La riforma concorsuale in progress: dalla legge delega alla sua (rapida) attuazione

Filippo Lamanna
23 Ottobre 2017

Varata finalmente dal Senato, l'11 ottobre 2017, ormai pochi mesi prima che finisca la legislatura in corso, la legge delega per la riforma della disciplina delle procedure concorsuali e della composizione delle crisi da sovraindebitamento (oltre che del sistema dei privilegi e delle garanzie), conformemente al disegno di legge n. 2681, si è appreso che il Ministro della Giustizia aveva già prima nominato in prevenzione, a tambur battente, con decreto del 5 ottobre 2017, la Commissione di esperti chiamati ad elaborare gli schemi dei decreti delegati di attuazione, chiedendo loro di provvedere a consegnarli in termini ultrarapidi - entro il 10 gennaio 2018! – benchè l'art. 1 della medesima legge di delegazione affidi al Governo il compito di adottare tali decreti nel ben più ragionevole termine di 12 mesi dalla sua entrata in vigore.
Premessa

Varata finalmente dal Senato, l'11 ottobre 2017, ormai pochi mesi prima che finisca la legislatura in corso, la legge delega per la riforma della disciplina delle procedure concorsuali e della composizione delle crisi da sovraindebitamento (oltre che del sistema dei privilegi e delle garanzie), conformemente al disegno di legge n. 2681, si è appreso che il Ministro della Giustizia aveva già prima nominato in prevenzione, a tambur battente, con decreto del 5 ottobre 2017, la Commissione di esperti chiamati ad elaborare gli schemi dei decreti delegati di attuazione, chiedendo loro di provvedere a consegnarli in termini ultrarapidi - entro il 10 gennaio 2018! – benchè l'art. 1 della medesima legge di delegazione affidi al Governo il compito di adottare tali decreti nel ben più ragionevole termine di 12 mesi dalla sua entrata in vigore.

La fretta, come si sa, di norma non gioca a favore della qualità del risultato, ma forse in questo caso l'ansia di concludere al più presto i lavori può cogliersi come il segnacolo di quanto sia seria la volontà del Governo in carica di portarlo comunque “a casa”, questo risultato, evitando così il rischio che la delega possa non avere concreta attuazione, pur dopo i tanti sforzi sinora profusi, se per avventura dovesse insediarsi fra qualche mese un nuovo Governo orientato verso una differente (o addirittura nessuna) ipotesi riformatrice.

Sta di fatto che la predisposizione degli schemi di decreto, già di per sè ardua per la vastità dei complessi normativi su cui intervenire, lo è ancor di più a causa della stessa ampiezza di contenuti dell'intervento riformatore, a sua volta ulteriormente amplificata dalla elasticità di molti dei principi e criteri direttivi da attuare.

È questo, in effetti, un punto quanto mai delicato: è chiaro, infatti, che quanto più elastici sono i principi e criteri di delega, tanto più esteso è il campo delle possibili modifiche innovative proponibili in sede attuativa e quindi più complicato pervenire a proposte armoniche e condivise.

Deve poi considerarsi che, nel caso concreto, almeno tre direttive generalissime legittimano il Governo a predisporre una disciplina innovativa di portata molto ampia.

Basti pensare all'art. 1 della delega, laddove – disegnando a grandi linee la road map dell'attuazione - il Governo viene invitato a tener conto della normativa dell'Unione europea e dei princìpi della model law elaborati in materia di insolvenza dalla Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (UNCITRAL). Si tratta di una materia – quella deli riflessi della normativa internazionale sul diritto concorsuale interno e della stessa elaborazione di norme attuative delle norme europee (quanto ad es. a rapporti tra procedura principale e secondaria, a rapporti tra organi di procedure aperte in stati diversi ecc.) – che ha un'incidenza trasversale di cui è difficile scorgere a prima vista l'orizzonte-limite.

Sono infatti poche, e perciò daranno solo un modesto sollievo alla Commissione, le ipotesi di criteri molto specifici, come ad esempio quella con cui la delega assegna al Governo – art. 2, lett. f) – il compito di individuare l'autorità giudiziaria territorialmente competente all'apertura della procedura concorsuale ricorrendo alla nozione di “centro degli interessi principali del debitore”. In tal caso, infatti, la Commissione dovrà limitarsi ad applicare semplicemente il Regolamento (UE) sull'insolvenza transfrontaliera, che definisce appunto il centro degli interessi principali come il luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi. Superfluo osservare che, di conseguenza, la competenza territoriale per l'apertura della procedura concorsuale d'insolvenza sarà del Tribunale nel cui circondario è situato tale centro d'interessi.

Si pensi poi al compito di curare “il coordinamento con le disposizioni vigenti, anche modificando la formulazione e la collocazione delle norme non direttamente investite dai princìpi e criteri direttivi di delega, in modo da renderle ad essi conformi”; direttiva che a sua volta appare quanto mai dilatabile in sede attuativa.

Ma anche l'invito, contenuto nell'art. 2, comma 1, lett. m), a “riformulare le disposizioni che hanno originato contrasti interpretativi, al fine di favorirne il superamento, in coerenza con i princìpi stabiliti dalla presente legge”, apre, con tutta evidenza, la stura ad una radicale riformulazione dell'impianto normativo vigente, anche con riferimento a tematiche, come quella delle Garanzie non possessorie (art. 11) che, di fatto, sono state già oggetto di normazione anticipata (v. il D.L. N. 59/2016).

Sarà perciò (e però) cura della Commissione esercitare con il massimo equilibrio il suo difficile compito, evitando di “allargarsi” eccessivamente e cercando soprattutto di non abbandonare quella lineare semplicità della legge fallimentare del ‘42, che, non per caso, le ha consentito di sopravvivere finora, per così lungo tempo.

Si tratta allora di focalizzare, in primo luogo, la ratio dei singoli principi e criteri, per non sconfinare oltre il campo in cui essi dovrebbero trovare disciplina, ed articolare quest'ultima in modo leale e coerente.

