Codice Civile art. 1759 - Responsabilità del mediatore.

Mauro Di Marzio

Responsabilità del mediatore.

[I]. Il mediatore deve comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possono influire sulla conclusione di esso [1746 1].

[II]. Il mediatore risponde dell'autenticità della sottoscrizione delle scritture e dell'ultima girata dei titoli trasmessi per il suo tramite [2008 ss.].

Inquadramento

La figura del mediatore, ed in particolare la sua responsabilità, è disciplinata non solo dall'art. 1759 c.c., che pone anzitutto a carico del mediatore, al comma 1, specifici obblighi informativi, ma anche dalla l. 3 febbraio 1989, n. 39. Quest'ultima ha profondamente influito sulla disciplina della mediazione giacché, disponendo l'istituzione del ruolo degli agenti di affari in mediazione ed elevando l'iscrizione al rango di requisito necessario tanto per l'esercizio dell'attività quanto per il sorgere del diritto alla provvigione, ha determinato la trasformazione dell'attività di mediazione da attività libera ad attività riservata e non delegabile (Luminoso, 4), incidendo altresì sui presupposti applicativi della disciplina codicistica (Guidotti, 928).

Il mediatore, in tale contesto normativo, è tenuto per un verso a comunicare agli intermediati, ai sensi dell'art. 1759, comma 1, c.c., le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la normale diligenza che è richiesta in relazione al tipo di prestazione, nonché, per altro verso, a non fornire informazioni inveritiere ovvero non verificate, risultando tale condotta contraria al dovere di buona fede che grava sul mediatore: qualora il mediatore infranga tali obblighi sorge a suo carico la responsabilità per i danni sofferti dagli intermediati (Rolfi, 99; Sesti, 2293), nei limiti che verranno di seguito illustrati.

Detti obblighi del mediatore operano indifferentemente per la mediazione «tipica» e per quella «atipica», delle quali si parlerà tra breve.

Natura della mediazione

È mediatore, secondo quanto stabilisce l'art. 1754 c.c., colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza. La norma, dunque, individua la nozione di mediatore, ma non definisce la mediazione, con l'intento, secondo alcuni, di lasciare volontariamente aperto il quesito, ampiamente discusso in dottrina, in ordine alla natura contrattuale o non della figura, quesito che evidentemente si riverbera sul tema della responsabilità del mediatore, a propria volta suscettibile di essere o meno inquadrata a pieno titolo nel campo della responsabilità contrattuale, con le conseguenti ricadute sul piano disciplinare.

Secondo un primo indirizzo la mediazione avrebbe natura contrattuale, e cioè nascerebbe in ogni caso dall'incontro della volontà del mediatore con quella degli intermediati, volontà manifestata non soltanto in forma espressa, ma anche tacita e per fatti concludenti (Marini, 28; Stolfi, 22). La mediazione, pur disciplinata dal codice civile quale contratto, non richiederebbe peraltro il preventivo conferimento di incarico al mediatore, bastando al sorgere del vincolo lo svolgimento dell'attività di messa in relazione e l'accettazione anche tacita della stessa da parte degli intermediati, i quali, consapevoli della stessa, ne abbiano profittato (Sacco-De Nova, 337). Nel quadro della ricostruzione che ravvisa nella mediazione un contratto non mancano tuttavia differenze rilevanti, giacché, secondo alcuni, il vincolo sorgerebbe dalla conclusione dell'affare, secondo altri sorgerebbe già dall'attività di messa in relazione delle parti dell'affare.

Secondo una diversa impostazione la mediazione avrebbe natura non contrattuale, e cioè sorgerebbe non già dall'accordo negoziale delle parti, bensì dalla «messa in relazione» di esse per i fini della conclusione dell'affare, «messa in relazione» che andrebbe qualificata come atto giuridico in senso stretto, la quale costituirebbe fonte di obbligazione secondo la previsione dell'art. 1173 c.c., in forza del quale le obbligazioni derivano non soltanto da contratto e da fatto illecito, ma anche da quelle un tempo definite quali variae causarum figurae, ossia ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico (Cataudella, 1). In tale prospettiva, un eventuale accordo tra il mediatore ed una delle parti, collocandosi al di fuori della fattispecie codicistica, darebbe luogo ad una mediazione atipica, estranea alla previsione dettata dagli artt. 1754 ss. c.c. (Carraro, 64).

Secondo un'ulteriore opinione la mediazione avrebbe in generale natura contrattuale, con la precisazione che, nel caso della consapevole accettazione, da parte degli intermediati, dei risultati dell'attività posta in essere dal mediatore senza preventivo incarico, essa andrebbe ricondotta alla categoria dei rapporti contrattuali di fatto, dal momento che la legge ricollega alla fattispecie gli stessi effetti che si produrrebbero per effetto di un valido accordo del mediatore con ciascuna delle parti (Giordano, 214).

Neppure la l. 3 febbraio 1989, n. 39, subito fatto oggetto di valutazione critica da parte della dottrina (Alpa, 261), ha apportato chiarezza, la quale avrebbe avuto ovvie ricadute sulla disciplina della responsabilità del mediatore, dal momento che una univoca opzione del legislatore nei riguardi della natura della mediazione avrebbe permesso di circoscrivere le conseguenze derivanti dalle possibili patologie genetiche o funzionali del rapporto (Ponzanelli, 1368).

In giurisprudenza molte decisioni affermano la natura contrattuale del rapporto di mediazione (Cass. n. 5777/2006; Cass. n. 15274/2006; Cass. n. 12106/2003; Cass. n. 4111/2001). In tal senso sembra senz'altro essere l'indirizzo prevalente, confermato, ad esempio, dal versante dell'individuazione del termine di prescrizione applicabile (Cass. n. 16382/2009). Tuttavia le pronunce non mancano di riflettere i contrasti della dottrina.

È stato detto così che il rapporto che si instaura tra chi mette in contatto due o più parti per la conclusione di un affare senza essere legato da vincoli di rappresentanza, collaborazione o dipendenza, ha natura contrattuale, mentre la conclusione dell'affare costituisce soltanto la condicio iuris idonea a far sorgere il diritto alla provvigione (Cass. n. 18514/2009, la quale ne ha tratto la conseguenza che, configurandosi la mediazione come contratto, ove venga stipulato con un ente pubblico — ancorché questo agisca iure privatorum — esso richiede la forma scritta ad substantiam, con esclusione di qualsivoglia manifestazione di volontà implicita o desumibile da comportamenti meramente attuativi). Ed è stato aggiunto che il diritto del mediatore alla provvigione non consegue al solo fatto di aver posto in relazione due parti per la conclusione di un affare, ma postula, stante la natura contrattuale del rapporto di mediazione da cui il diritto stesso deriva, la ricorrenza di un consenso espresso o tacito di dette parti per la costituzione di tale rapporto (Cass. n. 1626/1983). Ai fini della configurabilità del rapporto di mediazione, cioè, non è necessaria l'esistenza di un preventivo conferimento di incarico per la ricerca di un acquirente o di un venditore, ma è sufficiente che la parte abbia accettato l'attività del mediatore avvantaggiandosene (Cass. n. 25851/2014). Il rapporto di mediazione, inteso come interposizione neutrale tra due o più persone per agevolare la conclusione di un determinato affare, non postula dunque necessariamente un preventivo accordo delle parti sulla persona del mediatore, ma è configurabile pure in relazione ad una materiale attività intermediatrice che i contraenti accettano anche soltanto tacitamente, utilizzandone i risultati ai fini della stipula del contratto. Sicché, ove il rapporto di mediazione sia sorto per incarico di una delle parti, ma abbia avuto poi l'acquiescenza dell'altra, quest'ultima resta del pari vincolata verso il mediatore, onde un eventuale successivo suo rifiuto non sarebbe idoneo a rompere il nesso di causalità tra la conclusione dell'affare, effettuata in seguito direttamente tra le parti, e l'opera mediatrice precedentemente esplicata (Cass. n. 21737/2010).

