Obblighi di tenuta dei libri contabili e regimi di contabilità “semplificata” ai fini della bancarotta documentaleFonte: Cod. Civ. Articolo 2214
20 Ottobre 2017
Le scritture contabili, come noto, hanno l'obiettivo di documentare l'attività dell'imprenditore, la consistenza del suo patrimonio e i risultati della gestione, ossia di documentare in maniera sistematica l'attività dell'imprenditore per mezzo di registrazioni quantitativo-qualitative degli accadimenti aziendali (cfr. S. FORTUNATO, Il diritto contabile e l'impresa, in AA.VV., Diritto commerciale, VI, 2010, 323). L'obbligo di tenere determinate scritture contabili è tuttavia previsto dal Codice Civile solamente per gli imprenditori commerciali (art. 2214 c.c.). In particolare, l'imprenditore commerciale non piccolo deve tenere il libro giornale e il libro degli inventari nonché le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalla dimensione dell'impresa; la concreta individuazione degli ulteriori libri contabili discende da una valutazione circa i caratteri e le dimensioni dell'impresa. A parte il caso in cui eventuali scritture siano imposte da leggi speciali, la determinazione delle scritture c.d. "relativamente obbligatorie" è rimessa all'interprete, il quale dovrà fondarsi sulla natura e sulle dimensioni dell'impresa e dovrà altresì tener conto della prassi commerciale e contabile. La legge non esige una contabilità conforme alla più moderna tecnica della ragioneria, ma solo una contabilità che renda possibile accertare con speditezza la consistenza del patrimonio ed il movimento degli affari dell'imprenditore. In genere viene riconosciuta l'obbligatorietà in relazione alla natura e alle dimensioni dell'impresa, del libro mastro, del libro cassa, del libro magazzino e dello scadenzario degli effetti, pertanto la tenuta di queste scritture in modo difforme da quanto previsto dall'art. 2219 c.c. potrà dar luogo a responsabilità penale ex art. 216 l. fall. Al regime civilistico di tenuta della contabilità, che trova nella redazione del bilancio di esercizio la sua sintesi periodica, si affianca la normativa tributaria, contenuta essenzialmente nel d.P.R. n. 600/1973. Ai soli fini fiscali è prevista la possibilità, per talune tipologie di soggetti che esercitano attività d'impresa, di optare per un regime contabile agevolato disciplinato dall'art. 18 d.P.R. n. 600/1973 (c.d. “contabilità semplificata”). Sono ammessi alla contabilità semplificata i seguenti soggetti:
Per i soggetti che possono avvalersi della contabilità semplificata, l'art. 18 d.P.R. n. 600/1973 prevede l'esonero dalla tenuta delle scritture contabili previste dagli artt. 14 ss. d.P.R. n. 600/1973, fatto salvo l'obbligo di tenuta delle scritture contabili previste da disposizioni diverse da quelle del suddetto decreto (ad esempio in materia di IVA). L'art. 18 d.P.R. 600/73, dispone che, ai fini contabili, le imprese minori possano: a) fermo restando l'istituzione dei registri IVA, ove obbligatori, istituire appositi registri degli incassi e dei pagamenti, dove annotare in ordine cronologico, rispettivamente, i ricavi incassati e i costi effettivamente sostenuti; b) utilizzare, come in passato, i registri IVA anche ai fini delle imposte sul reddito, annotando separatamente le operazioni non soggette a registrazione ai fini IVA ed effettuando, nel contempo, le annotazioni necessarie a dare rilevanza ai mancati incassi e pagamenti nell'anno di registrazione del documento contabile ai fini IVA; c) utilizzare i registri IVA anche ai fini delle imposte sul reddito, esprimendo una specifica opzione che consente loro di non annotare su tali registri gli incassi e i pagamenti (in tal caso opera una presunzione assoluta, secondo cui il ricavo si intende incassato e il costo pagato alla data di registrazione del documento contabile ai fini IVA). L'art. 18 d.P.R. n. 600/1973, così come modificato dalla L. n. 225/2016, di conversione al D.L. n. 193/2016, “Decreto collegato alla Finanziaria 2017”, dispone al comma 2, l'obbligo per le imprese minori di istituire appositi registri ai fini delle imposte sul reddito, dove annotare rispettivamente i ricavi incassati e i costi effettivamente sostenuti. Con riferimento alla registrazione dei ricavi, è previsto che deve essere annotato, cronologicamente, per ciascun incasso: a) il relativo importo; b) le generalità, l'indirizzo e il Comune di residenza anagrafica del soggetto che effettua il pagamento; c) gli estremi della fattura o di altro documento emesso. In proposito, si ritiene che l'obbligo di annotazione previsto dalla lettera b), possa essere assolto anche con la sola indicazione del codice fiscale del cliente, mentre l'obbligo previsto dalla lettera c) possa essere assolto, quando non è obbligatoria ai fini IVA l'emissione della fattura, con l'annotazione del documento contabile che certifica l'operazione effettuata (ad esempio, anche il documento che comprovi l'effettuazione