Codice Civile art. 2057 - Danni permanenti.

Cesare Trapuzzano

Danni permanenti.

[I]. Quando il danno alle persone ha carattere permanente la liquidazione può essere fatta dal giudice, tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno, sotto forma di una rendita vitalizia [1872 ss.]. In tal caso il giudice dispone le opportune cautele [194 trans.].

Inquadramento

L'ordinamento giuridico in tema di tutela risarcitoria consente la liquidazione dei danni, non solo attraverso il riconoscimento per equivalente, in favore del danneggiato, di una somma capitale, ossia mediante il pagamento una tantum di un importo determinato una volta per tutte, ma anche sotto forma di rendita vitalizia, da corrispondere di volta in volta (secondo una cadenza temporale stabilita dal giudice) lungo l'arco temporale dell'intera vita della vittima primaria (Gentile, 634). Siffatta facoltà compete al giudice in sede contenziosa, ma può essere prevista per accordo delle parti, anche senza la disposizione del giudice, in sede transattiva. La liquidazione del danno mediante capitale corrisponde ad una somma inferiore all'importo totale delle annualità in proporzione al c.d. valore d'anticipo, commisurato agli interessi a scalare sulle singole annualità (De Cupis, 1979, 284). Nelle fattispecie concrete la prestazione in unica soluzione del risarcimento dovuto potrebbe presentarsi come: a) eccessivamente aleatoria, poiché ancorata a coefficienti di riferimento obsoleti; b) volatile, poiché esposta al rischio di svalutazione nel corso del tempo; c) sproporzionata, qualora non abbia attinenza con la reale durata della vita del danneggiato; d) eccessivamente onerosa, qualora la gestione ed amministrazione del capitale esiga particolari accorgimenti e conoscenze tecniche, per porlo al riparo dal rischio futuro di incapienza. Sicché potrebbe rendersi più congruente una parcellizzazione della liquidazione, mediante riconoscimento con scansione periodica, per tutta la durata effettiva della vita della vittima, di una quota del danno patito. Affinché ciò possa avvenire, la norma che regola tale facoltà di liquidazione, ossia l'art. 2057, inserito nella disciplina dei fatti illeciti in generale, esige che si tratti di danni alla persona che abbiano carattere permanente (Franzoni, 315). Tale puntuale riferimento esclude che la liquidazione per mezzo di rendita vitalizia possa essere disposta per i danni istantanei e per i danni permanenti alle cose, il cui ristoro non può che avvenire mediante la liquidazione di un capitale. I danni alla persona possono essere di natura patrimoniale o non patrimoniale, in ragione della natura del bene della vita inciso dalla condotta lesiva. I danni sono permanenti quando sono proiettati nel futuro e sono destinati a produrre effetti pregiudizievoli per tutto l'arco di vita del danneggiato (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 730). Pertanto, tale categoria di danni, per la particolare natura del bene inciso, sono destinati a prodursi giorno per giorno, come accade, a titolo esemplificativo, per il danno da concorrenza sleale, che perdura finché non cessi la condotta, o per il danno da invalidità permanente. Sono, per converso, istantanei i danni che, una volta prodottisi, non possono più ripetersi, come il crollo di un edificio (Rossetti, 590). Ricadono nella categoria dei danni permanenti anche le spese di cura e assistenza destinate a far fronte ai bisogni prolungati e duraturi della vittima. In quest'ambito il giudice può provvedere alla liquidazione del nocumento sotto forma di rendita vitalizia, anche d'ufficio, senza che sia necessaria l'istanza della parte interessata (Bianca, 780). Si tratta, infatti, di una facoltà in ordine alle modalità di liquidazione del danno rimessa al giudice, anche qualora vi sia un'esplicita volontà contraria di parte.