All'opposto si segnala l'opinione secondo cui, poiché la mediazione non ha natura contrattuale, ricollegandosi all'attività del mediatore, funzionale rispetto alla conclusione del contratto, autonomamente disciplinata dalla legge e scaturente dalla semplice opera di intermediazione, ne consegue che quando questa viene svolta a favore di un ente pubblico il mediatore ha diritto al compenso senza che per il conferimento dell'incarico sia necessaria la forma scritta, che resta obbligatoria per la stipulazione dei contratti da parte degli enti pubblici (Cass. n. 11384/1991). È stato anche detto, suscitando accese critiche della dottrina, che la mediazione tipica, disciplinata dagli artt. 1754 ss. c.c., è soltanto quella svolta dal mediatore in modo autonomo, senza essere legato alle parti da alcun vincolo di mandato o di altro tipo, e non costituisce un negozio giuridico, ma un'attività materiale dalla quale la legge fa scaturire il diritto alla provvigione. Tuttavia, in virtù del «contatto sociale» che si crea tra il mediatore professionale e le parti, nella controversia tra essi pendente trovano applicazione le norme sui contratti, con la conseguenza che il mediatore, per andare esente da responsabilità, deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile nell'adempimento degli obblighi di correttezza ed informazione a suo carico, ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c., e di non aver agito in posizione di mandatario (Cass. n. 16382/2009).

Si è fatta strada, inoltre, l'opinione secondo cui è configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione c.d. «atipica», fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche a una soltanto delle parti interessate (mediazione unilaterale); tale ipotesi ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un affare, incaricati altri di svolgere un'attività intesa alla ricerca di un persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni (Cass. n. 12961/2014). Alla c.d. mediazione «atipica» viene dunque riconosciuta natura contrattuale, giacché essa ricorre quando il mediatore operi sulla base di un precedente incarico, sempre che venga in rilievo l'attività che caratterizza la mediazione, ossia mettere in relazione due o più parti per la conclusione di un affare. In tal caso il mediatore assume comunque gli obblighi di cui all'art. 1759, comma 1, c.c. (Cass. n. 8374/2009). La sussistenza della mediazione non è viceversa esclusa dalla pattuizione con cui venga convenuto il diritto alla provvigione già prima della conclusione dell'affare, come nel caso di maturazione del diritto a provvigione con l'acquisizione di una proposta irrevocabile di acquisto (Cass. n. 8374/2009).

Obblighi informativi e responsabilità

La disciplina della responsabilità del mediatore trova il suo principale referente, come si è già accennato, nell'art. 1759, comma 1, c.c., il quale onera il mediatore dell'obbligo di informare le parti riguardo alle «circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possono influire sulla conclusione di esso».

Ma si è anche già ricordato che il dettato dell'art. 1759, comma 1, c.c., va integrato con la previsione posta dalla l. n. 39/1989, che ha introdotto l'obbligo dell'iscrizione dei mediatori in un apposito ruolo professionale, oggi sostituito, a seconda dei casi, dall'iscrizione nel registro delle imprese ovvero presso il repertorio delle notizie economiche e amministrative (Rea) secondo quanto previsto dall'art. 73 d.lgs. n. 59/2010. Difatti, l'obbligo di iscrizione testimonia la natura professionale dell'attività del mediatore, tanto più che lo stesso d.lgs. n. 59/2010 ha previsto l'obbligo per i mediatori di prestare idonea garanzia assicurativa «a copertura dei rischi professionali e a tutela dei clienti», sicché la sua responsabilità viene considerata quale responsabilità professionale.

Secondo l'indirizzo, che pure riconosce la natura contrattuale della mediazione, prima della conclusione dell'affare la responsabilità del mediatore sarebbe disciplinata dall'art. 1337 c.c., che impone l'osservanza di un generale dovere di correttezza nella fase precontrattuale. Poiché il mediatore non è tenuto a dare corso alla propria attività in vista della conclusione dell'affare, il perfezionamento del contratto e l'instaurazione del rapporto contrattuale tra mediatore e intermediati avrebbe luogo solo con essa: in definitiva, prima della conclusione dell'affare, gli obblighi informativi del mediatore si collocherebbero in fase precontrattuale, con conseguente applicabilità dell'art. 1337 c.c. (Marini, 133). Si obbietta che già l'attività di messa in relazione di cui all'art. 1754 c.c. si colloca dal versante contrattuale, sicché è con l'avvio di tale attività che il mediatore rimane assoggettato agli obblighi informativi previsti dalla legge, obblighi informativi che trovano dunque fondamento non nell'art. 1337 c.c., bensì nell'art. 1759, comma 1, c.c. (Sacco-De Nova, 339).

È stato in proposito rammentato che, in base all'art. 1759, comma 1, c.c., la giurisprudenza ha per lungo tempo ritenuto gravare sul mediatore l'obbligo di comunicare alle parti intermediate esclusivamente le circostanze relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare di cui abbia conoscenza, obbligo dal quale si faceva discendere solo l'ulteriore obbligo, in negativo, di non comunicare alle parti informazioni consapevolmente false. Unicamente per quanto riguarda la solvibilità delle parti, in considerazione di quanto disposto nell'art. 1764, comma 3, c.c., inteso a punire il mediatore che presti la sua attività nell'interesse di persona notoriamente insolvente, si era affermato che il dovere d'informazione di cui al comma 1 avrebbe dovuto considerarsi esteso anche alle circostanze che il mediatore deve conoscere (Zaccaria, Della mediazione, 1884). Ma si è per altro verso aggiunto che la giurisprudenza più recente, ponendo l'accento sulla considerazione che la legge n. 39 del 1989 ha inteso la mediazione come caratterizzata da tratti propri delle professioni in genere, e rifacendosi alla previsione dell'art. 1175 c.c., quale fonte anch'essa di obbligazioni, in via integrativa, ha ritenuto che il mediatore, quale esperto dei settori in cui opera, nello svolgimento delle sue attività, sia tenuto a comunicare alle parti anche le circostanze a lui non note, ma da lui conoscibili mediante l'uso della diligenza richiesta, dall'art. 1176, comma 2, c.c., ad un operatore professionale. Il mediatore, in questa prospettiva, dovrebbe allora essere inteso come soggetto non più soltanto all'obbligo, di cui all'art. 1759, comma 1, c.c., c.c., di comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possono influire sulla conclusione di esso, bensì anche all'obbligo di assumere esatte informazioni relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, in misura adeguata rispetto alle caratteristiche dell'affare medesimo e al livello della sua organizzazione (Zaccaria, 2010, 256, ove vengono riservate considerazioni ampiamente critiche alla citata Cass. n. 16382/2009).

