Scioglimento del condominio
25 Settembre 2017
Inquadramento La cornice di riferimento normativo che disciplina il fenomeno relativo allo scioglimento del condominio si riviene negli artt. 61 e 62 disp. att. c.c., che la Riforma del 2013 non ha ritenuto opportuno modificare. Nello specifico, il primo articolo recita: «1. Qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio. 2. Lo scioglimento è deliberato dall'assemblea con la maggioranza prescritta dal secondo comma dell'articolo 1136 del codice, o è disposto dall'autorità giudiziaria su domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte dell'edificio della quale si chiede la separazione». Il testo del secondo articolo è il seguente: «1. La disposizione del primo comma dell'articolo precedente si applica anche se restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dall'articolo 1117 del codice. 2. Qualora la divisione non possa attuarsi senza modificare lo stato delle cose e occorrano opere per la sistemazione diversa dei locali o delle dipendenze tra i condomini, lo scioglimento del condominio deve essere deliberato dall'assemblea con la maggioranza prescritta dal quinto comma dell'articolo 1136 del codice stesso». Mentre nella comunione, la divisione - ossia l'atto di ripartizione del bene comune tra i compartecipi, che trasforma le quote della comunione in singole porzioni di proprietà esclusiva - rappresenta una fase, per così dire, fisiologica, essendone la sua naturale evoluzione e conclusione, uno degli elementi distintivi del condominio è la sua indivisibilità (v., al riguardo, Trib. Roma 3 febbraio 1994, nel senso che la natura contrattuale del regolamento non impedisce lo scioglimento del condominio qualora ricorrano i presupposti prescritti dagli artt. 61 e 62 att. c.c. e non osti il disposto dell'art. 1119 c.c., stante il principio generale di cui all'art. 1111 c.c. che riconosce a ciascun comunista il diritto potestativo di chiedere lo scioglimento anche della comunione sorta in virtù di contratto). Infatti, il diritto di chiedere lo scioglimento della comunione è un diritto potestativo, che può essere sempre esercitato dai compartecipi, salvo che non sia stato convenzionalmente contemplato un divieto che, però, non può superare i dieci anni o i cinque ove tale previsione sia contenuta in una disposizione testamentaria; lo scioglimento è, tuttavia, precluso se abbia ad oggetto beni che, se divisi, cesserebbero di servire all'uso cui sono destinati. Il concetto di edificio autonomo Orbene, nel condominio, l'art. 61 disp. att. c.c. prevede, al comma 1, che, qualora un edificio o un gruppo di edifici, appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi, si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto ed i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio separato. A questo punto, è rilevante individuare cosa esattamente si intenda per edificio «autonomo». Al riguardo, è stato evidenziato che il testo rivela un'ambiguità sintattica, poiché si condiziona lo scioglimento del condominio al fatto che l'edificio o il gruppo di edifici si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, dimenticando che, in un «gruppo di edifici», ogni edificio già costituisce una parte a sé, avente una sua autonomia (si fa notare, altresì, che, per lo scioglimento del condominio ad opera dell'autorità giudiziaria, si richiede la domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte dell'edificio di cui si chiede la separazione, mentre, per il gruppo di edifici, non si potrebbe parlare di parte dell'edificio, bensì di edificio tout court).
