Codice Civile art. 2043 - Risarcimento per fatto illecito.

Mauro Di Marzio

Risarcimento per fatto illecito.

[I]. Qualunque fatto doloso o colposo [1176], che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno [7, 10, 129-bis, 840, 844, 872 2, 935 2, 939 3, 948, 949, 1440, 1494 2, 2395, 2504-quater, 2600, 2818, 2947; 185 2, 198 c.p.; 22 ss. c.p.p.; 55, 60, 64 2, 96, 278 c.p.c.]  12.

 

[1] In tema di responsabilità per danno da prodotto difettoso v. art. 114 d.lg. 6 settembre 2005, n. 206; in tema di danno ambientale v. art. 300 d.lg. 3 aprile 2006, n. 152; in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile v. gli artt. 170-172 d.lg. 7 settembre 2005, n. 209.

[2] Per la responsabilità civile della struttura e dell'esercente la professione sanitaria, v. art. 7 l. 8 marzo 2017, n. 24

Inquadramento

La giurisprudenza della S.C. ammette stabilmente, in conformità alla dottrina prevalente, il risarcimento del danno da lesione del possesso, quantunque, alla luce del precetto dettato dall'art. 1140 c.c., esso consista in una situazione di mero fatto (v. per tutti Sacco, 299; Giusti, 175; Tenella Sillani, 153), ossia nel potere sulla cosa manifestato in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale: e, tuttavia, il dibattito sul tema è ampio e complesso, così come numerosi sono i dubbi applicativi agitati al riguardo (per un panorama delle questioni discusse da ult. Fornaciari, 89).

Guardando agli aspetti dirimenti, è anzitutto controverso se la tutela risarcitoria debba ritenersi fondata sulla disciplina aquiliana dettata dall'art. 2043 c.c. o se essa debba essere collocata in posizione succedanea rispetto alla tutela apprestata mediante le azioni possessorie. Il dubbio, come è stato ricordato, sorge perché, in sede di stesura definitiva degli artt. 1168-1170 c.c. fu soppresso l'inciso contenuto nel Progetto della Commissione reale che espressamente prevedeva il risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede (Franzoni, 253), diversamente da quanto accaduto per altri codici civili europei, i quali disciplinano espressamente il diritto al risarcimento del danno subito dal possessore, come quello svizzero (artt. 927 e 928) e quello austriaco (§§ 339 e 346). Di qui, tra gli altri, il rilevantissimo problema applicativo se il risarcimento del danno da lesione del possesso sia o meno sottoposto al requisito dell'infrannualità della lesione medesima, e più in generale se debba necessariamente avvalersi nell'azione possessoria.

D'altro canto, l'ibrida natura del possesso, che, come si diceva, è un fatto e non un diritto, ma corrisponde pur sempre nella sua connotazione fattuale all'esercizio di un diritto, pone il quesito se il risarcimento della lesione del possesso debba essere riconosciuto come tale, ovvero in dipendenza del suo collegamento con la situazione di diritto: il che, oltre a tradursi nell'emblematico interrogativo se anche il ladro possa giovarsi del risarcimento della eventuale lesione del suo possesso e se possa farlo addirittura nei confronti del proprietario che si riappropri della cosa che gli appartiene, comporta importanti ricadute sul piano della determinazione del quantum debeatur.

Grande rilievo, difatti, riveste, com'è intuitivo, la questione della latitudine del risarcimento. Non v'è dubbio che il mancato o limitato godimento della cosa possa pregiudicare la percezione dei frutti della cosa e possa altresì provocare una vasta gamma di ripercussioni sulle attività economiche e personali del soggetto: in tali casi si discorre di risarcimento c.d. integrativo, che si aggiunge, cioè, al ripristino della situazione possessoria mediante l'esercizio della relativa azione. Da esso si distingue il risarcimento c.d. sostitutivo del recupero del possesso, rapportato ai danni subiti dal possessore o detentore spogliato che si trovi nell'impossibilità di recuperare la cosa, non solo nel caso di perimento di essa, ma anche di alienazione ad un terzo di buona fede che ne ha acquistato il possesso, secondo quanto stabilisce l'art. 1169 c.c.

Le opinioni della dottrina

Una prima opinione, come si è detto minoritaria, e che tuttavia merita di essere rammentata per la sua autorevolezza, nega in radice la risarcibilità del danno da lesione del possesso. Viene riconosciuto che la lesione possessoria integra una condotta antigiuridica, ma si soggiunge — in conformità ad una visione dell'illecito aquiliano che pare tuttavia ormai superata, se non altro a far data dalla nota Cass. S.U., n. 500/1999, la quale ha ammesso il risarcimento del danno per la lesione di un qualunque interesse rilevante per l'ordinamento, a prescindere dalla sua qualificazione formale, ed in particolare senza che assuma rilievo la qualificazione dello stesso in termini di diritto soggettivo — che tale condotta, pur non iure, non può dar luogo a risarcimento in mancanza del requisito dell'ingiustizia del danno cagionato dalla semplice lesione del possesso, dal momento che esso consiste non in un diritto, ma in un fatto, sicché «quando il possesso è violato la condotta dell'agente è riprovevole, ma manca la dignità dell'interesse leso, che è quello che conta» (Sacco, 305; più di recente v. anche Luminoso, 823, ove si osserva che una situazione di potere meramente materiale sulla cosa non può costituire per se stessa oggetto di tutela). In tale prospettiva la tutela del possesso, quale stato di fatto, ha ad oggetto, alla luce del dato normativo costituito dagli artt. 1168 1170 c.c., il rapporto materiale tra il possessore e la cosa, mentre non può risolversi nell'attribuzione al possessore di un quid diverso da essa: con la conseguenza che, in ipotesi di perimento della cosa oggetto di spoglio o turbativa, tale da comportare l'impossibilità della reintegrazione, non v'è, a favore del possessore, diritto al risarcimento non solo in forma specifica, ma neppure per equivalente.