della prestazione per le operazioni non considerate ai fini IVA cessioni di beni ovvero prestazioni di servizi). Con riferimento alla registrazione dei costi, è previsto che devono essere annotati cronologicamente quelli effettivamente sostenuti nell'esercizio e, per ciascuna spesa, “devono essere fornite le indicazioni di cui alle lettere b) e c) del primo periodo”, ossia: b) le generalità, l'indirizzo e il comune di residenza del soggetto che riceve il pagamento (anche in tal caso, l'obbligo si ritiene assolto con l'indicazione del codice fiscale del soggetto che riceve il pagamento); c) gli estremi della fattura o di altro documento ricevuto, che comprovi l'avvenuto pagamento quando non è obbligatoria ai fini IVA l'emissione della fattura. Quanto ai termini di registrazione, trattandosi di scritture cronologiche, è applicabile l'art. 22 D.P.R. n. 600/1973, secondo cui “le registrazioni nelle scritture cronologiche e nelle scritture ausiliarie di magazzino devono essere eseguite non oltre sessanta giorni” dal momento in cui l'operazione assume rilevanza, ossia dall'incasso del ricavo o dal pagamento del costo. Come accennato, la contabilità semplificata consente ai contribuenti di beneficiare di semplificazioni per quanto riguarda la tenuta delle scritture contabili relativamente alla normativa tributaria. Oltre alla contabilità c.d. “semplificata” occorre ricordare che esiste un ulteriore regime fiscale previsto per i soggetti che adottano il regime forfettario che prevede molte semplificazioni per quanto attiene agli adempimenti contabili e fiscali e una determinazione forfettaria del reddito, attraverso l'applicazione di un coefficiente di redditività ai ricavi/compensi percepiti a seconda dell'attività esercitata. Il regime forfettario è stato introdotto dalla L. n. 190/2014 (Finanziaria 2015) destinato alle persone fisiche esercenti attività d'impresa o di lavoro autonomo che rispettano determinati requisiti. Con l'istituzione di questo nuovo regime, sono stati abrogati a decorrere dal 2015 tutti i regimi agevolati precedentemente esistenti. In particolare, sono stati abrogati:
E' previsto, inoltre, l'esonero da qualsiasi obbligo di registrazione e tenuta dei registri contabili e fiscali, mentre dovranno solamente conservare i documenti emessi e ricevuti e presentare la dichiarazione dei redditi per il pagamento dell'imposta sostitutiva, pari al 15% per la generalità dei contribuenti o al 5% per i contribuenti forfetari start up, ovvero coloro che intraprendono l'attività con i requisiti di novità per i primi 5 anni. I contribuenti forfettari, pur obbligati ad essere titolare di partita IVA:
L'adozione di un regime contabile fiscale semplificato e l'obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili
I regimi fiscali semplificati (“contabilità semplificata” e “regime forfettario”) non sostituiscono gli obblighi di natura contabile previsti dall'art. 2214 c.c. per l'imprenditore commerciale non piccolo, giacché assolvono a finalità diverse (sul punto si rimanda a: Ferrara F. Jr. - Corsi F. , Gli Imprenditori e le società, Milano, 1994; Campobasso G. F. , Diritto Commerciale, I, Torino, 1997, 120; Lamanna Di Salvo D., La nuova disciplina del diritto d'impresa, Bari, 2004, 85 ss.). Da un lato, infatti, c'è l'esigenza di adempiere da parte del soggetto passivo d'imposta della prospettazione all'amministrazione finanziaria – nelle forme e nei termini stabiliti dalla legge – dei redditi percepiti e del volume d'affari rilevante ai fini dell'imposta sul valore aggiunto; dall'altro sussistono gli obblighi relativi alla tenuta di un'ordinata contabilità, quelli relativi alla conservazione delle scritture contabili e quelli relativi alla redazione del bilancio di esercizio e del suo deposito presso il registro delle imprese. La disciplina codicistica impone altresì delle formalità circa la tenuta di tali libri contabili; a tale proposito, la dottrina è solita distinguerle in (i) formalità intrinseche: esse riguardano, per così dire, le modalità di registrazione delle scritture contabili e sono individuate dall'art. 2219 c.c.. Sono espressamente vietate abrasioni e cancellazioni; qualora una correzione si renda proprio necessaria, essa va fatta in modo che le parole cancellate siano leggibili, e (ii) formalità estrinseche: queste riguardano, invece, il modo di tenuta degli stessi registri. Se da un lato, sotto il profilo economico-aziendale, per contabilità si intende il processo di determinazione e di rilevazione dei dati quantitativi aziendali, in termini monetari o quantitativo-numerici e la scrittura contabile è sia il documento che incorpora e rappresenta il dato aziendale per effetto dell'azione della registrazione contabile sia la singola annotazione o registrazione, dall'altro, nel linguaggio giuridico la contabilità è il sistema di documentazione collegata, sistematica e continuata dell'attività d'impresa e la scrittura