Litispendenza
26 Ottobre 2017
Il termine litispendenza può avere due distinti significati. In primo luogo, indica la pendenza della causa, la quale va individuata nel giorno in cui viene notificato l'atto di citazione per quel che concerne il rito ordinario (e, in genere, per tutti processi che iniziano con tale atto introduttivo).
Per i processi che iniziano con ricorso, invece, si ha riguardo alla data in cui l'atto introduttivo viene depositato nella cancelleria del giudice adito. In ogni caso, la litispendenza cessa col passare in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, sia essa o meno di merito. In secondo luogo, il termine litispendenza indica il fenomeno in cui si vengono a trovare due processi aventi ad oggetto la stessa identica causa, purché essi pendano davanti a due uffici giudiziari diversi. In tal caso, onde evitare uno spreco di attività processuale e soprattutto per scongiurare il rischio della coesistenza di due giudicati praticamente confliggenti, l'art. 39 c.p.c. impone al giudice “successivamente adito” di troncare il processo pendente davanti a sé, dichiarando con ordinanza la litispendenza e disponendo contestualmente la cancellazione della causa dal ruolo (così esemplificativamente Trib. Bari, 13 gennaio 2015, secondo cui l'art. 39, comma 1, c.p.c. è norma di ordine pubblico processuale, la quale non consente che il medesimo giudice o giudici diversi statuiscano due volte sulla stessa domanda e determina l'improcedibilità del processo che nasca dalla indebita reiterazione di controversia già in corso). Detta regola ha carattere generale: essa, infatti, è applicabile anche al processo amministrativo, per effetto del rinvio generale esterno di cui all'art. 39, d.lgs. n. 104/2010, c.d. codice del processo amministrativo: TAR Molise Campobasso, sez. I., 9 giugno 2017, n. 224). La litispendenza in senso stretto
Dunque, come accennato, per l'operatività del meccanismo di cui all'art. 39 c.p.c. occorre innanzitutto che due processi aventi l'identica domanda giudiziale pendano davanti ad uffici giudiziari diversi. Tali non sono le sezioni distaccate di uno stesso Tribunale, costituendo articolazioni interne del medesimo ufficio giudiziario (App. Palermo, 3 luglio 2017). Laddove le cause identiche o connesse pendano dinanzi al medesimo ufficio giudiziario, trovano applicazione gliartt. 273 e 274 c.p.c., ovvero, quando ragioni di ordine processuale impediscano la riunione e una causa sia pregiudiziale rispetto all'altra o sia già giunta a sentenza, gli istituti della sospensione, di cui agli artt. 295 e 337 c.p.c. (Trib. Lecce, 7 marzo 2017). Deve inoltre trattarsi di uffici diversi del medesimo ordine giudiziario; se così non fosse, la coesistenza dei due distinti processi va regolata applicando le regole processuali sulla giurisdizione ed in caso di decisioni confliggenti, con i rimedi previsti per i conflitti tra giurisdizioni, di cui all'art. 362 c.p.c. (Cons. Stato, sez. V., 16 febbraio 2015, n. 806; Cass. 6 ottobre 1981 n. 5243). Invero, per effetto della generalizzata applicazione del principio della translatio iudicii fra giudici ordinari e giudici speciali, di cui all'art. 59 l. n. 69/2009, forse la questione andrebbe rimeditata. Fino a qualche anno fa la giurisprudenza prevalente escludeva l'applicazione dell'art. 39 c.p.c. nell'ipotesi di contestuale pendenza di due cause identiche in due gradi diversi. Di recente la giurisprudenza ha mutato parere affermando che, in ossequio al principio della prevenzione e allo scopo di non favorire l'abuso dello strumento processuale, l'istituto della litispendenza è applicabile anche quando le due cause identiche pendono in gradi diversi (Cass. civ., Sez. Un., 12 dicembre 2013, n. 27846), per cui, qualora la medesima causa venga introdotta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito è tenuto a dichiarare la litispendenza, rispetto alla causa identica precedentemente iniziata, anche se questa, già decisa in primo grado, penda davanti al giudice dell'impugnazione (da ultimo, Trib. Bergamo, 4 aprile 2017). Merita però di essere precisato che non si versa in ipotesi di litispendenza nel caso siano proposti avverso lo stesso provvedimento due diversi mezzi di impugnazione, dei quali uno solo previsto dalla legge, perché il giudice dinanzi al quale è stato proposto il gravame ammissibile dovrà decidere sulla impugnazione, mentre l'altro dovrà dichiarare inammissibile il mezzo del quale è stato investito (Cass. civ., sez. III, 27 agosto 2014, n. 18312). Non vi è dubbio invece che la litispendenza vada esclusa ove la medesima causa penda davanti all'autorità giudiziaria ordinaria e davanti ad un collegio arbitrale, trattandosi in tal caso di una questione di competenza da risolvere in relazione all'esistenza, contenuto e limiti di validità del compromesso o della clausola compromissoria (Cass.civ., sez. I, 9 gennaio 2008 n. 178). Il criterio dell'art. 39 c.p.c. non opera nemmeno nel caso di pluralità di procedimenti prefallimentari a carico dello stesso debitore innanzi a tribunali diversi, giacché il conflitto, reale o virtuale, che ne discende potrà essere regolato solo dopo la dichiarazione di fallimento, alla stregua dell'art. 9-ter, l. fall. (Cass. civ., sez. I, 10 agosto 2016, n. 16951).