In definitiva l'adempimento dell'obbligo informativo gravante sul mediatore deve valutarsi alla luce del criterio della diligenza professionale, di cui all'art. 1176, comma 2, c.c. (Zaccaria, 2010, 256).

In giurisprudenza può effettivamente riscontrarsi l'evoluzione segnalata dalla dottrina, con l'ampliamento del ventaglio degli obblighi informativi gravanti sul mediatore, estesi non più soltanto in negativo alle circostanze non veritiere nonché in positivo a quelle effettivamente conosciute, ma anche alle circostanze conoscibili, sia pure entro limiti circoscritti, mediante l'impiego della diligenza richiesta dal comma 2 dell'art. 1176 c.c.

Vale anzitutto osservare che gli obblighi informativi a carico del mediatore scattano, secondo quanto ritenuto dalla dottrina già menzionata, già con l'avvio dell'attività di messa in relazione relativa allo specifico affare. La responsabilità del mediatore ricorre cioè non già soltanto in caso di perfezionamento dell'acquisto, ma anche nel caso che l'affare non sia concluso, posto che la conclusione dell'affare, se costituisce condizione per il sorgere del diritto al compenso, non rappresenta, invece, presupposto per l'affermazione di responsabilità a carico del mediatore, che è tenuto all'assolvimento degli obblighi di cui all'art. 1759, comma 1, c.c., sin dall'avvio della sua attività, ed anche se l'affare non viene a conclusione (Cass. n. 5777/2006).

Si trova poi affermato, con riguardo all'aspetto negativo dell'obbligo informativo, che il mediatore che abbia fornito alla parte interessata alla conclusione dell'affare informazioni sulla regolarità urbanistica dell'immobile, omettendo di controllare la veridicità di quelle ricevute (nella specie, la natura abusiva della veranda, adibita a cucina e in posizione centrale rispetto agli altri locali, e, quindi, neppure condonabile), non ha assolto l'obbligo di corretta informazione in base al criterio della media diligenza professionale, che comprende non solo l'obbligo di comunicare le circostanze note (o conoscibili secondo la comune diligenza) al professionista, ma anche il divieto di fornire quelle sulle quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, sicché è responsabile per i danni sofferti dal cliente (Cass. n. 18140/2015). Il mediatore, insomma, deve astenersi dal comunicare informazioni che non abbia verificato o della cui falsità sia addirittura consapevole (Cass. n. 19951/2008, la quale ha ritenuto la responsabilità di un mediatore che aveva indicato come affidabile l'acquirente senza averlo in effetti conosciuto né acquisito informazioni su di lui; Cass. n. 6926/2012, la quale ha parimenti ritenuto la responsabilità di un mediatore che aveva dichiarato all'acquirente di un immobile che il bene era in «ottimo stato», senza avere in realtà effettuato verifiche; Cass. n. 6714/2001, concernente immobile, diversamente da quanto riferito dal mediatore, costituito non da due, ma da una sola unità catastale e, inoltre, gravato da numerose iscrizioni ipotecarie). Incorre dunque in responsabilità il mediatore che dichiari la sussistenza della abitabilità dell'immobile, nella realtà insussistente (Cass. n. 8374/2009; Cass. n. 6219/1993). Una responsabilità del mediatore può NEL COMPLESSO porsi, in ordine alla mancata informazione circa la piena legittimità urbanistica del bene, nei soli casi in cui il mediatore abbia taciuto informazioni e circostanze delle quali era a conoscenza, ovvero abbia riferito circostanze in contrasto con quanto a sua conoscenza, ovvero ancora laddove, sebbene espressamente incaricato di procedere ad una verifica in tal senso da uno dei committenti, abbia omesso di procedere ovvero abbia erroneamente adempiuto allo specifico incarico (Cass. II, n. 22592/2020).

È stato d'altro canto aggiunto che il mediatore, pur non essendo tenuto, in difetto di un incarico specifico, a svolgere, nell'adempimento della sua prestazione, particolari indagini di natura tecnico-giuridica (come l'accertamento della libertà da pesi dell'immobile oggetto del trasferimento, mediante le cosiddette visure catastali ed ipotecarie), al fine di individuare fatti rilevanti ai fini della conclusione dell'affare, è pur tuttavia gravato, in positivo, dall'obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che è richiesta in relazione al tipo di prestazione, nonché, in negativo, dal divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su fatti dei quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle. Ne consegue che, qualora il mediatore infranga tali regole di condotta, è legittimamente configurabile una sua responsabilità per i danni sofferti, per l'effetto, dal cliente (Cass. n. 16623/2010). Sicché, la mancata informazione del promissario acquirente sull'esistenza di una irregolarità urbanistica non ancora sanata relativa all'immobile oggetto della promessa di vendita, della quale il mediatore stesso doveva e poteva essere edotto, in quanto agevolmente desumibile dal riscontro tra la descrizione dell'immobile contenuta nell'atto di provenienza e lo stato effettivo dei luoghi, legittima il rifiuto del medesimo promissario di corrispondere la provvigione (Cass. n. 16623/2010).

Tra le circostanze che incidono sulla conclusione dell'affare, e sulle relative condizioni, che costituiscono oggetto dell'obbligo informativo a carico del mediatore, rientra, inoltre, la sussistenza di eventuali locazioni ultranovennali (Cass. n. 18515/2009). La responsabilità del mediatore è stata ritenuta anche in un caso in cui la grave situazione debitoria del venditore di un immobile non poteva sfuggire al medesimo sol che questi avesse esaminato i libri contabili della società di pertinenza del predetto venditore ed avesse consultato altresì il bollettino dei protesti, nell'ambito di una elementare attività di conoscenza di circostanze indispensabili per svolgere correttamente il ruolo di intermediario professionale (Cass. n. 6389/2001). E, La capacità patrimoniale delle parti è, sicuramente, un elemento di rilievo per la sicurezza e risulta erroneo ritenere che la norma ex art. 1759 c.c. non possa trovare applicazione alle condizioni personali e patrimoniali relative alle parti (Cass. II, n. 20512/2020).