Secondo l'opinione prevalente, viceversa, pur in assenza di disposizioni legislative che espressamente la prevedano, la risarcibilità del danno da lesione del possesso è data per scontata (Dejana, 1947, 15; Montel, 205).

Nondimeno, i percorsi argomentativi in proposito seguiti divergono, giacché alcuni riconducono il risarcimento da lesione del possesso alla disciplina delle azioni possessorie, altri alla regola generale dettata dall'art. 2043 c.c.: il che è tutt'altro che privo di conseguenze applicative, sol che si consideri che l'esercizio delle azioni possessorie, come si è poc'anzi rammentato, è sottoposto ad un breve termine di decadenza e richiede la sussistenza di un elemento soggettivo, l'animus spoliandi o turbandi, che non può così e semplicemente dirsi coincidente con il dolo e la colpa richiesti dall'art. 2043 c.c. e che, anzi, la S.C. ritiene sovente in re ipsa nella condotta lesiva del possesso.

Secondo alcuni il fondamento della tutela risarcitoria per la lesione del possesso andrebbe ricercato negli artt. 1168 e 1170 c.c. Si tratterebbe cioè di uno strumento rimediale ancillare ed accessorio rispetto alla reintegrazione ovvero alla manutenzione, non inquadrabile entro l'ambito della responsabilità aquiliana, non tanto perché al risarcimento della lesione del possesso è estraneo l'elemento della colpa, che, invece, costituisce normale presupposto dell'illecito extracontrattuale, quanto perché non sarebbe possibile in tal caso configurare il danno come ingiusto, sicché «l'azione di usurpazione dell'altrui possesso è illegittima nella sua essenza, e l'azione risarcitoria è intimamente connessa e dipendente dall'azione di reintegra» (Zuccalà, 490; analogamente Montel, 471; Vittone, 34). L'effettività della tutela possessoria richiederebbe cioè che essa non si esaurisca nell'ordine di restituzione del bene o di cessazione delle molestie, dovendo essere integrata dal risarcimento del danno cagionato dalla lesione del possesso, risarcimento (c.d. integrativo) destinato a completare gli effetti della reintegra o della manutenzione, le quali, da sole, non consentirebbero la piena riparazione della lesione patita. Seguendo questa impostazione, si afferma che la tutela possessoria contemplata dagli artt. 1168 e 1170 c.c. e quella risarcitoria sono condizionate alla sussistenza dei medesimi presupposti sostanziali: gli atti di spoglio e turbativa vengono allora qualificati come atti illeciti per l'integrazione dei quali, anche ai fini risarcitori, la lesione del possesso intesa nella sua oggettività deve accompagnarsi all'elemento soggettivo dell'animus spoliandi o turbandi. Sul piano processuale l'azione risarcitoria sarebbe poi sottoposta alle medesime regole dettate per le azioni possessorie, con conseguente assoggettamento, in particolare, al termine annuale di cui ai citati artt. 1168 e 1170 c.c., e non al termine di prescrizione quinquennale dell'azione aquiliana di cui all'art. 2947 c.c.. Decorso il termine annuale, residuerebbe dunque soltanto l'azione aquiliana fondata su un titolo giuridico tale da legittimare l'esercizio del potere di fatto sul bene (Tomassetti, 351).

Secondo un diverso orientamento, che pare corretto indicare ormai come maggioritario (Bianca, 599; Dogliotti-Figone, 121; Masi, 589) il risarcimento del danno da lesione del possesso si fonda anch'esso sulla regola generale dettata dall'art. 2043 c.c. In tal senso, in tempi non troppo remoti, è stato posto l'accento sull'evoluzione della nozione di ingiustizia del danno, ingiustizia sussistente, secondo l'indirizzo giurisprudenziale cui si è già fatto cenno, in ogni ipotesi di lesione di un interesse giuridicamente protetto. E cioè, è ormai difficile negare che l'interesse del possessore o del detentore a mantenere inalterato il proprio godimento, tutelato dagli artt. 1168-1170 c.c. anche contro l'interesse del titolare del diritto, abbia nel nostro ordinamento un rilievo tale da far ravvisare nella sua lesione un danno ingiusto e quindi risarcibile, né è necessario a tal fine aderire alla tesi che costruisce il possesso come un diritto o che comunque configura un diritto soggettivo del possessore a non essere spogliato o turbato: basta valutare se, alla luce della tutela complessivamente accordata ad esso, il rapporto di fatto in cui si sostanzia il possesso (o la detenzione) ha una rilevanza giuridica tale da farne ritenere illecita la lesione (Cabella Pisu, 68). Si è peraltro autorevolmente osservato che il risarcimento del danno da lesione del possesso era riconosciuto dalla giurisprudenza anche in epoca in cui il danno aquiliano era configurato, secondo la tralaticia espressione al tempo impiegata, come danno non iure e contra ius, ossia tale da attingere un diritto soggettivo: «in contrasto con l'insegnamento tradizionale, che nega la tutela aquiliana al possesso perché situazione di fatto e non di diritto» — è stato cioè osservato — «la Cassazione concede azione di danni al possessore o al detentore spogliato del possesso o della detenzione e al possessore (talvolta anche al detentore) che sia stato molestato nel possesso (o nella detenzione)» (Galgano, 1). La molestia — viene dunque riassuntivamente osservato — «impedisce e turba il godimento del proprio bene, provoca una diminuzione del patrimonio che, anche se temporanea, costituisce un danno innegabile; è altresì innegabile che il danno sia ingiusto, infatti il dovere generale del neminem laedere, che sbocca nell'art. 2043 c.c., sussiste per chiunque si trovi in condizione di recare danno ad altri, e quindi anche per l'autore della molestia» (Sardo, 1883). Sicché, nel quadro di applicazione della disciplina della prescrizione cui si è poc'anzi fatto cenno, l'azione risarcitoria potrebbe essere tra l'altro intentata nell'ordinario termine quinquennale (Levoni, 291; Tenella Sillani, 9).