Vorrebbero contribuire a chiarire limiti e portata dell'imminente intervento attuativo le brevi osservazioni con cui, di seguito, verranno tratteggiati brevemente (solo) alcuni dei molto numerosi profili e possibili direttrici lungo cui potrebbero dipanarsi le proposte di normazione di dettaglio.

Il profilo lessicale

Uno dei profili più salienti del nuovo disegno riformatore ha un'indole spiccatamente nominalistica.

Si vuole, in particolare, sull'onda di una “filosofia” che va ormai da anni diffondendosi a livello europeo, che non si parli più di “fallimento”, termine dunque da espungere radicalmente con tutti i suoi derivati [art. 2, lett. a)], né, quindi, di “falliti” ( Peraltro al “fallimento” già non faceva più riferimento il disegno di riforma redatto nel 2004 dalla Commissione Trevisanato) per scongiurare così quell'alone di discredito sociale quasi incancellabile, che una lunga tradizione culturale ha riservato ad decoctus (tanto dal presumerne per implicito, e costantemente, la concomitante qualità di fraudator), riducendo l'evento-insolvenza solo ad una delle possibili manifestazioni – certo la più grave - della crisi d'impresa (ma anche della vita di chi imprenditore non è), che, per quanto patologica, non dovrebbe – salve le ovvie eccezioni - intendersi né come necessariamente illecita, né di carattere straordinario, e ciò anche al fine di consentire ordinariamente a chi abbia sofferto di tale crisi una seconda chance, la quale, stando almeno ad alcune recenti teorie, dovrebbe rendere più facile – attraverso la verginità del fresh start – non compiere più gli stessi errori del passato e gestire l'impresa con maggior successo. Ragione che, a sua volta, è stata posta a base del criterio direttivo teso a facilitare al massimo la conclusiva discharge del debitore, riconoscendogli il diritto a veder cancellati i debiti che siano rimasti ancora insoddisfatti pur dopo la liquidazione giudiziale del suo patrimonio, prevedendosi: un'esdebitazione di diritto riservata alle insolvenze minori [art. 8, lett. b)]; l'esdebitazione anche per le società [art. 8, lett. c)]; in materia di sovraindebitamento, l'esdebitazione del debitore meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno futura [art. 9, lett. c)]; l'estensione degli effetti esdebitatori del concordato preventivo anche ai soci illimitatamente responsabili che siano garanti della società [art. 6, lett. o)].

Si parlerà dunque d'ora in poi non di “fallimento”, ma piuttosto di “procedura di liquidazione giudiziale dei beni”, anche se resta ancora da stabilire come chiamare – le volte in cui le norme intendano farvi riferimento - quello che finora era il “fallito” (“insolvente”? “debitore”? “imprenditore”?).

Si tratterà di distinguere poi anche terminologicamente una procedura di liquidazione giudiziale major (corrispondente al fallimento classico) da una procedura di liquidazione giudiziale minor, riservata quest'ultima non solo alle imprese sotto-soglia (ex art. 1 l.fall.), ma anche ai debitori civili, ai consumatori e ai professionisti [art. 2, lett. e)], oggi assoggettabili alla procedura di liquidazione prevista dalla legge sul sovraindebitamento.

Ma anche tale ultimo concetto, il sovraindebitamento appunto, non è ben certo se sia destinato a ridimensionarsi o anche a sparire del tutto o se la Commissione riterrà di conservargli ancora un autonomo e distinto rilievo. Occorre al riguardo considerare che, da un lato, dal punto di vista dei requisiti oggettivi, la delega sembra contemplare le sole due figure dell'insolvenza e della crisi[configurandosi questa come probabilità di futura insolvenza: art. 2, lett. c)], nozioni che, dunque, sembrerebbero destinate a convogliare al proprio interno, semanticamente, anche lo stato di sovraindebitamento; ma dall'altro che, sia pure senza imporre il perdurare di tale nozione, ad essa si riferisce esplicitamente l'art. 9 nel dettare i criteri finalizzati al riordino della sua attuale disciplina [comprendendo tra l'altro nella procedura anche le persone giuridiche – lett. i) – e i soci illimitatamente responsabili – lett. a) -, ed individuando criteri di coordinamento nella gestione delle procedure riguardanti più membri della stessa famiglia – lett. a)].

Non è dato peraltro sapere se all'espunzione nominalistica del fallimento dai testi di legge che dovrà realizzarsi con i decreti attuativi, si accompagnerà poi anche un concomitante ostracismo nel linguaggio comune. Del che è lecito dubitare, almeno con riferimento ai prossimi anni.

Credo infatti difficile immaginare, ad esempio, che possa andare in immediata perenzione, nel linguaggio comune e corrente, lo stesso verbo “fallire” o l'aggettivo sostantivato “fallito” che sta ad indicarne il soggetto; o che, per riferirsi all'azione disciplinata dall'art. 67 l.fall., che finora è stata sempre appellata - vulgo - revocatoria “fallimentare” (appellativo, però, si badi, solo extra-normativo, poiché l'attuale legge fallimentare non accoppia mai l'aggettivo “fallimentare” contale revocatoria), da domani si utilizzi, sic et simpliciter, un'espressione diversa (revocatoria “speciale”? revocatoria “concorsuale”? revocatoria “non ordinaria”? ...).

Del resto, i modi di intendersi che hanno avuto origine e diffusione nel linguaggio corrente sono duri a morire e non scompaiono certo per forza di legge, ma semmai a seguito del radicarsi di un differente habitus culturale (anche se è vero che, almeno in parte, le stesse leggi possono contribuire a farlo evolvere). Questa prevedibile provvisoria ultrattività dei tradizionali termini “fallimentaristici” nel linguaggio comune potrebbe comunque servire ad evitare la possibile confusione - anche di concetti - che potrebbe conseguire all'immediato trauma dovuto ad una così vasta riscrittura del lessico gius-concorsuale.

