LitisconsorzioFonte: Cod. Civ. Articolo 1130
15 Settembre 2017
Inquadramento
Per comprendere il problema del litisconsorzio nelle cause in cui è parte il condominio o comunque vengono in gioco interessi condominiali, occorre necessariamente tracciare, sia pure brevemente, quelli che sono le caratteristiche della legittimazione attiva e passiva in materia condominiale. In questo senso, la riforma approntata dalla l. n. 220/12 non ha apportato, in punto capacità o anche solo «soggettività» giuridica del condominio, un contributo significativo in senso innovativo rispetto al sistema previgente. Ne consegue, quindi, che il punto di partenza dal quale occorre muovere è che il condominio non è un soggetto giuridico dotato di personalità giuridica distinta da quella di coloro che ne fanno parte, bensì un semplice ente di gestione, per cui l'amministratore, per effetto della nomina ex art. 1129 c.c., ha soltanto una rappresentanza ex mandato dei vari condomini e che la sua presenza non priva questi ultimi del potere di agire personalmente a difesa dei propri diritti, sia esclusivi che comuni (Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2000, n. 7891; Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1993, n. 12304; Cass. civ., sez. II, 22 novembre 1986, n. 6881). D'altronde, nel condominio l'amministratore di condominio può e a certe condizioni deve essere nominato, ed è soprattutto in questi casi che occorre chiedersi se ed in che misura nell'ambito di una controversia si verifichino situazioni di litisconsorzio con i condomini. La legittimazione attiva in condominio
Posto che il condominio, sotto il profilo soggettivo, altro non è che un'espressione di sintesi della comunità dei condomini, è comprensibile il pacifico orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, secondo il quale i singoli condomini possono agire a tutela dei diritti inerenti al bene comune (ex plurimis, v. Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 2005, n. 19460; Cass. civ., sez. II, 4 maggio 2005, n. 9206). In particolare, i condomini possono esperire, con riferimento alle parti comuni, l'azione di rivendicazione (Cass. civ., sez. II, 31 gennaio 1983, n. 851; Cass. civ., sez. II, 22 giugno 1979, n. 3507; Cass. civ., sez. II, 14 maggio 1979, n. 2800; Cass. civ., sez. II, 21 giugno 1977, n. 26179), l'azione di accertamento della comproprietà (Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1976, n. 433), la negatoria servitutis (Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 1986, n. 7394; Cass. civ., sez. II, 25 giugno 1985, n. 3835; Cass. civ., sez. II, 12 marzo 1980, n. 1666), la confessoria servitutis (Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 1986, n. 1264), l'azione per il rispetto delle distanze legali (Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 2012, n. 21486), l'azione a tutela della cosa comune, come in caso di lesione del decoro architettonico (Cass. civ., sez. II, 9 giugno 1988, n. 3927). Laddove, però, venga nominato un amministratore di condominio, quest'ultimo, ai sensi dell'art. 1131, comma 1, c.c., nei limiti delle sue attribuzioni, può agire in giudizio, nei confronti sia di condomini che di terzi, anche in difetto di una deliberazione assembleare (Cass. civ., sez. II, 23 novembre 2016, n. 23890), poiché tale potere inerisce alla sua qualità (Cass. civ., sez. II,16 maggio 2011, n. 10717). I casi di legittimazione attiva ex lege si evincono, quindi, dall'art 1130 cc., novellato dalla l. n. 220/2012. La legittimazione ad agire per il pagamento degli oneri condominiali, nonché a proporre l'eventuale impugnazione, spetta all'amministratore e non anche ai singoli condomini, poiché il principio per cui l'esistenza dell'organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire in difesa dei diritti connessi alla loro partecipazione, né di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall'amministratore, non trova applicazione nelle controversie aventi ad oggetto non già un diritto comune, ma la sua gestione, ovvero l'esazione delle somme a tal fine dovute da ciascun condomino, siccome promosse per soddisfare un interesse direttamente collettivo, senza correlazione immediata con quello esclusivo di uno o più partecipanti (Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 2017 n. 1208). Al di fuori delle ipotesi di legittimazione attiva ex lege, l'amministratore può avere la rappresentanza e la legittimazione attiva del condominio solo in forza di