Il riconoscimento della rendita vitalizia per i danni permanenti alla persona impone di tenere conto delle condizioni delle parti e della natura del danno. Il ricorso a questo sistema di liquidazione del danno si adegua all'effettiva durata della vita del danneggiato, quando non sia possibile formulare ex ante una prognosi sulla presumibile estensione temporale della permanenza in vita della persona colpita dall'evento lesivo o, comunque, sulla conformazione del suo svolgersi agli standard medi di durata della vita, ai quali si riferiscono i criteri tabellari di liquidazione. Ad ogni modo, siffatto sistema di liquidazione del danno alla persona non è applicabile in ordine al pregiudizio subito da un soggetto in conseguenza della lesione dell'integrità psico-fisica altrui, come accade quando tra il danneggiato primario e il danneggiato secondario sussiste un rapporto parentale (Cass. n. 1041/1959) ovvero in ordine al pregiudizio che si traduca in una mera inabilità temporanea, senza incidere in modo permanente sulle condizioni del danneggiato (Cass. n. 1140/1967; Cass. n. 53/1958). Inoltre, la rendita riconosciuta deve essere ancorata a criteri prestabiliti di rivalutazione e deve essere corredata dalla prestazione di opportune cautele. Infatti, il carattere eccezionale e temporalmente imprevedibile della situazione del soggetto leso meglio si confà alla liquidazione per mezzo di una rendita vitalizia, che a sua volta può essere quantificata in una somma mensile pari ad una frazione della somma liquidata una tantum per i danni già maturati. Al riguardo, la rendita vitalizia può rappresentare un adeguato rimedio quando la quantificazione delle voci di pregiudizio e delle spese, in rapporto all'aspettativa di vita del soggetto leso, sia alquanto ardua, il che sconsiglia la liquidazione del danno in unica soluzione. E ciò perché le spese effettivamente sostenute in futuro potrebbero essere minori, qualora il soggetto decedesse, senza che ciò sia prevedibile. Così le somme versate una tantum dal danneggiante andrebbero ad arricchire gli eredi del danneggiato. Infine, un'eventuale liquidazione non commisurata alle aspettative di vita del danneggiato non premierebbe gli interessi pubblici, poiché gli oneri delle conseguenze lesive del fatto illecito sono frequentemente sopportati dalle strutture sanitarie pubbliche. D'altronde, la liquidazione sotto forma di rendita vitalizia non è preclusa dalla circostanza che il danno futuro sia determinabile solo tramite criteri di approssimazione (Trib. Prato 11 gennaio 1989).

Comparazione con le previsioni di altri ordinamenti

Anche altri ordinamenti europei prevedono la possibilità di liquidazione, anziché una tantum, mediante una rendita vitalizia (De Cupis, 1971, 127). Nel sistema tedesco la liquidazione sotto forma di rendita vitalizia costituisce la regola del risarcimento, mentre la corresponsione di un capitale può essere disposta solo ove ricorra una giusta causa, la cui dimostrazione ricade a carico del danneggiato. I sistemi svizzero e austriaco rimettono la liquidazione sotto forma di rendita all'equo apprezzamento del giudice. Nell'ordinamento spagnolo la recente l. n. 35/2015 ha riformato il sistema di calcolo dei danni derivanti dagli incidenti stradali. In proposito, l'art. 41 prevede che il giudice, su richiesta delle parti, possa accordare la sostituzione totale o parziale del risarcimento previsto nella tabulazione della legge con una rendita vitalizia mentre l'art. 42 precisa che il giudice possa imporre d'ufficio la costituzione di una rendita vitalizia a favore del danneggiato nel caso in cui tale soggetto sia un minore o un incapace e reputi tale tipologia di risarcimento l'opzione migliore per la tutela dei suoi interessi. Nei sistemi di common law l'accordo tra le parti, denominato structured settlement, svolge una funzione di deflazione delle controversie giudiziarie, perché permette alle parti di convenire una rendita annuale volta a risarcire i danni arrecati al danneggiato. La struttura degli structured settlement prevede che il danneggiante stipuli un contratto di rendita con una compagnia assicurativa, la quale, a sua volta, erogherà la rendita al danneggiato. Inoltre, in molti sistemi di common law il giudice può disporre la corresponsione del danno in forma di rendita anche senza la richiesta o l'accordo delle parti, come nel Regno Unito e nello Stato di New York, dove può essere imposta la liquidazione rateale del 65% dei danni futuri quantificati complessivamente in misura superiore ai 500.000 $. Nel nostro ordinamento la possibilità di liquidare il risarcimento del danno in forma di rendita costituisce una novità introdotta dal codice del 1942, poiché nel codice civile del 1865 non era prevista alcuna norma analoga. In realtà, sebbene il previgente codice civile non contenesse alcuna norma analoga all'art. 2057, proprio tale lacuna aveva indotto un filone della dottrina (De Cupis, Fatti illeciti, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1957, 359) a ritenere che la liquidazione del danno potesse avvenire sia in forma di capitale, sia in forma di rendita. Per questa ragione si è sostenuto che la norma ha carattere non innovativo, ma meramente illustrativo (Peretti Griva, Le responsabilità civili nella circolazione, Torino, 1961, 912), non avendo fatto altro che dare appoggio normativo ad una prassi già esistente e non vietata dal codice previgente. In Italia il sistema che prevede l'assegnazione al danneggiato di una rendita vitalizia non ha ottenuto il favore degli interessati, atteso che sul piano pratico, avendo la norma una mera portata indicativa e non obbligatoria, ha avuto una scarsa applicazione. In particolare, è stato evidenziato che il sistema del vitalizio, seppure ideologicamente perfetto, finisce per non attrarre nessuno poiché, da un lato, il creditore si vede sottratto il vantaggio immediato di un risarcimento in capitale e, dall'altro, il debitore della rendita non ne percepisce alcun vantaggio, posto che gli sarebbero comunque imposte delle garanzie in sorte capitale. Peraltro, in tal modo, le parti sono esposte ad un odioso ed indefinito prolungamento del rapporto (Gentile, 654).

