Regolamento contrattuale (formazione e contenuto)

05 Settembre 2017

Il regolamento di condominio è lo statuto, la legge interna del condominio; sono individuabili diverse tipologie di regolamenti: quelli di origine interna, approvati dall'assemblea a maggioranza o all'unanimità dei partecipanti al condominio, e quelli di origine esterna, predisposti unilateralmente dal costruttore o unici proprietario dell'edificio e richiamati per relationem nel contenuto degli atti di compravendita delle singole unità immobiliari; le differenze sono notevoli sia sul piano del possibile contenuto dei regolamenti, sia sotto il profilo della possibilità di procedere alla loro modifica.
Inquadramento

Come per altri istituti, anche per il regolamento di condominio non è possibile rinvenire nella normativa civilistica vigente una puntuale definizione, ma solo la generica previsione della sua eventuale obbligatorietà.

Anzi, a differenza di altri istituti (si pensi all'usufrutto, alla proprietà, ecc.), non è possibile neppure ricavare una definizione indirettamente dalle norme che lo prevedono.

Infatti, l'art 1138 c.c., unica norma dedicata al regolamento, stabilisce solo che la sua formazione è obbligatoria quando i condomini (non le unità immobiliari) sono più di dieci (quindi almeno undici) e che la sua approvazione costituisce specifica attribuzione dell'assemblea la quale deve provvedervi con la maggioranza del comma 2 dell'art 1136 c.c.

Quanto al contenuto, la disposizione sopra citata si limita a stabilire in modo molto generico che il regolamento deve contenere le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro architettonico dell'edificio e quelle relative all'amministrazione.

La norma stabilisce inoltre in modo espresso che i regolamenti non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino quali risultano dagli atti d'acquisto e dalle convenzioni e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli art. 1118, comma 2, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137 c.c.

Altre norme considerate inderogabili sono indicate nell'art. 72 disp. att. c.c., ossia gli artt. 63, 66, 67 e 69 disp.att. c.c.

Il regolamento c.d. di origine esterna

Sulla scorta dell'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, si possono individuare sostanzialmente tre tipologie di regolamenti:

a) regolamenti assembleari o di origine interna approvati a maggioranza;

b) regolamenti assembleare approvati dall'assemblea con delibera totalitaria;

c) regolamenti c.d. di origine esterna.

Non formano oggetto di questo studio i regolamenti assembleari del primo tipo, cioè quelli che vengono approvati all'assemblea dei condomini dopo che il condominio è sorto e che si definiscono di origine interna appunto perché formati dall'organo del condominio al quale l'art 1138 c.c. demanda espressamente tale attribuzione.

Tuttavia la formazione del regolamento può anche avere (ed anzi molto spesso ha) origine affatto diversa.

Ciò accade tutte le volte che sia lo stesso costruttore dell'edificio a predisporlo e a «imporlo» in tutti i singoli atti di vendita man mano che le singole unità immobiliari vengono alienate.

A questa tipologia di regolamento che viene redatto quando il condominio non esiste ancora, si dà solitamente la qualifica di regolamento «esterno» o più precisamente, di regolamento di «origine esterna».

In questi casi, come detto molto frequenti, il costruttore o unico proprietario dell'intero edificio, prima di iniziare ad alienare le singole unità immobiliari, predispone il regolamento del condominio dettando le regole per l'individuazione e l'elencazione delle le parti comuni, la ripartizione delle spese, le tabelle dei valori millesimali per mezzo delle quali tale ripartizione deve essere effettuata ed altre disposizioni afferenti la vita della compagine condominiale.

Con la vendita delle singole unità immobiliari, in ogni singolo contratto traslativo ciascuno degli acquirenti, dichiara di accettare le clausole contenute nel regolamento, il che sostanzialmente conferisce a quest'ultimo i requisiti di un vero e proprio contratto in quanto conosciuto ed accettato in una con le altre clausole contenute nel contratto di compravendita.

