Contratti bancari nell'impresa

Fabio Fiorucci
25 Ottobre 2017

I contratti bancari - ossia i contratti posti in essere da una banca nell'esercizio della sua attività d'impresa - sono contratti con cui gli istituti di credito provvedono a procurarsi denaro (raccolta del risparmio: ad es. deposito bancario) o ad impiegarlo (erogazione del credito: finanziamenti) ovvero a fornire servizi accessori (ad es. l'amministrazione dei titoli, la custodia delle cassette di sicurezza, il rilascio di assegni circolari). La disciplina dei contratti bancari è contenuta, oltre che nel codice civile (artt. 1834-1860), nel Testo unico bancario (D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385), che regola la trasparenza delle condizioni contrattuali e i rapporti con la clientela.
L'impresa bancaria

La banca svolge attività di intermediazione nella circolazione del denaro, interponendosi tra quanti offrono denaro e quanti lo richiedono. L'attività bancaria consiste, infatti, principalmente nell'esercizio di due operazioni tra loro funzionalmente connesse: la raccolta del risparmio tra il pubblico e l'esercizio del credito (art. 10 D.Lgs. n. 385/1993, Testo unico bancario).

Le operazioni di raccolta del denaro rappresentano un costo per le banche, poiché devono remunerare (con il pagamento degli interessi) i clienti che depositano o investono il proprio denaro, e per questo sono qualificate operazioni passive. Con i soldi procacciati dai risparmiatori (c.d. provvista), le banche esercitano l'attività di erogazione del credito a beneficio di imprese, enti pubblici e singoli individui, dalla quale ricavano un utile (operazioni attive). Il guadagno della banca è dunque rappresentato dalla differenza tra il costo, in termini di interessi passivi, della raccolta del risparmio e i maggiori interessi attivi percepiti mediante l'erogazione del credito.

Non deve essere taciuta la circostanza che nella prassi le banche concordano fra loro uniformi tassi attivi e passivi da praticare ai clienti (c.d. cartello bancario), a svantaggio di quest'ultimi, con buona pace di una sana concorrenza bancaria che condurrebbe, invece, ad un ribasso dei tassi attivi e/o un rialzo di quelli passivi.

Per quanto quella descritta sia una attività di impresa commerciale come tante altre, finalizzata alla produzione e allo scambio di beni e servizi (art. 2195 c.c.; art. 10 T.U.B.), l'impresa creditizia è soggetta a peculiari controlli perché coinvolge interessi generali costituzionalmente rilevanti, quali la tutela del risparmio, lo sviluppo economico e la stabilità del sistema finanziario (art. 47 Cost.).

L'esistenza di un esplicito riconoscimento costituzionale del risparmio, ovviamente da tutelare, impone una serie di stringenti verifiche sulle banche e la loro operatività, aventi ad oggetto

(a) la necessità di una autorizzazione da parte della Banca d'Italia per l'esercizio dell'attività bancaria, subordinata alla ricorrenza di specifiche condizioni (requisiti di onorabilità e professionalità per azionisti ed esponenti aziendali) che garantiscano una sana e prudente gestione;

(b) l'esercizio di penetranti poteri di vigilanza da parte delle Autorità creditizie (Banca d'Italia, Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, Ministero dell'economia e delle finanze);

(c) limiti alla partecipazione del capitale delle banche;

(d) una particolare disciplina delle crisi d'impresa e, per quanto qui più interessa, dei contratti per mezzo dei quali è esercitata l'attività bancaria di raccolta del risparmio ed erogazione del credito.

L'evoluzione dei contratti bancari

L'evoluzione dei contratti bancari - ossia di quei contratti posti in essere da una banca nell'esercizio della sua attività d'impresa - è significativamente ancorata allo sviluppo della disciplina in tema di tutela del contraente debole e di salvaguardia della concorrenza, ossia, in sostanza, ad una più generale evoluzione della realtà socio-economica.