Anche alcuni arresti della giurisprudenza, anteriori all'entrata in vigore del codice civile del 1942, avevano affermato l'ammissibilità della liquidazione del danno permanente mediante rendita, anziché attraverso il riconoscimento di una somma capitale (Cass. 9 aprile 1932, in Riv. crit. infort., 1932, 252; Cass. 15 gennaio 1930, in Riv. crit. infort., 1930, 161; Cass. 26 agosto 1927, in Riv. crit. infort., 1927, 352; Cass. 13 giugno 1927, in Riv. crit. infort., 1927, 390; App. Cagliari 18 agosto 1910, in Giur. it., 1910, II, 1, 909). Quanto al metodo di calcolo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il danno permanente futuro, consistente nella necessità di sostenere una spesa periodica vita natural durante (nella specie, per assistenza domiciliare), non può essere liquidato attraverso la semplice moltiplicazione della spesa annua per il numero di anni di vita stimata della vittima, ma va liquidato o in forma di rendita, oppure moltiplicando il danno annuo per il numero di anni per cui verrà sopportato e, quindi, abbattendo il risultato in base ad un coefficiente di anticipazione ovvero, infine, attraverso il metodo della capitalizzazione, consistente nel moltiplicare il danno annuo per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie (Cass. n. 7774/2016).

Nella recente giurisprudenza di legittimità si è precisato che nella liquidazione del danno alla persona sotto forma di rendita vitalizia ex art. 2057 c.c., il giudice deve assicurare che la rendita restituisca un valore finanziariamente equivalente al capitale da cui è stata ricavata per l'intera durata della vita del beneficiario, di talché la conversione del capitale in rendita deve essere eseguita dividendo il primo per un prescelto coefficiente per la costituzione delle rendite vitalizie, il quale deve essere scientificamente fondato, aggiornato, corrispondente all'età della vittima alla data dell'infortunio e progressivo, cioè variabile in funzione (almeno) di anno se non di frazione di anno (Cass. n. 31574/2022).