contabile è il solo singolo documento che contiene la registrazione (così E. Bocchini, Diritto della contabilità delle imprese, Torino, 2008, I, 16). Con la sentenza n. 55030/2016 della S.C. di Cassazione del 26 settembre 2016, oltre ad essere enunciato il principio di non sovrapponibilità della disciplina fiscale a quella civilistica, come anche statuito dalla medesima Sezione Penale della S. C. nella sentenza n. 52219/2014 (ove, in particolare, è stato statuito che “il regime tributario di contabilità semplificata, previsto per le cosiddette imprese minori, non comporta l'esonero dall'obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili, previsto dall'art. 2214 Cod. Civ., con la conseguenza che il suo inadempimento può integrare - ove preordinato a rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio dell'imprenditore - la fattispecie incriminatrice del reato di bancarotta fraudolenta documentale e, ove tale preordinazione manchi, il delitto di bancarotta documentale semplice”), viene specificato che quando la condotta omissiva delle scritture contabili risulta coeva al formarsi e all'aggravarsi delle ragioni del dissesto, non è possibile derubricare la bancarotta documentale da fraudolenta a bancarotta semplice. In altri termini, l'occultamento delle ragioni del dissesto e, dunque, l'impossibilità di ricostruire il patrimonio dell'imprenditore rappresenta un evidente e consapevole pregiudizio delle ragioni del ceto creditorio, tale da integrare la fattispecie incriminatrice del reato di bancarotta documentale fraudolenta; con riferimento alla fattispecie di occultamento delle scritture contabili (reato previsto e punito dall'art. 10 D.Lgs. 74/2000), si rammenta che - con la sentenza n. 41148/2016 - la Corte di Cassazione ha illustrato che il reato di cui al richiamato art. 10 si realizza mediante condotte alternative consistenti nella distruzione o nell'occultamento delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. Secondo la S.C., “a differenza della distruzione che realizza un'ipotesi di reato istantaneo, che si consuma al momento della soppressione della documentazione, l'occultamento – che consiste nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori – costituisce un reato permanente che si consuma nel momento dell'ispezione, e cioè nel momento in cui gli agenti chiedono di esaminare detta documentazione (Sez. 3, n. 13716 del 07/03/2006, Rv. 234239)”. Anche se l'omessa tenuta della contabilità assume profili penali solamente nel caso di fallimento, vi è da considerare il valore probatorio delle scritture contabili tra gli imprenditori. La giurisprudenza della Cassazione afferma che le scritture contabili, pur se regolarmente tenute, non hanno valore probatorio a favore dell'imprenditore che le ha redatte: qualora egli intenda utilizzarle nei confronti dell'altra parte ex art. 2770 c.c., le stesse scritture sono soggette al libero apprezzamento del giudice, al quale spetta stabilire – nei singoli casi – se e in quale misura siano attendibili e idonee, eventualmente in concorso con altre risultanze, a dimostrare la fondatezza della pretesa. Viceversa, ai sensi dell'art. 2709 c.c., i libri e le altre scritture contabili delle imprese "soggette a registrazione" fanno prova contro l'imprenditore, ma che, tuttavia, chi vuol trarne vantaggio non può scindere il contenuto. Il libro giornale deve indicare giorno per giorno le operazioni relative all'esercizio dell'impresa (art. 2216 c.c.). Non è indispensabile che la singola operazione venga annotata il giorno stesso in cui essa avviene: un ritardo può essere tollerato a condizione che la contabilità si possa ritenere "aggiornata" e non ricostruita a posteriori. Prima di essere messo in uso, deve essere numerato progressivamente in ogni pagina come previsto dall'art. 2215 comma 3 c.c. Le formalità previste dall'art. 2215 c.c. e le prescrizioni relative alla tenuta, stabilite dall'art. 2219 c.c., debbono essere osservate anche per il libro degli inventari. In esso vengono inseriti l'inventario da predisporsi all'inizio dell'esercizio dell'impresa e quelli successivi da redigersi anno per anno, con indicazione e valutazione delle attività e passività d'impresa. L'inventario si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite (art. 2217 c.c.). L'inosservanza delle formalità di tenuta delle scritture contabili rende la contabilità irregolare che, ancorché priva di sanzione civilistica, determina l'accertamento c.d. induttivo sotto il profilo tributario. Secondo poi una certa giurisprudenza, l'amministratore che non abbia tenuto una regolare contabilità risponde dei danni, in caso di fallimento, per non avere consentito alla curatela la ricostruzione degli affari del fallito, dovendosi poi liquidare il danno in una misura pari alla differenza tra il passivo e l'attivo accertato; cfr. E. BOCCHINI, op. cit., 90. L'art. 2214 cpv. c.c. richiede l'obbligatoria tenuta delle "altre scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa". L'art. 2214 cpv. c.c. prescrive anche che l'imprenditore debba conservare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite. Si discute se anche tali documenti, laddove abbiano natura contabile, possano costituire oggetto materiale del delitto di bancarotta documentale. L'opinione positiva è sostenuta dalla prevalente dottrina facendo leva su un'interpretazione letterale dell'art. 2214 c.c.: tale norma, disciplinando anche queste forme di corrispondenza, porrebbe un obbligo di conservazione e di regolare tenuta delle medesime. Ai sensi dell'art. 2220 c.c. le scritture devono essere conservate per dieci anni dalla data dell'ultima registrazione. Per lo stesso periodo devono conservarsi le fatture, le lettere e i telegrammi ricevuti e le copie delle fatture, delle lettere e dei telegrammi spediti. Le scritture e documenti possono essere conservati sotto forma di registrazioni su supporti di immagini, sempre che le registrazioni corrispondano ai documenti e possano in ogni momento essere rese leggibili con mezzi messi a disposizione dal soggetto che utilizza detti supporti. Con il D.L. 29 novembre 2008, n. 185 è stato inserito l'art. 2215-bis c.c. il quale prevede che i libri, i repertori, le scritture e la documentazione la cui tenuta è obbligatoria per disposizione di legge o di regolamento o che sono richiesti dalla natura o dalle dimensioni dell'impresa possono essere formati e tenuti con strumenti informatici. In tal caso le registrazioni debbono essere rese consultabili in ogni momento con i mezzi messi a disposizione dal soggetto tenutario e costituiscono informazione primaria e originale da cui è possibile effettuare, su diversi tipi di supporto, riproduzioni e copie per gli usi consentiti dalla legge. Gli obblighi di numerazione progressiva e di vidimazione previsti dalle disposizioni di legge o di regolamento per la tenuta dei libri, repertori e scritture sono assolti, in caso di tenuta con strumenti informatici, mediante apposizione, almeno una volta all'anno, della marcatura temporale e della firma digitale dell'imprenditore o di altro soggetto dal medesimo delegato. I libri, i repertori e le scritture tenuti con strumenti informatici hanno l'efficacia probatoria di cui agli artt. 2709 e 2710 c.c.
L'opinione negativa obietta, invece, che, seppur la legge civile impone l'obbligo di conservazione della corrispondenza contabile, questa non farebbe parte delle scritture contabili dalle quali andrebbe distinta. Per tenuta si deve intendere sia l'attività di documentazione, sia quella di conservazione delle "scritture", pertanto sussiste omissione punibile sia nel caso di assoluta mancanza di un libro, sia nel caso di esistenza del libro in senso fisico, ma di mancata documentazione; in altri termini, il fatto di aver tenuto materialmente i libri, ma di non averli usati equivale, ai fini della legge penale, a non tenerli affatto; per quanto concerne la "corrispondenza contabile", rileva ovviamente solo l'omessa conservazione. Si rammenta che società di persone che svolgono attività commerciale sono obbligate alla tenuta del libro giornale e del libro inventari (art. 2214, comma 1, c.c.), non potendo rientrare nella definizione di piccolo imprenditore ai sensi dell'art. 2083 c.c. e che sono passibili di fallimento (art. 147 l. fall.) e, in tal caso, l'omessa tenuta dei registri contabili obbligatori può comportare sia la bancarotta semplice sia la bancarotta fraudolenta documentale. Orbene, poiché l'obbligo di regolare tenuta delle scritture contabili spetta all'imprenditore commerciale (ex art. 2214 c.c.) e tale non è il socio a responsabilità illimitata, deve dedursi che questi non può essere chiamato a rispondere della omessa, irregolare o incompleta tenuta delle scritture contabili (viene correttamente osservato che “La regolarità va apprezzata sotto due profili: quello formale e quello sostanziale. […] Sotto il profilo della regolarità sostanziale, […] i libri, i registi e le scritture contabili dell'impresa devono evidenziare correttamente e veridicamente i fatti gestionali e le vicende economiche della stessa, nonché la loro rappresentazione contabile”; cfr. L. De Angelis, Elementi di diritto contabile, Milano, III Ed., 2013, 6). Va ricordato, altresì, che nelle imprese esercitate in forma societaria spetta agli amministratori tenere le scritture contabili previste dall'art. 2214 c.c. (cfr. art. 2302 c.c.), pertanto solo i soci "illimitatamente" responsabili che siano anche amministratori potranno rispondere della omessa o irregolare o incompleta tenuta dei libri e delle scritture contabili a norma dell'art. 216 in combinato disposto con l'art. 223 n. 1 l. fall. L'art. 2302 c.c. pone esclusivamente in capo agli amministratori l'obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili. L'eventuale ripartizione dei compiti all'interno del consiglio di amministrazione