Ricorre la litispendenza quando fra due (o più) giudizi sussiste identità, oltre che dei soggetti, anche del petitum e della causa petendi (intesa come fatto costitutivo della domanda), a nulla rilevando, nella ricorrenza dell'identità dei due elementi oggettivi, che un soggetto assuma formalmente in un giudizio la qualità di attore e nell'altro la qualità di convenuto (Cass. civ., 12 luglio 2002, n. 10195).
Si discute se ricorra una ipotesi di litispendenza in presenza di azioni contrapposte proposte dalle stesse e volte ad opposti accertamenti della medesima situazione sostanziale, come accade nelle ipotesi ricorrenti dell'azione di accertamento negativo del debito contrapposta all'azione di condanna esperita dal creditore. La giurisprudenza esclude l'applicabilità del primo comma dell'art. 39 c.p.c., a causa della diversità di petitum delle due azioni, essendo una delle due cause volta alla condanna oltre che all'accertamento del rapporto (Cass. civ.,Sez. Un., 28 maggio 1998, n. 5295). Quanto al concetto di identità delle parti non basta accertare naturalmente la semplice identità delle persone che concretamente stanno in giudizio, dovendosi tener conto che esse possono stare in giudizio in qualità diverse, come accade laddove un soggetto agisca in un processo in proprio e nell'altro quale rappresentato. Merita però di essere precisato che per l'operare del meccanismo della litispendenza conta la nozione di parte in senso sostanziale. Nella giurisprudenza comunitaria, ai fini dell'interpretazione delle norme in materia di litispendenza internazionale di cui al Reg. CE 44/2001, si è andata via via affermando una nozione più ampia di causa identica, ricollegabile più al criterio di rischio di contraddizione fra i giudicati, che non alla vera e propria identità dell'azione esercitata nei due processi (CGCE, 6 dicembre 1994, n. 406, Tatry, in Giur. it. 1995, I, 1, 929). Detta nozione, tuttavia, non è stata recepita dalla nostra giurisprudenza, rientrando dette fattispecie nell'ambito della continenza, se non addirittura nella connessione di cause (sulla nozione di causa identica in ambito europeo, v. infra). La litispendenza parziale
La litispendenza può ben atteggiarsi anche come meramente parziale: tale fenomeno si verifica in presenza di due cause pendenti tra le stesse parti e con identità di causa petendi e di petitum nel caso in cui una di esse abbia ad oggetto più domande, una sola delle quali identica a quella avanzata nell'altro procedimento. In tal caso, la litispendenza verrà dichiarata con riferimento ad una soltanto delle cause proposte (v. da ultimo, Cass. civ., sez. VI, 5 agosto 2015, n. 16454).