Tutto inizia nel 1942, allorché il Codice civile dedica gli articoli da 1834 a 1860 ad alcuni contratti abitualmente utilizzati dalle banche (deposito bancario, cassette di sicurezza, apertura di credito bancario, anticipazione bancaria, conto corrente bancario, sconto bancario). La sintetica previsione normativa, programmaticamente rubricata in un apposito capo del codice civile, "Dei contratti bancari", è incompleta, non prevedendo il mutuo, assai diffuso nella prassi bancaria.

Le predette disposizioni codicistiche - che delineano una disciplina essenziale dei contratti bancari - nulla stabiliscono in tema di obblighi di trasparenza delle banche o forme di tutela della clientela bancaria. La sostanziale lacuna normativa è stata a lungo colmata (almeno fino agli inizi degli anni '90 del secolo scorso) dalle banche facendo ricorso alle cosiddette Norme bancarie uniformi (NUB), elaborate dall'Associazione bancaria italiana e finalizzate a disciplinare - a vantaggio della banca, sia beninteso -, gli aspetti salienti della contrattualistica bancaria, di fatto imponendo alla clientela condizioni operative e clausole contrattuali pressoché comuni all'intero sistema bancario.

Le Norme bancarie uniformi, in definitiva, hanno finito con il modificare e/o sostituire le previsioni codicistiche, anche in ragione della indubbia esigenza di standardizzazione degli schemi contrattuali, considerato il carattere di massa delle operazioni bancarie; deve aggiungersi che le banche rappresentano il tipico esempio di imprenditore che impone con la forza della propria posizione economica le condizioni della contrattazione, appunto le predette Norme bancarie uniformi, vere e proprie condizioni generali di contratto (rispetto alle quali trovano applicazione gli artt. 1341 e 1342 c.c.).

Perdurando tale stato di cose, a mitigare il palese squilibrio contrattuale nei rapporti banca-cliente ed a ridimensionare il valore vincolante delle Norme bancarie uniformi hanno contribuito, nel corso degli anni,

(a) gli interventi della Banca d'Italia, nella pregressa veste di autorità di tutela della concorrenza nel mercato bancario, che ha qualificato l'imposizione da parte dell'Associazione bancaria italiana delle Norme bancarie uniformi un'intesa lesiva della concorrenza, imponendo l'eliminazione di alcune clausole contrattuali;

(b) la disciplina sulle clausole vessatorie dettata per i contratti conclusi dalla banca con il cliente "consumatore";

(c) la normativa anti-usura (l. n. 108/1996);

(d) l'elaborazione giurisprudenziale: si vedano le decisioni della Cassazione nn. 2347, 3096 e 12507 del 1999 che hanno di fatto vietato l'anatocismo, ossia il computo degli interessi sugli interessi praticato dalle banche, ma anche la sentenza del 21 gennaio 2000 del Tribunale di Roma (sostanzialmente confermata in Cassazione), che ha censurato trentadue clausole contrattuali suggerite dall'Associazione bancaria italiana;

(e) il Testo unico bancario (d.lgs. n. 385/1993), soprattutto relativamente alla parte in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con la clientela.

La trasparenza delle condizioni contrattuali

Le norme recate dagli art. 115-120 del Testo unico bancario in tema di trasparenza bancaria costituiscono una modalità di erogazione del credito bancario, finalizzata a rimuovere/attenuare l'asimmetria informativa e contrattuale che caratterizza i rapporti banca-cliente (nonché ad accrescere la concorrenzialità del mercato). Quelle in discorso sono regole - derogabili solo in senso più favorevole al cliente (art. 127 T.U.B.) - volte a garantire una informazione corretta, chiara ed esauriente, che favorisca la comprensione delle caratteristiche, dei rischi e dei costi dei servizi offerti dalla banca. A tale riguardo sono previsti dalla Banca d'Italia standard minimi e generali di redazione dei documenti predisposti per la clientela.

Le disposizioni sulla trasparenza bancaria 'accompagnano' il cliente in ogni fase del rapporto banca-cliente, ossia (a) nella fase precontrattuale (obblighi delle banche di informazione chiara e comprensibile sulle condizioni economiche dei servizi offerti), (b) di stipula del contratto e (c) nella fase post-contrattuale, al fine di assicurare la trasparenza del rapporto banca-cliente anche durante la sua esecuzione (comunicazioni periodiche alla clientela).