Ad ogni modo, se questo profilo ha, nel quadro della delega, l'evidente funzione di “manifesto”, se costituisce, come dire, la “targa” da mettere sulla porta della riforma, e così attrarla, e spingere gli operatori ad inverarla, in una dimensione più moderna, e – se si vuole – “politicamente corretta”; tuttavia l'operazione di “bonifica” presenta anche qualche rischio sistemico, tanto che la delega non omette di ammonire il Governo a garantire che, cambiate anche nelle disposizioni penali (soltanto) le espressioni nominalistiche - difetta infatti la soluzione che sarebbe stata ottimale, quella cioè di una novellata disciplina anche della parte della legge fallimentare relativa alla configurazione dei reati -, resti comunque ferma la continuità delle fattispecie criminose.

Sennonché, conservare siffatta continuità normativa non è operazione tanto semplice, e certo non basta a tal fine, né può considerarsi inoffensivo, semplicemente cambiare nelle norme incriminatrici una parola con l'altra, ad es. la parola “fallimento” con la parola “insolvenza”.

Bisogna infatti tener conto (come non si è mancato di evidenziare in sede di audizioni parlamentari: v. anche Mucciarelli - 21.9.2016) che nelle suddette fattispecie il fallimento è inteso – tecnicamente - come sentenza dichiarativa di fallimento e il fallito, a sua volta, è colui che viene dichiarato tale con la suddetta sentenza. È appena il caso di rimarcare che, invece, l'insolvenza è solo il presupposto effettuale della sentenza che ne dichiara e sanziona la sussistenza.

Nelle correnti costruzioni teoriche il dichiarato fallimento opera perciò come fattore di semplificazione al fine di integrare la fattispecie incriminatrice, fungendo da condizione oggettiva di punibilità, senza che occorra il prefigurarsi ex ante nell'autore del reato di tale condizione, perché essa, appunto, opera oggettivamente, senza alcun rilievo sul piano della situazione psicologica soggettiva (in tal modo più gravemente sanzionando – ad es. sub specie di bancarotta - reati che, al di fuori del fallimento, avrebbero una configurazione minore e quindi sarebbero puniti meno gravemente o non sarebbero puniti affatto).

Ove invece nell'impianto normativo facesse difetto tale condizione oggettiva ai fini dell'integrazione delle fattispecie di bancarotta, inevitabilmente finirebbe per ritenersi necessaria la sussistenza di un profilo doloso (anche solo eventuale) nella prefigurazione del realizzarsi dell'evento-insolvenza, con conseguente onere probatorio tutt'altro che lieve.

Non basterà perciò, per garantire la continuità, usare formule sostitutive purchessia, ma occorrerà inserire con estrema attenzione norme finalizzate a sancire l'equivalenza tra le sentenze destinate, prima e dopo la riforma, ad accertare l'insolvenza (quella dichiarativa del fallimento e quella di apertura della liquidazione giudiziale), magari precisando altresì che tale variazione non porrà nel nulla i processi già iniziati (sulla base dei presupposti antecedenti), esito forse inevitabile se tale equivalenza non fosse realizzata e/o neppure formalmente dichiarata.

Sempre in ambito penalistico va rammentata poi anche la direttiva (art. 13) sui rapporti tra liquidazione giudiziale e procedimenti penali nel cui ambito siano intervenuti provvedimenti di sequestro o confisca di beni appartenenti al debitore insolvente, che andrà attuata nel rispetto della razionale calibratura che la ispira, potendo affermarsi in alcuni casi la prevalenza degli interessi pubblici (laddove i provvedimenti siano emessi in base alle disposizioni del codice antimafia), e, in altri, dei creditori (laddove i provvedimenti siano emessi in applicazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per reati commessi da propri dirigenti o dipendenti).

Le misure di allerta e la procedura di composizione assistita della crisi

Un altro profilo fortemente innovativo è la programmata introduzione, peraltro propiziata già fin dall'epoca della Commissione Trevisanato nel 2004, di misure di allerta (art. 4) e di una fase preventiva, stragiudiziale e confidenziale che l'imprenditore potrà attivare presso un organo pubblico – l'OCC - istituito presso le Camere di Commercio, con funzioni facilitatorie, mediatorie, consulenziali e di supervisione, per essere aiutato ad individuare i fattori di crisi della sua impresa e giungere eventualmente ad un accordo (composizione assistita) con i creditori, così da “porre rimedio allo stato di crisi”, relegandosi l'eventuale intervento giudiziale a casi limitati, solo ove esso risulti necessario e proporzionato. La procedura potrà peraltro essere attivata anche d'ufficio dopo l'intervenuta allerta comunicata da creditori qualificati [lett. d) ed e)].

Non vi è però alcuna precisazione sui requisiti di professionalità che dovrebbero avere i soggetti da inserire negli organismi, lacuna che dovrà colmare la Commissione per evitare che il meccanismo di allerta cada proprio sul difetto di autorevolezza e credibilità di chi deve fornire supporto consulenziale in questa fase.

I segnali di allarme potranno e dovranno scattare in modo autonomo per incentivare l'imprenditore ad attivare la suddetta fase. Allo stesso fine sono previsti altri incentivi alla discoverye disincentivi a nascondere lo stato di sofferenza dell'impresa. Infatti, l'imprenditore che si affida tempestivamente alla composizione assistita della crisi potrà fruire di un esonero dalla responsabilità penale per bancarotta se il danno patrimoniale sia di speciale tenuità, di attenuanti per gli altri reati e della riduzioni di interessi e sanzioni relativi ai debiti fiscali dell'impresa. La Commissione è chiamata a specificare il requisito della tempestività sulla base dei parametri individuati dalla delega.

I succitati segnali d'allarme presuppongono specifici doveri d'informativa da parte di organi addetti al controllo interno ed esterno all'impresa (peraltro nello stesso ordine d'idee si spiega l'allargamento dei soggetti legittimati a presentare l'istanza di apertura della liquidazione; vi si comprenderanno anche - art. 2, lett. d) - i soggetti con funzioni di controllo e vigilanza sull'impresa, oltre che il P.M. che ne sia comunque notiziato).

Tali direttive sono indubbiamente opportune, costituendo una garanzia in più contro la possibile inerzia degli organi amministrativi, che sono quasi sempre i principali responsabili (anche se non necessariamente gli unici) del dissesto dell'impresa. E proprio in ragione di tale funzione suppletivo/integrativa (che – si potrebbe dire - naturalmente è chiamato a svolgere l'organo sindacale) é apprezzabile che il riferimento della delega sia fatto anche e in primo luogo a tale organo.