non esonera da responsabilità in caso di inadempimento. Un effetto parzialmente liberatorio ex art. 2381 può svolgere la delega di funzioni nell'ambito del consiglio di amministrazione. Nei confronti dei direttori generali non sono invece previsti obblighi relativi alla tenuta e al controllo dei libri contabili quindi vanno esclusi dal novero dei possibili soggetti attivi del reato, a meno che tra i compiti loro affidati non rientrino quelli relativi alla tenuta della contabilità e salvi casi di concorso nel reato: infatti, sono espressamente richiamati dall'art. 224 l. fall. tra i soggetti cui possono essere applicate le pene previste dall'art. 217 l. fall. se hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo (tra cui la bancarotta semplice documentale) o se hanno concorso a cagionare od aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge. L'omissione o insufficienza del controllo, o la mancanza di adeguate iniziative, da parte dei sindaci si risolve in un concorso nel reato degli amministratori qualora il loro comportamento consenta il protrarsi delle irregolarità contabili. La responsabilità dei sindaci è quindi collegata all'omessa vigilanza (art. 40 cpv. c.p. 10) salvo nel caso in cui vengano a cessare l'amministratore unico o tutti i componenti del consiglio di amministrazione, ipotesi che fa scattare l'obbligo per il collegio sindacale di compiere gli atti di ordinaria amministrazione ex art. 2386 comma 5 c.c. e, quindi, una eventuale inerzia può determinare fatti penalmente rilevanti non in concorso ma per fatto proprio.
Rilevanza del delitto di bancarotta fraudolenta documentale
L'importanza della regolare tenuta della contabilità in precedenza richiamata è dimostrata dalla previsione legislativa di due norme penali, nell'ambito del diritto fallimentare, quali la bancarotta semplice e la bancarotta fraudolenta documentale, quest'ultima punita con le stesse pene previste per la bancarotta patrimoniale. L'interesse che si intende tutelare è infatti quello della generalità dei creditori alla corretta informazione sulle vicende patrimoniali e contabili dell'impresa. Se le scritture contabili regolarmente tenute consentono una conoscenza documentata e giuridicamente utile del patrimonio aziendale, l'oggetto materiale del reato attiene ai libri e alle altre scritture prescritti dalla legge ossia quelle obbligatorie previste dal Codice Civile ex artt. 2214, 2421, 2478, gli altri libri sociali quali il libro dei soci, delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee, del collegio sindacale, ecc. ma anche – in generale - le scritture non obbligatorie quando la loro mancanza impedisca la "ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari" (la ricostruzione aliunde della documentazione non esclude la bancarotta fraudolenta documentale, atteso che la necessità di acquisire presso terzi la documentazione costituisce la riprova che la tenuta dei libri e delle altre scritture contabili era tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento di affari della società; in tal senso Cass. Pen. n. 2809/2014). Si rammenta che con la sentenza n. 11115 depositata il 16 marzo 2015 dalla Corte di Cassazione, è stato chiarito che risponde per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, ai sensi del disposto normativo di cui all'art. 216, comma 1, n. 2, l. fall., l'imprenditore che omette di tenere la contabilità della società, tanto da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio della fallita, qualora venga accertato che lo scopo dell'omissione sia stato quello di recare pregiudizio ai creditori sociali; diversamente, infatti, la condotta rileverebbe come mera bancarotta semplice, ai sensi dell'art. 217, comma 2, l. fall. Dalla lettura della citata disposizione normativa si evince che nella fattispecie medesima non è espressamente contemplata l'ipotesi dell'omessa tenuta dei libri e delle scritture contabili che invece figura nell'ambito della bancarotta semplice documentale di cui all'art. 217 comma 2 l. fall. (in forza del quale è punito con la pena della reclusione da sei mesi a due anni il fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta). Alla fattispecie della bancarotta fraudolenta deve essere ricondotta anche l'ipotesi di omissione della tenuta dei libri contabili, in quanto la relativa norma incriminatrice, punendo l'imprenditore che tiene la contabilità in modo tale da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio della fallita e del volume d'affari, a maggior ragione, intende punire anche colui che non ha istituito la suddetta contabilità, anche solo per una parte della vita dell'impresa (in tal senso: Cass. Pen. n. 6769/2006 e n. 32173/2009). Per distinguere detta fattispecie dalla bancarotta documentale semplice di cui all'art. 217, comma. 