Immissioni
27 Luglio 2017
Inquadramento
La previsione contenuta all'art. 844 c.c.- per cui il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi - trova applicazione anche in materia condominiale, allorché un condomino, nel godimento della proprietà comune ovvero di quella esclusiva (Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1993, n. 3090; App. Milano 12 dicembre 1995), dia luogo ad immissioni acustiche moleste e dannose per le singole proprietà condominiali appartenenti agli altri comproprietari. Si è, invece, al di fuori della tematica riferibile in senso stretto alle immissioni allorquando, pur in presenza di attività che determini l'espansione di fumo, calore, rumore ovvero altre propagazioni simili, l'oggetto del giudizio non concerna il superamento - o meno - della normale tollerabilità quanto, piuttosto, l'opponibilità della clausola di un regolamento condominiale che, imponendo limitazioni al godimento degli appartamenti di proprietà esclusiva, vieti in essi l'esercizio di certe attività, così invocando, a sostegno dell'obbligazione di non facere, non già la norma codicistica sulle immissioni, quanto il rispetto della (eventualmente più rigorosa, v. Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 2004, n. 23) previsione regolamentare, costitutiva di un vincolo di natura reale assimilabile ad una servitù reciproca (Cass. civ., sez. VI/II, 18 gennaio 2011, n. 1064): in tal caso, peraltro, proprio giacché non si discute di tollerabilità dell'immissione, la controversia rientra nella competenza del Tribunale, non trovando applicazione l'art. 7, comma 3, n. 3), c.p.c. La peculiarità dei rapporti che si sviluppano in condominio (unità immobiliari di proprietà esclusiva che si fiancheggiano tra di loro e, a propria volta, usufruiscono dell'esistenza di beni e servizi comuni), ha spinto la giurisprudenza ad osservare come l'art. 844 c.c., pensato per regolamentare i rapporti tra i fondi vicini, si rivela - ove applicata in maniera «piana» - inadeguata per regolare i rapporti in condominio, sia per eccesso che per difetto. Ed infatti, dalla convivenza nell'edificio, virtualmente perpetua, talora scaturisce la necessità di tollerare propagazioni intollerabili da parte dei proprietari dei fondi vicini; per contro, la stessa convivenza suggerisce di considerare non tollerabili le immissioni, che i proprietari dei fondi vicini sono tenuti a sopportare. Sicché la Suprema Corte ha che chiarito che il concetto di «normale tollerabilità» deve essere necessariamente precisato in senso evolutivo, in considerazione delle condizioni di fatto del tutto sui generis presenti in condominio, rappresentate dai confini in senso orizzontale e verticale tra le unità abitative: tanto sulla base del concetto di «utilità sociale», recepito dall'art. 42, comma 2, Cost., che raffigura il criterio essenziale per contemperare i conflitti di interessi inerenti alle situazioni economiche private. Sicché, laddove «le disposizioni di natura pubblicistica contenute negli strumenti urbanistici non assegnano all'edificio una determinata destinazione, cui i proprietari debbono conformarsi, il criterio per valutare la tollerabilità delle immissioni si desume dalla destinazione assegnata di fatto dai proprietari. Nel caso in cui il fabbricato non adempia ad una funzione uniforme e le unità immobiliari siano soggette a destinazioni differenti - ad un tempo, ad abitazione e ad esercizio commerciale - il ricordato criterio della «utilità sociale» consente di graduare le esigenze, in rapporto alle istanze di natura personale ed economica, che dall'ordinamento vengono diversamente valutate. All'utilità sociale connessa con il godimento della abitazione, indirettamente ed in certa misura, si ricollegano numerose norme costituzionali. Per esempio, in tema di tutela della famiglia o della maternità, l'art. 31, comma 1 e 2; di inviolabilità del domicilio, l'art. 14; di accesso alla proprietà dell'abitazione, l'art. 47, comma 2. In sintesi, la tutela della abitazione riassume una serie di istanze fondamentali, alle quali la convivenza deve adeguarsi. Pertanto, le esigenze personali connesse all'abitazione - il riparo, la sicurezza, il lavoro domestico, il riposo, l'intimità familiare, la riservatezza, lo svago, le relazioni sociali etc. - dall'ordinamento vengono di certo privilegiate rispetto alle utilità meramente economiche, provenienti da un esercizio commerciale, di per sé lecite e meritevoli di tutela, ma subordinate alle istanze ricordate sopra. Tra le regole capaci di razionalizzare l'uso delle unità abitative comprese negli edifici multiplani esiste quella di non ledere, con attività utili ma, tutto sommato, meno rilevanti sul piano della valutazione normativa e della considerazione diffusa nella comunità, il godimento dell'abitazione dei vicini» (Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1993, n. 3090, cit., in motivazione). Immissioni e clausole regolamentari
Come in altri settori (si pensi al decoro architettonico), il regolamento di condominio può contemplare previsioni atte a disciplinare le immissioni in maniera più rigorosa rispetto a quanto opera l'art. 844 c.c.: sia dettando prescrizioni precise relativamente al limite di tollerabilità che divieti di destinazione delle singole unità abitative; nell'uno come nell'altro caso precludendo, nella sostanza, il ricorso ai criteri della normale tollerabilità e del contemperamento tra esigenze della produzione e ragioni della proprietà ed imponendo il rispetto delle più stringenti disposizioni dettate dal regolamento medesimo (Cass. civ., sez. II, 4 febbraio 1992, n. 1195). Quanto alla prima ipotesi, ad esempio, in dottrina è stato osservato che il riferimento, contenuto nel regolamento, al concetto di «disturbo» abbia una portata più ampia di quello di «normale tollerabilità» dei rumori, «posto che il disturbo va visto e interpretato alla luce della conservazione della tranquillità dello stabile, disturbo è quindi rappresentato da ogni rumore che incida su tale tranquillità».