Ed anche la previsione del potere di iniziativa - con caratteri di maggiore generalizzazione - da parte del pubblico ministero è appezzabile, poiché risponde alla necessità di coprire in modo confacente l'area dell'intervento pubblico (indubbiamente essenziale ed ineliminabile) nelle procedure di crisi in luogo dell'abrogata e pregressa competenza officiosa del Tribunale.

La recente crisi globale ha del resto anche troppo incisivamente dimostrato quanto sia importante per la tenuta del sistema economico conservare i valori d'impresa e non abbandonare gli imprenditori, senza alcuna difesa, alle manovre speculative delle grandi agenzie centralmente operanti in un mercato ormai in larga misura eterodiretto, o alle sorti, nel migliore dei casi, di un mercato preda di spiriti irrazionali. Matura è ormai la consapevolezza di come tale obiettivo sia realizzabile solo in proporzione alla precocità con cui si rendono conoscibili i fattori critici e si interviene a sanarli.

Non ci si può nascondere che nella tradizione iper-privatistica o finanche solipsistica dell'imprenditoria italiana questi nuovi strumenti di controllo e di intervento, che necessariamente almeno in parte si calano nella vita dell'impresa, possano rappresentare quasi una rivoluzione, ma è certo che non avrebbe più senso contrastarne l'introduzione sulla base di pregiudiziali ideologiche, essendo ormai oggettivamente imposta, dinanzi ad un conflitto sempre più accesso e vasto di interessi e soggetti, una pur moderata etero-regolazione difensiva contro la crisi - del resto, è ormai un dato di comune evidenza che crisi e insolvenza non siano un affare esclusivo dell'imprenditore, coinvolgendo una miriade di situazioni di interesse e di rapporti superindividuali -, così da riportare anche concretamente l'impresa alla sua funzione ed utilità sociali (art. 41, comma 2, Cost.), e ciò per la tutela anche delle stesse imprese che operano in contiguità con quella in crisi e di tutti gli stakeholders comunque in rapporto con essa.

Si è rivelato essenziale, comunque, garantire una conservazione dei valori aziendali al di là degli interessi e della persona del singolo imprenditore o investitore, e di tale nuova consapevolezza si rinviene traccia:

  • nell'ormai dichiarata prevalenza di tutela in sede concordataria e fallimentare per le soluzioni finalizzate alla continuità aziendale [art. 2 lett. g)] (a scapito di quelle meramente liquidative), da realizzare anche tramite l'intervento di terzi [art. 6, lett. a)] e consentendosi sia la possibilità di moratoria per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca per un periodo di tempo anche superiore ad un anno, sia la possibilità di presentare la proposta anche quando essa preveda la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa oppure quando l'azienda sia oggetto di contratto di affitto [art. 6, lett. l)]. Si evidenzia sul punto che la continuità aziendale comunque non viene e non va intesa neppure dalla delega come valore assoluto, poiché sarà sempre necessario che il piano garantisca il miglior soddisfacimento dei creditori. La continuità dovrà dunque essere la soluzione più conveniente rispetto alla possibile liquidazione giudiziale, requisito, questo della convenienza, che va esplicitato nella proposta e nel piano, così diventando parte del controllo demandato al Tribunale e al commissario giudiziale. Ne consegue la conferma del contemperamento, che la delega vuole realizzare, tra conservazione dell'impresa e tradizionale tutela dei creditori. In definitiva, saranno ammissibili i concordati delle sole imprese che siano idonee a proseguire l'attività realizzando flussi finanziari e un profitto tali da consentire di soddisfare progressivamente i creditori in misura maggiore di quella che potrebbero ottenere con la mera liquidazione immediata degli assets patrimoniali. Quanto ai concordati di natura liquidatoria, essi saranno consentiti solo quando siano ritenuti, per l'apporto di risorse esterne, idonei a soddisfare in modo apprezzabile i creditori, e comunque tali da assicurare il pagamento di almeno il 20% dei crediti chirografari (art. 6, lett. a);
  • nell'acquisita possibilità dei terzi competitors di concorrere al rilievo delle aziende soggette a concordato preventivo con proprie proposte alternative, ma anche, per analoga anche se opposta prospettiva, nella prevista soggezione dei terzi creditori estranei all'impresa – anche contro la propria volontà - alle soluzioni compositive della crisi (accordi di ristrutturazione e di moratoria) che siano condivise da ampie maggioranze di creditori [ma in futuro finanche omologabili - art. 5, lett. b) - ove vi aderisca meno del 60% dei creditori, in presenza di talune condizioni compensative o tutorie]. È peraltro prevista la possibilità di estendere l'applicazione delle convenzioni di moratoria anche a creditori diversi da banche e intermediari finanziari, fermo restando il requisito della conclusione dell'accordo con creditori che rappresentino almeno il 75% del passivo riconducibile a una o più categorie giuridicamente ed economicamente omogenee [art. 5, lett. a).

Naturalmente anche in quest'ambito è cruciale la modalità di formulazione delle norme di dettaglio, essendo evidentemente ben diverso, se si vuole davvero realizzare lo scopo cui mirano le nuove misure di allerta e di composizione assistita della crisi, imporre ad esempio all'Agenzia delle Entrate, agli agenti della riscossione, agli enti previdenziali o agli altri creditori qualificati, di comunicare il debito insoddisfatto quando esso raggiunga ad esempio la soglia di 50.000 euro o invece quella di 200.000, giacchè in tale forbice potrebbero rientrare miriadi di situazioni di crisi che, optandosi per la seconda soglia più alta (nell'esempio quella di 200.000 euro), potrebbero restare nascoste e quindi sottratte alle chances di salvataggio derivanti da una discovery precoce.