In particolare, i contratti bancari (art. 117 T.U.B.) è stabilito che siano redatti per iscritto; la disposizione è posta ad evidente tutela del contraente debole, per la funzione protettiva e di responsabilizzazione del consenso tipica della forma scritta. In caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo. Un esemplare del contratto sottoscritto con la banca deve poi essere consegnato al cliente, non tanto per metterlo al riparo da successivi riempimenti dell'istituto di credito (come ben auspicabile...) ma per dotarlo di un documento ufficiale, riepilogativo delle condizioni contrattuali, da avere a riferimento per tutta la durata del rapporto (la eventuale mancata consegna, adempimento meramente esecutivo, non incide comunque sulla validità del contratto).

Relativamente al contenuto dei contratti bancari (art. 117, comma 4, T.U.B.), è prescritto che rechino sempre l'indicazione del tasso d'interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora (nulle sono le clausole che al riguardo rinviino agli usi). Ovviamente, le clausole formalizzate nel contratto devono essere le stesse che hanno formato oggetto della pubblicità precontrattuale (art. 116 T.U.B.), salvo che risultino più favorevoli al cliente. Nel contratto, infine, deve essere espressamente convenuta la possibilità, per la banca, di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali.

La modifica unilaterale delle condizioni contrattuali

L'avversata possibilità delle banche di modificare in senso sfavorevole al cliente le condizioni contrattuali ha solo di recente trovato una più equilibrata sistemazione normativa (art. 118 T.U.B.). È infatti ora previsto che nei contratti a tempo indeterminato (conto corrente, apertura di credito a tempo indeterminato) possa essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà della banca di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo (la modifica del tasso presuppone comunque la validità dell'originario tasso di interesse oggetto di variazione: quod nullum est, nullum producit effectum).

Negli altri contratti di durata (mutui, aperture di credito a tempo determinato) la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse, sempre che sussista un giustificato motivo. Quindi, in tale ultima ipotesi, il tasso fisso originariamente pattuito in un contratto di mutuo non potrà essere variato dalla banca in danno del cliente nel corso del rapporto.

Il divieto per le banche di modificare unilateralmente i tassi di interesse applicati ai contratti bancari a tempo determinato è assolutamente ragionevole, ben potendo la banca, operatore professionalmente qualificato, calcolare la redditività dei propri impieghi nell'ambito di un finanziamento a tempo determinato.

Resta inteso che la banca, nell'esercitare il c.d. ius variandi, non potrà comunque introdurre clausole nuove ma soltanto modificare quelle preesistenti, né potrà inserire condizione più sfavorevoli di quelle pubblicizzate al momento della variazione proposta.

Il lungimirante legislatore, al fine di evitare modificazioni arbitrarie della banca (moral hazard), ha opportunamente stabilito che la modifica unilaterale delle condizioni contrattuali in danno del cliente debba essere supportata da un giustificato motivo, ossia un evento significativo, di comprovabile effetto, che altera l'equilibrio contrattuale originario. Tale giusta causa può scaturire da un cambiamento oggettivo delle condizioni del mercato finanziario o dal peggioramento delle condizioni economico-patrimoniali del cliente; radicalmente esclusa è l'ammissibilità di un giustificato motivo soggettivo della banca (che casomai intenda compensare imprevisti costi gestionali o perdite d'esercizio con un aumento di prezzi e tassi di interesse dei servizi offerti.

Il giustificato motivo, determinato e verificabile, deve essere esplicitato nella comunicazione scritta al cliente con cui la banca propone la modifica unilaterale delle condizioni contrattuali (spetta alla banca dimostrare di aver proceduto alla comunicazione di rito). Tale comunicazione, recante ben evidente l'indicazione "Proposta di modifica unilaterale del contratto", deve obbligatoriamente essere inviata al cliente con un preavviso di almeno due mesi, e si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione. In tale caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all'applicazione delle condizioni precedentemente praticate. Nella realtà, praticamente mai il cliente è in condizione di recedere dal contratto, che significherebbe, ad esempio, restituire in unica soluzione il finanziamento concesso: la scelta non è, infatti, tra accettare o rifiutare la modifica unilaterale ma tra accettare o recedere dal contratto (la circostanza avvalora l'importanza del giustificato motivo).