Lo stato dell'arte in giurisprudenza

La risarcibilità della lesione del possesso costituisce certezza acquisita secondo una giurisprudenza sostanzialmente unanime, e, tuttavia, l'inquadramento dell'obbligo risarcitorio non risulta sempre specificamente approfondito e, comunque, non è univoco.

È stata ammessa la proponibilità congiunta della tutela possessoria e dell'azione di risarcimento dei danni, sul rilievo che quest'ultima è accessoria rispetto a quella principale tendente al recupero del possesso o alla repressione delle turbative (Cass. n. 3133/1968).

Altre volte si è tentato di coordinare il radicamento della responsabilità per danni da lesione possessoria sulla disciplina degli artt. 1168 e 1170 c.c. e su quella dettata dall'art. 2043 c.c. Si trova così affermato che l'azione per il risarcimento del danno ha natura possessoria quando il danno si fa consistere nella sola lesione del possesso, e quindi soggiace alle regole dettate sia in ordine alla competenza che in ordine al termine di decadenza per proporla, mentre non ha natura possessoria, e rientra nella previsione generale dell'art. 2043 c.c., sottraendosi quindi a quelle regole, quando si lamenti non la lesione del solo possesso ma anche quella di altri diritti del possessore (Cass. n. 1093/1989). Il responso non è isolato, giacché anche in tempi più recenti si è ribadito che, in tema di reintegrazione nel possesso, il venir meno della ragion d'essere della tutela possessoria per intervenuta decadenza rende inammissibile anche il risarcimento del danno derivante da un comportamento lesivo che tragga origine dallo spoglio, che è in tal caso soltanto un profilo della tutela accordata dall'ordinamento al diritto soggetto del leso al fine di assicurarne la piena reintegrazione. Ne consegue che l'azione per il risarcimento del danno ha natura possessoria quando il danno consista nella sola lesione del possesso, e quindi soggiace alle regole dettate per quella tutela in ordine al termine di decadenza per proporla, mentre non ha natura possessoria, e rientra nella previsione generale dell'art. 2043 c.c., sottraendosi quindi a quelle regole, quando si lamenti anche la lesione di altri diritti del possessore, sicché la privazione del possesso non esaurisca il danno, ma si presenti come causa di altre lesioni patrimoniali subite in via derivativa dallo spogliato (Cass. n. 25899/2006).

Ora, ognuno intende che il richiamo, nella seconda parte delle massime citate, ad «altri diritti del possessore» è in se stesso contraddittorio, giacché, ove la pretesa risarcitoria sia fondata su diritti che per avventura appartengano al possessore, si è evidentemente al di fuori del campo della lesione del possesso.

Altre pronunce attribuiscono natura possessoria alla domanda di danni, individuando nello spoglio (atto «illegittimo» o «antinormativo») il presupposto sia della domanda di danni sia della domanda di reintegrazione (Cass. n. 10939/1993, ove si chiarisce che la perdita o distruzione del bene preclude l'azione di reintegrazione, salva l'azione di risarcimento per il perduto godimento del bene; Cass. n. 1093/1989; Cass. n. 889/1984; Cass. n. 1004/1981; Cass. n. 5449/1980).

La molestia e lo spoglio, afferma in altre occasioni più genericamente la giurisprudenza, costituiscono atti illeciti che ledono il diritto soggettivo del possessore alla conservazione della disponibilità materiale della cosa e obbligano chi li commette al risarcimento del danno (Cass. S.U., n. 9871/1994, in Giust. civ., 1995, I, 1883, con nota di Sardo, I rimedi «garantiti» della tutela possessoria; Cass. S.U., n. 1984/1998). In tale prospettiva è stato affermato che il possessore o detentore di un immobile (nella specie acquirente in base a contratto di vendita con effetto traslativo differito), pur potendo usufruire delle servitù esistenti a favore del bene, non può avvalersi dell'azione confessoria servitutis, né dell'azione di risarcimento del danno, succedanei alla confessoria, che spettano ambedue esclusivamente al titolare del diritto reale di servitù, ma può agire in giudizio per il risarcimento del danno che gli derivi per l'illecito altrui impedimento alla disponibilità ed al godimento della cosa indipendentemente dal diritto che egli abbia all'esercizio di quel potere, in quanto l'azione di responsabilità non postula necessariamente una identità tra il titolo al risarcimento e il titolo giuridico di proprietà o di godimento, potendo anche il detentore materiale della cosa, in relazione a particolari circostanze di fatto o di diritto, essere danneggiato dall'attività illecita concernente la cosa stessa: ne consegue che l'azione di risarcimento del danno spettante al possessore o detentore della cosa può essere esercitato dal momento del verificarsi dell'evento dannoso (Cass. n. 1131/1981; vedi anche Cass. n. 10843/1997; Cass. n. 5485/1993; Cass. n. 2472/1988; Cass. n. 2780/1979). Un'applicazione del principio si rinviene, ad esempio, in talune pronunce concernenti la posizione del possessore di un autoveicolo rimasto danneggiato a seguito di un sinistro stradale. Si afferma in proposito che legittimato a domandare il risarcimento del danno patrimoniale consistente nel costo di riparazione di un autoveicolo danneggiato in un sinistro stradale non è necessariamente il proprietario od il titolare di altro diritto reale sul bene mobile, ma anche chi, avendo il possesso o la detenzione del veicolo, risponda nei confronti del proprietario dei danni occorsi allo stesso e abbia provveduto a sue spese, avendovi interesse, alla riparazione del mezzo (Cass. n. 3082/2015; Cass. n. 21011/2010; Cass. n. 4003/2006; Cass. n. 21011/2010, che ha cassato la sentenza di merito la quale aveva negato la legittimazione attiva dell'utilizzatore di un veicolo concesso in leasing a domandare il risarcimento del danno riportato dal veicolo stesso in un sinistro stradale; in tema di leasing v. pure Cass. n. 534/2011).