Hanno poi anche importanza cruciale, poiché da esse dipende l'appeal che può avere o meno l'accesso alla fase confidenziale che mira alla composizione assistita della crisi, le forme e modalità delle eventuali misure cautelari-interdittive-inibitorie che potrebbero adottarsi nella fase compositiva per agevolare l'accordo con i creditori, anch'esse da individuare e regolare in sede delegata (anche chiarendo in che modo possa conservarsi, in presenza di tali misure, il requisito della confidenzialità); le modalità di selezione e i requisiti di professionalità ed indipendenza del personale preposto alla composizione della crisi; le forme di attivazione dei rapporti di rete per garantire un reale apporto consulenziale e di collaborazione tra stakeholders.

Ma non minore importanza avrà il variabile tasso di semplificazione con cui verranno conformate le norme disciplinanti la stessa fase confidenziale innanzi all'OCC (e dovrà aversi cura di evitare anzitutto possibili duplicazioni con l'eventuale fase giudiziale successiva) e la variabile estensione che possono assumere in concreto le categorie dei “creditori qualificati” o “istituzionali” (che potrebbero ad esempio includere banche e società finanziarie) tenuti agli obblighi di informativa.

Se, peraltro, come suggerisce anche la Raccomandazione della Commissione UE 2014/135/UE, a cui in larga parte si ispira il disegno riformatore, ristrutturarsi in una fase precoce significa anche massimizzare il valore totale di recovery per creditori, dipendenti, proprietari e per l'economia in generale, tale risultato, già oggi ed anche per la legge delega perseguibile con le proposte di terzi concorrenti, è non dimeno condizionato anche dal tasso di coerenza endo-sistemica degli strumenti processuali adottati.

La necessità di coerenza del sistema normativo e degli strumenti processuali: riduzione dei costi, specializzazioni, competenze, semplificazioni, accelerazioni, armonizzazioni

In questa luce vanno lette ad esempio le direttive della delega volte ad ampliare la platea dei soggetti e delle occasioni di controllo, prevedendosi il dovere dell'imprenditore e degli organi sociali di istituire assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi per l'adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale [art. 14, lett. b)]; modificando i requisiti dimensionali delle S.r.l. in presenza dei quali è imposto loro di dotare la propria struttura di un organo di controllo [art. 14, lett. g)], ad assicurarne la istituzione effettiva [art. 14, lett. h) e i)], a consentire la denunzia al tribunale delle gravi irregolarità, secondo l'art. 2409 c.c., anche quando un organo di controllo manchi del tutto [art. 14, lett. f)].

È divenuto poi chiaro a tutti che se i costi per progettare e porre in atto una soluzione compositiva, quale è ad esempio il concordato preventivo, sono troppo alti (come sono stati indubbiamente finora), il parallelo ridursi delle somme destinate a soddisfare i creditori pregressi costituirà un disincentivo esiziale sia per i creditori che per il debitore.

Così, per tale motivo, la delega cerca di dare coerenza interna al nuovo apparato normativo per garantirne in concreto l'efficienza, disponendo in via generale la necessaria riduzione non solo dei tempi, ma anche dei costi delle procedure concorsuali [art. 2, lett. l)], a cominciare dalle prededuzioni, soprattutto quelle che sorgono per prestazioni professionali [art. 6, lett. d)] (che a mio avviso dovrebbero comprendere anche quelle dell'OCC e dei periti da tale organismo eventualmente nominati in fase di composizione assistita).

A sua volta l'art. 7, comma 6, lett. a), contempla la limitazione della prededuzione in ogni caso di prosecuzione o di subentro del curatore nei contratti pendenti, compreso l'esercizio provvisorio e salva diversa previsione normativa, ai soli crediti maturati nel corso della procedura, così portando a maggior coerenza, almeno in quest'ambito, la stessa funzione della prededuzione come trattamento riservato ai soli crediti aventi una genesi endo-concorsuale.

L'art. 6, comma 1, lettera d) prevede altresì, in tema di concordato preventivo, che venga determinata “l'entità massima dei compensi spettanti ai professionisti incaricati dal debitore, da commisurare proporzionalmente all'attivo dell'impresa soggetta alla procedura”. Non è irragionevole ipotizzare che la medesima disciplina possa estendersi anche alle procedure di fallimento, quanto ai compensi dei difensori della procedura, dei consulenti, degli stimatori.

Infine, l'art. 6, lett. p)prevede il riordino e la semplificazione delle varie tipologie di finanziamento alle imprese in crisi, riconoscendo stabilità alla prededuzione dei finanziamenti autorizzati dal giudice solo nel caso di successiva liquidazione giudiziale.

Si segnala anche in tal caso la vasta possibilità di intervento attuativo della Commissione, tenuto conto che la specificazione dei modi e dei criteri con cui dovrebbe realizzarsi l'obiettivo di riduzione dei tempi e dei costi si limita a due sole indicazioni generiche (responsabilizzazione degli organi di gestione e contenimento delle ipotesi di prededuzione, anche con riguardo ai compensi dei professionisti).

Relativamente ai costi, nell'Analisi dell'impatto della regolamentazione (AIR) allegata alla Relazione ministeriale sul disegno di legge si legge che il concordato preventivo comporta costi e spese legali prededucibili che assorbono in media il 30% dell'attivo, mentre nel fallimento i costi sono pari in media al 5%, con una conseguente dispersione di risorse – pari circa al 25% dell'attivo, ossia ad ¼! - altrimenti destinate o da destinare, quoad naturam, ai creditori anteriori.

Quanto, al contenimento delle ipotesi di prededuzione, specie se correlate a compensi professionali, certamente si tratta di obiettivo essenziale che forse dovrebbe essere realizzato anzitutto riducendo le stesse cause dell'intervento sempre più variegato ed elefantiaco dei professionisti. Basti ricordare che, nel concordato preventivo, sono solitamente presenti almeno un advisor, un esperto attestatore (che talora si avvale anche di un revisore contabile o di una società di revisione per certificare la veridicità dei dati aziendali), almeno un LEGALE, due o più periti (per la stima immobiliare/mobiliare/aziendale, oltre che per rendere attestazioni speciali: ex artt. 160, comma 2, 182-quinquies, 182-septies), un precommissario, un commissario giudiziale, altri periti (periti endoconcordatari nominati dal giudice delegato), un liquidatore giudiziale.