maggiori poteri conferitigli dall'assemblea o dal regolamento condominiale. Non si dubita, quindi, che l'assemblea, come massimo organo deliberante del condominio, possa decidere l'instaurazione di una lite, delegando l'amministratore a proporre le relative domande giudiziali (Cass. civ., sez. II, 25 giugno 1994, n. 6119). La Suprema Corte ha sottolineato che in tema di condominio, le azioni reali da esperirsi contro i singoli condomini o contro terzi e dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell'edificio condominiale che esulino dal novero degli atti meramente conservativi (al cui compimento l'amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1130, n. 4, c.c.), possono essere esperite dall'amministratore solo previa autorizzazione dell'assemblea, ex art.1131, comma 1, c.c. adottata con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 stesso codice (Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 2015, n. 40). Per quanto concerne, poi, la legittimazione ad agire dell'amministratore del condominio nel caso di azioni reali concernenti l'esistenza, il contenuto o l'estensione dei diritti spettanti ai singoli con-domini in virtù dei rispettivi acquisti, diritti che restano nell'esclusiva disponibilità dei titolari, nonostante la giurisprudenza non sia stata costante nel tempo, la stessa potrebbe trovare fondamento soltanto nel mandato conferito all'amministratore da ciascuno dei partecipanti e non nel meccanismo deliberativo dell'assemblea condominiale, ad eccezione delle equivalenti ipotesi di un'unanime positiva deliberazione di tutti i condomini (Cass. civ., sez. II, 29 agosto 1997, n. 8246; Cass. civ., sez. II, 29 febbraio 1988, n. 2129), atteso che il potere di estendere il dominio spettante ai singoli condomini in forza degli atti di acquisto delle singole proprietà è del tutto estraneo al meccanismo deliberativo dell'assemblea condominiale e può essere conferito, pertanto, solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascuno dei condomini interessati (Cass. civ., sez. II, 3 aprile 2003, n. 5147). La legittimazione passiva in condominio
La riforma approntata con la l. n. 220/2012 ha modificato il parametro numerico a fronte del quale sussiste l'obbligo di nominare l'amministratore di condominio, portando il limite dei quattro condomini ad otto: oggi, cioè, occorrono almeno nove condomini perché sia obbligatorio nominare l'amministratore. Questa circostanza, quindi, amplia in modo rilevante, soprattutto in certe realtà abitative ove gli edifici condominiali sono di ridotte dimensionei, le ipotesi in cui per la gestione del condominio non viene nominato alcun amministratore. La conseguenza della mancata nomina dell'amministratore comporta, tendenzialmente, la necessità di chiamare in giudizio tutti i condomini (si pensi per l'impugnazione di delibere assembleari). Diversamente, nel caso in cui si debba nominare ovvero sia stato comunque nominato un amministratore, quest'ultimo, ai sensi dell'art. 1131, commi 2 e 3, c.c., può essere convenuto in giudizio per qualsiasi azione concernente le parti comuni dell'edificio; qualora la citazione abbia un oggetto che esorbita dalle attribuzioni dell'amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all'assemblea. In primo luogo, va osservato che un soggetto, ogni qual volta intenda promuovere nei confronti del condominio un giudizio avente ad oggetto parti comuni, può (essendo una mera facoltà e non un obbligo, Cass. civ., sez. II, 21 marzo 1979, n. 1626) convenire in giudizio l'amministratore anziché tutti i condomini. Il presupposto è che si tratti di giudizi aventi ad oggetto le parti comuni. La giurisprudenza ha interpretato in senso estensivo l'espressione «parti comuni» di cui all'art. 1131, comma 2, c.c., ritenendo che l'amministratore è legittimato passivamente a stare in causa in tutte le controversie le quali abbiano per oggetto un interesse comune dei condomini, sia pure in opposizione all'interesse particolare di un singolo condomino (Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1996, n. 7359; Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1990, n. 8198). Si è ritenuto e si ritiene, quindi, possibile convenire in giudizio l'amministratore in rappresentanza dei condomini (senza la necessità di partecipazione al giudizio di tutti loro) per qualunque azione, anche di natura reale, personale e possessoria concernente le parti comuni dell'edificio (Cass. civ., sez. II, 6 maggio 2015, n. 8998), esperita sia da altri condomini che da terzi e ancorché rivolta all'accertamento della proprietà esclusiva di un bene (Cass. civ., sez. II, 17 dicembre 2013, n. 28141). Lo stesso, quindi, vale per le azioni reali promosse perché sia dichiarata la comproprietà di una o più cose, la cui titolarità, in base ai titoli di acquisto, risulti di alcuni soltanto dei proprietari degli appartamenti dell'edificio (Cass. civ., sez. II, 11 novembre 2002, n. 15794). Il litisconsorzio in condominio