Le prescrizioni normative del Testo unico bancario in materia di contratti sono blindate, essendo le stesse inderogabili, se non in senso più favorevole al cliente, e potendo le nullità da esse previste essere fatte valere solo dal cliente e dal giudice d'ufficio se vantaggiose/protettive per il cliente (art. 127 T.U.B.).

Fatte queste opportune quanto svelte premesse di carattere generale, è ora tempo di esaminare più da vicino, seppur succintamente, i singoli contratti bancari.

Il deposito bancario

Il deposito bancario (art. 1834 c.c.) è una tipica operazione passiva della banca, finalizzata a raccogliere il denaro dei risparmiatori che verrà successivamente impiegato dall'istituto di credito per la propria attività di finanziamento alle imprese e ai privati.

La banca acquista la proprietà del denaro depositato (c.d. deposito irregolare) e si obbliga a restituire la somma ricevuta, alla scadenza pattuita ovvero a richiesta del depositante, maggiorata degli interessi passivi concordati (la raccolta del risparmio rappresenta, come detto, un costo per la banca). Di regola, rispetto al deposito libero o 'a vista', in cui il cliente può richiedere in qualsiasi momento la restituzione totale e parziale delle somme depositate, il deposito vincolato, in cui è prestabilito un termine per la restituzione, è maggiormente remunerato, poiché la banca può fare stabile affidamento nella disponibilità delle somme depositate per la propria attività di finanziamento. In generale, comunque, gli interessi passivi corrisposti al risparmiatore sono abitualmente crescenti in rapporto all'ammontare della somma consegnata.

Nella prassi, il deposito bancario è supportato dal rilascio di un libretto di deposito a risparmio (conosciuto anche come libretto di conto corrente), che documenta le operazioni compiute, ossia prelevamenti e versamenti. Il deposito bancario può anche essere abbinato a un conto corrente: in tale circostanza, sempre in esecuzione del medesimo contratto di deposito, il depositante può eseguire una pluralità di successivi versamenti e prelevamenti, anche mediante l'utilizzazione di assegni (servizio cassa).

L'apertura di credito

L'apertura di credito - nella pratica bancaria nota anche come fido bancario o castelletto - è il contratto consensuale col quale la banca (accreditante) si obbliga a tenere a disposizione dell'altra parte (accreditato) una somma di denaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato (art. 1842 c.c.). È dunque una operatività riconducibile nell'ambito delle operazioni attive o di impiego della banca: l'apertura di credito è anzi il principale contratto bancario attivo.

Chi interessa? Chiunque abbia l'esigenza di avere costantemente a disposizione una certa somma di denaro per fronteggiare future ed eventuali concrete necessità, al momento non determinabili.

Come funziona? La banca diventa debitrice del cliente per la somma accreditatagli, e il cliente acquista il diritto di utilizzare il credito concessogli in tutto o in parte, in una o più soluzioni. Se e quando il cliente utilizza la provvista messagli a disposizione dalla banca, sorge a suo carico l'obbligo di restituire le somme prelevate, maggiorate del pagamento degli interessi stabiliti per contratto, che decorrono dal momento della utilizzazione del fido. La determinazione del tasso d'interesse dipende dal grado di rischiosità dell'affidato, della presenza di garanzie e dalla forza contrattuale del cliente.

L'obbligo di restituzione del capitale (c.d. rientro dal fido) deve essere adempiuto alla scadenza prestabilita se l'apertura di credito è a tempo determinato oppure quando una delle due parti dichiari, previo preavviso, di recedere dal contratto nell'apertura di credito a tempo indeterminato (art. 1845 c.c.).

Quando l'apertura di credito è in conto corrente, come normalmente avviene, il cliente può, nel corso dell'esecuzione del contratto, utilizzare più volte il credito accordatogli e può con successivi versamenti ripristinare la disponibilità. L'integrale restituzione delle somme prelevate da parte dell'accreditato non estingue l'apertura di credito in conto corrente, potendo il cliente effettuare nuovi prelievi.