Come ho già avuto modo di segnalare, tali costi, però, non sono certo un vantaggio per il debitore, e quindi non sono in senso proprio il segnacolo di un sistema debtor oriented. Bisogna piuttosto francamente ammettere che tali costi sono semmai il sintomo del sotteso operare della volontà di avvantaggiare alcuni ceti professionali, per i quali i concordati rappresentano ormai una lucrosa occasione di lavoro e guadagno. Ma si tratta di un beneficio che non può più continuare ad essere riconosciuto, poiché determina l'ingiustificabile sottrazione di ingenti risorse che dovrebbero essere destinate ai creditori concorsuali, cioè a coloro che hanno effettivamente sopportato il rischio d'impresa, a vantaggio invece di professionisti che tale rischio non hanno mai prima affrontato, atteso che appaiono sulla scena concorsuale per la prima volta solo in occasione dell'instaurarsi di ogni singola procedura, e che sono chiamati a svolgere perdippiù attività in gran parte meramente duplicative. Il caso emblematico è rappresentato dalla figura dell'esperto attestatore, chiamato a certificare sia la veridicità dei dati aziendali, che, soprattutto, la fattibilità del concordato, fattibilità che poi è comunque oggetto di un nuovo apprezzamento da parte sia del commissario giudiziale che del Tribunale, ciascuno secondo le proprie competenze. Si ha dunque una sostanziale duplicazione, la cui inutilità è poi attestata da un'analisi recentemente condotta dall'OCI su 700 procedure di concordato preventivo (cfr. G.Negri, Concordati ad alto “prezzo”, in Il Sole 24 Ore del 18 giugno 2016, 25 ove in particolare il consumo dei costi della procedura viene considerato pari al 60% delle disponibilità liquide), all'esito della quale è risultato, tra l'altro, che l'attività di controllo del commissario giudiziale è stata comunque molto più incisiva di quella esercitata dal professionista attestatore.

Se si considera il nuovo assetto prefigurato dalla delega, almeno la figura dell'attestatore dovrebbe essere eliminata.

Tra l'altro l'eliminazione della figura dell'attestatore sembra ora quasi essere implicitamente imposta dall'art. 6, lettera f), della legge delega, laddove si pone, come direttiva, “l'esplicitazione dei poteri del tribunale, con particolare riguardo alla valutazione della fattibilità del piano, attribuendo anche poteri di verifica in ordine alla realizzabilità economica dello stesso”. Infatti, recuperata così al Tribunale la funzione di controllo sulla fattibilità (anche economica) del concordato, non dovrebbe avere più ragione di esistere la figura dell'attestatore, venendo meno l'unico scopo per cui era stata creata (sostituire appunto il Tribunale nell'espressione del giudizio di fattibilità). In sostanza, tale figura ben può essere ormai eliminata (espressamente), o ne andrebbe quantomeno ridotta la funzione, precisandosi che è limitata solo ad attestare la veridicità dei dati aziendali. D'altra parte l'art. 24, ult.co., del disegno di legge partorito qualche anno fa dalla Commissione Trevisanato prevedeva, non senza ragione, che fosse il commissario giudiziale a depositare una relazione di fattibilità (i.e.: attuabilità) e non un terzo attestatore (“Il commissario giudiziale deposita una relazione, consultabile dai creditori, sulla attuabilità del piano entro il termine di sessanta giorni dall'apertura della procedura”).

Andrebbe poi contestualmente eliminata anche l'obbligatoria presenza di legali ai fini della presentazione della domanda di concordato (da nominarsi a sola discrezione del debitore, quando ritenga di non poterlo fare da sé).

Il criterio sopraindicato che, a ben vedere, risponde non solo o non tanto al fine di garantire una maggior tutela della par condicio tra creditori (piuttosto più direttamente perseguito dall'art. 10, laddove impone di riordinare e revisionare in senso riduttivo il sistema dei privilegi), ma piuttosto ed ancor prima a quello di rendere più facile realizzare, in termini oggettivi, il salvataggio e la continuità dell'impresa, sinora spesso compromessa proprio dal proliferare dei costi di accesso alle procedure compositive.

Dinanzi alla mancata specificazione con maggiore dettaglio del criterio cui il Governo deve attenersi nell'opera di riduzione, la Commissione avrà sostanzialmente carta bianca. L'operazione è assai delicata perché non è la stessa cosa limitarsi a togliere qualche privilegio qua e là, oppure incidere significativamente su alcuni settori ove i privilegi abbondano a dismisura (ad esempio quello bancario: privilegi per credito industriale, fondiario, peschereccio e così via) anziché su altri settori ancorchè parimenti densi di stratificazioni privilegiate (ad esempio il settore dei crediti fiscali), o attribuire una certa posizione nella graduazione anziché un'altra (al primo posto piuttosto che al 18°), o una certa tipologia di prelazione (mobiliare piuttosto che immobiliare).

In punto di privilegi giova richiamare anche la direttiva della delega per disciplinare nel concordato preventivo il trattamento del credito IVA, tenendo conto delle sentenze della Corte di giustizia UE [lett. q)]. Ricordo che, rovesciando la posizione della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale, la Corte di Giustizia UE con la sentenza 7 aprile 2016, C-546/14, ha stabilito che la procedura di concordato preventivo prevista dall'art. 182-ter L.F. è compatibile con il diritto comunitario anche se viene previsto il pagamento soltanto parziale del debito IVA da parte dell'imprenditore in difficoltà finanziaria, a condizione che un esperto indipendente attesti che l'erario non otterrebbe un pagamento maggiore in caso di fallimento. A tale pronuncia si sono successivamente adeguati sia il legislatore italiano che la giurisprudenza della S. Corte.

L'art. 7, comma 4, esclude a sua volta che siano esonerati dalle regole concorsuali le esecuzione speciali e i privilegi processuali anche di natura fondiaria.