In considerazione della particolare modalità della sua formazione non si rende necessaria alcuna approvazione successiva da parte dell'assemblea poiché, una volta perfezionato l'acquisto da parte di tutti gli acquirenti delle rispettive unità immobiliari aventi parte dell'edificio condominiale (non solo gli appartamenti, ma anche le cantine, i boxes e così via), il regolamento de quo diventa efficace e vincolante nei confronti di tutti venendo a far parte del contenuto dei singoli atti per relationem.

Differenze rispetto ai regolamenti di origine interna approvati a maggioranza

La peculiarità dei regolamenti contrattuali e, con alcune riserve di cui diremo più avanti, di quelli approvati in sede assembleare dal voto unanime di tutti i partecipanti al condominio consiste in primis nel fatto che essi possono validamente contenere clausole che dispongono limitazioni dei diritti dei singoli condomini sulle parti comuni e sulle stesse proprietà esclusive, divieti di destinazione delle unità immobiliari, o riserve di proprietà e in genere di clausole che, restringendo le facoltà normalmente spettanti al proprietario devono, per essere valide ed opponibili, essere accettate da tutti gli acquirenti-condomini.

Una seconda caratteristica di questi regolamenti è che le loro clausole o meglio, come vedremo quelle di natura contrattuale «non possono essere modificate con una delibera adottata a maggioranza, ma solo con una delibera adottata con la totalità dei consensi».

Per giurisprudenza univoca della Suprema Corte (v., per tutte, Cass. civ., sez. II, 31 luglio 2009, n. 17886 e Cass. civ., sez. II, 3 luglio 2003, n. 10523), le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti indipendentemente dalla trascrizione, essendo sufficiente che nell'atto d'acquisto si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che seppure non inserito materialmente, deve ritenersi conosciuto ed accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto.

Regolamenti contrattuali e clausole non contrattuali

Va peraltro rilevato che è stata da tempo abbandonata l'opinione, in passato prevalente, secondo la quale i regolamenti di condominio predisposti dall'originario unico proprietario dell'edificio e allegati al contratto d'acquisto delle singole unità immobiliari nonché i regolamenti formati col consenso unanime dei partecipanti al condominio rivestirebbero natura e forza contrattuale indipendentemente dal loro contenuto.

La giurisprudenza più recente e la dottrina ritengono invece che la contrattualità delle singole clausole non sia conseguenza del fatto in sé di essere inserite in un regolamento di origine esterna o approvato all'unanimità, ma esclusivamente dal loro contenuto.

In evidenza

Le clausole dei regolamenti condominiali predisposti dall'originario unico proprietario dell'edificio condominiale ed allegati o richiamati per relationem al contratto d'acquisto delle singole unità immobiliari (e, secondo i più, anche quelle dei regolamenti condominiali formati con il consenso unanime della totalità dei partecipanti al condominio), hanno natura contrattuale soltanto quando si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni, ovvero attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetto agli altri, mentre non quando dette clausole si limitino a disciplinare l'uso dei beni comuni, che hanno invece natura meramente regolamentare.

Da quanto sopra consegue che, mentre le clausole di natura contrattuale possono essere modificate soltanto dall'unanimità dei condomini non essendo sufficiente una deliberazione assembleare maggioritaria, le clausole di natura regolamentare anche se contenute in un regolamento di origine esterna, sono modificabili in forza di una delibera adottata con la maggioranza prescritta dall'art 1136 c.c. (Cass. civ., sez. II, 30 dicembre 1999, n. 943).

Secondo una recentissima pronuncia (App. Genova 18 maggio 2017), in applicazione del sopra citato orientamento di legittimità, le disposizioni disciplinanti l'uso delle parti comuni non rivestono natura contrattuale, ma fanno parte del contenuto normale del regolamento di condominio di cui all'art 1138, comma 1, c.c. e conseguentemente possono, appunto, essere modificate con le maggioranze di cui al secondo comma dell'art. 1136 c.c. (Cass. civ., sez. II, 6 maggio 2014, n. 9681).

Il problema dell'adesione preventiva ad un regolamento in fieri

Fermo restando quanto sopra esposto è necessaria una precisazione.