L'apertura di credito può essere 'allo scoperto', in assenza di garanzie reali o personali a favore della banca, oppure garantita (ipoteca, pegno, fideiussione e simili). La ragione della richiesta di tali garanzie risiede nel maggior grado di rischio associato a tale forma tecnica.

L'anticipazione bancaria

L'anticipazione bancaria è una apertura di credito garantita, caratterizzata dalla circostanza che la garanzia della banca è costituita da pegno su merci o su titoli, in genere rappresentativi di merci (art. 1846 c.c.). In pratica, il produttore delle merci, in attesa di venderle, può costituire in pegno a favore della banca le merci o i titoli che le rappresentano e ricevere in anticipo dalla banca quanto confida di riscuotere dai compratori. La concessione del credito è principalmente commisurata al valore della garanzia (c.d. scarto), che può risentire delle variazioni di valore che i titoli e le merci subiscono in costanza di rapporto (art. 1850 c.c.). Per la banca, una siffatta operatività abbina una discreta redditività ad un rischio relativamente contenuto, grazie alla presenza delle garanzie.

L'istituto bancario provvede alla custodia delle merci, addebitando le relative spese, fino a quando sarà rimborsata l'anticipazione unitamente agli interessi, momento in cui dovrà restituire le merci e i titoli al cliente. Scaduto infruttuosamente il termine finale per il rimborso, la banca può procedere alla alienazione dei beni costituiti in pegno per recuperare le somme anticipate.

Nella prassi è anche frequente l'anticipazione bancaria garantita da pegno su crediti (art. 2800 c.c.). Funziona così: il venditore, venduta la merce e in attesa di incassarne il prezzo alla scadenza stabilita con i compratori, costituisce in pegno alla banca i relativi crediti (prezzo della vendita) ottenendo la immediata anticipazione del loro importo. La banca, alla scadenza, riscuote i crediti ricevuti in pegno e, detratti gli interessi e le spese, versa l'eventuale residuo al cliente.

Lo sconto bancario

Alle stesse esigenze di creazione di liquidità appena viste risponde anche il contratto di sconto bancario - che solo in senso lato assolve ad una funzione di credito -, con il quale la banca, previa deduzione dell'interesse, anticipa al cliente l'importo di un credito verso terzi non ancora scaduto mediante la cessione, salvo buon fine, del credito stesso (art. 1858 c.c.). L'operazione è molto diffusa nella prassi bancaria e commerciale, essendo raro il pagamento per contanti ed in una unica soluzione nei rapporti tra commercianti.

Lo sconto bancario ha prevalentemente ad oggetto titoli cambiari e si caratterizza come operazione pro solvendo: il debitore, quindi, garantisce l'esistenza del credito e risponde dell'insolvenza del debitore ceduto. A differenza dell'anticipazione su crediti, in cui il credito è dato in pegno a garanzia del rimborso della somma anticipata, nello sconto il credito è di fatto venduto alla banca, che corrisponde al cliente (di regola imprenditore o commerciante al dettaglio), quale prezzo di vendita, una somma inferiore all'importo nominale del prezzo, lucrando sulla differenza.

L'importo del credito anticipato dalla banca è decurtato degli interessi, spesso alquanto alti, che matureranno dal momento dell'anticipazione a quello di scadenza del credito ceduto. La forma più diffusa di sconto è quella cambiaria, cioè lo sconto praticato sulle cambiali presentate dal prenditore o dall'ultimo giratario.

Il conto corrente bancario

Alcune delle operazioni bancarie finora viste (deposito, apertura di credito) possono essere regolate in conto corrente, che nella fattispecie si atteggia a modalità operativa. È invece un contratto a sé stante, da cui nasce un vero e proprio rapporto obbligatorio tra la banca e il cliente, il conto corrente bancario, anche noto come conto corrente di corrispondenza, con cui la banca assume l'incarico, dietro corrispettivo (c.d. spese di commissione), di compiere pagamenti e/o riscossioni per conto del cliente dietro suo ordine (ad esempio, incasso di crediti, pagamento delle utenze domestiche, acquisto e vendita di titoli, pagamento delle rate del mutuo, assegni e simili). Particolarmente significativo è l'incarico di pagare una certa somma a terzi dietro presentazione di un assegno; nella fattispecie il contratto di conto corrente comporta la convenzione di assegno, con rilascio al correntista del relativo carnet o libretto.