Con riferimento alla seconda evenienza, invece, il regolamento di condominio può contenere il divieto di determinate destinazioni d'uso delle unità abitative e, se di natura contrattuale (siccome predisposto dall'originario proprietario dell'intero stabile ovvero approvato dai condomini all'unanimità dei millesimi) e trascritto (o richiamato nei singoli atti di acquisto), è opponibile a tutti i condomini e loro eredi o aventi causa: va da sé che in tal caso, ove l'attività vietata (ad esempio, scuola di musica o palestra) venga svolta, la stessa è da considerare illecita di per sé, indipendentemente dalla circostanza che, nel caso concreto, siano integrati o meno integrati gli estremi di operatività dell'art. 844 c.c.
Immissioni provenienti da beni o servizi comuni
Singolare è, poi, il caso di propagazioni intollerabili che provengano da beni o servizi comuni e non dalle proprietà esclusive riferibili agli altri condomini: si è occupata della fattispecie Cass. civ., sez. II, 31 ottobre 2014, n. 23283, la quale, prendendo spunto dal caso concreto sottoposto al proprio vaglio (immissioni rumorose in danno di un appartamento provenienti dall'impianto termico condominiale ed eccedenti la normale tollerabilità) ha chiarito che anche in tal caso sussiste responsabilità ex art. 2043 c.c., sebbene in capo al condominio, cui consegue l'obbligo di risarcire i danni subiti dal proprietario dell'unità immobiliare, senza che assuma rilievo la circostanza che l'impianto sia a norma e mantenuto a regola d'arte, in quanto le immissioni moleste integrano comunque gli estremi di un'attività vietata.
Meno recentemente, invece, è stata esclusa l'intollerabilità delle esalazioni di gas di scarico nonché le propagazioni acustiche provenienti dal garage condominiale, attesa la non frequenza della verificazione delle une e delle altre (Cass. civ., sez. VI/II, 5 giugno 2012, n. 9094), secondo un principio, dalla valenza generale, per cui si deve escludere che eccedano la normale tollerabilità immissioni di odori caratterizzate da scarsa frequenza, relativa entità, breve durata; di senso contrario, invece, Giud. Pace. Como, 13 marzo 1999 che, in ipotesi analoga ma con riscontro del superamento della normale tollerabilità, aveva accolto la domanda del condomino abitante un appartamento adiacente il cortile comune, inibendo al condominio l'utilizzo di detto bene comune quale spazio per il parcheggio e la sosta degli autoveicoli. Immissioni di fumo e calore
Caso frequente, nella pratica,è quello di immissioni di fumo che si propaghino dalla canna fumaria di proprietà esclusiva di un condomino all'appartamento di altro condomino - canna fumaria che, come noto, può essere collocata nel muro perimetrale ovvero appoggiata ad esso ovvero, ancora, terminare sul lastrico solare. Analoghi problemi di determinano nel caso di installazione di condizionatori sui muri perimetrali dell'edificio e che, in fase di funzionamento, oltre al rumore possono provocare fuoriuscita di calore e vapore. In entrambi i casi - ed in quelli similari - la questione va affrontata facendo riferimento all'eccesso di riscaldamento da cui può essere interessata, in conseguenza, l'unità immobiliare altrui, secondo una valutazione da compiere, con evidenza, caso per caso dal giudice di merito che, ove adeguatamente motivata, è incensurabile in sede di legittimità. Immissioni acustiche
Il campo delle immissioni acustiche è certamente quello in cui, più frequentemente, si pongono problemi di compatibilità con la previsione dell'art. 844 c.c.. Non essendo tuttavia questa la sede per una compiuta disamina dell'argomento (si pensi, solo per un esempio concreto, ai complessi rapporti esistenti tra normativa civilistica e disciplina pubblicistica; da ultimo, v. Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2016, n. 20198), una breve sintesi della casistica di riferimento appare comunque opportuna.