Il regolamento formato con le modalità esposte nei precedenti paragrafi ha carattere cogente solo per coloro che «successivamente» acquistino le singole unità immobiliari, non anche per chi abbia acquistato le unità immobiliari «prima della predisposizione del regolamento stesso».

In altri termini i principi enunciati valgono se il regolamento sia già stato predisposto dal costruttore e messo a disposizione dei diversi acquirenti mentre la mera applicazione delle sue disposizioni non può al contrario valere come adesione ad esso né come manifestazione di volontà dell'acquirente di accettare le disposizioni stesse con effetto vincolanti qualora al momento dell'acquisto il regolamento non esiste in quanto viene predisposto dal costruttore solo in un momento successivo al rogito notarile.

In evidenza

Solo il concreto richiamo nei singoli atti d'acquisto dei condomini a un determinato regolamento già esistente consente infatti di considerare quest'ultimo come facente parte per relationem di tali atti.

Accade frequentemente che al momento dell'acquisto di un'unità immobiliare all'interno di un edificio condominiale al compratore venga imposto di accettare alcune clausole particolari quali quella in forza della quale l'acquirente conferisce al venditore ampio mandato per la redazione del regolamento condominiale, impegnandosi preventivamente ad accettarne il contenuto.

Questo modus operandi non implica approvazione del regolamento perché l'obbligo genericamente previsto in scrittura privata di rispettare il regolamento di condominio che contestualmente il costruttore si impegna a predisporre da un lato non vale a conferire a quest'ultimo il potere di redigere un regolamento «qualsivoglia», dall'altro non può valere come approvazione di un regolamento allo stato inesistente in quanto è solo il concreto richiamo nei singoli atti d'acquisto a un determinato regolamento già esistente consente di ritenere quest'ultimo come facente parte per relationem di ogni singolo atto.

In tali casi il regolamento può vincolare l'acquirente solo se successivamente alla sua redazione quest'ultimo vi presti volontaria adesione.

In particolare è nullo per indeterminatezza dell'oggetto il mandato in bianco conferito dall'acquirente al costruttore all'atto della prima stipula e reiterato in occasione di quelle successive a redigere in futuro il regolamento di condominio posto che la scelta è riservata senza alcun criterio predeterminato al venditore mandatario.

Ovviamente diverso è il caso in cui viene conferito alla società venditrice uno specifico mandato di predisporre il regolamento secondo le condizioni e clausole che tutti i condomini hanno già accettato nei rogiti d'acquisto (Cass. civ., sez. II, 4 agosto 2016, n. 16321).

I regolamenti approvati in sede assembleare ma con il consenso unanime dei partecipanti al condominio

Vengono normalmente attribuite portata ed efficacia contrattuale anche ai regolamenti non predisposti dall'originario unico proprietario e richiamati negli atti d'acquisto, ma approvati in sede assembleare con delibera totalitaria, adottata cioè con voto unanime dei partecipanti al condominio.

A nostro avviso una completa equiparazione non è corretta, soprattutto sotto il profilo della opponibilità del regolamento ai terzi che acquistano con atti successivi a quelli di provenienza.

Esiste infatti una fondamentale differenza tra i due tipi di regolamenti: per quello predisposto dal costruttore e richiamato negli atti di acquisto può effettivamente affermarsi che in forza della trascrizione dell'atto d'acquisto, esso sia conosciuto non solo dal primo acquirente, ma anche da quelli successivi.

Non altrettanto può dirsi per il regolamento approvato con voto unanime dai condomini in sede assembleare, posto che tale approvazione risulta solo dal verbale dell'assemblea nella quale l'approvazione stessa è avvenuta, ed il verbale non è soggetto a trascrizione e comunque normalmente non viene trascritto se non viene stipulato con particolari forme.

In evidenza

I regolamenti approvati all'unanimità in sede assembleare sono certamente vincolanti per tutti i condomini che l'hanno approvato, ma la loro opponibilità ai successivi aventi causa non può che essere subordinata al fatto che negli atti di vendita venga inserita una clausola con la quale, del pari, l'acquirente dichiari di conoscere l'esistenza di tale regolamento assembleare e dichiari di accettarne tutte le clausole, con particolare riferimento a quelle di portata sicuramente contrattuale nel senso sopra spiegato.