2, l. fall., la Corte ha ritenuto che l'elemento distintivo debba essere ricercato nel contesto dell'elemento soggettivo. Invero, fermo il dolo specifico per le condotte di sottrazione, distruzione o falsificazione, l'ipotesi fraudolenta in questione richiederebbe il semplice dolo generico, ossia la coscienza e volontà dell'omissione o della confusa tenuta della contabilità accompagnata dalla consapevolezza che ciò renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio (in considerazione della locuzione “in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari” che connota la condotta e non la volontà dell'agente e permette di escludere la configurazione del dolo specifico (si vedano Cass. Pen. n. 29161/2011 e n. 37436/2014). Quanto all'ipotesi della bancarotta semplice (punibile a titolo di dolo o di colpa), la medesima si configura sia che l'agente, consapevole dell'obbligo della tenuta dei libri e delle scritture, ometta di tenerli (o di tenerli regolarmente), sia che l'obbligato ometta di tenerli (o di tenerli regolarmente) per negligenza o ignoranza delle disposizioni di legge. La S.C. ha statuito che – come in precedenza accennato - al fine di collocare l'omessa tenuta delle scritture contabili nell'ambito delle condotte rilevanti per la fattispecie di bancarotta fraudolenta ex art. 216, comma 1, n. 2, l. fall., è necessario provare che lo scopo dell'omissione da parte del fallito sia stato quello di recare pregiudizio ai creditori, al pari di quanto richiesto per le condotte di sottrazione, distruzione o falsificazione (se così non fosse, risulterebbe impossibile distinguere tale fattispecie da quella – analoga sotto il profilo materiale – prevista dall'art. 217, comma 2, l. fall.). La bancarotta fraudolenta documentale si configura come un reato di danno (pregiudizio per i creditori) e, si ritiene, coinvolga nella condotta anche le scritture facoltative, sebbene nella limitata ipotesi di impossibilità di ricostruzione del patrimonio, mentre la bancarotta semplice, che concerne soltanto le scritture contabili obbligatorie, è un reato di pericolo presunto. Si consideri inoltre che, a differenza della bancarotta fraudolenta documentale, quella semplice deve riguardare libri o altre scritture dei tre anni antecedenti la dichiarazione di fallimento. Qualche ulteriore commento può essere svolto con riferimento alla condotta relativa alla omessa della tenuta della contabilità. In merito, si rammenta che con sentenza n. 11115/2015 la Cassazione ha precisato che questa condotta può integrare sia la bancarotta fraudolenta sia quella semplice e che bisogna considerare l'elemento soggettivo per stabilire se si è nell'uno o nell'altro caso. Ulteriormente, l'inosservanza dell'obbligo di deposito delle scritture contabili, ex artt. 16, n. 3, 220 l. fall., deve ritenersi assorbita dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale, commessa mediante sottrazione del compendio contabile, posto che, a fronte dell'omogeneità della struttura e dell'interesse sotteso ad entrambe le figure di reato, la seconda è più specifica, in ragione dell'elemento soggettivo (Cass. Pen. n. 2809/2014). In tema di reati fallimentari, integra gli estremi del reato di bancarotta fraudolenta documentale la violazione dei criteri di tecnica contabile nella redazione di documenti societari (fattispecie concernente una rivalutazione di cespiti annotata in contabilità sulla base di una perizia di stima, in contrasto con il principio generale di iscrizione delle immobilizzazioni al valore di acquisto, ex art. 2426 c.c., derogabile solo in casi eccezionali, non ravvisabili con riguardo a macchinari industriali soggetti a perdita di valore per obsolescenza e non certo a rivalutazione; Cass. Pen., n. 51127/2014). In tema di reati fallimentari, il regime tributario di contabilità semplificata, previsto per le cosiddette imprese minori, non comporta l'esonero dall'obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili previsto dall'art. 2214 c.c., con la conseguenza che il suo inadempimento può integrare - ove preordinato a rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio dell'imprenditore - la fattispecie incriminatrice del reato di bancarotta fraudolenta documentale (Cass. Pen., n. 52219/2014). In tema di reati fallimentari, viola il principio di continuità delle scritture di cui all'art. 2216 c.c. - per il quale le operazioni devono essere annotate giorno per giorno - la tenuta della contabilità del libro giornale mese per mese, partendo da zero all'inizio di ogni mese come se si tratti di un periodo autonomo rispetto ai precedenti e successivi, violazione che, impedendo la ricostruzione del patrimonio della società, comporta l'integrazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale (Cass. Pen. n. 49593/2014). Ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, le condotte di mancata consegna ovvero di sottrazione, di distruzione o di omessa tenuta dall'inizio della documentazione contabile, sono tra loro equivalenti, con la conseguenza che non è necessario accertare quale di queste ipotesi si sia in concreto verificata se è comunque certa la sussistenza di una di esse ed è inoltre acquisita la prova in capo all'imprenditore dello scopo di recare pregiudizio ai creditori e di rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari (Cass. Pen., n. 47923/2014). In tema di reati fallimentari, l'esposizione in contabilità di costi fittizi non è di per sé sufficiente ad integrare il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, occorrendo invece che sia ravvisabile l'attitudine della condotta a porre in essere un effettivo pregiudizio per la ricostruzione dell'andamento contabile del fallito (Cass. Pen., n. 41051/2014). Integra il reato di bancarotta fraudolenta documentale (art. 216, comma 1, n. 2 l. fall.) il mancato rinvenimento dei partitari, in quanto, ai fini della configurabilità del reato in questione, assumono rilevanza le condotte fraudolente che abbiano ad oggetto scritture contabili anche diverse da quelle la cui tenuta è obbligatoria ai sensi dell'art. 2214 c.c., alle quali fa esclusivo riferimento l'art. 217, comma 2, ma non anche l'art. 216, comma 1, n. 2 l. fall. (Cass. Pen. n. 22593/2012). In tema di bancarotta fraudolenta documentale (art. 216, comma 1, n. 2 l. fall.), l'esistenza dell'elemento soggettivo non può essere desunto dal solo fatto, costituente l'elemento materiale del reato, che lo stato delle scritture sia tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, tanto più quando l'omissione è contenuta in limiti temporali piuttosto ristretti, poiché in detta ipotesi è necessario chiarire la ragione e gli elementi sulla base dei quali l'imputato abbia avuto coscienza e volontà di realizzare detta oggettiva impossibilità e non, invece, di trascurare semplicemente la regolare tenuta delle scritture, senza valutare le conseguenze di tale condotta, atteso che, in quest'ultimo caso, si integra l'atteggiamento psicologico del diverso e meno grave reato di bancarotta semplice di cui all'art. 217, comma 2, l.fall. (Cass. Pen., n. 23251/2014). In caso di fusione di società per incorporazione, risponde di bancarotta fraudolenta documentale l'amministratore di fatto della società incorporante per la mancanza o irregolare tenuta delle scritture contabili della società incorporata (Cass. Pen., n. 32728/2014). In tema di bancarotta fraudolenta documentale, il deposito nella procedura fallimentare delle scritture contabili in copia non è sufficiente ad evitare l'addebito di sottrazione delle stesse (Cass. Pen., n. 11796/2014). In tema di bancarotta fraudolenta documentale, il reato previsto dall'art. 216, comma 1 n. 2, della legge fallimentare richiede il dolo generico, costituito dalla consapevolezza nell'agente che la confusa tenuta della contabilità potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, non essendo, per contro, necessaria la specifica volontà di impedire quella ricostruzione (Cass. Pen., n. 5264/2013). In tema di reati fallimentari, l'amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili, anche laddove sia investito solo formalmente dell'amministrazione della società fallita (cosiddetta testa di legno), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari (Cass. Pen., n. 642/2013). In tema di bancarotta fraudolenta documentale, l'imprenditore non è esente da responsabilità nel caso in cui affidi la contabilità dell'impresa a soggetti forniti di specifiche cognizioni tecniche in quanto, non essendo egli esonerato dall'obbligo di vigilare e controllare le attività svolte dai delegati, sussiste una presunzione semplice, superabile solo con una rigorosa prova contraria, che i dati siano trascritti secondo le indicazioni fornite dal titolare dell'impresa (Cass. Pen., n. 2812/2013). Il reato di inosservanza dell'obbligo di deposito delle scritture contabili, previsto dagli artt. 220 e 16 n. 3, l. fall., concorre con quelli di bancarotta fraudolenta documentale, di cui all'art. 216, comma 1, n. 2), l. fall. e di bancarotta semplice documentale, di cui all'art. 217, comma 2, l. fall., tutte le volte in cui la condotta di bancarotta non consista nella sottrazione, distruzione ovvero nella mancata tenuta delle scritture contabili, ma nella tenuta irregolare o incompleta delle stesse ovvero in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (Cass. Pen. n. 49789/2013). Non sussiste la violazione del principio del ne bis in idem (art. 649 c.p.p.), qualora alla condanna per illecito tributario (nella specie per occultamento e distruzione di documenti contabili, previsto dall'art. 10 D.Lgs. n. 74/2000) faccia seguito la condanna per bancarotta fraudolenta documentale, stante la diversità delle suddette fattispecie incriminatrici, richiedendo quella penal-tributaria la impossibilità di ricostruire l'ammontare dei redditi o il volume degli affari, intesa come impossibilità di accertare il risultato economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta; diversamente, l'azione