Come si è accennato, tuttavia, in difetto di una diversa ed espressa richiesta del cliente in tal senso, il mediatore professionale immobiliare non è tenuto ad esaminare le conservatorie dei registri immobiliare per verificare in quale categoria catastale rientri l'immobile, e, di conseguenza, se l'acquisto di esso consentirà all'acquirente il godimento dei benefici fiscali previsti per l'acquisto della prima casa. Il mediatore immobiliare è viceversa responsabile nei confronti del cliente se, conoscendo o potendo conoscere con l'ordinaria diligenza l'esistenza di vizi che diminuiscono il valore della cosa venduta, non ne informi l'acquirente; tale responsabilità si affianca a quella del venditore e può essere fatta valere dall'acquirente sia chiedendo al mediatore il risarcimento del danno, sia rifiutando il pagamento della provvigione (Cass. n. 6926/2012). In base alla disciplina codicistica e professionale, cioè, il mediatore, pur dovendo normalmente osservare gli obblighi previsti dall'art. 1759, comma 1, c.c., non è, tuttavia, tenuto in difetto di uno specifico incarico, al compimento di indagini di natura tecnico-giuridica, come l'accertamento della libertà dell'immobile oggetto del trasferimento, mediante le cosiddette visure catastali ed ipotecarie (Cass. n. 822/2006). Può dirsi insomma fermo l'orientamento secondo cui non rientra nella comune ordinaria diligenza, alla quale il mediatore deve conformarsi nell'adempimento della prestazione ai sensi dell'art. 1176 c.c., lo svolgimento, in difetto di particolare incarico, di specifiche indagini di tipo tecnico giuridico, dovendosi ritenere pertanto che in caso di intermediazione in compravendita immobiliare, non può considerarsi compreso nella prestazione professionale del mediatore l'obbligo di accertare, previo esame dei registri immobiliari, la libertà dell'immobile oggetto della trattativa da trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli (Cass. n. 19075/2012; Cass. n. 15926/2009). Peraltro, vale ripetere, in ossequio all'obbligo di segno negativo di cui si è detto, il mediatore incorre in responsabilità qualora renda alle parti dichiarazioni non veritiere sulla situazione dell'immobile, come nel caso che dichiari l'insussistenza di iscrizioni ipotecarie sul bene che risultino invece esistenti (Cass. n. 5107/1999).

Talora, tuttavia, è stato detto che il mediatore è tenuto a compiere le verifiche sulla fattibilità stessa dell'affare, poiché tale compito discende direttamente dagli obblighi di correttezza e diligenza di cui agli artt. 1175 e 1176 c.c., sicché è stata riconosciuta la responsabilità del mediatore per non aver rilevato e segnalato alle parti che l'immobile era affetto da irregolarità urbanistiche tali da renderlo inalienabile e destinato alla demolizione (Cass. n. 16009/2003).

Anche in mancanza di un espresso incarico può d'altronde sussistere un obbligo di svolgimento di indagini di carattere tecnico-giuridico sul bene in presenza di circostanze particolari, tali da determinare un parallelo ampliamento dell'affidamento del cliente e delle obbligazioni a carico del mediatore, in base ai criteri della correttezza e diligenza professionale: in un caso di compravendita di un immobile che era risultato gravato da iscrizioni e trascrizioni emerse in sede di stipula del contratto definitivo ma non in sede di preliminare, essendosi ciascuna parte impegnata a sottoscrivere il preliminare senza conoscere l'altra, la S.C. ha posto l'accento sulla circostanza che il mediatore aveva avuto un ruolo di attiva assistenza nella conclusione dell'affare, affermando perciò la sussistenza della responsabilità del mediatore (Cass. n. 4126/2001).

Ipotesi di cumulo di responsabilità

Si è presentato in giurisprudenza il caso del concorso tra la responsabilità del mediatore e quella del promittente venditore, avendo sia l'uno che l'altro taciuto l'esistenza di vizi della cosa.

In proposito la S.C. ha affermato che la domanda risarcitoria proposta nei confronti del promittente venditore per le circostanze o i vizi che diminuiscono il valore della cosa venduta non impedisce al promittente compratore di far valere nei confronti del mediatore che era a conoscenza delle predette circostanze o dei predetti vizi, l'inadempimento dell'obbligo di informazione al quale lo stesso è tenuto nei confronti delle parti, trattandosi di responsabilità afferenti a due diversi rapporti, quello nascente dal contratto preliminare con il promittente venditore e quello di mediazione con il mediatore (Cass. n. 1102/1996). Anche in seguito è stato ribadito che il mediatore immobiliare è responsabile nei confronti del cliente se, conoscendo o potendo conoscere con l'ordinaria diligenza l'esistenza di vizi che diminuiscono il valore della cosa venduta, non ne informi l'acquirente; tale responsabilità si affianca a quella del venditore e può essere fatta valere dall'acquirente sia chiedendo al mediatore il risarcimento del danno, sia rifiutando il pagamento della provvigione (Cass. n. 6926/2012).

Altra ipotesi di cumulo di responsabilità può aversi in caso di submediazione. In tale frangente la parte che in origine abbia dato incarico al mediatore ha — in applicazione analogica dell'art. 1595 c.c. — azione diretta nei confronti del submediatore, senza pregiudizio dei suoi diritti verso il mediatore originariamente incaricato, che continua, perciò, ad essere tenuto anche alle obbligazioni di informazione, di comunicazione e di avviso, derivanti dall'art. 1759 c.c., se di tale norma sussistano le condizioni di applicabilità in relazione alle circostanze a lui note. Difatti, posto che né il codice civile né la l. 3 febbraio 1989, n. 39 prevedono l'incompatibilità di una pluralità di mediatori rispetto al medesimo affare, l'affidamento successivo del medesimo incarico ad altro mediatore non concreta un comportamento concludente denotante revoca dell'incarico originario nei confronti del primo, ma solo determina, nell'ipotesi in cui l'affare sia concluso in dipendenza dell'attività svolta da entrambi i mediatori, la parziarietà dal lato attivo dell'obbligazione relativa alla provvigione (avendo ciascun mediatore diritto al pagamento di una quota di essa in proporzione all'entità e all'importanza dell'opera prestata), fermo restando che ciascuno di essi, essendo singolarmente tenuto agli obblighi specifici di informazione, di comunicazione e di avviso nei confronti del soggetto intermediato, risponde per la totalità dei danni cagionati dalle colpevoli sue omissioni (Cass. n. 3437/2002).

Mediatore persona fisica e società di mediazione

L'obbligo informativo previsto dall'art. 1759 c.c. si applica sia ai mediatori che operino individualmente sia alle società di mediazione, con la precisazione che, in tal caso è prescritto il requisito dell'iscrizione per ciascuna delle persone che esercitino l'attività di mediazione per conto della società (v. art. 3, comma 5, l. n. 39/1989).

Ed infatti, tutti coloro che esercitano l'attività di mediazione per conto di imprese organizzate, anche in forma societaria, devono essere iscritti nell'apposito ruolo professionale, a norma dell'art. 3, comma 5, l. n. 39/1989, mentre secondo l'art. 11 del relativo regolamento di attuazione, emanato con d.m. 21 dicembre 1990 n. 452, in caso di esercizio dell'attività di mediazione da parte di una società, i requisiti per l'iscrizione nel ruolo debbono essere posseduti dal legale rappresentante di essa ovvero da colui che da quest'ultima è preposto a tale ramo di attività. Ne consegue che per gli ausiliari della società di mediazione è prescritta l'iscrizione nel ruolo solo quando, per conto della società, risultino assegnati allo svolgimento di attività mediatizia in senso proprio, della quale compiono gli atti a rilevanza esterna, con efficacia nei confronti dei soggetti intermediati, ed impegnativi per l'ente da cui dipendono; essa non è invece richiesta per quei dipendenti della società che esplicano attività accessoria e strumentale a quella di vera e propria mediazione, in funzione di ausilio ai soggetti a ciò preposti (Cass. n. 8708/2009).