In tempi recenti l'opinione prevalente in dottrina, che riconduce il risarcimento del danno da lesione possessoria all'art. 2043 c.c., sembra essersi fatto strada anche nella giurisprudenza della S.C., la quale, per l'appunto rifacendosi alla «dottrina dominante», ha affermato che, essendo il possesso una situazione di fatto avente propria rilevanza giuridica, dotata di un proprio valore apprezzabile sotto il profilo patrimoniale, la compromissione dei possesso (dovuta a turbative o a spoglio) dà luogo certamente e di per sé alla nascita di un obbligo risarcitorio. La domanda di risarcimento del danno, in particolare, può essere proposta congiuntamente all'azione di reintegra o di manutenzione, con l'ulteriore specificazione, tuttavia, che dovendosi considerare che sia le molestie che lo spoglio integrano gli estremi dell'illecito c.d. extracontrattuale tipizzato dall'art. 2043 c.c. essendo lesivi della posizione di signoria riconosciuta al possessore sulla res, la relativa azione di risarcimento del danno non rimane soggetta alla preclusione annuale di cui all'art. 1168 c.c., trovando applicazione, in tema di illecito extracontrattuale, il termine di prescrizione stabilito dall'art. 2947 c.c. (Cass. n. 26985/2013; per la qualificazione in termini di illecito aquiliano v. pure Cass. n. 20875/2005). È poi indubbio che la mancata ottemperanza all'ordinanza di reintegrazione nel possesso disposta dal giudice in favore dello spogliato, quanto costituisca una libera scelta dell'obbligato, si traduce in fonte di responsabilità civile ai sensi dell'art. 2043 c.c. (Cass. n. 3400/2004). L'ex coniuge, illegittimamente privato dall'ex moglie del possesso dell'immobile precedentemente destinato a casa coniugale, ha diritto al risarcimento del danno extracontrattuale poiché subisce un concreto pregiudizio di carattere patrimoniale (Cass. VI, n. 31353/2018).

Legittimazione attiva

L'azione di responsabilità extracontrattuale non postula necessariamente un'identità fra il titolo al risarcimento ed il titolo giuridico di proprietà o di godimento in quanto anche il possessore della cosa può, in relazione a particolari circostanze di fatto o di diritto, essere danneggiato dall'attività illecita concernente la cosa stessa (Cass. n. 2780/1979). In tema di legittimazione alla domanda di danni, deve dunque ritenersi che il diritto al risarcimento possa spettare anche a colui il quale, per circostanze contingenti, si trovi ad esercitare un potere soltanto materiale sulla cosa e, dal danneggiamento di questa, possa risentire un pregiudizio al suo patrimonio, indipendentemente dal diritto, reale o personale, che egli abbia all'esercizio di quel potere. È dunque tutelabile in sede risarcitoria, come si è visto, anche la posizione di chi eserciti nei confronti dell'autovettura danneggiata in un sinistro stradale una situazione di possesso giuridicamente qualificabile come tale ai sensi dell'articolo 1140 c.c. (Cass. n. 4003/2006, in Resp. civ. prev., 2006, 1067, con nota di Cicero, Lesione del possesso e risarcimento del danno, che ha cassato la sentenza del giudice di pace che aveva rigettato la domanda di risarcimento sul presupposto che l'attore non era risultato proprietario dell'auto danneggiata in quanto, secondo il giudice del merito, spettava soltanto al proprietario la legittimazione ad agire per ottenere il risarcimento del relativo danno; ha conclusivamente affermato la S.C., nel rinviare la causa, che la applicazione dell'enunciato principio impone al giudice del merito di accertare che l'attore abbia rigorosamente dimostrato, sulla scorta di prove idonee, la esistenza in suo favore di una situazione di possesso corrispondente a quella sopra descritta, nonché l'incidenza sul suo patrimonio del danno di cui chiede il ristoro). Chi agisce per il risarcimento dei danni non è cioè tenuto a dare la prova della piena proprietà del bene danneggiato ma solo della titolarità della situazione sostanziale che è oggetto del rapporto giuridico controverso, poiché anche colui che si trovi ad esercitare un potere materiale sulla cosa può agire in giudizio per il risarcimento del danno derivante dal danneggiamento della stessa (Cass. n. 15233/2007, in Giust. civ., 2008, I, 411 ss., con nota di Costanza, Possesso e risarcimento del danno, che ha confermato la decisione del giudice di merito che, con motivazione logica e quindi insindacabile in sede di legittimità, aveva escluso la titolarità del diritto al risarcimento in capo alla parte che lamentava i danni provocati alla sua casa, in conseguenza di lavori in corso).

È stato in proposito precisato che il soggetto leso che invochi la tutela possessoria, ove intenda ottenere la condanna dell'autore dello spoglio o della turbativa anche al risarcimento dei danni, deve necessariamente richiedere al giudice, nel termine previsto dall'art. 703, comma 4, c.p.c., la fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito, ovvero proporre un autonomo giudizio, in quanto le questioni inerenti le pretese risarcitorie possono essere esaminate solo nel giudizio di cognizione piena. Ne consegue che, qualora il giudice adito con azione possessoria, esaurita la fase a cognizione sommaria, non si limiti a pronunciare sulla domanda di reintegrazione o di manutenzione, ma, travalicando i limiti del contenuto del provvedimento interdittale, decida altresì sulla domanda accessoria di risarcimento danni, il provvedimento adottato, anche se emesso nella forma dell'ordinanza, va qualificato come sentenza e, come tale, è impugnabile con appello (Cass. n. 20635/2014).