Merita ancora di essere segnalata, nel quadro della direttiva tesa a ridurre l'incidenza dei privilegi, la previsione contenuta nell'art. 6, lettera h), che propone di disciplinare il diritto di voto dei creditori con diritto di prelazione il cui pagamento sia dilazionato, e dei creditori soddisfatti con utilità diverse dal denaro. Tale previsione fa sua una recente interpretazione della S. Corte che, infrangendo un indirizzo più che secolare, ha affermato come possibile il pagamento dilazionato dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, e, siccome è previsto per legge che essi non possano votare se non rinunciando alla prelazione, ha soggiunto che, in caso di prevista dilazione, debba l'attestatore indicare volta a volta quale sia il sacrificio che ne consegue per i creditori privilegiati commisurando ad esso, nel quantum, la misura in cui i creditori possono esprimere il proprio voto. Si tratta di un'interpretazione che ha dato la stura a soluzioni potenzialmente incerte ed arbitrarie (non essendo stati sinora proposti criteri di quantificazione certi e di comune/uniforme attuazione sul valore economico del sacrificio causato da una dilazione), che la delega vuole evitare.

Forse a tal fine potrebbe essere posto anche un limite temporale massimo alla possibile dilazione.

Quanto ai creditori di cui è prevista la soddisfazione con mezzi diversi dal denaro, si dovrà precisare anche se debba trattarsi dei soli creditori chirografari, potendo non considerarsi conforme alla stessa natura del privilegio – una volta che se ne ammetta la perdurante previsione legale - la possibile nullificazione con il meccanismo della soddisfazione con mezzi diversi dal denaro riveniente dalla liquidazione dei beni oggetto della prelazione.

Sempre nello stesso ordine di idee, all'insegna di una maggiore efficienza sistemica, si muovono le direttive della delega in tema:

  • di unificazione del modello processuale per l'accertamento dello stato di crisi/insolvenza [art. 2, lett. d) e lett. e)] a cui dovranno essere assoggettate tutte le categorie di debitori, con la sola esclusione degli enti pubblici, e relativamente al quale spetterà alla Commissione chiarire in che modo l'autorità giudiziaria dovrà classificare la sofferenza dell'impresa o del singolo debitore come crisi ovvero come insolvenza. Tale modello dovrebbe ispirarsi al vigente art. 15 l.fall., con caratteristiche di particolare celerità, anche in fase di reclamo. Nella Relazione del Governo si legge che: “Il procedimento sarà suscettibile di diversi possibili esiti, a seconda del tipo di provvedimento richiesto al giudice e dell'accertamento positivo o negativo della sussistenza delle relative condizioni; ed appare coerente con questa logica il prevedere che un iniziale percorso concordatario, ove rivelatosi impraticabile, possa convertirsi automaticamente in un esito di tipo liquidatorio (corrispondente all'attuale fallimento), senza necessità di una nuova domanda – e dunque con risparmio di tempi e di costi – poiché l'iniziale domanda di regolazione della crisi sussume in sé tutti i prevedibili esiti del percorso giudiziale”.

In effetti sarà necessario disciplinare dettagliatamente il percorso processuale anche quanto al suo esito nel modo indicato nella Relazione, tenuto conto che non vi è alcuna maggiore indicazione nella delega;

  • di accelerazione del procedimento, anche nella fase di reclamo contro il provvedimento che dichiara la crisi o l'insolvenza [art. 2, lett. d)]. L'unicità e semplicità del rito potrebbe a sua volta incidere – riducendoli – sui costi legali, prevedendosi all'uopo uno specifico parametro di calcolo dei compensi (legali, periti ecc.) in misura adeguatamente contenuta;
  • di unificazione dei diversi riti endo-procedimentali [art. 2, lett. h)];
  • di armonizzazione del regime delle impugnazioni [art. 2, lett. d)];
  • di selezione ed inserimento in un apposito albo dei professionisti abilitati a svolgere le funzioni curatorie o commissariali [art. 2, lett. o)]. Andranno quindi disciplinati anche i requisiti richiesti per l'iscrizione e individuato chi avrà la competenza a decidere i nominativi che andranno ad alimentare tale albo. La disposizione è assistita da un'autonoma norma di copertura finanziaria (comma 2);
  • di più attenta eliminazione del rischio della incompatibilità del curatore ove nominato in procedure consecutive relative alla stessa impresa [art. 7, lett. a)];
  • di potenziamento delle funzioni curatorie anche con l'estensione della legittimazione all'esercizio delle azioni di responsabilità (art. 7, comma 5). E questo non certo per rimpinguare le poste destinate ai riparti, ma solo come incentivo indiretto agli amministratori a denunciare precocemente la crisi onde cercare di porvi rimedio.

Il curatore potrà promuovere l'azione sociale di responsabilità, l'azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c.), l'azione contro i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società (art. 2476, settimo comma, c.c.), le azioni di responsabilità verso società o enti che esercitano attività di direzione e coordinamento di società (art. 2497 c.c.).

Si è programmata inoltre – anche se senza maggiore specificazione (che forse sarebbe stata opportuna) – la necessità di individuare criteri uniformi di quantificazione del danno risarcibile nell'azione di responsabilità, problematica che ancor oggi registra irrisolti contrasti giurisprudenziali.

Merita anche ricordare, a titolo di completezza, che al curatore in sede di chiusura della procedura di liquidazione potrà essere affidata anche la fase di riparto dell'attivo tra i creditori, fatta salva – in tal caso - la possibilità degli interessati di proporre opposizione davanti al giudice [art. 7, comma 10, lett. a)];

  • di potenziamento delle funzioni del commissario giudiziale del concordato preventivo estendendogli la legittimazione a richiedere, su istanza di un creditore, la risoluzione del concordato per inadempimento [art. 6, lett. n)]. Benchè tale previsione sembri dislocata rispetto alla problematica dei costi legali, in realtà vi è comunque connessa. Infatti la più concreta e realistica possibilità che si pervenga ad una risoluzione del concordato per inadempimento in ragione della legittimazione conferita al commissario giudiziale renderà meno frequenti – ex ante - le proposte improbabili o non fattibili, facendo anche risparmiare ai creditori, ex post, il costo di tali azioni risolutive. L'aver consentito con le recenti riforme che tale potere spettasse solo ai creditori ha concorso infatti a determinare un vero e proprio blocco perpetuo di attivi patrimoniali immobilizzati per miliardi di euro relativamente a concordati rivelatisi ex post non fattibili, benchè considerati tali ex ante a causa di attestazioni fittizie rese da poco imparziali esperti attestatori, concordati che sono rimasti però non risolubili per la mancanza di convenienza dei creditori ad accollarsi i costi ed i rischi di un'azione di risoluzione che può sfociare, a concordato post-omologa ed in avanzata fase esecutiva, solo in un fallimento, ossia in una procedura che, a quel punto (ma solo a quel punto), certo non è più un'alternativa migliore rispetto al concordato, ma al più un'alternativa che produrrebbe un'uguale insoddisfazione.