È stato in proposito chiarito che, in tema di mediazione, prevedendo il regime transitorio dettato dall'art. 9 l. 3 febbraio 1989 n. 39, l'automatica iscrizione nel nuovo ruolo di tutti gli agenti già iscritti nei ruoli costituiti in base alla legge previgente e stabilendo, invece, in regime ordinario, l'art. 11 d.m. 21 dicembre 1990 n. 452 che, in presenza dei previsti requisiti soggettivi in capo al legale rappresentante, anche la società può domandare l'iscrizione nel nuovo ruolo, ne consegue che il principio dell'efficacia soggettiva dell'iscrizione è valido pure per le fattispecie regolate dalla disciplina transitoria e, pertanto, anche in tal caso, l'automatica iscrizione nel nuovo ruolo di chi era già iscritto nel vecchio e, comunque, la possibilità, per il medesimo, di continuare l'attività mediatoria, non può giovare alla società di cui lo stesso iscritto sia legale rappresentante. Risultano, tuttavia, manifestamente infondati i dubbi di legittimità costituzionale della ricordata normativa transitoria, in relazione agli artt. 2, 3, 4, 25 e 41 Cost., essendo giustificata la diversità della disciplina dalla diversità dei soggetti e delle situazioni cui essa si applica (persone fisiche già iscritte nei precedenti albi dei mediatori, e, pertanto, già sottoposte ai controlli prescritti dalla legge, e persone giuridiche, per la prima volta iscritte in proprio, con la necessità del compimento dei prescritti controlli prima dell'iscrizione) e trattandosi di disciplina dettata a fini sociali e a tutela dell'interesse pubblico, affinché l'attività di mediatore sia svolta esclusivamente da persone in possesso di particolari cognizioni tecniche, anche alla luce della responsabilità del mediatore quanto all'obbligo sullo stesso gravante — a norma dell'art. 1759 c.c. — di comunicare alle parti circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare (Cass. n. 28283/2011).

Caratteri generali dell'azione risarcitoria

Poiché la violazione degli obblighi informativi di cui all'art. 1759, comma 1, c.c. dà luogo, secondo quanto prevalentemente ritenuto in dottrina e giurisprudenza, a responsabilità di tipo contrattuale a carico del mediatore, devono in tal caso ritenersi applicabili le regole generali dettate in materia di responsabilità contrattuale.

In ordine al riparto degli oneri probatori occorre dunque far capo al principio secondo cui spetta al creditore soltanto dedurre l'inadempimento, dovendo il mediatore comprovare di avere viceversa adempiuto, ovvero che l'inadempimento è da attribuire a causa non imputabile (basterà in proposito richiamare l'autorità di Cass. S.U., n. 13533/2001, concernente in generale la risoluzione per inadempimento). Grava invece sull'intermediato la prova dei danni e della riconducibilità di essi sul piano eziologico alla violazione degli obblighi informativi posti dalla legge a carico del mediatore.

Quanto ai danni risarcibili, essi si identificano, ai sensi dell'art. 1223 c.c., con le perdite che siano conseguenze immediata e diretta dell'inadempimento, ossia, nel caso considerato, della violazione dell'obbligo più volte menzionato. In linea generale, versandosi in ipotesi di inadempimento di un obbligo informativo, e dunque di causalità omissiva, la verifica della sussistenza dei danni va compiuta attraverso il consueto criterio del giudizio controfattuale, consistente nel collocare in luogo della condotta omessa quella che il mediatore avrebbe dovuto invece tenere. Per questa via il danno risarcibile va infine identificato con la perdita che l'intermediato ha subito per aver concluso (o per non aver concluso) un affare che non avrebbe invece concluso (o avrebbe al contrario concluso) se fosse stato debitamente informato (v. sui danni anche Marini, 137).

L'obbligo del mediatore di comunicare, ai sensi dell'art. 1759, comma 1, c.c., alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possono influire sulla conclusione di esso, non è limitato alle circostanze conoscendo le quali le parti o taluna di essa non avrebbero dato il consenso a quel contratto, ma si estende anche alle circostanze che avrebbero indotto le parti a concludere quel contratto con diverse condizioni e clausole. Il dovere di imparzialità che incombe sul mediatore è, infatti, violato — e da ciò deriva la sua responsabilità — tanto nel caso di omessa comunicazione di circostanze che avrebbero indotto la parte a non concludere l'affare, quanto nel caso in cui la conoscenza di determinate circostanze avrebbero indotto la parte a concludere l'affare a condizioni diverse (Cass. n. 2277/1984).

In ordine al quantum, trova applicazione il limite della prevedibilità del danno contemplato dall'art. 1225 c.c., prevedibilità che andrà peraltro rapportata alla natura professionale dell'attività del mediatore. Ove il danno non sia suscettibile di essere comprovato nel suo preciso ammontare, deve ritenersi consentito il ricorso alla liquidazione equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c. Va inoltre fatta applicazione dell'art. 1227 c.c. per l'ipotesi di concorso del fatto colposo dell'intermediato. Resta da dire che, sia che operi individualmente che in forma societaria, la responsabilità del mediatore si estende al fatto degli ausiliari o collaboratori dei quali l'intermediario si avvalga ai sensi dell'art. 1228 c.c. Nel caso di pluralità dei mediatori, indipendentemente dall'applicabilità dall'art. 2055 c.c., concernente la materia aquiliana, è da ritenere la responsabilità solidale di tutti i mediatori (v. Cass. n. 27875/2013, in tema di intermediazione finanziaria).

Alla natura contrattuale della responsabilità del mediatore segue l'applicabilità all'azione risarcitoria spiegata nei suoi confronti dell'ordinario termine di prescrizione decennale (Cass. n. 16382/2009).

Falsità della sottoscrizione

L'art. 1759, comma 2, c.c. contempla una ulteriore specifica ipotesi di responsabilità del mediatore un caso di difetto di autenticità della sottoscrizione delle scritture e dei titoli trasmessi per il suo tramite.

Si ritiene in proposito che con la regola in parola il legislatore abbia per un verso inteso accrescere la fiducia nel mediatore, accreditandolo presso il contraente cui presenta i documenti sottoscritti, e, per altro verso, abbia voluto tutelare convenientemente gli interessi delle parti, risparmiando loro i ritardi delle difficoltà che si frapporrebbero alla conclusione del contratto se la parte dovesse accertarsi dell'autenticità della sottoscrizione delle scritture e dei titoli consegnati dal mediatore (Stolfi, 46). La disposizione trova la sua giustificazione nella possibilità che il mediatore ha di controllare personalmente l'autenticità dei documenti che trasmette (Stolfi, 47), che va limitata ai documenti attinenti all'affare trattato, che abbiano valore negoziale (Carraro, 169; Marini, 139), e che non siano già autenticati da pubblico ufficiale, giacché, in quest'ultimo caso, all'obbligo del mediatore si sostituisce l'attività del pubblico ufficiale specificamente competente per l'autenticazione (Stolfi, 46; Carraro, 171).

Secondo altri la norma non pone un obbligo di verifica dell'autenticità delle sottoscrizioni in capo al mediatore, ma è volta a creare una garanzia contro il pericolo di falsità delle sottoscrizioni (Carraro, 166; Marini, 139).

Quanto all'ultima girata dei titoli trasmessi per il suo tramite, si ritiene che la norma non possa riferirsi ai titoli al portatore (Stolfi, 47).