Il significato di «edificio autonomo», fissato da tale capoverso, va ricercato nel medesimo concetto di condominio, in funzione del quale la norma è posta, per limitarne il campo di estensione, e deve essere interpretato nel senso di «autonomia condominiale», in una situazione di cui più non sussiste la ragione di essere del condominio, ossia quell'uniformità e convergenza di interessi che giustifica e rende conveniente la gestione comune delle cose poste al servizio o all'utilità di tutti, per essersi tra i diversi corpi di fabbrica formati raggruppamenti che hanno interessi opposti o comunque distinti dagli altri, tali da far apparire inutile, se non pure dannoso, il mantenerli uniti sotto un unico rapporto. In proposito, la dottrina ha considerato autonomo l'edificio o la parte di esso allorché l'insieme dei piani o degli appartamenti, da cui risulta composto, sono posti in modo da costituire, con le parti accessorie e con i servizi comuni, un tutto unico a sé stante, che potrebbe, secondo i comuni criteri edilizi, qualificarsi come un caseggiato o come un edificio indipendente; si è precisato che l'autonomia statica non deve essere necessariamente assoluta, con riferimento cioè a tutti gli elementi che compongono la parte da separare, per cui quando gli appartamenti, con i quali si vuole fondare un condominio autonomo, costituiscono, ad esempio, tutta l'area destra dello stabile, ma uno di essi si spinge fin dentro l'ala sinistra, la separazione dovrebbe essere concessa. La giurisprudenza, dal canto suo, ha osservato che il tenore della norma esclude, di per sé, che il risultato della separazione si concreti in un'autonomia meramente amministrativa, poiché, più che ad un concetto di gestione, il termine «edificio» va riferito ad una costruzione la quale, per dare luogo alla costituzione di più condominii, deve essere suscettibile di divisione in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale, indipendentemente dalle semplici esigenze di carattere contabile (v., in passato, Cass. civ., sez. II, 18 luglio 1963, n. 1964; tra le pronunce di merito, si segnala Trib. Bergamo 16 dicembre 2002: nella specie, si è dichiarato lo scioglimento della comunione condominiale dei fabbricati di proprietà degli attori, quali corpi autonomi dal punto di vista strutturale e statico, trattandosi di edifici interi dal piano terra sino all'ultimo piano, con autonomi impianti di servizi - energia elettrica, riscaldamento, acquedotto, fognatura - e privi di compenetrazioni di altre proprietà comuni o individuali, pur nella permanenza della comunione con gli originari comproprietari di alcuni beni ex art. 1117 c.c., tra cui il portone e l'androne di ingresso, il cortile interno e l'impianto fognario di smaltimento delle acque meteoriche). I summenzionati rilievi sono stati ripresi, da ultimo, dal Supremo Collegio (Cass. civ., sez. II, 14 ottobre 2014, n. 21686); si è aggiunto che la sola estensione consentita a tale interpretazione è quella prevista dall'art. 62 cit., il quale fa riferimento all'art. 1117 c.c., ossia alle parti comuni dell'edificio, in quanto destinate in modo permanente al servizio generale ed alla conservazione dell'immobile, riguardato sia nel suo complesso unitario sia nella separazione di edifici autonomi; in questo ultimo caso, l'istituzione di nuovi condominii non è impedita dalla permanenza in comune delle cose indicate dal citato art. 1117, la cui disciplina d'uso potrà formare oggetto di particolare regolamentazione riferita alle spese e agli oneri relativi; al di fuori di tali interferenze di carattere amministrativo espressamente previste dalla legge, se la separazione del complesso immobiliare non può attuarsi se non mediante interferenze ben più gravi, interessanti la sfera giuridica propria di altri condominii, alla cui proprietà verrebbero ad imporsi limitazioni, servitù o altri oneri di carattere reale, si esclude che l'edificio scorporando possa avere una propria autonomia strutturale, pur essendo eventualmente autonoma la funzionalità di esso riferita alla sua destinazione e gestione amministrativa. Nella specie, la pronuncia di merito, uniformandosi agli enunciati principi di diritto, aveva correttamente escluso la possibilità di costituire delle porzioni immobiliari aventi la caratteristica di edifici strutturalmente autonomi, in considerazione dello stato dei luoghi, caratterizzato da sovrapposizioni ai vari piani e da interferenze di natura strutturale ricollegabili, tra l'altro, alle intersezioni della scala condominiale nella proprietà di un condomino e della fossa dell'ascensore condominiale rispetto al piano terra di quest'ultimo; la valutazione espressa al riguardo dal giudice appariva, d'altronde, conforme alle obiettive risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, da cui era emerso che, pur possedendo un dato stabile un elevato grado di autonomia non solo di destinazione ma anche funzionale - in considerazione dell'accesso indipendente, degli allacciamenti e contatori distinti alla rete dell'acqua potabile, del gas e