Non si comprende però per quale motivo il disegno di legge resti, per così dire, in mezzo al guado, creando una sorta di legittimazione ripartita o di secondo livello (occorre prima l'istanza di un creditore al commissario giudiziale e solo dopo questi può agire). Sembra quasi che il commissario giudiziale non possa accorgersi da solo dell'inadempimento agli obblighi concordatari, avendo necessità che un creditore glielo dica, o che solo se un creditore glielo dica egli possa rinvenire una giustificazione formale all'azione;

  • di competenza allargata e accentrata in materia concorsuale in capo ai tribunali più idonei a realizzare la specializzazione dei giudici e, per le amministrazioni straordinarie, in capo alle sezioni in materia d'impresa [art. 2, lett. n)]. La previsione è particolarmente delicata e pertanto arduo sarà il compito attuativo della Commissione al riguardo. Come è stato del resto sottolineato dall'OCF in sede di audizioni parlamentari, i procedimenti fallimentari pendenti per l'anno 2016, secondo i dati ministeriali, ammontano a 111.767 di cui circa 53.000 sono quelli sopravvenuti nell'anno 2016, conseguendone la facile previsione che le nuove sezioni o i pochi Tribunali medio-grandi che rimarranno competenti posano restare ingolfati dalle pendenze e che i tempi delle procedure invece di ridursi, malgrado la specializzazione dei giudici e la loro operosità, possano accrescersi.

Sul punto sono anche intervenuti alcuni ordini del giorno del Senato con cui si è voluto impegnare il Governo a valutare l'opportunità di individuare i tribunali competenti alla trattazione delle procedure concorsuali ordinarie relative agli imprenditori cosiddetti sopra soglia in un numero significativamente superiore a quelli presso i quali è istituita la sezione specializzata in materia di impresa e, salvo circostanziate e specifiche ragioni, con un circondario non inferiore a 200.000 abitanti, al fine di assicurare un proporzionato rapporto tra i flussi dei procedimenti sopravvenuti e le risorse date nonché un equilibrato bilanciamento tra le esigenze di prossimità e quelle di specializzazione; a procedere, in sede di attuazione della delega, ad un'approfondita analisi dei dati connessi agli indici predeterminati dal legislatore delegante per la concentrazione della competenza in materia nonché, in particolare, ad una analitica valutazione di impatto della regolazione, in modo da escludere il prodursi di inefficienze a carico del servizio giustizia; a provvedere, infine, ad una successiva costante attività di monitoraggio della regolazione introdotta allo scopo di valutare l'opportunità di procedere ad interventi di revisione con i previsti decreti delegati correttivi. Altri ordini del giorno di analoga natura sono rivolti alla disciplina – ma in modo più generico - della responsabilità degli amministratori, dell' albo dei curatori e delle misure di allerta;

  • di più accentuata intensificazione dei poteri di controllo giudiziale in tema di ammissibilità e – più specificamente – di fattibilità del concordato preventivo [art. 6, lett. f)] come effetto conseguente naturaliter alle predette misure, stante la maggior garanzia data dalla specializzazione dei giudici;
  • di ulteriore semplificazione del procedimento di accertamento del passivo (art. 7, comma 8), indicandosi a tal fine (in senso esemplificativo, ma non tassativo) varie modalità per realizzarla [tra l'altro: agevolando la presentazione telematica delle domande tempestive di creditori e terzi e restringendo l'ammissibilità delle domande tardive – lett. a) -; introducendo preclusioni attenuate già nella fase monocratica – lett. b) -; prevedendo forme semplificate per le domande di minor valore o complessità – lett. c) -; attraendo nella sede concorsuale l'accertamento di ogni credito opposto in compensazione – lett. e) -];
  • di predisposizione di misure ad hoc per rendere ancor più trasparente ed efficiente l'attività liquidativa (art. 7, comma 9). Si prevede l'applicazione del sistema cd. Common, con l'introduzione di un mercato nazionale telematico unificato dei beni da vendere nella procedura, la possibilità di acquisto di tali beni da parte dei creditori, appositamente abilitati, su tale mercato; l'istituzione di un fondo per a gestione dei beni invenduti;

  • di approntamento di una – tanto attesa - più dettagliata disciplina, oggi del tutto lacunosa, della fase di esecuzione del piano concordatario, con possibilità per il tribunale di affidare ad un terzo il compito di porre in essere gli atti necessari all'esecuzione della proposta concordataria [art. 6, lett. m)];
  • di una disciplina ex novo della crisi e dell'insolvenza dei gruppi di imprese (art. 3), prefigurandosi disposizioni volte a consentire lo svolgimento di una procedura unitaria per la trattazione dell'insolvenza delle società del gruppo e prevedendosi, comunque, che anche in caso di procedure distinte che si svolgano in sedi giudiziarie diverse, vi siano obblighi di reciproca informazione a carico degli organi procedenti [lett. e)];
  • di armonizzazione delle procedure di crisi e di insolvenza con la tutela dell'occupazione e del reddito dei lavoratori, rispettando alcuni atti emanati dagli Organi dell'Unione europea in tale ambito [art. 2, lett. p)];
  • di unificazione più efficiente delle forme di notificazione degli atti (da effettuare in via telematica nei confronti del debitore professionista o imprenditore).

Uno scenario, in definitiva, quasi sconfinato, che metterà perciò veramente a dura prova la Commissione ministeriale.

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