Risoluzione per inadempimento

Una volta riconosciuta natura contrattuale alla mediazione, occorre aggiungere che il contratto si configura come contratto a prestazioni corrispettive, giacché agli obblighi a carico del mediatore si contrappone il diritto di quest'ultimo alla provvigione, che svolge funzioni di corrispettivo.

Ne discende che, oltre all'azione risarcitoria, gli intermediati possono avvalersi nei confronti del mediatore della generalità delle impugnative negoziali, ed in particolare dell'azione di risoluzione per inadempimento di cui all'art. 1453.

La risoluzione, naturalmente, avuto riguardo al precetto posto dall'art. 1455 c.c. richiede che l'inadempimento sia di non scarsa importanza. In un caso, la S.C. ha dunque ritenuto che la mancata informazione circa la sussistenza di locazione ultranovennale, non fosse di gravità sufficiente a determinare la risoluzione del contratto, ma solo a giustificare l'accoglimento della domanda di risarcimento proposta (Cass. n. 18515/2009).

Fattispecie

In generale, sui caratteri della figura del mediatore e sulle ricadute di essa sulla sua responsabilità, è stato affermato che, in virtù della testuale previsione contenuta nell'art. 33, comma 5, Cost. secondo la quale è prescritto un esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale, è legittima — costituendo diretta attuazione di tale regola — la disposizione contenuta nell'art. 2 l. 3 febbraio 1989, n. 39, alla stregua della quale è prevista l'istituzione, presso ciascuna camera di commercio, del ruolo degli agenti in affari di mediazione, nel quale devono iscriversi — previo superamento di apposito esame o previo conseguimento del titolo abilitativo di cui alla lett. e) del comma 3 dello stesso art. 2 — anche coloro che svolgono l'attività di mediazione, pure se esercitata in modo discontinuo od occasionale, così come individuati nel comma 4 della medesima norma. Tale normativa — a prescindere dalla considerazione per cui rientra nella discrezionalità del legislatore introdurre nuove categorie di «professionisti» — obbedisce al soddisfacimento di un interesse pubblico affinché l'attività del mediatore sia svolta esclusivamente da persone in possesso di particolari cognizioni tecniche, anche alla luce della disciplina della responsabilità del mediatore quanto all'obbligo sullo stesso gravante — a norma dell'art. 1759 c.c. — di comunicare alle parti circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare (Cass. n. 19066/2006). Il mediatore è tenuto, proprio per la sua speciale professionalità, ad un grado di diligenza superiore a quella dell'uomo medio (Trib. Monza 4 settembre 2006, in Giur. merito, 2011, 84, con nota di Rolfi)

È importante rammentare anzitutto che la responsabilità del mediatore ex art. 1759 c.c. sussiste anche se l'affare non sia stato concluso tra le parti intermediate, dato che la conclusione dello stesso non è prevista come elemento costitutivo di tale responsabilità (Cass. n. 5777/2006).

Con riguardo alla latitudine delle obbligazioni gravante sul mediatore immobiliare è stato in generale affermato che non rientra nella comune ordinaria diligenza, alla quale il mediatore deve conformarsi nell'adempimento della sua prestazione, ai sensi dell'art. 1176 c.c., lo svolgimento, in difetto di particolare incarico, di specifiche indagini di tipo tecnico giuridico. Pertanto, in caso di intermediazione in compravendita immobiliare, non è ricompreso nella prestazione professionale del mediatore l'obbligo di accertare, previo esame dei registri immobiliari, la libertà del bene oggetto della trattativa da trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli (Cass. n. 8849/2017). Anche in precedenza era stato affermato che in tema di responsabilità del mediatore, non rientra nella comune ordinaria diligenza, alla quale il mediatore deve conformarsi nell'adempimento della prestazione ai sensi dell'art. 1176 c.c., lo svolgimento, in difetto di particolare incarico, di specifiche indagini di tipo tecnico giuridico, dovendosi ritenere pertanto che in caso di intermediazione in compravendita immobiliare, non può considerarsi compreso nella prestazione professionale del mediatore l'obbligo di accertare, previo esame dei registri immobiliari, la libertà dell'immobile oggetto della trattativa da trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli (Cass. n. 15274/2006). In breve, in base alla disciplina codicistica e professionale, il mediatore, pur dovendo normalmente osservare gli obblighi previsti dall'art. 1759 comma 1 c.c., non è, tuttavia, tenuto in difetto di uno specifico incarico, al compimento di indagini di natura tecnico-giuridica come l'accertamento della libertà dell'immobile oggetto del trasferimento, mediante le cosiddette visure catastali ed ipotecarie (Cass. n. 822/2006). Anche nella giurisprudenza di merito è ribadito che in tema di vendita e mediazione immobiliare, non rientra nell'obbligo di diligenza richiesto al mediatore dall'art. 1759 c.c. anche il dovere di compiere specifiche indagini di natura tecnico-giuridica. Cosicché, in mancanza di conferimento di uno specifico incarico in tal senso, il mediatore non ha l'obbligo di provvedere allo svolgimento di specifiche indagini di carattere tecnico — giuridico, quali sono quelle volte all'accertamento di iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli sull'immobile oggetto di compravendita (Trib. Massa 19 maggio 2016).

Non spetta in particolare al mediatore l'onere di fornire al cliente una consulenza tecnico-giuridica sulle conseguenze derivanti dall'atto; il mediatore è tenuto a comunicare al cliente una circostanza nota o da lui conoscibile con l'ordinaria diligenza, ma tale circostanza deve essere tale da incidere sulla risoluzione/annullamento del contratto cioè sulla sicurezza dell'affare. Quindi, non poteva esigersi dal mediatore la verifica dell'esistenza di società di cui il venditore fosse stato amministratore, né tantomeno poteva esigersi che il mediatore imbastisse un ragionamento ipotetico di tipo giuridico sulla possibilità che fossero intentate azioni di responsabilità nei confronti dell'amministratore di società fallite (Trib. Bologna 13 agosto 2015).