Legittimazione passiva

Dall'affermazione secondo cui la lesione del possesso integra gli estremi dell'illecito extracontrattuale, si ricava che la legittimazione passiva di colui che ha effettuato uno spoglio sussiste anche se, prima della proposizione nei suoi confronti dell'azione di reintegrazione, egli abbia perduto il possesso della cosa in quanto l'esercizio di essa, pur tendendo essenzialmente al recupero dell'oggetto dello spoglio, implica pur sempre una domanda di dichiarazione di illegittimità del comportamento della parte, anche in relazione alla possibilità per l'attore di agire, ove vi sia l'impossibilità di ottenere la restituzione della cosa, per il risarcimento dei danni, pure con un successivo, separato giudizio (Cass. n. 317/1985, in Resp. civ. prev., 1985, 371, con nota di Monateri, Spoglio del possesso e tutela dello spogliato; Cass. n. 1251/83; Cass. n. 1034/1981; Cass. n. 1996/80; Cass. n. 2635/75; Cass. n. 1971/73). Si è inoltre stabilito che esiste la legittimazione passiva all'azione di spoglio se l'autore si trovi al momento della proposizione del ricorso, ed almeno in via presuntiva e salva la prova contraria, in una situazione di fatto che gli consenta di ripristinare lo stato anteriore allo spoglio, non avendo alcun rilievo che la materiale disposizione della cosa permanga durante il corso del processo, e fino all'emanazione della sentenza di merito, giustificandosi la permanenza della legittimazione passiva del convenuto quantomeno al fine di fare accertare l'esistenza del fatto illecito e di ottenere la sua condanna al risarcimento del danno (Cass. n. 3272/1987, che ha cassato la sentenza del tribunale che, dopo l'avvenuta reintegrazione, aveva dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell'amministratore di un condominio in caso di spoglio effettuato da un suo incaricato).

L'amministratore di un condominio che compia un fatto di impossessamento violento o clandestino in base ad autorizzazione o delibera assembleare, deve considerarsi autore materiale dello spoglio, mentre autore morale dello stesso deve essere considerata la collettività condominiale, rappresentata dall'assemblea. In tal caso, pertanto, l'azione di reintegrazione può essere proposta sia contro il condominio, sia contro l'amministratore, quale autore materiale dello spoglio (Cass. n. 3272/1987).

L'elemento soggettivo

La lesione del possesso, secondo l'opinione tradizionale, richiede l'elemento soggettivo dell'animus spoliandi o turbandi. Si discorre in proposito talora di intenzionalità della lesione possessoria (Messineo, Manuale dì diritto civile e commerciale, II, Milano, 289), altre volte di consapevolezza di ledere l'altrui possesso (Zuccalà, 69), altre ancora di dolo o colpa (Levoni, 257). Secondo altri la legge non richiede alcun requisito soggettivo (Dejana, 1946, 139), sicché occorrerebbe il solo requisito della volontarietà della condotta lesiva possesso (De Martino, 130).

Per parte sua la S.C. aderisce per lo più all'indirizzo tradizionale che richiede l'elemento soggettivo, ma afferma sovente che l'animus spoliandi è in re ipsa nella condotta volta a ledere il possessore contro la sua volontà, espressa o tacita, indipendentemente dalla convinzione dell'agente di operare secondo diritto (Cass. n. 13270/1996); alcune sentenze hanno, poi, affermato che l'animus spoliandi coincide con il dolo o la colpa dell'agente (Cass. n. 15130/2001; Cass. n. 12258/2002; Cass. n. 3955/2008; Cass. n. 4279/2011), ovvero hanno rilevato che gli artt. 1168 e 1170 c.c. prescindono da riferimenti psicologici (Cass. n. 15381/2000). Medesime considerazioni possono essere svolte in relazione all'animus turbandi, consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto che modifichi e alteri l'altrui possesso contro il divieto espresso o anche solo presunto del possessore, senza che sia necessaria la specifica intenzione di arrecare ad altri un pregiudizio.

Va da sé che la distinzione tra i requisiti soggettivi richiesti per la lesione possessoria e per l'illecito aquiliano vanno in definitiva a scolorirsi, senza che risultino, dall'esame della giurisprudenza, casi in cui il risarcimento sia stato escluso sul rilievo che il comportamento dell'autore della lesione possessoria, pur connotato da dolo o colpa, non manifestasse tuttavia l'animus spoliandi o turbandi.

Il danno

In generale vengono individuate tre distinte voci di danno da lesione possessoria: a) la prima si identifica con il danno che il possessore subisce per ripristinare la situazione di fatto anteriore; b) la seconda involge il danno che il possessore titolato subisce per impedimento della cosa, la sua perdita o il mancato godimento di essa; c) la terza riguarda il valore del capitale e del godimento temporaneo sottratti al possessore (Sacco, 309).

Si discute entro quali limiti il possessore possa reclamare il danno e, in particolare, se possa reclamare il medesimo danno che spetterebbe al proprietario, o se abbia diritto ad un risarcimento del danno più limitato.

Se il ripristino materiale dello status quo ante è realizzabile almeno in parte, il convenuto va condannato alla restituzione del bene, alla cessazione delle molestie e, inoltre, al pagamento di una somma commisurata al valore delle perdite subite per effetto del comportamento illecito, nonché delle spese sopportate per la ricostituzione del possesso originario. Al riguardo, come si è detto, si è parlato di «risarcimento integrativo» (Montel, 470). In altre parole, chi ha subito la perdita del possesso non ha diritto al controvalore del bene perduto, ma al risarcimento del pregiudizio patrimoniale relativo alla privazione del possesso sino alla pronuncia del giudice, sicché il danno lamentato corrisponde alla temporanea perdita del godimento (Monateri, 546).