La prevenzione
Per capire come si stabilisce quale sia il processo sorto per primo occorre guardare all'art. 39, comma 3,c.p.c. come modificato dalla l. n. 69/2009, secondo cui la prevenzione è determinata dalla notificazione della citazione ovvero dal deposito del ricorso. Precisa la giurisprudenza di legittimità che, ai fini dell'applicazione del criterio della prevenzione, occorre avere riguardo al momento in cui la notifica si è perfezionata con la consegna al destinatario (o a chi sia abilitato a ricevere l'atto), che non viene anticipato nel caso in cui tra due cause, rispetto alle quali si ponga un problema di litispendenza, una sia introdotta con ricorso e l'altra con citazione (Cass. civ., Sez. Un., 6 novembre 2014, n. 23675). Laddove più ricorsi identici vengano depositati nello stesso giorno, è legittimo fare riferimento, quale fatto processuale immediatamente successivo al deposito dell'atto introduttivo, ed in assenza di prova della data di notifica degli atti introduttivi, alla data di fissazione dell'udienza di discussione (Cass. civ., sez. VI, 10 novembre 2016, n. 22947). In caso di accoglimento della domanda cautelare proposta ante causam, seguito da rituale inizio del giudizio di merito, ai fini dell'individuazione del giudice preventivamente adito deve tenersi conto della data di instaurazione del procedimento cautelare e non del processo di merito, a causa dell'inequivocabile collegamento che la norma impone tra ordinanza di accoglimento e causa di merito, anche in base al testo dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c., il quale ha attenuato, ma non escluso, il vincolo di strumentalità tra la misura ed il giudizio di merito, e considerando altresì come la proposizione della domanda cautelare ante causam al giudice competente a conoscere del merito ex art. 669-terc.p.c. preannunci una scelta processuale che, per il principio di autoresponsabilità e di affidamento processuale, vincola la parte ricorrente e onera quella resistente ad eccepire l'incompetenza già in sede cautelare (Cass. civ., sez. VI, 9 giugno 2015, n. 11949, in Riv. dir. proc., 2016, 536, con nota di Guarnieri). In caso di riassunzione ex art. 50 c.p.c., il processo continua davanti al giudice competente, sicché, ai fini della prevenzione, il tempo d'inizio del processo è quello della notifica dell'atto introduttivo davanti al primo giudice, seppur incompetente (Cass. civ., sez. VI, 2 ottobre 2015, n. 19773). Nel procedimento monitorio, infine, escluso che possa darsi litispendenza fra processi a struttura diversa e, quindi, fra il processo di cognizione ordinaria e le fasi sommarie dei procedimenti speciali, la giurisprudenza - con specifico riguardo alla relazione di continenza fra azione di condanna monitoria e contrapposta azione di mero accertamento negativo - riconosce che la pendenza è determinata dalla notifica del decreto e del ricorso ex art. 643, comma 3, c.p.c. ma che i suoi effetti «retroagiscono al momento del deposito del ricorso» (Cass. civ., Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20596). La declaratoria di litispendenza e la relativa impugnazione
La litispendenza è rilevabile anche d'ufficio in qualunque stato e grado del processo (dunque anche in Cassazione), salvo soltanto il limite del giudicato operante se l'eccezione sia stata sollevata e respinta da uno dei giudici dei diversi gradi di giudizio e la relativa decisione non sia stata impugnata. La declaratoria di litispendenza presuppone che il processo preveniente possa dirsi effettivamente pendente. Pertanto, le questioni in tema di litispendenza vanno decise con riferimento alla situazione processuale esistente al momento della relativa pronuncia, dovendosi tenere conto anche delle vicende processuali sopravvenute, sicché, in caso di intervenuta definizione di uno dei due giudizi pendenti, cessano le condizioni per l'applicabilità dell'art. 39 c.p.c. (Cass. civ., sez. VI-1, 17 settembre 2015, n. 18252). Vi è da chiedersi se tale principio possa dirsi operante anche per il caso in cui uno dei due processi sia solo quiescente, come può accadere nel caso diprocesso non ancora iscritto a ruolo dopo la notifica della citazione introduttiva o di