In dottrina, inoltre, sono stati esaminati i casi delle immissioni procurate dal gioco dei bambini (anche nei viali condominiali e, più in generale, anche nelle aree comuni), nonché dallo svolgimento di attività sportive (si pensi all'esistenza di campi di basket, calcetto o tennis all'interno del condominio): in tali casi, peraltro, è stato osservato in dottrina che, trattandosi di fattispecie in cui le emissioni rumorose si presentano come discontinue, difficilmente verificabili o, comunque, riproducibili, il vero problema da superare si pone in termini di prova. Da evidenziare come, recentemente, Cass. civ., sez. II, 26 marzo 2008, n. 7856, ha chiarito che il criterio comparativo da utilizzarsi per definire la soglia di tollerabilità della rumorosità in condominio va individuato non in riferimento al generico rumore di sottofondo della zona, bensì in riferimento al «livello di rumorosità del condominio stesso», con un evidente abbassamento della soglia di tollerabilità di tali immissioni che, pur non superando la normale tollerabilità in astratto, potrebbero essere ritenute lesive, in concreto, della tranquillità condominiale.
Tutela processuale
La tutela avverso le immissioni eccedenti la normale tollerabilità si svolge attraverso due azioni cumulabili tra loro: la prima di carattere risarcitorio e la seconda di inibitoria. Quanto all'azione risarcitoria, essa ha carattere personale ed è usualmente ricondotta allo schema della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. (Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 2000, n. 15509; Cass. civ., sez. II, 7 agosto 2002, n. 11915) e può implicare una richiesta di risarcimento per equivalente ovvero in forma specifica (Cass. civ., sez. II, 15 ottobre 1998, n. 10186); l'azione inibitoria, invece, è volta a fare cessare le immissioni che superino la normale tollerabilità e viene ricondotta nell'ambito delle azioni negatorie di carattere reale a tutela della proprietà (Cass. civ., sez. II, 15 ottobre 1998, n. 10186). Le due azioni, ex artt. 844 e 2043 c.c., hanno, dunque, diverso ambito operativo, atteso che la prima norma impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell'eventuale contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, l'obbligo di sopportazione delle propagazioni inevitabili determinate dall'uso della proprietà attuato nel contesto delle norme generali e speciali che ne disciplinano l'esercizio. Ove risultino superati tali limiti, si è in presenza di un'attività illegittima, di fronte alla quale non ha ragion d'essere l'imposizione di un sacrificio all'altrui diritto di proprietà o di godimento e non sono quindi applicabili i criteri da tale norma dettati ma, venendo in considerazione in detta ipotesi unicamente l'illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell'azione generale di risarcimento danni di cui all'art. 2043 cod. civ. (Cass. civ., sez. II, 7 agosto 2002, n. 11915) Ad esse, poi, ne andrebbe aggiunta una terza, di carattere indennitario, prevista dall'art. 844 c.c. in ipotesi di immissioni consentite, la quale è del tutto diversa da quella di risarcimento dei danni derivanti dalle stesse immissioni, poiché, mentre la prima, fondata sull'art. 844 c.c., ha natura reale e mira al conseguimento di un indennizzo da attività lecita, che compensi il pregiudizio subito dal fondo a causa delle immissioni, la seconda, fondata sull'art. 2043 c.c., ha natura personale, essendo volta a risarcire il proprietario del fondo vicino dei danni arrecatigli dalle immissioni, sotto tale profilo considerato come fatto illecito (Cass. civ., sez. II, 6 giugno 2000, n. 7545). Quanto ai legittimati passivi, l'azione diretta a far cessare le immissioni può essere proposta nei confronti dell'autore materiale delle immissioni (che, pertanto, può essere identificato anche nel conduttore dell'unità immobiliare. Cfr. Cass. civ., sez. II, 12 luglio 2006, n. 15871), quando allo stesso debba essere imposto un facere o un non facere suscettibile di esecuzione forzata in caso di diniego, ovvero l'attore chieda puramente e semplicemente la loro cessazione, mentre va proposta nei confronti del proprietario o di tutti i comproprietari del bene, se mira al conseguimento di un effetto reale, come avviene quando è volta a fare accertare in via definitiva l'illegittimità delle immissioni o ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per farle cessare (Cass. civ., sez. II, 22 dicembre 1995, n. 13069). |