Quanto sopra vale a fortiori nei casi nei quali preesista un regolamento contrattuale redatto dal costruttore e richiamato negli atti di provenienza e trascritto in una con essi che venga sostituito con un nuovo regolamento approvato in sede assembleare all'unanimità andando a modificare non solo clausole di natura regolamentare, ciò che - come si è visto in precedenza - può avvenire con delibera a maggioranza qualificata, ma anche clausole di natura certamente contrattuale.

L'inderogabilità dell'ultimo comma dell'art 1138 c.c.

Va precisato anche che la disposizione contenuta nell'art. 1138, ultimo comma, c.c., secondo la quale i regolamenti condominiali non possono in alcun modo menomare i diritti dei condomini, .si riferisce ai regolamenti approvati a maggioranza, ma non a quelli approvati da tutti i condomini, i quali, rivestendo cone detto valore contrattuale ben possono contenere limitazioni ai diritti dei condomini stessi sia sui beni comuni che su quelli individuali.

In ogni caso le norme di un regolamento di condominio aventi natura contrattuale possono derogare od integrare la disciplina legale (Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1999, n. 11121).

In evidenza

Si rammenti comunque che anche i regolamenti di origine esterna incontrano dei limiti: neppure essi possono infatti violare le norme dichiarate inderogabili dalla seconda parte dell'ultimo comma dell'art. 1138 c.c. e nell'art 72 disp. att. c.c.

Contenuto del regolamento contrattuale

Ribadito che in linea generale il regolamento contrattuale può contenere clausole il cui inserimento è invece vietato con riferimento a quello assembleare, esaminiamo ora le clausole che più frequentemente compaiono nei regolamenti origine esterna.

1) Clausole afferenti alla ripartizione delle spese

1.a) Clausola di esonero totale o parziale dalla contribuzione alle spese

I criteri generali in tema di ripartizione spese sono contenuti nell'art 1123 c.c. che non è stato modificato dalla legge di riforma.

Si tratta peraltro di una norma che l'art 1138 c.c. non annovera tra quelle inderogabili.

Anzi è lo stesso art. 1123 c.c. a prevedere espressamente che «le spese..... sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno salvo diversa convenzione»

E' quindi la stessa norma a prevedere la possibilità che con una diversa convenzione possano essere previsti criteri di ripartizione diversi da quelli previsti nella norma stessa.

Non solo ma, per lo stesso motivo è possibile che in tal modo possa essere convenuta persino esclusione totale o parziale di qualche partecipante al condominio dalla contribuzione alle spese o a determinate spese condominiali.

Tali pattuizioni contenute in regolamento contrattuale (non in un regolamento di tipo assembleare) sono valide e non possono essere poste nel nulla con una delibera adottata a maggioranza.

Si pone tuttavia il problema se una siffatta clausola di esonero valga solo per il primo acquirente o se si estenda a tutti i successivi acquirenti dell'unità immobiliare de qua (aventi causa ed eredi)

Trattandosi di obbligazione propter rem si deve presumere che tali clausole riguardino l'unità immobiliare cui si riferisce il regolamento e non la persona fisica o giuridica che ne ha la proprietà a meno che dalla clausola stessa risulti in modo univoco la volontà di esonerare solo il soggetto titolare del diritto sul bene in quello specifico momento.

1.b) Ripartizione di spese in parti uguali

Per le già esposte ragioni anche la clausola in forza della quale le spese generali e di manutenzione delle parti comuni si ripartiscono in quote uguali tra i condomini è pienamente valida essendo il criterio stabilito dall'art 1123 c.c. derogabile in forza di una convenzione quale deve considerarsi, appunto, regolamento contrattuale.

A contrariis, una siffatta clausola non può essere invece validamente contenuta in un regolamento approvato a maggioranza.