Danno permanente

Alla permanenza del pregiudizio può corrispondere la permanenza del metodo di liquidazione del relativo risarcimento mediante rendita. La natura permanente del danno si riferisce alle conseguenze lesive del fatto illecito, ossia all'idoneità del comportamento contrario al dovere di neminem laedere a produrre effetti pregiudizievoli destinati a riflettersi continuativamente sulla sfera giuridica della parte lesa (Ruperto, 619). Si tratta, pertanto, di un requisito proprio del danno-conseguenza, non del danno-evento. Secondo altra tesi, la permanenza è un concetto naturalistico e non giuridico che si riferisce al danno-evento, destinato a protrarsi sine die, ossia presumibilmente irrimediabile (Rossetti, 592). In questo senso, la permanenza del danno non va confusa né con la permanenza della causa del danno (lesione dell'interesse protetto) né con la permanenza degli effetti del danno (il diritto al risarcimento). Anche la lesione dell'interesse protetto può essere istantanea, come — ad esempio — nel caso di inflizione di lesioni personali, o permanente, come — ad esempio — nel caso di privazione della libertà; ma non necessariamente ad una lesione di interesse istantanea consegue un danno istantaneo. È evidente che la lesione della salute che si determina istantaneamente può provocare conseguenze permanenti, come una perdita anatomica, ma è altresì vero che può accadere l'esatto opposto, ossia che ad una lesione permanente, come — ad esempio — la privazione della libertà, può conseguire un danno temporaneo, come — ad esempio — una patologia guaribile. Quanto agli effetti del danno (il diritto a risarcimento), questi ultimi ovviamente permangono fino a quando il responsabile non provveda al risarcimento, ma la permanenza delle conseguenze (il diritto a risarcimento) non esclude che il danno si realizzi istantaneamente (Rossetti, 593). Così, ad esempio, la spesa sostenuta per sottoporsi ad un costoso intervento chirurgico perfettamente riuscito, reso necessario per guarire da un'infermità causata dall'altrui fatto illecito, costituisce un danno istantaneo, ma le cui conseguenze permangono fino a quando il responsabile non abbia corrisposto il risarcimento. In questo caso le conseguenze dell'atto illecito permangono, ma non l'evento lesivo in sé. La stabilità degli effetti lesivi può connotare sia il danno patrimoniale sia il danno non patrimoniale. Così il nocumento sulla capacità lavorativa specifica che deriva dal fatto illecito è destinato ad incidere sul patrimonio del danneggiato non già in via temporanea, ma per tutto l'arco della sua vita lavorativa. Allo stesso modo, quando, in ragione della condotta illecita, il danneggiato debba sostenere degli esborsi periodici e costanti nel tempo, anche in ordine a tali spese sarà realizzato il presupposto della permanenza. Medesima conclusione vale per il danno non patrimoniale che abbia determinato un pregiudizio all'integrità psico-fisica suscettibile di accertamento medico-legale, destinato a proiettarsi sul resto della vita del danneggiato, in quanto alle lesioni riportate siano residuati dei postumi permanenti, che influiscono sul compimento e sulla qualità degli atti del vivere quotidiano della vittima colpita dall'evento lesivo. I danni che più frequentemente si presentano con carattere di permanenza sono quelli derivanti dalla morte di un congiunto o da una lesione della salute, per le sue conseguenze patrimoniali (incapacità di lavoro), sia per quelle non patrimoniali (danno biologico). Per gli altri tipi di danni alla persona è più difficile ipotizzare il carattere di permanenza, salvo casi rarissimi; infatti, qualsiasi lesione del nome, dell'onore, della reputazione, della privacy, per la fisiologia stessa del natura umana è destinata ad attenuarsi e spegnersi con l'andar del tempo, tanto nella memoria dell'offeso, quanto in quella del pubblico (Rossetti, 593). Viceversa, la condotta illecita può produrre anche conseguenze che non sono destinate a proiettarsi nel tempo, ma che sono destinate a cessare all'esito dell'esaurimento del fatto lesivo o, comunque, entro un frangente di tempo determinato dalla sua integrazione. In questi casi il danno non è permanente. Si pensi al danno biologico che abbia generato esclusivamente un'inabilità temporanea, senza postumi invalidanti. Considerato che il risarcimento in forma di rendita è ammissibile soltanto quando il danno alla persona abbia carattere permanente, esso non può essere utilizzato nel caso di lesioni che abbiano determinato un'inabilità temporanea, anche se di notevole durata, come — ad esempio — nel caso di postumi a lenta regressione. Del resto, l'art. 2057 prevede la possibilità di costituire soltanto una rendita vitalizia e non una rendita temporanea, il che dimostra come la norma in esame sia inutilizzabile per la liquidazione di danni a lenta regressione (Rossetti, 593). Non può negarsi in verità che, in presenza di patologie lunghe o a lunghissimo decorso, lo strumento della rendita temporanea possa presentarsi particolarmente utile: si pensi all'ipotesi di un malato lungodegente, di cui sia però certa la futura guarigione, il quale abbia bisogno di costante assistenza infermieristica. Tuttavia, poiché l'art. 2057 non evoca il concetto di rendita tout court, ma fa riferimento espressamente alla rendita vitalizia, deve escludersi che si possa risarcire un danno alla salute temporaneo attraverso la rendita temporanea. Così, a titolo esemplificativo, può certamente essere liquidato in forma di rendita il danno non patrimoniale patito dalla moglie per la morte del marito, trattandosi di pregiudizio certamente permanente, come pure il danno patrimoniale patito dalla moglie casalinga in conseguenza dell'uccisione del marito lavoratore e della perdita del contributo economico che il defunto le elargiva. Non è possibile, invece, liquidare in forma di rendita il danno patrimoniale patito da un minore in conseguenza dell'uccisione del genitore: siffatto nocumento è infatti un danno temporaneo e non permanente, di norma destinato a cessare con l'acquisto dell'autosufficienza economica del figlio (Rossetti, 594). La liquidazione in forma di rendita è stata altresì ritenuta ammissibile in ordine al riconoscimento del danno subito da un paziente, affetto da una malattia incurabile, a causa di un ritardo diagnostico che, pur non avendogli precluso la possibilità di guarigione (oggettivamente impossibile), aveva comunque determinato un peggioramento della qualità della vita residua. Gli artt. 138 e 139 del d.lgs. n. 209/2005, prevedendo la liquidazione in forma di capitale del danno biologico derivante da sinistri stradali, provocati da veicoli soggetti all'obbligo di assicurazione (e così dicasi per il danno conseguente a responsabilità medica), non fanno che ribadire la regola, ma ciò non esclude l'applicabilità dell'eccezione, esclusione che avrebbe richiesto un'espressa previsione inibitoria della legge. Ma poiché i due artt. del codice delle assicurazioni non vietano in alcun modo la liquidazione in forma di rendita, questa dovrà ammettersi anche con riferimento ai danni biologici derivanti da sinistri stradali o da malpractise sanitaria. Ne varrebbe invocare la specialità della disciplina e il principio lex specialis derogat generali, in quanto il codice delle assicurazioni disciplina il quantum del risarcimento: ma una volta che la monetizzazione del risarcimento sia avvenuta in applicazione dei criteri legali, nulla impedisce che il relativo importo sia elargito al creditore in forma di rendita, piuttosto che in forma di capitale. Ne consegue che gli artt. 138 e 139, da un lato, e l'art. 2057, dall'altro, sono norme che non si escludono, ma si integrano a vicenda: le prime due stabiliscono quanto la vittima deve ottenere dal responsabile (quantum), la terza stabilisce, invece, come debba avvenire il pagamento (quomodo). Nulla esclude che, a fronte di più voci di danno permanente, la liquidazione possa avvenire mediante immediato riconoscimento di una somma capitale per alcune voci e tramite previsione di una rendita vitalizia per altre.