Non c'è dubbio tuttavia che ai sensi dell'art. 1759 c.c., il mediatore deve indicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possono influire sulla conclusione di esso (Trib. Chieti 26 aprile 2010). Per altro verso, si trova allora affermato che la responsabilità del mediatore in ordine alla corretta informazione da fornire alle parti deve essere valutata in relazione alle peculiarità del caso concreto. L'art. 1759, comma 1, c.c. — che impone al mediatore l'obbligo di comunicare alle parti le circostanze a lui note circa la valutazione e sicurezza dell'affare che possano influire sulla sua conclusione — deve essere letto in coordinazione con gli artt. 1175 e 1176 dello stesso codice, nonché con la disciplina dettata dalla legge n. 39 del 1989 — che ha posto in risalto la natura professionale dell'attività del mediatore, subordinandone l'esercizio all'iscrizione in un apposito ruolo, che richiede determinati requisiti di cultura e competenza condizionando all'iscrizione stessa la spettanza del compenso. Ne consegue che il mediatore, pur non essendo tenuto, in difetto di un incarico particolare in proposito, a svolgere, nell'adempimento della sua prestazione (che si svolge in ambito contrattuale), specifiche indagini di natura tecnico — giuridica (come l'accertamento della libertà dell'immobile oggetto del trasferimento, mediante le cosiddette visure catastali ed ipotecarie) al fine di individuare circostanze rilevanti ai fini della conclusione dell'affare a lui non note, è pur tuttavia tenuto ad un obbligo di corretta informazione secondo il criterio della media diligenza professionale, il quale comprende, in senso positivo, l'obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si richiede al mediatore, nonché, in senso negativo, il divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su circostanze delle quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle. Deriva da quanto precede, pertanto, che qualora il mediatore infranga tali regole di condotta, è configurabile una sua responsabilità per i danni sofferti dal cliente (Cass. n. 16623/2010; per la giurisprudenza di merito Trib. Roma 31 gennaio 2017). Lo stesso principio è stato affermato dalla S.C. con riferimento a fattispecie in cui la grave situazione debitoria del venditore di un immobile non poteva sfuggire al mediatore sol che questi avesse esaminato i libri contabili della società di pertinenza del predetto venditore ed avesse consultato altresì il bollettino dei protesti, nell'ambito di una elementare attività di conoscenza di circostanze indispensabili per svolgere correttamente il ruolo di intermediario professionale (Cass. n. 6389/2001). Egualmente si è provveduto in un caso in cui il mediatore professionale aveva procurato e ricevuto una proposta irrevocabile di acquisto, immediatamente vincolante per l'acquirente, relativa ad un immobile che era risultato gravato da iscrizioni e trascrizione pregiudizievoli in sede di stipula del contratto definitivo. Le trattative si erano svolte al «buio», essendosi ciascuna parte impegnata a sottoscrivere il preliminare di compravendita immobiliare senza conoscere l'altra ed il mediatore, nel corso delle stesse trattative, aveva avuto un ruolo di attiva assistenza. La Corte ha confermato l'affermazione di responsabilità del mediatore professionale, fondata anche sul rilievo che quanto emerso implicava, secondo un criterio di buona fede, un ampliamento dell'ambito di affidamento del cliente sulla correttezza e diligenza del professionista e l'assunzione implicita da parte di costui dell'obbligo di procurarsi, anche con mezzi propri, la conoscenza delle circostanze relative alla sicurezza dell'affare (Cass. n. 4126/2001).

In altri termini, in tema di mediazione, il limite dell'obbligo d'informazione che l'art. 1759, comma 1, c.c. pone a carico del mediatore non esclude affatto la possibilità di configurare la sua responsabilità per avere dato ad uno dei contraenti informazioni obiettivamente non vere, segnatamente se esse vertano su circostanze d'indubbio rilievo, quali quelle attinenti tra l'altro all'affermata ed inveridica assenza d'iscrizioni ipotecarie sull'immobile. Il generale dovere di correttezza, cui fa riscontro l'affidamento della parte nella veridicità delle affermazioni del mediatore sullo stato e sulle caratteristiche essenziali dell'immobile, gli impone per contro d'informare chi sia interessato all'acquisto della propria inconsapevolezza in ordine alla verità di quanto egli affermi, chiarendo che le notizie fornite sono incontrollate. Infatti l'affermazione di un fatto ne presuppone normalmente la conoscenza e non certo l'ignoranza; per converso, un fatto ignorato è normalmente taciuto e non anche affermato, necessariamente come vero, giacché la sua affermazione sarebbe altrimenti inutile (Cass. n. 6714/2001). Ed infatti in tema di compravendita immobiliare, il mediatore che abbia fornito alla parte interessata alla conclusione dell'affare informazioni sulla regolarità urbanistica dell'immobile, omettendo di controllare la veridicità di quelle ricevute (nella specie, la natura abusiva della veranda, adibita a cucina e in posizione centrale rispetto agli altri locali, e, quindi, neppure condonabile), non ha assolto l'obbligo di corretta informazione in base al criterio della media diligenza professionale, che comprende non solo l'obbligo di comunicare le circostanze note (o conoscibili secondo la comune diligenza) al professionista, ma anche il divieto di fornire quelle sulle quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, sicché è responsabile per i danni sofferti dal cliente (Cass. n. 18140/2015). Il mediatore, in altri termini, pur non essendo tenuto, in difetto di un incarico specifico, a svolgere, nell'adempimento della sua prestazione, particolari indagini di natura tecnico-giuridica (come l'accertamento della libertà da pesi dell'immobile oggetto del trasferimento, mediante le cosiddette visure catastali ed ipotecarie), al fine di individuare fatti rilevanti ai fini della conclusione dell'affare, è pur tuttavia gravato, in positivo, dall'obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che è richiesta in relazione al tipo di prestazione, nonché, in negativo, dal divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su fatti dei quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle. Ne consegue che, qualora il mediatore infranga tali regole di condotta, è legittimamente configurabile una sua responsabilità per i danni sofferti, per l'effetto, dal cliente (Cass. n. 16623/2010). In tale prospettiva è stato affermato che il mediatore, nello svolgimento della propria attività, ha l'onere di interporsi in modo neutrale tra i due contraenti mettendoli in relazione, favorendo il superamento delle loro divergenze e contribuendo a farli pervenire alla conclusione dell'affare (cui è subordinato il diritto al compenso), ed è obbligato a comportarsi con correttezza e buona fede, riferendo alle parti tutte le circostanze dell'affare di cui sia a conoscenza e quelle che avrebbe dovuto conoscere con l'uso della diligenza che gli è richiesta (Trib. Teramo 9 ottobre 2013, che ha respinto la domanda con la quale un'agenzia immobiliare ha chiesto la condanna del compratore al pagamento della provvigione, dal momento che l'immobile oggetto della compravendita era in realtà difforme — per distribuzione degli spazi interni, numero di vani e superficie utile ed abitabile — da quello descritto in sede di trattative). È stato affermato anche che in tema di mediazione, la responsabilità del mediatore ex art. 1759 c.c. per violazione dell'obbligo di informazione si estende anche alle circostanze che sebbene non conosciute dal mediatore, lo stesso avrebbe dovuto conoscere o per espresso incarico del cliente o perché rientranti nel contenuto della prestazione che il mediatore usualmente si impegna a svolgere in favore del cliente, quale può essere, appunto, la circostanza del carattere abusivo dell'immobile proposto in acquisto (Trib. Salerno 6 aprile 2010). Per di più l'obbligo del mediatore di comunicare alle parti ex art. 1759 c.c., le circostanze a lui note o conoscibili che possono influire sulla conclusione del contratto non è limitato solo a quelle che influiscono sul consenso ma si estende anche ad altre circostanze che avrebbero indotto le parti a concludere quel contratto secondo condizioni diverse (Trib. Genova 15 febbraio 2010). Si è parimenti stabilito che in materia di mediazione, l'art. 1759 c.c. pone a carico del mediatore un obbligo di corretta informazione che non si esaurisce nell'obbligo di comunicare alle parti le circostanze relative all'affare a lui note, ma comprende, altresì, quello di non fornire informazioni non veritiere e comunque tali da indurre le parti a concludere l'affare senza tutta la necessaria consapevolezza circa le caratteristiche dell'affare medesimo (App. Milano 20 ottobre 2004). E allora il mediatore deve attendere al proprio incarico secondo diligenza e in base alla natura professionale dell'attività esercitata sicchè, qualora fornisca notizie false sull'affare da concludere, si rende perciò stesso inadempiente, legittimando la richiesta di risarcimento danni per responsabilità contrattuale nei suoi confronti senza che abbia alcuna rilevanza la sussistenza o meno di un profilo di colpa (Trib. Monza 15 novembre 2005).