1.c) Attribuzione di spese a carico di condomini non fruenti del servizio o che non abbiano l'uso potenziale della cosa comune

Del pari la clausola di un regolamento contrattuale disponga può stabilire, sempre in deroga al criterio legale di ripartizione previsto dall'art 1123 c.c., che le spese siano poste a carico anche delle unità immobiliari che non usufruiscano del relativo servizio o che non abbiano l'uso potenziale della parte comune per la cui manutenzione deve essere sostenuta la spesa.

1.d) Altre norme in tema di ripartizione delle spese

Le clausole del regolamento contrattuale prevalgono anche su altre norme derogabili del codice civile quali l'art 1124 c.c. in tema di scale e per analogia di ascensori, e l'art 1126 c.c. in materia di spese di manutenzione dei lastrici solari e delle terrazze a livello.

1.e) Contabilizzazione del calore, termoregolazione e ripartizione spese riscaldamento

Per le spese di riscaldamento l'importo complessivo va suddiviso tra gli utenti finali in base alla norma tecnica UNI 10200 e successive modifiche e aggiornamenti.

Deve ritenersi che la normativa vigente non possa essere modificata neppure da una norma del regolamento di natura contrattuale e che pertanto l'assemblea non possa deliberare la ripartizione delle spese stesse in base a criteri diversi anche se contemplati da regolamenti di tipo contrattuale.

2) Clausole contenenti divieti o limitazioni dell'uso o della destinazione delle proprietà esclusive o delle parti comuni

A differenza dei regolamenti di tipo assembleare, le clausole dei regolamenti contrattuali possono validamente contenere limitazioni o divieti riguardanti le unità immobiliari di proprietà esclusiva.

E' frequente ad esempio il divieto di destinare le abitazioni ad attività industriali o commerciali di varia natura così come ricorrono spesso nei regolamenti contrattuali clausole che vietino di apportare modifiche interne alle unità immobiliari o che limitino o vietino di sopraelevare ex art. 1127 c.c. o di collocare fioriere o di installare tende o di stendere la biancheria sui balconi pertinenziali delle unità immobiliari.

Qualora il regolamento contenga limitazioni o divieti siffatti, non può essere addotto a sostegno della legittimità del comportamento tenuto in violazione dei divieti stessi il fatto che tale comportamento sia stato per anni tollerato, non essendo possibile sostenere che ciò integri una sorta di manifestazione tacita di volontà abrogativa o modificativa della clausola stessa la quale, come detto, può invece essere abrogata o modificata solo con il consenso unanime dei partecipanti al condominio.

Il regolamento di condominio contrattuale talvolta contiene clausole che vietano di detenere o limitano il diritto di detenere animali nelle unità immobiliari di proprietà esclusiva.

Non v'è mai stato, né a fortiori sussiste oggi dubbio, che siffatti divieti non possano essere contenuti in un regolamento di natura assembleare, né possano essere introdotti con una delibera adottata a maggioranza.

Tuttavia, dopo l'entrata in vigore della l. n. 220/2012, il problema della validità del divieto si è posto con riferimento a clausole contenute in un regolamento di natura contrattuale o introdotte con una delibera adottata all'unanimità.

E' stato infatti affermato in giurisprudenza (Trib Cagliari 22 luglio 2016) che l'art 1138, comma 5, c.c., in forza del quale le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici, sarebbe applicabile non solo ai regolamenti assembleari, ma anche a quelli contrattuali e non solo se si tratti di regolamenti successivi alladata di entrata in vigore della legge citata, ma anche se precedenti ad essa.

Ad avviso dello scrivente questa interpretazione non può essere condivisa poiché l'intera norma dell'art.1138 c.c., e quindi non solo il suo quarto comma, è all'evidenza dettata esclusivamente per i regolamenti di origine interna e non per quelli che rivestono carattere contrattuale e origine esterna, com'è desumibile dallo stesso comma 3 della norma che prevede l'approvazione da parte dell'assemblea a maggioranza.

