così incorrendo nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79, comma 1, della stessa legge (Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2016, n.22909).

La clausola che prevede la determinazione del canone «a scaletta» è valida ma «a condizione che si tratti, non già di un vero e proprio «aumento», bensì di un «adeguamento» del canone al mutato valore locativo dell'immobile volto a ripristinare il sinallagma originario, evitando uno squilibrio a vantaggio del conduttore altrimenti determinato dal canone fisso ovvero di una limitata e iniziale «riduzione» del canone convenuto, sempre che nell'uno, come nell'altro caso, tanto emerga da elementi obiettivi e predeterminati cui sia affidata «la scaletta» del canone (Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 2016, n.20384).

In materia di contratto di locazione di immobili destinati ad uso non abitativo, in virtù del principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo, la clausola che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto è legittima a condizione che l'aumento sia ancorato ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull'equilibrio del sinallagma contrattuale ovvero appaia giustificata la riduzione del canone per un limitato periodo iniziale, salvo che la suddetta clausola non costituisca un espediente per aggirare la norma imperativa di cui all'art. 32 della l. n. 392/1978, circa le modalità e la misura di aggiornamento del canone in relazione alle variazioni del potere d'acquisto della moneta (Cass. civ., sez. III, 6 ottobre 2016, n.20014).

Morte del locatore e versamento dei canoni

Il conduttore che, alla morte del locatore, continui in buona fede a versare i canoni nelle mani dell'erede legittimo e legittimario, che si trovi nel possesso dei beni ereditari, è liberato dalla propria obbligazione, senza che rilevi né che esista controversia tra i coeredi sull'attribuzione dell'eredità, né che alcuno degli eredi abbia fatto pervenire copia del testamento al conduttore, rimanendo a carico del creditore, legittimato a conseguire il pagamento, l'onere di dimostrare il colpevole affidamento del conduttore (Cass. civ., sez.III, 15luglio 2016, n.14445).

Presunzione di maggiori canoni versati

Nell'azione di ripetizione dell'indebito da parte del conduttore, in tema di prova del pagamento di canoni di locazione in misura eccedente quella concordata o quella legale, non viola il divieto di «praesumptio de praesumpto» il giudice di merito il quale, essendo stato provato, con documenti e prova testimoniale, il versamento di somme maggiori del canone contrattuale per intervalli o per periodi di tempo non corrispondenti all'intera durata del rapporto, ritiene presuntivamente provato il versamento, in tutti i mesi intermedi, di un canone mensile dello stesso importo di quello risultante dai documenti (Cass. civ., sez.III, 22 giugno 2015, n.12866).

Aumento del canone dal secondo anno

Il canone che risulta determinato in modalità a canone sostanzialmente fisso dal secondo anno in poi della locazione, non configura una nullità della pattuizione, non risultando la stessa un mezzo per aggirare la norma sulle modalità di aggiornamento del canone di locazione (Trib. Trento 29 settembre 2015).

Misura del canone con decorrenza retrodatata

Pendente il contratto di locazione ad uso non abitativo in dipendenza della rinnovazione alla prima scadenza in difetto dell'inderogabile disdetta motivata previsto dalla l. 27 luglio 1978, n. 392, art. 27, è nullo l'accordo successivo tra le parti in ordine alla stipula di un nuovo contratto con retrodatazione di decorrenza e misura del canone, la quale comporti una durata residua, misurata a far tempo dalla data della stipula, inferiore a quella legale ed un aumento retroattivo del secondo, perché le relative clausole violano le norme in materia di durata minima ed il divieto di modifica dell'entità del canone in costanza di rapporto (Cass. civ., sez.III, 20 agosto 2015,n.17026).

Nullità della clausola di aumento annuale del canone

Le parti non possono invece validamente inserire nel contratto aggiornamenti, ovvero variazioni nell'importo del canone per gli anni successivi al primo, atte a sostituire surrettiziamente il criterio normativo contenuto nella l. n. 392/1978, art. 32, norma imperativa, per tenere indenne il canone concordato dal mutato potere d'acquisto della moneta. Il limite non valicabile dalla autonomia delle parti in relazione al canone di locazione di immobili destinati ad utilizzo commerciale è costituito esclusivamente, nel momento genetico del contratto, dalla nullità delle clausole che sostanzialmente si traducano in un aggiramento della l. n. 392/1978, art. 32 ed in una determinazione privatistica della misura della indicizzazione (Cass. civ., sez.III, 24 marzo 2015, n.5849).

Guida all'approfondimento

Carrato - Scarpa, Le locazioni nella pratica del contratto e del processo, Milano, 2015;

Celeste - Scarpa, Il contenzioso, Milano, 2015;

Cuffaro - Calvi - Ciatti, Della locazione, disposizioni generali in Il codice civile, commentario diretto da Busnelli, Milano, 2014;

D'Ascola, Spunti critici in materia di locazioni ad uso diverso dall'abitativo, in Rass. loc. e cond., 2004, 269;

Lazzaro - Preden, Le locazioni ad uso non abitativo, Milano, 2010.

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