fraudolenta sottesa dall'art. 216 , n. 2 l. fall. si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi creditori, rapportato all'intero corredo documentale, risultando irrilevante l'obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative. Inoltre, nell'ipotesi fallimentare la volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sé o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai creditori, finalità non presente nella fattispecie fiscale (Cass. Pen., n. 16360/2011). In tema di bancarotta fraudolenta documentale, la parziale omissione del dovere annotativo integra la fattispecie di cui all'art. 216, comma 1, n. 2, l. fall., in quanto rientra nell'ambito della norma incriminatrice anche la condotta di falsificazione dei dati realizzata attraverso la rappresentazione dell'evento economico in modo incompleto e distorto in ordine alla gestione di impresa e agli esiti della stessa (Cass. Pen., n. 3114/2010). In tema di bancarotta fraudolenta documentale, la norma incriminatrice ingloba in sé ogni ipotesi di falsità, anche ideologica, in quanto è preordinata a tutelare l'agevole svolgimento delle operazioni della curatela e a proscrivere ogni manipolazione documentale che impedisca o intralci una facile ricostruzione del patrimonio del fallito o del movimento dei suoi affari, considerato che a questo risultato si frappone non solo la falsità materiale dei documenti, ma anche e soprattutto quella ideologica che fornisce un'infedele rappresentazione del dato contabile (Cass. Pen. n. 3115/2010). Sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza (Cass. Pen. n. 21588/2010). La mancata presentazione della dichiarazione dei redditi non integra il reato di bancarotta fraudolenta documentale, che è configurabile in relazione all'omessa tenuta di una scrittura contabile, e tale non può essere definita la dichiarazione dei redditi, solo qualora si dimostri che scopo dell'omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori. La S.C. ha affermato che la dichiarazione dei redditi è rappresentativa di dati contabili accorpati e finalizzati alla tutela degli interessi fiscali dello Stato e non di fatti relativi all'organizzazione interna dell'impresa (Cass. Pen. n. 11279/2010).
Obblighi contabili e semplificazioni nella redazione del bilancio di esercizio
Se l'esistenza di regimi fiscali agevolati, come illustrato, non esonera dal rispetto delle previsioni dell'art. 2214 c.c., il legislatore (sulla spinta delle indicazioni delle Direttive europee) ha progressivamente introdotto semplificazioni per quanto riguarda la redazione del bilancio di esercizio via via sempre più articolate. In particolare, con il D.Lgs. n. 127/1991 (di attuazione della IV e della VII Direttiva CEE) è stata introdotta la possibilità di redigere il bilancio nella forma c.d. “abbreviata” (di cui all'art. 2435-bis c.c.) e, più recentemente, il D.Lgs. n. 139/2015 (di attuazione della Direttiva 2013/34/UE che ha abrogato la IV e la VII Direttiva CEE: si veda, sul punto, Sottoriva, La riforma della redazione del bilancio di esercizio e del bilancio consolidato, Giuffrè, 2014) ha introdotto – in aggiunta al bilancio redatto in forma abbreviata – il bilancio in forma semplificata per le micro-imprese. Si rammenta che l'art. 36 della Direttiva 2013/34/UE considera che i bilanci redatti in conformità dei parr. 1, 2 e 3 dell'art. 36 sono in grado di fornire la rappresentazione veritiera e corretta richiesta dall'art. 4, par. 3 della Direttiva 2013/34/UE. In particolare, sono considerate micro-imprese le società di cui all'art. 2435-bis c.c. che nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi consecutivi, non abbiano superato due dei seguenti limiti: 1) totale dell'attivo dello stato patrimoniale: 175.000 euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 350.000 euro; 3) dipendenti occupati in media durante l'esercizio: 5 unità. Se, fino al D.Lgs. n. 139/2015 le semplificazioni previste per la redazione del bilancio di esercizio si riferivano unicamente ai c.d. “schemi di bilancio” e alle informazioni da fornire nella Nota integrativa che poteva accorpare anche talune informazioni previste nella relazione sulla gestione ex art. 2428 c.c., con il recepimento della Direttiva 2013/34/UE le semplificazioni sono state estese anche al regime valutativo previsto in via ordinaria dall'art. 2426 c.c. Dispone infatti l'art. 2435-bis c.c. che “le società che redigono il bilancio in forma abbreviata, in deroga a quanto disposto dall'articolo 2426, hanno la facoltà di iscrivere i titoli al costo di acquisto, i crediti al valore di presumibile realizzo e i debiti al valore nominale” e, in aggiunta, le imprese che redigono il bilancio in forma semplificata non possono applicare le disposizioni di cui al n. 11-bis del comma 1 dell'art. 2426 c.c. per quanto attiene la valutazione degli strumenti finanziari derivati.
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