Responsabilità del socio di associazione non riconosciuta: rileva l’effettivo potere gestorio
24 Ottobre 2017
L'art. 38 c.c. sancisce la responsabilità delle associazioni non riconosciute per le obbligazioni assunte dalle persone che la rappresentano e la personale e solidale responsabilità, per dette obbligazioni, delle persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta. In merito, quali sono le prove che l'Ufficio deve produrre, a supporto della propria pretesa impositiva, al fine di ritenere sussistente la responsabilità delle persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta (nella specie, associazione sportiva dilettantistica)?
La responsabilità personale e solidale, prevista dall'art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione stessa, bensì all'attività negoziale concretamente svolta per suo conto e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra l'ente ed i terzi. Sul punto la giurisprudenza di legittimità (sent. n. 29733 del 29 dicembre 2011) ha precisato che tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell'associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell'associazione, con la conseguenza che l'obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia "ex lege", assimilabili alla fideiussione.
La ratio della previsione di una responsabilità personale e solidale, in aggiunta a quella del fondo comune, delle persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, è volta a contemperare l'assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell'ente, con le esigenze di tutela del credito (che abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio di dette persone), e trascende, pertanto, la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell'ambito della compagine sociale, ricollegandosi piuttosto ad una concreta ingerenza dell'agente nell'attività dell'ente (in tal senso, Cass. civ., ordinanza n. 12473 del 17 giugno 2015).
Ne consegue, dunque, che, come statuito dalla giurisprudenza (Cass. civ., ordinanza n. 12473 del 17 giugno 2015) chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l'onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell'interesse dell'associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all'interno dell'ente.
Il principio suesposto, in riferimento alla responsabilità solidale, ex art. 38 c.c., di coloro che agiscono in nome per conto dell'associazione non riconosciuta, ponendo in essere, a prescindere dalla rappresentanza formale dell'ente, la concreta attività negoziale riferibile all'associazione stessa, è applicabile anche ai debiti di natura tributaria (Cass. civ., 10 settembre 2009, n. 19486), pur senza trascurare, tuttavia, una caratteristica fondamentale che connota siffatte obbligazioni.
Il richiamo all'effettività dell'ingerenza (implicito nell'espressione di cui all'art. 38 c.c., aver agito “in nome e per conto dell'associazione”) circoscrive la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni che siano concretamente insorte nel periodo di investitura.
Ciò posto, ne deriva, quindi, che l'Amministrazione, quando invoca in giudizio tale responsabilità, ha l'onere di provare la concreta attività svolta in nome e per conto dell'associazione (Cass. civ., sent. n. 18188 del 25 agosto 2014).
A tal fine l'Amministrazione dovrà dimostrare, esemplificativamente ma non esaustivamente che il socio:
Gli elementi che l'Amministrazione è tenuta a fornire devono, quindi, provare la concreta attività svolta in nome e nell'interesse dell'associazione; in assenza di esse, nessuna responsabilità è configurabile in capo al socio. |