L'eventuale presenza di vizi nell'immobile promesso in vendita può escludere il diritto alla provvigione solo quando essi siano tali da impedire la conclusione dell'affare (Trib. Modena 16 settembre 2004, ha ridotto la provvigione riconosciuta al mediatore che non aveva segnalato l'esistenza di vizi nell'immobile anche di entità tale da non impedire la conclusione dell'affare).

Nella giurisprudenza di merito è stata affermata la responsabilità del notaio e del mediatore immobiliare, laddove, in caso di vendita di un immobile locato, non verifichino l'idoneità della disdetta a determinare la cessazione del contratto alla data prevista, differendo nel tempo la possibilità per l'acquirente di ottenere la libera disponibilità del bene (Trib. Napoli 18 maggio 2006). In caso di conferimento a mediatore di incarico di procurare un conduttore d'azienda, non è indifferente l'aspetto relativo alle qualità personali e all'affidabilità del possibile conduttore, e un'offerta, pur corrispondente ai valori ed alle clausole richieste, può essere legittimamente respinta in base a tali considerazioni, sempre che non siano meramente pretestuose (Trib. Piacenza 2 febbraio 2002). Il mediatore, che ometta di fornire ad una delle parti informazioni, determinanti in ordine alla sua decisione di contrarre circa la solvibilità dell'altra parte, è responsabile dei danni che il suo inadempimento ha provocato (Trib. Torino 13 gennaio 2000).

La S.C. si è soffermata sull'ipotesi di conferimento dell'incarico a più mediatori. Posto che nè il codice civile nè la legge speciale 3 febbraio 1989 n. 39 prevedono l'incompatibilità di una pluralità di mediatori rispetto al medesimo affare, l'affidamento successivo del medesimo incarico ad altro mediatore non concreta un comportamento concludente denotante revoca dell'incarico originario nei confronti del primo, ma solo determina, nell'ipotesi in cui l'affare sia concluso in dipendenza dell'attività svolta da entrambi i mediatori, la parziarietà dal lato attivo dell'obbligazione relativa alla provvigione (avendo ciascun mediatore diritto al pagamento di una quota di essa in proporzione all'entità e all'importanza dell'opera prestata), fermo restando che ciascuno di essi, essendo singolarmente tenuto agli obblighi specifici di informazione, di comunicazione e di avviso nei confronti del soggetto intermediato, risponde per la totalità dei danni cagionati dalle colpevoli sue omissioni (Cass. n. 3437/2002). Anche in caso di submediazione, la parte che in origine abbia dato incarico al mediatore ha — in applicazione analogica dell'art. 1595 c.c. — azione diretta nei confronti del submediatore, senza pregiudizio dei suoi diritti verso il mediatore originariamente incaricato, che continua, perciò, ad essere tenuto anche alle obbligazioni di informazione, di comunicazione e di avviso, derivanti dall'art. 1759 c.c., se di tale norma sussistano le condizioni di applicabilità in relazione alle circostanze a lui note (Cass. n. 3437/2002).

La violazione degli obblighi informativi può produrre ricadute anche sul piano penale. In tema di truffa contrattuale, la condotta tipica del reo, oltre che attraverso la esposizione di dati falsi o menzogneri, può integrarsi anche attraverso il silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze rilevanti sotto il profilo sinallagmatico da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere. Tale silenzio deve essere serbato da chi abbia il dovere di far conoscere determinate circostanze e la fonte del dovere di informazione può risiedere anche in una norma extrapenale come gli artt. 1377 o 1759 c.c. Anche il mero silenzio, in queste ipotesi, costituisce una forma di raggiro, in quanto la condotta dell'autore, pur consistendo nel tacere una determinata circostanza, è attivamente orientata a indurre in errore il debitore sulla permanenza della causa dell'obbligazione e quindi dell'obbligo di continuare ad eseguire la prestazione (Trib. Lecce 14 luglio 2009). Anche nella giurisprudenza di legittimità è stato affermato che l'artificio o il raggiro per la sussistenza del reato di truffa possono consistere anche nel silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere di farle conoscere, la fonte del dovere di informazione potendo risiedere anche in una norma extrapenale come l'art. 1759 c.c. (Cass. pen. n. 6791/2000).

L'adempimento degli obblighi informativi gravanti sul mediatore si riflette sul suo diritto al compenso. Ed infatti, nella mediazione, che consiste nel mettere in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, i soggetti del contratto sono tenuti all'obbligo generale e reciproco della buona fede, il quale si concreta a norma dell'art. 1759 c.c. nel dovere del mediatore di fornire tutte le informazioni di cui egli sia a conoscenza (compreso lo stato d'insolvenza dell'altra parte), che comprende sia le circostanze conoscendo le quali le parti o taluna di esse non avrebbero dato il consenso a quel contratto, sia le circostanze che avrebbero indotto le parti a concludere il contratto a diverse condizioni. Ne consegue che la parte tenuta al pagamento della provvigione può far valere, secondo i principi di cui all'art. 1218 c.c., l'inadempimento del mediatore rispetto a tali obblighi per sottrarsi al pagamento della stessa provvigione (Cass. n. 5777/2006). Ai fini della valutazione del diritto per il mediatore al pagamento delle provvigioni, assume difatti rilevanza, oltre che la effettiva conclusione dell'affare «per effetto del suo intervento» (art. 1755 c.c.), l'esatto adempimento dei suoi obblighi (artt. 1759 —1176, comma 2, c.c.) in essi compresi la consegna, o almeno la messa a disposizione del cliente, della documentazione utile al perfezionamento del contratto, come prefigurato nella proposta, ovvero la corretta, fedele e veritiera informazione sull'oggetto ed altri requisiti del negozio a stipularsi, che, in caso di bene immobile non può prescindere, dalle indicazioni di cui innanzi, salva espressa esclusione per accordo delle parti (Trib. Bari 20 settembre 2016). Peraltro nessun dubbio può sussistere in ordine al fatto che il diritto del mediatore a percepire il compenso sorga anche con la mera conclusione — tra le parti dallo stesso messe in relazione — di un contratto preliminare. Al contrario, deve ritenersi ininfluente la mancanza del certificato di agibilità/abitabilità relativo all'unità abitativa sopra richiamata, trattandosi di circostanza nota alla promissaria acquirente già al momento in cui la stessa aveva formulato la proposta di acquisto, avendo deciso ugualmente di procedere alla stipula del preliminare. Prive di pregio appaiono poi le argomentazioni in ordine alla non commerciabilità del bene (Trib. Genova 2 aprile 2015).

In ipotesi di mancata verificazione dell'accettazione della proposta così come formulata dal venditore, il mediatore ha condannato alla restituzione della somma indebitamente trattenuta dall'agenzia di intermediazione immobiliare, oltre interessi dalla domanda (Trib. Bari 1° giugno 2016).

Bibliografia

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