Per lo svolgimento degli incarichi ricevuti, ma anche ai fini del rimborso delle relative spese e della remunerazione del servizio, è naturalmente necessario che il cliente abbia presso la banca una disponibilità monetaria, ossia un deposito bancario o una apertura di credito. Tutte le operazioni poste in essere dal correntista sono annotate sul conto in accredito e in addebito; la differenza risultante tra gli accrediti e gli addebiti è il saldo (attivo o passivo).

Dibattuta è la natura giuridica del conto corrente bancario, riconducibile ad un contratto consensuale innominato misto, nel quale confluiscono le figure giuridiche del deposito, dell'apertura di credito e del mandato. La banca, infatti, risponde secondo le regole del mandato per l'esecuzione di incarichi provenienti dal correntista o da altro cliente e si obbliga a ricevere il denaro versato dal cliente e a restituirlo a richiesta (art. 1856 c.c.). Alle operazioni in conto corrente bancario sono anche applicabili talune norme del contratto di conto corrente ordinario (art. 1857 c.c.) in materia di compenso della banca (spese e diritti di commissione), riscossione di crediti verso terzi e approvazione del conto.

Spesso al contratto di conto corrente è connessa la prestazione di ulteriori servizi, come quelli di Cassa continua versamenti e Bancomat.

Nell'ambito dei rapporti di conto corrente particolare importanza riveste l'estratto conto che periodicamente la banca è tenuta ad inviare al correntista, al fine di fornirgli una informazione chiara e completa dello svolgimento del rapporto. Nel dettaglio, l'estratto conto è un prospetto contabile dal quale risultano tutte le operazioni attive e passive poste in essere in un determinato periodo. Dal predetto prospetto si evince la natura delle operazioni, gli interessi, le spese, le commissioni ed infine il saldo attivo e passivo finale. Se non contestato entro sessanta giorni dal ricevimento, l'estratto conto si intende approvato dal correntista (art. 119 T.U.B.).

Le cassette di sicurezza

Oltre alle operazioni passive di raccolta del risparmio e attive di esercizio del credito, la banca svolge anche talune attività accessorie, che consistono in servizi che gli istituti creditizi, in virtù della loro organizzazione anche logistica, sono in condizione di rendere ai loro clienti. In quest'ultima categoria rientra il deposito in cassette di sicurezza (art. 1839 c.c.), che sono dei contenitori metallici collocati nei locali corazzati della banca (caveau), dotati di sistemi di allarme, in cui il cliente può deporre personalmente ciò che crede (di regola denaro, gioielli, titoli, documenti importanti), verso pagamento di un canone. Alla stipulazione del contratto il cliente riceve una chiave e una tessera dove è indicato il numero della cassetta e che dovrà essere consegnata quando si vuole procedere all'apertura.

Il sevizio di cassette di sicurezza realizza dunque la funzione di offrire ai clienti un sistema sicuro di custodia dei beni con il vantaggio della segretezza anche nei confronti della banca. Circa la natura giuridica del contratto, in esso sono presenti prestazioni tipiche di più contratti, locazione e custodia, per cui è preferibile qualificarlo come contratto misto o complesso.

La banca risponde verso l'utente (c.d. cassettista) per l'idoneità e la custodia dei locali e per l'integrità della cassetta, salvo il caso fortuito (art. 1839 c.c.). L'eventuale esonero di responsabilità della banca deve comunque essere valutato in termini di inevitabilità piuttosto che di imprevedibilità (secondo parte della giurisprudenza la banca risponde, dunque, dell'alluvione dei locali in cui sono custodite le cassette di sicurezza se gli stessi danni si sarebbero prodotti a causa di un guasto dell'impianto idrico, evento, quest'ultimo, prevedibile). Le previsioni contrattuali tendenti a limitare la responsabilità della banca fissando il valore massimo del danno risarcibile o il valore massimo dei beni da immettere in custodia sono state reiteratamente censurate dalla giurisprudenza di legittimità perché configurano, di fatto, clausole di esonero da responsabilità (art. 1229 c.c.). Per la prova del danno sono ammissibili la prova per testi e i giuramenti suppletorio ed estimatorio.