dell'energia elettrica nonché dell'assenza di comunicazioni tra le due porzioni ideali in cui lo stabile andrebbe diviso - il corpo di fabbrica condominiale presentava una serie di interferenze materiali e strutturali, intese come confinanza all'interno dello stesso piano tra le unità rispettivamente di proprietà esclusiva e sovrapposizioni di porzioni di edificio, su piani sovrastanti, di unità di proprietà esclusiva dei vari condomini; ne conseguiva che la presenza di siffatte interferenze materiali, involgenti elementi strutturali essenziali (quali le fondazioni, la facciata, il perimetro) risultava di per sé ostativa alla possibilità di pervenire alla costituzione di due parti di edificio indipendenti, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale. Orbene, la summenzionata ipotesi di scioglimento si può riscontrare ogni qual volta il preesistente unico condominio sia costituito da una pluralità di edifici o di corpi di fabbrica distinti facenti parte di un unico (più ampio) complesso immobiliare, che, quindi, possono costituirsi in singole strutture autonome (più agili); tale possibilità viene incontro a tutte le esigenze di semplificazione di una gestione originaria estremamente articolata, caratterizzata da un numero rilevante di partecipanti e dalla difficile composizione degli eventuali contrapposti interessi. Nelle moderne metropoli, questa situazione si registra talvolta allorché il complesso immobiliare si sviluppa orizzontalmente ed è composto da più scale, che suggeriscano la formazione di distinti condominii, tra i quali non si esclude che restino in comune alcune parti comuni - come, ad esempio, il locale di portineria, il giardino, il parco giochi, il cortile, il viale di ingresso, i campi da tennis, le piscine, l'impianto termico ed idrico - il che darà vita al c.d. supercondominio, che, peraltro, può essere costituito sin dalla realizzazione del predetto complesso e non a seguito della divisione di cui agli artt. 61 e 62 citati. Invero, il fenomeno del c.d. supercondominio si verifica sia che si tratti di cose, che restano in comune tra gli edifici separati successivamente allo scioglimento, sia se le cose siano comuni, ab origine, a far tempo della costruzione, ad edifici distinti e costituiti in condominii autonomi; tale seconda ipotesi si attua sia nelle lottizzazioni al mare, in montagna o nelle località di villeggiatura, dove gli aggregati sono di solito costituiti da villette o da costruzioni plurifamiliari, sia nei moderni centri residenziali urbani. In quest'ultima fattispecie, la costituzione del supercondominio viene sancita o con la redazione di un regolamento convenzionale, ossia adottato da tutti i partecipanti, di regola predisposto dall'originario costruttore del complesso edilizio, il quale stabilisce che le singole palazzine siano organizzate in condominii autonomi, mentre le aree, i beni ed i servizi in comune siano retti da un'ulteriore organizzazione supercondominiale - così ogni acquirente delle singole porzioni immobiliari automaticamente, all'atto dell'acquisto, entra a far parte di entrambe le organizzazioni condominiali - oppure mediante un atto formale ad hoc, rappresentato dalla delibera assembleare di ciascun condominio dei predetti edifici. Valendo per analogia i principi vigenti per la costituzione del condominio, coerentemente i giudici di legittimità hanno, di recente, puntualizzato che, ai fini della costituzione di un supercondominio, non è necessaria né la manifestazione di volontà dell'originario costruttore, né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, essendo sufficiente che i singoli edifici abbiano, materialmente, in comune alcuni beni/servizi/impianti, ricompresi nell'àmbito di applicazione dell'art. 1117 c.c. - quali, ad esempio, il viale di ingresso, l'impianto centrale per il riscaldamento, i locali per la portineria, l'alloggio del portiere - in quanto collegati da un vincolo di accessorietà necessaria a ciascuno degli stabili, spettando, di conseguenza, a ciascuno dei condomini dei singoli fabbricati, la titolarità pro quota su tali parti comuni e l'obbligo di pagare gli oneri condominiali relativi alla loro manutenzione (Cass. civ., sez. II, 31 gennaio 2008, n. 2305). Le modalità di scioglimento dell'originario condominio Il comma 2 dell'art. 61 disp. att. c.c. stabilisce che il summenzionato scioglimento può essere deliberato dall'assemblea dei condomini, con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., ossia con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell'edificio (e, quindi, eccezionalmente rispetto al consenso unanime dei partecipanti alla comunione); tale delibera dovrà disciplinare anche la sorte e la destinazione delle cose comuni, la ripartizione di quelle di cui è possibile effettuare la separazione ed il distacco, la regolamentazione dello stato giuridico di quelle rimaste in comunione, la determinazione delle opere indispensabili, ove occorrano, per la modifica dello stato delle cose nonché la diversa sistemazione dei locali e delle dipendenze (v. appresso). Lo stesso scioglimento può essere disposto dall'autorità giudiziaria su domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte dell'edificio della quale si chiede la separazione. Il successivo art. 62 disp. att. c.c. contempla, inoltre, la possibilità dello scioglimento del condominio, anche se restano in comune, con gli originari partecipanti, «alcune delle cose indicate dall'art. 1117 c.c. (comma 1)»; sembra che il riferimento venga fatto ai beni strumentali e non a quelli che esulano dalla suddetta elencazione, ma, a ben vedere, nel condominio complesso, possiamo trovare un unico servizio di portierato, un unico servizio di riscaldamento o di condizionamento, un unico impianto fognario, ma anche servizi sportivi, quali campo da tennis, bocce, piscina, ecc. Qualora, infine, la divisione non possa attuarsi senza modificare lo stato delle cose ed occorrano opere per la sistemazione diversa dei locali o delle dipendenze tra i condomini (comma 2), lo scioglimento del condominio deve essere deciso dall'assemblea con la maggioranza dell'art. 1136, comma 5, c.c., in pratica, quella contemplata per le innovazioni c.d. ordinarie, ossia un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed i due terzi del valore dell'edificio (quorum leggermente modificato a seguito della l. n. 220/2012, laddove prima si faceva riferimento alla maggioranza dei partecipanti al condominio). La possibilità di ricorrere all'autorità giudiziaria Ci si interroga se, in quest'ultimo caso, mancando un'espressa previsione in tal senso, si possa fare ricorso al giudice. In effetti, nel comma 2 del citato art. 62 disp. att. c.c., manca la previsione della possibilità di adire il magistrato, ma, se per la separazione siano necessarie delle innovazioni, appare corretto ritenere che l'azione giudiziaria si presenti inutile, non potendo comunque il magistrato adìto disporre dette innovazioni (in tal senso, v., nella giurisprudenza di merito, Trib. Napoli 2 agosto 1974); peraltro, riconoscendo il potere di disporre lo scioglimento al magistrato anche in tale ipotesi, non vi sarebbe stato motivo di richiedere una maggioranza speciale per la delibera dell'assemblea, ben potendo la minoranza interessata allo scioglimento by-passarel'assemblea rivolgendosi al giudice, il quale, anche quando l'assemblea volesse decidere negativamente o viceversa, potrebbe sostituirsi ad essa disponendo quelle modifiche e quelle opere necessarie perché l'edificio possa avere la necessaria autonomia. Pertanto, alla stregua di una corretta interpretazione degli artt. 61 e 62 disp. att. c.c., è ragionevole ritenere che l'autorità giudiziaria possa disporre lo scioglimento di un condominio solo quando il complesso immobiliare sia suscettibile di divisione, senza che si debba attuare una diversa ristrutturazione in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale, mentre, laddove la divisione non sia possibile senza previa modifica dello stato delle cose mediante ristrutturazione, lo scioglimento e la costituzione di più condominii separati possono essere approvati soltanto dall'assemblea con un numero di voti che sia espressione di due terzi del valore dell'edificio e rappresenti la maggioranza degli intervenuti alla riunione (v., di recente, Cass. civ., sez. II, 19 dicembre 2011, n. 27507). In proposito, è stato acutamente rilevato che il testo del citato art. 62 sembra contraddire tanto l'assunto che l'autonomia fisica («le caratteristiche degli edifici autonomi») costituisca il presupposto materiale e giuridico per addivenire alla separazione, quanto il concetto stesso di autonomia, intesa come costruzione indipendente; invero, dalla competenza riconosciuta all'assemblea di deliberare lo scioglimento de quo «qualora non possa attuarsi senza modificare lo stato delle cose ed occorrano opere per la sistemazione diversa dei locali o delle dipendenze dei condomini», potrebbe desumersi la competenza dell'organo collegiale di decidere l'esecuzione di lavori necessari a determinare l'autonomia fisica che non esiste, ossia la competenza di decidere l'esecuzione delle opere indispensabili per creare ex novo l'indipendenza materiale del caseggiato; al contempo, l'ammissibilità della separazione, anche se tra gli originari partecipanti restano in comune alcune cose elencate nell'art. 1117 c.c., sembra negare in radice la stessa rilevanza dell'autonomia dell'edificio, perché consente la separazione quando, a rigore, l'indipendenza vera e propria non si riscontra; resta inteso che, se le caratteristiche di edifici autonomi non sussistono, l'assemblea non possa decidere le opere necessarie a realizzare tale autonomia, sicché, quando il comma 2 dell'art. 62 cit. parla di «opere di modifica e di sistemazione diversa», sembra riferirsi piuttosto a quei lavori di aggiustamento e di rifinitura che agevolano l'uso e la gestione separati, quando l'indipendenza di fatto tra le costruzioni esiste, senza determinare la trasformazione ed il mutamento radicali. Casistica
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