In via generale, il litisconsorzio può essere facoltativo o necessario e può essere non solo iniziale, ma anche successivo: anche nei giudizi in materia condominiale possono verificarsi casi sia di litisconsorzio facoltativo che di litisconsorzio necessario. Ad esempio, in giurisprudenza è principio pacifico che i singoli condomini possono partecipare al giudizio iniziato dall'amministratore o nei confronti dello stesso (Cass. civ., sez. II, 28 maggio 2002, n. 7795; Cass. civ., sez. II, 4 luglio 2001, n. 9033). Per vero, occorre rilevare come spesso, ancorché in giurisprudenza si faccia riferimento all'istituto del litisconsorzio, a bene vedere siamo di fronte ad una situazione diversa e particolare. Ci si riferisce al caso in cui, essendo parte nel giudizio un condominio, in persona dell'amministratore, un singolo condomino intervenga meramente ad adiuvandum: poiché il condominio non ha personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini che lo compongono è evidente che intervenendo nel giudizio il condomino sostanzialmente finisce per costituirsi una seconda volta essendo già costituito in quanto facente parte della compagine condominiale rappresentata dall'amministratore. La Suprema Corte, infatti, ha correttamente chiarito che a seguito di tale intervento si attua una sostituzione del mandante al mandatario, per cui il potere di rappresentanza dell'amministratore si restringe ai condomini non costituiti in proprio (Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1962, n. 1887). La conseguenza è che tale partecipazione potrà avvenire anche nel giudizio di impugnazione (Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2000, n. 7891. Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 1997, n. 826), non trovando applicazione, ad es., in ordine al giudizio di appello, l'art. 344 c.p.c. Quanto sopra è stato ribadito anche recentemente dalla Suprema Corte con riguardo al giudizio di rinvio che pur essendo «chiuso», non solo per l'oggetto, ma anche per i soggetti, non preclude che vi intervengano singoli condomini a sostegno del condominio, rappresentato dall'amministratore, in controversia con altri condomini per la tutela dei diritti della collettività, atteso che i condomini intervenienti non sono terzi rispetto al condominio, ma si identificano con tale parte in giudizio (Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2014, n. 14809). Precisato quanto sopra, però, nel caso di un giudizio promosso da alcuni condomini contro altro condomino per ottenere, a seguito di denuncia di nuova opera, la sospensione dei lavori ed il ripristino della precedente situazione, l'intervento di altro condomino proprietario di appartamento direttamente interessato dall'opera, il quale, deducendo l'illegittimità della costruzione ed aderendo alle ragioni degli altri condomini contro lo stesso convenuto, introduce nel processo domande dipendenti dal proprio specifico titolo, è stato qualificato in termini di intervento adesivo autonomo ed è stato riconosciuto all'interventore la facoltà di proporre domande nuove, non essendo la sua attività processuale legata a quella della parte che ha iniziato il giudizio, stante l'autonomia del diritto fatto valere nei confronti dell'altra parte convenuta. (Cass. civ., sez. II, 15 maggio 1996 n. 4504). I condomini possono, altresì, spiegare intervento adesivo dipendente (Cass. civ., sez. II, 8 agosto 1989, n. 3646). I singoli condomini possono anche esperire autonomamente i mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio rappresentato dall'amministratore, non spiegando influenza alcuna, in contrario, la circostanza della mancata impugnazione di tale sentenza da parte dell'amministratore (Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 2010, n. 3900) e ciò anche qualora la delibera controversa persegua finalità di gestione di un servizio comune ed incida sull'interesse esclusivo del condomino soltanto in via mediata (Cass. civ., sez. II, 6 agosto 2015, n. 16562).