Ipotesi di apertura forzata della cassetta di sicurezza sono quelle di fallimento dell'intestatario (se rifiuta di consegnare la chiave al curatore), morte del cliente, espropriazione mobiliare o sequestro, ordine del magistrato penale.

Altro servizio accessorio è il deposito di titoli in amministrazione (art. 1838 c.c.), in forza del quale azioni, obbligazioni e titoli del debito pubblico possono essere affidati in custodia alla banca, che assume l'incarico, remunerato, di provvedere all'esercizio dei diritti inerenti ai titoli (riscossione di dividendi e di interessi, rimborso del capitale alla scadenza e simili). Il contratto in discorso adempie dunque una duplice funzione: custodia dei titoli ed amministrazione degli stessi. Sulla banca incombe l'obbligo di agire con la diligenza professionale (art. 1176 c.c.).

Il mutuo bancario

Menzione a parte merita, infine, il contratto di mutuo bancario, che realizza una funzione di prestito riconducibile nell'ambito delle operazioni attive della banca.

Il mutuo è un contratto, di regola oneroso, con il quale una parte (mutuante) consegna all'altra (mutuatario) una determinata quantità di denaro, o di altre cose fungibili, con assunzione da parte del mutuatario dell'obbligo di restituire altrettante cose della stessa specie e qualità (art. 1813 c.c.). Effetto essenziale del mutuo è il trasferimento della proprietà delle cose mutuate al mutuatario (art. 1814 c.c.): i giuristi romani, che la sapevano lunga, dicevano mutuo perché da mio diventa tuo. Un ulteriore elemento caratterizzante il mutuo è il necessario intervallo di tempo intercorrente tra il momento del conseguimento della disponibilità delle cose mutuate da parte del mutuatario e quello della loro restituzione, circostanza, tale differimento - di regola remunerato dall'attribuzione di interessi al mutuante per il sacrificio sopportato della mancata disponibilità delle cose mutuate - che ben delinea la struttura portante e la funzione creditizia di tale figura giuridica.

Oggetto del contratto di mutuo possono essere soltanto denaro o altre cose fungibili, in quanto è solo con riferimento a tale categoria di beni che alla scadenza pattuita potranno essere restituite tante cose della stessa specie e qualità.

Per comune riconoscimento il mutuo è considerato il ‘prototipo' della categoria dei contratti di credito. In esso trova, infatti, emblematica espressione la struttura fondamentale di tale tipologia di contratti, consistente appunto nel trasferimento della proprietà di una determinata quantità di denaro a favore del sovvenuto e dall'obbligazione di costui di restituirle dopo un certo tempo.

In ambito creditizio, la forma di prestito comunemente identificato come mutuo è un contratto di finanziamento consistente nel trasferimento di una somma di denaro dalla banca mutuante al soggetto richiedente mutuatario, caratterizzato dall'assunzione da parte di quest'ultimo dell'obbligo di restituire all'istituto bancario altrettanto denaro, maggiorato degli interessi convenuti tra le parti, secondo un piano di rimborso predefinito. È una operazione solitamente assistita da ipoteca (art. 38 e segg. T.U.B.), di regola di primo grado su immobili (finanziamenti dell'edilizia abitativa) o da privilegio su impianti e macchinari (finanziamenti all'industria e al commercio) per tutta la durata del prestito a garanzia dell'obbligo di restituzione della somma mutuata.

Una importante categoria di mutui sono quelli denominati di scopo. Sono tali quelle concessioni di credito caratterizzate dalla rilevanza della destinazione della somma concessa a mutuo, diretta a soddisfare un preciso interesse delle parti contraenti o di terzi (tipico l'esempio di un ente pubblico che richiede il finanziamento per la realizzazione di un'opera di pubblico interesse).

Riferimenti

Normativi

  • Artt. 1834 - 1860 c.c.
  • D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385
Sommario