La norma è quindi palesemente dettata per impedire che una maggioranza possa impedire a sinoli condomini di detenere animali, ma non può spingersi fino al punto di impedire alla totalità dei condomini di darsi una regolamentazione pattizia finalizzata a garantire che la vita condominiale sia improntata a determinate regole condivise.

Quanto sopra vale a fortiori qualora si tratti di regolamenti anteriori all'entrata in vigore della l. n.220/2012.

Casistica

CASISTICA

Esenzione spese di ristrutturazione dell'ascensore

Poiché la disciplina sul riparto delle spese inerenti ai beni comuni (artt. 1123-1125 c.c.) è suscettibile di deroga con atto negoziale, e, quindi, anche con il regolamento condominiale che abbia natura contrattuale, deve ritenersi legittima non solo una convenzione che ripartisca tali spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda l'esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall'obbligo di partecipare alle spese medesime; in quest'ultima ipotesi, nel caso cioè in cui una clausola del regolamento condominiale stabilisca in favore di taluni condomini l'esenzione totale dall'onere di contribuire a qualsiasi tipo di spese (comprese quelle di conservazione), in ordine a una determinata cosa comune (nel caso, l'ascensore), si ha il superamento nei riguardi della suddetta categoria di condomini della presunzione di comproprietà su quella parte del fabbricato; per contro, in assenza di siffatta previsione contrattuale, la proprietà comune del bene impone la partecipazione di tutti i condomini alle decisioni che concernono detto bene (fattispecie nella quale la corte ha conseguentemente ritenuto illegittima la delibera assembleare inerente l'esecuzione di un intervento di ristrutturazione dell'ascensore, essendo stata adottata con la partecipazione dei soli condomini proprietari degli appartamenti situati dal primo all'ultimo piano dell'edificio, con esclusione dei proprietari del piano ammezzato e dei negozi) (Cass. civ., sez. II, 14 luglio 2015, n. 14697).

Uso del servizio di riscaldamento centralizzato

In tema di condominio negli edifici, poiché tra le spese indicate dall'art. 1104 c.c., soltanto quelle per la conservazione della cosa comune costituiscono obligationes propter rem, è legittima la rinuncia di un condomino all'uso dell'impianto centralizzato di riscaldamento - anche senza necessità di autorizzazione o approvazione da parte degli altri condomini - purché l'impianto non ne sia pregiudicato, con il conseguente esonero, in applicazione del principio contenuto nell'art. 1123, comma 2, c.c., dall'obbligo di sostenere le spese per l'uso del servizio centralizzato; in tal caso, egli è tenuto solo a pagare le spese di conservazione dell'impianto stesso; né può rilevare, in senso impediente, la disposizione eventualmente contraria contenuta nel regolamento di condominio, anche se contrattuale, essendo quest'ultimo un contratto atipico meritevole di tutela solo in presenza di un interesse generale dell'ordinamento (Cass. civ., sez. II, 29 settembre 2011, n. 19893).

Contribuzione ai lavori di giardinaggio

Poiché l'obbligo di pagare i contributi condominiali trova il suo fondamento nell'essere il condomino comproprietario dei beni alla cui conservazione e manutenzione deve contribuire, deve ritenersi invalida la norma del regolamento condominiale non contrattuale che - al di là dell'unanime consenso di tutti i condomini - ponga a carico del condomino con il meccanismo della delibera assembleare oneri non previsti dalla legge (fattispecie in tema di contribuzione alle spese per lavori di giardinaggio eseguiti dal condominio su terreni solo in possesso dello stesso e non di proprietà comune) (Cass. civ., sez. II, 22 aprile 2005, n. 8490).

Guida all'approfondimento

Corona, Regolamento contrattuale di condominio, Torino, 2009;

Cuffaro, Il regolamento di condominio, in Arch. loc. e cond., 2000, 829;

Bergamo, Brevi riflessioni sul regolamento contrattuale, in Giur. it., 1999, 1815;

De Tilla, Natura contrattuale del regolamento di condominio, in Contratti, 1994, 635;

Salis, Regolamenti contrattuali e inderogabilità di norme, in Riv. giur. edil., 1963, I, 515.

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