processo interrotto o sospeso per accordo delle parti: parte della dottrina, sul presupposto che il processo è formalmente pendente in ogni suo "stato e grado" pur se quiescente, afferma che la pendenza effettiva potrebbe escludersi solo in caso di già intervenuta estinzione, conciliazione giudiziale o sentenza passata in giudicato. Spetta alla parte che eccepisce la litispendenza produrre la relativa idonea documentazione; ciò anche laddove detta questione sia stata sollevata in Cassazione, non essendo soggetti alla preclusione disposta dall'art. 372 c.p.c. gli atti concernenti questioni proponibili in ogni grado di giudizio e rilevabili d'ufficio, come la questione relativa alla litispendenza (Cass. civ., sez. VI – 2, 22 dicembre 2016, n. 26862). La pronuncia di litispendenza non presuppone alcuna indagine sulla competenza del giudice adito per primo (Cass. civ., 26 novembre 2002, n. 16724, in Foro it., 2003, I, 2135). Coerentemente con le modifiche introdotte a proposito delle pronunce sulla competenza, il primo comma dell'art. 39 c.p.c. prevede che la litispendenza sia dichiarata con ordinanza, la quale, al pari della declaratoria di incompetenza, resta impugnabile con il regolamento di competenza (artt. 42-44 c.p.c.). Laddove il giudice, unitamente alla litispendenza, decida anche ulteriori questioni, di rito o di merito, dovrà emettere sentenza. Se la pronuncia sulla litispendenza è resa con ordinanza, essa dovrà contestualmente ordinare la cancellazione dal ruolo; detto provvedimento sarà reso con separata ordinanza solo se la pronuncia di litispendenza è resa con sentenza. Precisa la Cassazione (Cass. civ., sez. VI, 16 marzo 2017, n. 6826) che qualora il giudice abbia dichiarato la litispendenza tra due giudizi e, contestualmente, preso in esame la domanda formulata dalla parte attrice, accogliendola nel merito, la sentenza, benché unica sotto il profilo formale, contiene diverse decisioni, ciascuna relativa alle varie domande proposte. Ne consegue che il capo relativo alla pronuncia sulla litispendenza - essendo autonomo dagli altri e di tipo esclusivamente processuale - può essere impugnato soltanto con l'istanza di regolamento di competenza. Secondo l'opinione dominante, in virtù della dichiarazione di litispendenza, il secondo processo è definitivamente eliminato e non può essere riassunto né davanti il giudice preventivamente adito, né davanti il giudice autore della pronuncia, salva soltanto l'impugnazione della pronuncia con regolamento di competenza. Infine, il giudice deve pronunciarsi espressamente non solo quando non dichiara, ma anche quando nega la litispendenza.
La litispendenza internazionale
Qualora la situazione contemplata dal primo comma dell'articolo 39 c.p.c. coinvolga, oltre al giudice italiano, anche il giudice di un altro Stato siamo in presenza della litispendenza internazionale disciplinata dall'art. 7, l.n. 218/1995. Stando a tale norma, «quando, nel corso del giudizio, sia eccepita la previa pendenza tra le stesse parti di domanda aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo dinanzi a un giudice straniero, il giudice italiano, se ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetto per l'ordinamento italiano, sospende il giudizio». Dalla lettura della norma si evince agevolmente che molte sono le differenze tra l'istituto italiano e quello di cui alla legge sul diritto internazionale privato. In primo luogo, almeno stando alla dottrina, la litispendenza può essere eccepita solo dalla parte interessata; si ritiene tuttavia che se è vero che detta eccezione non può dunque essere qualificata in senso lato, non vi sono limitazioni temporali a che essa venga fatta valere; pertanto, le parti la potranno sollevare in ogni stato e grado del giudizio (Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, I, I principi, Bari, 2015, 166). In senso contrario, si pone tuttavia la giurisprudenza, secondo cui la litispendenza internazionale può essere dichiarata d'ufficio, atteso che la ratio dell'art. 7, comma 1, l. n. 218/1995, diretta a favorire l'economia dei giudizi e ad evitare conflitti tra giudicati, non consente di subordinare all'eccezione di parte l'intervento sospensivo del