La modifica della domanda deve essere connessa al fatto costitutivo sul quale si fonda il giudizio
24 Ottobre 2017
Massima
Ove l'attore alleghi nel corso del giudizio un diverso fatto costitutivo rispetto a quello originariamente dedotto, che comporti la sostituzione della domanda originaria con una nuova domanda ad essa alternativa ed avente ad oggetto il medesimo bene della vita, compete al giudice nell'esercizio del potere di qualificazione del fatto allegato collegarvi il corrispondente effetto giuridico in applicazione dell'art. 113, comma 1, c.p.c., purché il diverso fatto costitutivo venga allegato nel rispetto del regime delle preclusioni processuali di cui all'art. 183 c.p.c.. Il caso
Tizio convenne in giudizio innanzi al Tribunale Caio e Sempronio chiedendo di inibire a Caio l'utilizzo dello pseudonimo "X" e la condanna nei confronti di costui al risarcimento del danno, nonché nei confronti di entrambi i convenuti la condanna al pagamento delle somme spettanti in base a due contratti ed in subordine a titolo di arricchimento senza causa. Il Tribunale adito rigettò la domanda. Osservò che lo pseudonimo era tutelabile se corrispondente ad un uso effettivo ed attuale e che da tempo non esisteva più un'entità collettiva denominata "X", essendo rimasti del tutto ineseguiti i contratti azionati. Osservò inoltre il Tribunale, quanto alla domanda ai sensi dell'art. 2041 c.c., che le perdite connesse alla cessazione della precedente attività commerciale dell'attore non potevano porsi in relazione causale con l'arricchimento di Caio e che l'attività svolta da Sempronio per conto di quest'ultimo era di personal manager, riconducibile ad un contratto d'opera. La possibilità di proporre l'azione contrattuale di adempimento a tale titolo escludeva quindi il ricorso all'azione generale di arricchimento. Avverso detta sentenza propose appello Caio. La Corte d'appello rigettò il gravame facendo propria la ratio decidendi della sentenza di primo grado. Caio proponeva ricorso in Cassazione avverso la pronuncia di secondo grado deducendo, tra l'altro, la violazione dell'art. 113 c.p.c., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.. La questione
La questione esaminata dalla Cassazione afferisce alla ammissibilità della modifica della domanda mediante mutamento del fatto costitutivo con riferimento ai diritti di credito, in relazione ai quali il fatto costitutivo rappresenta il criterio di identificazione del contenuto, e del conseguente onere del giudice di collegarvi il corrispondente effetto giuridico in virtù del proprio potere di qualificazione. Le soluzioni giuridiche
La giurisprudenza di legittimità è pervenuta ad una nozione molto ristretta della mutatio libelli (non tollerata dall'art. 183 c.p.c. al di fuori delle domande consequenziali ammesse dal comma 5), affermando che la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa ("petitum" e "causa petendi"), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali (Cass. civ., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12310). Opzione ermeneutica che risulta consona sia con l'esigenza di realizzare la concentrazione nello stesso processo e dinanzi allo stesso giudice delle controversie aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale, sia con i principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, posto che è idonea a favorire una soluzione della complessiva vicenda sostanziale ed esistenziale portata dinanzi al giudice in un unico contesto invece di determinare la potenziale proliferazione dei processi. La pronuncia in esame si interroga circa l'ammissibilità della modifica della domanda mediante mutamento del fatto costitutivo con riferimento ai diritti di credito. I diritti di obbligazione sono, difatti, diritti eterodeterminati ovvero diritti che possono esistere contemporaneamente più volte fra i medesimi soggetti con lo stesso contenuto e che perciò richiedono, quale indispensabile elemento di individuazione, l'allegazione dei fatti costitutivi sui quali essi si fondano. Nel caso dei diritti di credito l'allegazione del fatto costitutivo, in quanto identificativa del diritto, costituisce invero requisito di validità della domanda e non solo tema di prova (Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 2014, n. 25918; Cass. civ., sez. I, 30 aprile 2008, n. 10966). Di contro i diritti autodeterminati - essenzialmente i diritti reali - sono individuati sulla base della sola indicazione del relativo contenuto quale rappresentato dal bene che ne forma l'oggetto trattandosi di diritti che non possono coesistere simultaneamente più volte tra i medesimi soggetti, con la conseguenza che la causa petendi delle relative azioni giudiziarie si identifica con i diritti stessi e non con il relativo titolo che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non svolge, per l'effetto, alcuna funzione di specificazione della domanda, ma è rilevante ai soli fini della prova (Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 2017, n. 4681; Cass. civ., sez. II, 30 aprile 2015, n. 8833). I giudici di legittimità pervengono ad una risposta positiva, evidenziando che la modifica della domanda è ammissibile anche nell'ipotesi dei diritti di obbligazione a condizione che il mutamento miri alla tutela di un credito relativo al medesimo bene della vita, che venga individuato mediante un diverso fatto costitutivo. Ciò in quanto il diritto resta unico poiché le fattispecie si escludono reciprocamente, non potendo applicarsi entrambe le norme (corrispondenti alle relative fattispecie legali) al medesimo episodio di vita. Purché sia rispettato il sistema di preclusioni processuali, il creditore può dunque dedurre, in relazione al medesimo diritto, un fatto costitutivo alternativo in quanto il concorso è di fattispecie legali e non di diritti. Solo nella ipotesi in cui il diverso fatto costitutivo del diritto di credito sia stato allegato nel rispetto del regime delle preclusioni processuali di cui all'art. 183 c.p.c., compete poi al giudice, nell'esercizio del potere di qualificazione del fatto allegato, collegarvi il corrispondente effetto giuridico in applicazione dell'art. 113, comma 1, c.p.c.. Osservazioni
Il principio jura novit curia esprime la regola secondo la quale il giudice, pur vincolato alla iniziativa delle parti nella ricostruzione del fatto, è libero nella individuazione del diritto da applicare alla fattispecie. Detto principio è fermamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il giudice ha sempre la possibilità di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite nonché all'azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (Cass. civ., sez. trib., 11 maggio 2017, n. 11629; Cass. civ., sez. lav., 13 dicembre 2010, n. 25140). Tale regola va coordinata con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all'art. 112 c.p.c., che viene violato quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d'ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato; restando, in particolare, preclusa al giudice la decisione basata non già sulla diversa qualificazione giuridica del rapporto, ma su diversi elementi materiali che inverano il fatto costitutivo della pretesa (Cass. civ., sez. lav., 24 luglio 2012, n. 12943). Dalla combinazione del principio iura novit curia con quello di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato discende, in definitiva, che il giudice di merito non può esercitare il proprio potere di qualificazione in diritto del fatto in mancanza dell'allegazione del fatto costitutivo del diritto fatto valere (o dell'opposizione dell'eccezione in senso stretto) essendogliene inibito il rilievo d'ufficio per essere l'allegazione a cura della parte requisito di validità della domanda (o di ingresso nel processo del fatto opposto dal convenuto nel caso dell'eccezione in senso stretto). Il giudice di legittimità, invece, può esercitare il potere di qualificazione giuridica nei limiti del fatto per come accertato dal giudice di merito, ferma la necessità che il relativo diritto sia stato fatto valere dalla parte e la non rilevabilità d'ufficio delle eccezioni in senso stretto.
|