Ed anche la giurisprudenza ha talora limitato il risarcimento riconoscibile al possessore in quanto tale (Cass. n. 225/1957, in cui si osserva che la «reintegrazione non sarebbe completa se, relativamente all'intervallo di tempo interceduto tra lo spoglio ed il recupero del bene, non fosse in sede possessoria riconosciuto il diritto di chi ha subito lo spoglio al risarcimento dei danni inerenti alla perdita di quelle utilità che, per effetto dello spossessamento, non potè conseguire»).

Nel caso di impossibilità definitiva di riduzione in pristino spetta al possessore una somma a titolo di «risarcimento sostitutivo» (Montel, 471). In tal caso, dunque, il ripristino dello status quo ante ha come oggetto esclusivo il pagamento dell'equivalente pecuniario del valore del bene perduto.

In tal senso la S.C. ha stabilito che «tutte le volte in cui sia possibile la reintegrazione del possesso di un bene determinato la reintegrazione stessa può rappresentare l'unico interesse ad agire dello spossessato; quando, invece, la reintegrazione stessa non sia più possibile, in toto o parzialmente, l'interesse ad agire dello spossessato può estendersi, oltre che ad ottenere l'inibitoria per molestie future, al risarcimento del danno relativo al bene perduto in seguito allo spossessamento» (Cass. n. 1270/1956; v. pure Cass. n. 1900/1963; Cass. n. 1971/1973; Cass. n. 3635/1982; Cass. n. 6103/1982).

Di recente si è ribadito che l'azione ex art. 1168 c.c. ha la finalità di reintegrare il possesso nelle condizioni di esercizio anteriori allo spoglio, sicché il risarcimento del danno da spoglio deve includere i costi di ripristino del bene (nella specie, azienda alberghiera), se questo, per gli interventi compiuti dallo spogliatore, non sia possedibile con le modalità anteriori allo spoglio (Cass. n. 7741/2014).

La posizione del possessore non titolare di un diritto reale sul bene

Secondo un'opinione, se si conviene che l'ordinamento garantisce la difesa, benché provvisoria, dello stato di fatto per evitare l'autotutela privata e per rendere possibile l'eventuale ristabilimento dell'effettiva situazione giuridica, e deriva che anche un presunto usurpatore può reclamare, al fine di ottenere un completo ripristino, il valore del godimento mancato o della cosa andata perduta, nei confronti di chi ha comunque sovvertito uno stato materiale che è protetto indipendentemente dalla posizione giuridica del possessore: il risarcimento del danno, al pari degli effetti della reintegra intesa in senso stretto, ha del resto, come si è già detto, una portata temporanea, rimanendo salvo il diritto del proprietario di ottenere, in seno al giudizio di rivendica, la restituzione del bene o il controvalore di questo, insieme con i frutti dovuti per legge dal possessore di malafede (Giusti, 181). Ma si replica, con riguardo alla lesione posta in essere dal proprietario nei confronti del ladro, che l'assunto secondo cui in un'ipotesi del genere al possessore potrebbe essere riconosciuto un risarcimento è in effetti una prospettiva alla quale il buon senso si ribella ed alla quale non si può ragionevolmente accedere (Fornaciari, 89; in effetti la contraria tesi citata è giudicata «ardita» anche da Franzoni, 259, il quale richiama adesivamente l'affermazione di App. Genova 11 settembre 1954, in Giur. it., 1955, I, 2, 138, secondo cui: «il possesso di una cosa da cui non si possa comunque trarre profitto senza commettere un illecito, non ha valore di sorta, e non ha valore che meriti giuridica tutela, come ad esempio il possesso del ladro sulla cosa sottratta»).

In talune occasioni la S.C. ha operato una distinzione tra il caso in cui l'autore dello spoglio sia il proprietario e quello in cui invece sia un terzo, estraneo rispetto alla cosa. È stato affermato che il principio secondo il quale chi ha subito la perdita definitiva del possesso per effetto di spoglio non ha diritto al controvalore del bene perduto, ma solo al danno relativo alla privazione del possesso sino alla pronunzia, dovendosi provvedere per il resto nella sede petitoria destinata ad accertare a chi apparteneva il diritto reale su detto bene, non trova applicazione nel caso in cui l'autore dello spoglio non accampi diritti sulla cosa, non potendo avere ingresso un ulteriore giudizio risarcitorio in relazione alla proprietà. In tal caso, il risarcimento, del danno, conseguente allo spoglio, avendo il suo fondamento nell'art. 2043 c.c., ove ne esistano gli estremi, compete senza limitazioni al soggetto danneggiato, indipendentemente dall'esistenza di un diritto reale sul bene così sottrattogli, salva la sua responsabilità nei confronti di chi eventualmente rivendichi da lui la proprietà del bene stesso (Cass. n. 4367/1987). La pronuncia è stata resa in un caso in cui il convenuto aveva estratto della ghiaia da un fondo di cui l'attore vantava il possesso, nel qual caso è stata ritenuta non pertinente la difesa del convenuto secondo il quale l'immobile apparteneva ad un terzo, ossia al demanio. In tale prospettiva, laddove l'autore della lesione possessoria sia un terzo non proprietario, il danno liquidato come se il possessore fosse titolare del diritto di proprietà sul bene: il possessore, cioè, ha diritto ad un risarcimento pari a quello a cui avrebbe diritto in base al titolo di cui il possesso costituisce la manifestazione esteriore.