giudice. Ne consegue che la formulazione letterale della menzionata norma va intesa nel senso che la litispendenza deve essere dichiarata dal giudice quando l'esistenza dei relativi presupposti emerga dagli elementi offerti dalle parti (Cass. civ., Sez. Un., 28 novembre 2012, n. 21108). Secondariamente, il criterio della prevenzione, a mente dell'art. 7, comma 2, l. n. 218/1995 si determina secondo la legge dello Stato in cui il processo si svolge. Ancora, quando il giudice italiano, successivamente adito, accoglie l'eccezione di litispendenza, non dovrà provvedere alla declaratoria di litispendenza e alla contestuale cancellazione della causa dal ruolo, ma dovrà sospendere il giudizio sempre che il provvedimento straniero sia passato in giudicato e divenga efficace nel nostro ordinamento, ricorrendo le condizioni previste dall'art. 64, l. n. 218/1995 per il riconoscimento delle sentenze straniere. Dunque, la dichiarazione di litispendenza internazionale comporta la sola sospensione della causa e non la sua cancellazione dal ruolo, di modo che se il giudizio straniero non dovesse giungere ad un provvedimento definitivo o il giudice adito dovesse declinare la propria giurisdizione, il processo potrebbe essere riassunto in Italia su istanza della parte interessata. La litispendenza comunitaria
Al regime giuridico stabilito dalla l. n. 218/1995 si accompagna quello sulla litispendenza comunitaria contenuto (prima nell'art. 27 Reg. UE n. 44/2001 ed ora) nell'art. 29 Reg. UE n. 1215/2012. Disciplinata per la prima volta nella Convenzione di Bruxelles del 1968 e poi nel Regolamento Bruxelles I, ossia il Reg. n. 44/2001, la litispendenza comunitaria è stata oggetto di un'ampia interpretazione giurisprudenziale durata decenni, la quale ha precisato di volta in volta l'ampiezza dei presupposti e gli effetti della litispendenza. Rispetto al precedente art. 27 Bruxelles I, l'art. 29 Reg. UE n. 1215/2012 si arricchisce nel nuovo regolamento di un ulteriore comma. Al comma 2 viene, infatti, introdotta la possibilità che i giudici appartenenti a diversi Stati membri dialoghino tra loro “senza indugio” per conoscere le date in cui le rispettive giurisdizioni sono state adite, in base all'art. 32. Ciò mira a risolvere ogni conflitto e ritardo circa la determinazione della data di pendenza tra giudizi concorrenti, a differenza di quanto accadeva in passato. Per il resto, la regola tradizionale non subisce cambiamenti né quanto ai presupposti né in merito agli effetti. Come può notarsi dalla stessa lettura della norma, il legislatore comunitario ripone una maggiore fiducia nella idoneità del procedimento pendente all'estero a dar luogo ad una decisione riconoscibile negli altri Stati contraenti a patto che in esso sia appurata la giurisdizione. Pertanto, laddove pendano due cause identiche davanti a giudici di differenti Stati europei, il giudice successivamente adito, a prescindere da ogni valutazione circa le possibilità di riconoscimento del provvedimento straniero, d'ufficio sospende il procedimento fino a quando non venga accertata la competenza in ordine alla causa preveniente.
Se viene accertato il difetto di giurisdizione del giudice preventivamente adito, il secondo processo potrà continuare; in caso contrario, il secondo il giudice dovrà dichiarare immediatamente la propria incompetenza giurisdizionale, a prescindere dalla eventuale impossibilità di riconoscere il provvedimento straniero nel proprio ordinamento. Laddove ciò accada (i.e. laddove la decisione straniera pronunciata al termine del primo processo non possa essere riconosciuta), il processo che si era concluso con una decisione di litispendenza dovrà purtroppo ricominciare da capo. Va tuttavia affermato che quest'eventualità è altamente improbabile poiché i motivi che impediscono il riconoscimento di una decisione emessa all'interno dell'Unione Europea sono molto ridotti (v. sul punto l'art. 45 Reg. UE n. 1215/2012). Peraltro, come è noto, per la Corte Giustizia dell'Unione Europea sussiste litispendenza non solo quando vi è identità formale delle domande, ma anche quando esse hanno oggetti diversi, tra loro contrapposti ed incompatibili, derivanti da uno stesso rapporto.