In coerenza con quanto sopra, la Suprema Corte ha recentemente statuito che la sentenza pronunciata nei confronti del condominio, in persona del suo amministratore, non è impugnabile con l'opposizione ordinaria ex art. 404, comma 1, c.p.c. dai singoli condomini, non essendo questi ultimi terzi titolari di un diritto autonomo rispetto alla situazione giuridica affermata con tale decisione, la quale fa stato anche nei loro confronti, benché non intervenuti in giudizio (Cass. civ., sez. II, 31 maggio 1990, n. 5122). Peraltro, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che, nel giudizio relativo ad azione, reale o personale, esercitata da un condomino a difesa od a vantaggio del fondo comune non è ammissibile, a norma dell'art. 344 c.p.c.., l'intervento degli altri condomini in grado di appello, data la facoltà di ciascun condomino di esperire singolarmente una siffatta azione e la conseguente inidoneità della decisione della suindicata controversia a pregiudicare i condomini rimasti estranei ad essa; ciò tanto più se trattasi di domanda relativa ad obbligazioni divisibili (nella specie: pagamento dell'indennità di medianza del muro e risarcimento del danno), che possono essere richieste per quote dai singoli creditori, con conseguente configurazione al riguardo di un litisconsorzio facoltativo, che non determina inscindibilità di cause e giustifica l'intervento soltanto in primo grado, a norma degli artt. 103 e 105 c.p.c. (Cass. civ., sez. II, 13 luglio 1982 n. 4116). Sotto altro profilo, è stato sottolineato che ciascun condomino è legittimato a ricorrere per la violazione delle distanze fra costruzioni con riguardo all'edificio condominiale, senza che sia necessaria la integrazione del contraddittorio con la chiamata in causa degli altri condomini, trattandosi di azione a tutela del diritto di proprietà dalla quale nessun nocumento può derivare agli altri contitolari. Solo nel caso in cui intervengano nel giudizio gli altri condomini aderendo alla domanda dell'attore, la sentenza che accolga tale domanda, in quanto pronunciata in contraddittorio a favore di tutti i condomini, determina un litisconsorzio necessario di natura processuale (Cass. civ., sez. II, 11 marzo 1992, n. 2940). La Suprema Corte ha limitato i poteri di iniziativa in questione in caso di controversie aventi ad oggetto l'impugnazione di deliberazioni dell'assemblea condominiale che perseguono finalità di gestione di un servizio comune e tendono a soddisfare esigenze soltanto collettive, senza correlazione immediata con l'interesse esclusivo di uno o più partecipanti; ne consegue che in tali controversie la legittimazione ad agire, e quindi ad impugnare, spetta in via esclusiva all'amministratore, con esclusione della possibilità di impugnazione da parte del singolo condomino (da ultimo, v. Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 2017, n. 1208, in punto legittimazione ad agire ed impugnare nell'ambito di un giudizio per ottenere il pagamento degli oneri condominiali). Si è anche affermato che il singolo condomino non sia legittimato ad agire da solo per gli atti di ordinaria amministrazione della cosa comune, quando l'azione proposta possa trovarsi in contrasto attuale o potenziale con gli interessi degli altri condomini; tale principio, però, non va inteso nel senso che l'azione debba essere necessariamente proposta da tutti i condomini, bensì nel senso che l'azione debba essere esercitata anche in contraddittorio degli altri membri della comunione, affinché essi siano messi in condizione di contraddire alla domanda ed affinché la decisione giudiziale, implicante necessariamente la soluzione del contrasto di interessi, possa fare stato anche nei loro confronti (Cass. civ., sez. II, 12 luglio 1967, n. 1724). La Suprema Corte, poi, ha rilevato che in tema di condominio negli edifici, nel giudizio promosso da un condomino per la revoca dell'amministratore, interessato e legittimato a contraddire è soltanto l'amministratore, non anche il condominio, che, pertanto, non può intervenire in adesione all'amministratore, né beneficiare della condanna alle spese del condomino ricorrente (Cass. civ. sez. II, 22 ottobre 2013, n. 23955).