Reintegrazione del possesso e risarcimento del danno in forma specifica

Secondo la S.C. il possessore spogliato può conseguire il ripristino dello status quo ante anche in mancanza dei presupposti dell'azione di reintegrazione, ovvero di scadenza del relativo termine, attraverso la condanna del convenuto al risarcimento dei danni in forma specifica ex art. 2058 c.c. La Suprema Corte afferma che la reintegrazione del possesso può conseguirsi, quando l'azione possessoria non sia più esperibile, attraverso il risarcimento del danno in forma specifica, poiché lo spoglio si configura alla stregua di un fatto illecito produttivo di responsabilità civile (Cass. n. 2472/1988). L'orientamento giurisprudenziale riferito appare radicato nel giudicare ammissibile la fungibilità del risarcimento del danno in forma specifica e della rimessione in pristino (Cass. n. 3110/1985). Nella stessa linea, sul piano delle ricadute processuali, è stato detto che, in tema di azioni possessorie, non costituisce domanda nuova, perché inclusa nella originaria domanda di reintegrazione in forma specifica del possesso, la successiva richiesta di risarcimento dei danni in forma generica proposta a seguito della sopravvenuta indisponibilità del bene (Cass. n. 25241/2006).

L'indirizzo giurisprudenziale in questione (su cui v. Nivarra, 509; Ceccherini, 239) è tuttavia criticato dalla dottrina, giacché consentire la proposizione della domanda di risarcimento in forma specifica fuori del giudizio possessorio pone nel nulla il limite temporale entro il quale l'azione possessoria va intentata.

Nello stesso senso la S.C. ha affermato che la domanda con cui l'attore chieda di dichiarare abusiva ed illegittima l'occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni da essa derivanti, senza ricollegare la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico, che avesse giustificato la consegna della cosa e la relazione di fatto sussistente tra questa ed il medesimo convenuto, non dà luogo ad un'azione personale di restituzione, e deve qualificarsi come azione di rivendicazione; né può ritenersi che detta domanda sia qualificabile come di restituzione, in quanto tendente al risarcimento in forma specifica della situazione possessoria esistente in capo all'attore prima del verificarsi dell'abusiva occupazione, non potendo il rimedio ripristinatorio ex art. 2058 c.c. surrogare, al di fuori dei limiti in cui il possesso è tutelato dal nostro ordinamento, un'azione di spoglio ormai impraticabile (Cass. n. 705/2013).

Merita ancora rammentare, con riguardo al rapporto tra proprietario e possessore, che la S.C. ha in un'occasione riconosciuto il principio della autotutela possessoria o della legittima difesa privata del possesso, qualificandolo come principio di diritto naturale. È stato cioè affermato che il cd. principio dell'autotutela possessoria, o della legittima difesa privata del possesso, per il quale chi è spogliato del possesso o in esso è molestato può, se lo faccia immediatamente, cioè mentre dura l'offesa, ritogliere legittimamente egli stesso allo spoliator la cosa o rimuovere la molestia di cui è vittima, senza incorrere nel reato di ragion fattasi (esercizio arbitrario delle proprie ragioni), consacrato nel diritto romano e nel diritto canonico, espressamente codificato nel codice civile germanico e in quello svizzero, contenuto in una norma del progetto preliminare del nostro codice civile, non riprodotta nel testo definitivo del codice perché ritenuta superflua, trova ingresso nel nostro diritto come principio di ragione naturale, prima ancora che giuridica, siccome riconosciuto da autorevole dottrina, nonché espressamente individuato da specifici arresti della S.C. (Cass. n. 196/2007, che richiama Cass. n. 1332/1947; Cass. n. 1267/1954; Cass. n. 3660/1958; Cass. n. 431/1963).

Fattispecie

In generale, in tema di legittimazione alla domanda di danni, deve ritenersi che il diritto al risarcimento può spettare anche a colui il quale, per circostanze contingenti, si trovi ad esercitare un potere soltanto materiale sulla cosa e, dal danneggiamento di questa, possa risentire un pregiudizio al suo patrimonio, indipendentemente dal diritto, reale o personale, che egli abbia all'esercizio di quel potere. È dunque tutelabile in sede risarcitoria anche la posizione di chi eserciti nei confronti dell'autovettura danneggiata in un sinistro stradale una situazione di possesso giuridicamente qualificabile come tale ai sensi dell'art. 1140 c.c. (Cass. n. 21011/2010).

Il soggetto leso che invochi la tutela possessoria, ove intenda ottenere la condanna dell'autore dello spoglio o della turbativa anche al risarcimento dei danni, deve necessariamente richiedere al giudice, nel termine previsto dall'art. 703, comma 4, c.p.c., la fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito, ovvero proporre un autonomo giudizio, in quanto le questioni inerenti le pretese risarcitorie possono essere esaminate solo nel giudizio di cognizione piena. Ne consegue che, qualora il giudice adito con azione possessoria, esaurita la fase a cognizione sommaria, non si limiti a pronunciare sulla domanda di reintegrazione o di manutenzione, ma, travalicando i limiti del contenuto del provvedimento interdittale, decida altresì sulla domanda accessoria di risarcimento danni, il provvedimento adottato, anche se emesso nella forma dell'ordinanza, va qualificato come sentenza e, come tale, è impugnabile con appello (Cass. n. 20635/2014). Posto che il possesso costituisce una situazione di fatto avente propria rilevanza giuridica, la cui compromissione dà luogo di per sé all'insorgenza di un obbligo risarcitorio, la conseguente domanda risarcitoria può essere proposta congiuntamente all'azione di reintegra o di manutenzione, senza, tuttavia, che trovi applicazione rispetto ad essa il termine annuale di decadenza di cui all'art. 1168 c.c., poiché i danni arrecati al possesso dallo spoglio o dalle molestie integrano gli estremi dell'illecito extracontrattuale, e sono come tali soggetti alla prescrizione quinquennale di cui all'art. 2947 c.c. (Cass. n. 26985/2013). La domanda di risarcimento del danno da lesione nel possesso nel procedimento possessorio va proposta con l'atto introduttivo della fase sommaria, poiché la fase di merito è deputata essenzialmente all'approfondimento delle questioni di rito e di merito già emerse nella fase sommaria. La lesione del possesso abilita a chiedere il risarcimento del solo danno consistente nella privazione del possesso stesso, danno che va tenuto distinto da forme di diminuzione patrimoniale discendenti solo in modo mediato dalla lesione del possesso, come quelle prestazioni che, in base a diverso ed autonomo titolo (diritto reale o inadempimento contrattuale) il possessore abbia eventualmente diritto di pretendere dall'avversario (Trib. Lecco 11 maggio 2010, Resp. civ. e prev. 2011, 173, con nota di Caterina).