Le norme comunitarie si applicano in tutti i casi in cui si prospetti una situazione di litispendenza nell'ambito delle materie civili e commerciali. La materia arbitrale è dunque esclusa dal campo di applicazione del Reg. CE 44/2001 e UE 1215/2012. Senonché, nella prassi può accadere il convenuto in arbitrato contesti la validità o l'efficacia dell'accordo compromissorio o, ancora, che la controversia rientri nell'ambito dell'oggetto della convenzione arbitrale. Potrà così accadere che il convenuto in arbitrato instauri un processo di merito davanti ai giudici statali. In tale ipotesi, nonostante la litispendenza, gli arbitri potranno decidere autonomamente in virtù del principio internazionalmente riconosciuto della cd. Kompetenz–Kompetenz e lo stesso potranno fare i giudici statali aditi, così obbligando il compromittente (che aveva adito gli arbitri) a difendersi nel processo ordinario. Invero, nell'ordinamento inglese (che usualmente ospita molti arbitrati, soprattutto internazionali) è prevista la possibilità che il giudice ordinario, su istanza della parte, possa inibire in via cautelare l'inizio o la prosecuzione del giudizio ordinario in violazione dell'accordo arbitrale a pena di sanzioni pecuniarie o di altro genere (cd. anti-suit injunctions). Per la Corte di giustizia della Comunità Europea, però, tali misure sono incompatibili con il sistema delineato dal legislatore europeo, avendo l'effetto di impedire, sebbene indirettamente, al giudice di un altro Stato membro il potere di sindacare autonomamente la propria competenza giurisdizionale (CGCE, sent. 29 febbraio 2009, West Tankers, C-185/07). Calata nello spazio giudiziario europeo, un'anti-suit injunction così resa dal giudice di uno Stato membro per inibire un'azione in materia civile e commerciale promossa dinanzi al giudice di altro Stato membro ai sensi del Reg. n. 44/2001 è stata dunque considerata illegittima dalla Corte di giustizia, la quale ha affermato che l'effetto utile della disciplina sulla giurisdizione prevista dal regolamento, nonché la reciproca fiducia che investe le decisioni sulla giurisdizione e, infine, il diritto di accesso alla giustizia nell'Unione Europea sarebbero pregiudicati ove provvedimenti del genere circolassero nello Stato membro in cui la causa è promossa. Talvolta, però, la antisuit injunction può essere pronunciata direttamente dagli arbitri: ciò è ad esempio quanto prevede la legge modello UNCITRAL, la quale prevede la possibilità per gli arbitri di vietare ad uno dei compromettenti di iniziare o proseguire un processo di merito davanti ad un giudice togato (di solito di uno Stato diverso da quello della sede dell'arbitrato). Su tale potere, si è pronunciata la Corte di giustizia (sent. 13 maggio 2015, Gazprom, C-536/2013), la quale, ribaditi i principi affermati nella sentenza West Tankers, ne ha affermato l'inapplicabilità al caso, concludendo, in coerenza con l'esclusione della materia dell'arbitrato al Reg. n. 44/2001 (e a quello n. 1215/2012), che esso è “indifferente” rispetto al riconoscimento di una anti-suit injunction arbitrale nello Stato membro in cui la parte ha agito. In particolare, la Corte ha osservato che l'inibitoria proviene da un arbitro, per cui essa non può incidere, diversamente dalle anti-suit injunctions giudiziali, sulla reciproca fiducia tra i giudici. «L'eventuale limitazione dei poteri attribuiti» ai giudici di «pronunciarsi sulla propria competenza potrebbe derivare unicamente dal riconoscimento e dall'esecuzione» dell'anti-suit injunction arbitrale «ai sensi del diritto nazionale e se del caso della Convenzione di New York del 1958». Quanto all'individuazione del momento iniziale della pendenza della lite ai fini della determinazione del secondo giudice tenuto a sospendere il giudizio, il Reg. CE n. 44/2001 (seguito dal successivo Reg. UE n. 1215/2012) ha affermato un concetto autonomo di prevenienza: il momento in cui il giudice deve considerarsi adito va ricollegato al momento coincidente con la data in cui la domanda viene depositata presso il giudice, purché successivamente l'attore non abbia omesso di prendere tutte le misure che era tenuto a prendere affinché fosse effettuata la notificazione o comunicazione al convenuto; se l'atto deve essere notificato o comunicato prima di essere depositato presso l'autorità giurisdizionale, tale momento coincide con quello in cui l'autorità competente per la notificazione o comunicazione lo riceve, purché successivamente l'attore non abbia omesso di prendere tutte le misure che era tenuto ad adottare affinché l'atto fosse depositato presso l'autorità giurisdizionale.
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