Ipotesi di c.d. litisconsorzio necessario, invece, si verificano ogni qual volta vengano in oggetto delle domande concernenti l'estensione dei diritti dei singoli condomini a fronte di domande relative a beni comuni. Ad esempio, la Suprema Corte ha affermato che in tema di condominio negli edifici, qualora un condomino, convenuto dall'amministratore per il rilascio di uno spazio di proprietà comune occupato sine titulo, agisca in via riconvenzionale per ottenere l'accertamento della proprietà esclusiva su tale bene, il contraddittorio va esteso a tutti i condomini, incidendo la controdomanda sull'estensione dei diritti dei singoli; pertanto, ove ciò non avvenga e la domanda riconvenzionale sia decisa solo nei confronti dell'amministratore, l'invalida costituzione del contraddittorio può, in difetto di giudicato espresso o implicito sul punto, essere eccepita per la prima volta o rilevata d'ufficio anche in sede di legittimità, con conseguente rimessione degli atti al primo giudice (Cass. civ., sez. II, 15 marzo 2017, n. 6649). Al riguardo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, componendo un contrasto tutto interno alla sezione seconda, hanno precisato che qualora un condomino agisca per l'accertamento della natura condominiale di un bene, non occorre integrare il contraddittorio nei riguardi degli altri condomini, se il convenuto eccepisca la proprietà esclusiva, senza formulare, tuttavia, un'apposita domanda riconvenzionale e, quindi, senza mettere in discussione - con finalità di ampliare il tema del decidere ed ottenere una pronuncia avente efficacia di giudicato - la comproprietà degli altri soggetti (Cass. civ., sez. un., 13 novembre 2013 n. 25454). Sul punto infatti, se da un lato, era stato affermato che ciascun condomino può legittimamente proporre le azioni reali a difesa della proprietà comune, senza che si renda necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini, avendo il diritto di ogni partecipante al condominio per oggetto la cosa comune intesa nella sua interezza, pur se entro i limiti dei concorrenti diritti altrui (Cass. civ., sez. II, 3 settembre 2012 n. 14765), dall'altro lato, è stato sostenuto che poiché l'accertamento della proprietà di un bene non può essere effettuato se non nei confronti di tutti i soggetti a vantaggio o verso i quali esso è destinato ad operare, secondo l'effetto di giudicato richiesto con la domanda, ove quest'ultima sia proposta da alcuni condomini per far dichiarare la natura comune di un bene nell'ambito di un edificio condominiale, il giudizio deve svolgersi nei confronti di tutti gli altri partecipanti al condominio stesso, i quali, nel caso di esito della lite favorevole agli attori, non potrebbero altrimenti né giovarsi del giudicato, né restare terzi non proprietari rispetto al convenuto venditore-costruttore (Cass. civ., sez. II, 30 aprile 2012, n. 6607) Ugualmente, la domanda di revisione delle tabelle millesimali, allegate ad un regolamento di condominio avente natura contrattuale, esorbita dall'ambito delle attribuzioni dell'amministratore e va proposta in contraddittorio di tutti i condomini, riguardando la modifica dei diritti riconosciuti ai singoli da tale regolamento. (Cass. civ, sez. II, 22 ottobre 2014, n. 22464). In senso più ampio, infine, occorre richiamare la pronuncia della Suprema Corte che ha affermato come la proposizione di una domanda diretta non alla difesa della proprietà comune, ma alla sua estensione mediante declaratoria di appartenenza al condominio di un'area adiacente al fabbricato condominiale, siccome acquistata per usucapione, implicando non solo l'accrescimento del diritto di comproprietà, ma anche la proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri ad esso correlati, esorbita dai poteri deliberativi dell'assemblea e dai poteri di rappresentanza dell'amministratore, il quale può esercitare la relativa azione solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascun condomino (Cass. civ., sez. II, 24 settembre 2013, 21826).
Casistica
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