La domanda con cui l'attore chieda di dichiarare abusiva ed illegittima l'occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni da essa derivanti, senza ricollegare la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico, che avesse giustificato la consegna della cosa e la relazione di fatto sussistente tra questa ed il medesimo convenuto, non dà luogo ad un'azione personale di restituzione, e deve qualificarsi come azione di rivendicazione; né può ritenersi che detta domanda sia qualificabile come di restituzione, in quanto tendente al risarcimento in forma specifica della situazione possessoria esistente in capo all'attore prima del verificarsi dell'abusiva occupazione, non potendo il rimedio ripristinatorio ex art. 2058 c.c. surrogare, al di fuori dei limiti in cui il possesso è tutelato dal nostro ordinamento, un'azione di spoglio ormai impraticabile (Cass. n. 705/2013).

L'azione ex art. 1168 c.c. ha la finalità di reintegrare il possesso nelle condizioni di esercizio anteriori allo spoglio, sicché il risarcimento del danno da spoglio deve includere i costi di ripristino del bene (nella specie, azienda alberghiera), se questo, per gli interventi compiuti dallo spogliatore, non sia possedibile con le modalità anteriori allo spoglio (Cass. n. 7741/2014).

La molestia o lo spoglio obbligano chi li commette al risarcimento del danno in quanto costituiscono atti illeciti, che ledono il diritto soggettivo del possessore alla conservazione della disponibilità materiale della cosa (Trib. Reggio Calabria 9 luglio 2012 che ha rigettato la domanda di risarcimento del danno da lesione del possesso, mancando sia la prova del nesso causale tra la condotta lesiva — ovvero la costruzione di un muretto che rendeva disagevole ma non impediva il godimento del parcheggio — ed i danni lamentati, sia la dimostrazione di questi ultimi — ovvero la diminuzione patrimoniale dovuta alla lesione del possesso).

La privazione del possesso conseguente all'occupazione di una parte di un terreno altrui costituisce un fatto potenzialmente causativo di effetti pregiudizievoli, idoneo a legittimare la pronunzia di condanna generica al risarcimento del danno, la quale si risolve in una declaratoria iuris che non esclude la possibilità di verificare, in sede di liquidazione, la reale esistenza del danno risarcibile (Cass. n. 9043/2012).

In tema di tutela del possesso, ove sia stato accertato, con sentenza passata in giudicato, l'illecito consistente in plurime molestie subite dai possessori di un immobile nell'esercizio del loro potere sulla cosa, tale limitazione temporanea del possesso si traduce in un concreto pregiudizio di carattere patrimoniale, perdurante fino al ripristino dello status quo ante. Ne consegue che, sussistendo la certezza del danno in re ipsa nelle sue varie componenti, il giudice, a fronte dell'obiettiva difficoltà di determinazione del quantum, deve fare ricorso ad una valutazione equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c., adottando eventualmente, quale adeguato parametro di quantificazione, quello correlato ad una percentuale del valore reddituale dell'immobile, la cui fruibilità sia stata temporaneamente ridotta (Cass. n. 5334/2012).

L'azione di reintegrazione del possesso è preclusa quando l'autore dello spoglio abbia totalmente distrutto o disperso la cosa sottratta al possessore, difettando il presupposto per il ripristino della precedente situazione possessoria, salvo restando l'esperimento dell'azione di risarcimento per il perduto godimento del bene (Cass. n. 10939/1993).

L'azione per il risarcimento del danno ha natura possessoria quando il danno si fa consistere nella sola lesione del possesso, e quindi soggiace alle regole dettate sia in ordine alla competenza che in ordine al termine di decadenza per proporla, mentre non ha natura possessoria, e rientra nella previsione generale dell'art. 2043 c.c., sottraendosi quindi a quelle regole, quando si lamenti non la lesione del solo possesso ma anche quella di altri diritti del possessore (Cass. n. 1093/1989).

Il principio secondo il quale chi ha subito la perdita definitiva del possesso per effetto di spoglio non ha diritto al controvalore del bene perduto, ma solo al danno relativo alla privazione del possesso sino alla pronunzia, dovendosi provvedere per il resto nella sede petitoria destinata ad accertare a chi apparteneva il diritto reale su detto bene, non trova applicazione nel caso in cui l'autore dello spoglio non accampi diritti sulla cosa, non potendo avere ingresso un ulteriore giudizio risarcitorio in relazione alla proprietà. In tal caso, il risarcimento, del danno, conseguente allo spoglio, avendo il suo fondamento nell'art. 2043 c.c., ove ne esistano gli estremi, compete senza limitazioni al soggetto danneggiato, indipendentemente dall'esistenza di un diritto reale sul bene così sottrattogli, salva la sua responsabilità nei confronti di chi eventualmente rivendichi da lui la proprietà del bene stesso (Cass. n. 4367/1987).

Sussiste la giurisdizione del giudice italiano, in relazione alla domanda proposta da un'emittente radiofonica italiana contro un concorrente straniero, onde far valere l'illiceità di interferenze che si realizzano in territorio italiano determinando lo spoglio delle frequenze dalla prima utilizzate (App. Trieste 23 settembre 2014).

Bibliografia

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