In tema di responsabilità civile da fatto illecito, la liquidazione dei cosiddetti danni futuri può essere effettuata, secondo la scelta insindacabile del giudice di merito, o con la costituzione di una rendita vitalizia a favore del danneggiato o con la corresponsione una tantum di una somma determinata secondo le tabelle di capitalizzazione della rendita vitalizia, approvata con r.d. 9 ottobre 1922, n 1403/1922, oppure equitativamente, quando sia impossibile o sommamente difficile la prova del danno nel suo ammontare preciso (Cass. n. 14371/1971). La rendita vitalizia può essere riconosciuta in ordine al danno patrimoniale da lucro cessante per perdita della capacità lavorativa specifica (Cass. n. 24451/2005, in Resp. civ. e prev., 2006, II, 637, con nota critica di Ziviz). In proposito, l'elevata percentuale di invalidità permanente consente al giudice di presumere la perdita patrimoniale derivante dalla menomazione della capacità lavorativa specifica e di liquidarla con criteri equitativi, ivi compresa la forma della rendita vitalizia (Cass. n. 26534/2013; Cass. n. 17514/2011). L'adozione di tale scelta determina una serie di vantaggi in punto di equità, per un pluralità di considerazioni: 1) non corretto appare utilizzare dati epidemiologici, la cui redazione è in ogni caso basata su indici di mortalità desueti e comunque redatti in assenza di una sufficiente base di analisi statistica; 2) in molteplici fattispecie concrete, in caso di lesioni permanenti di grave entità, è difficile fare una prognosi corretta su quale possa essere l'aspettativa di vita del danneggiato macroleso; 3) si evita così di porre in essere i complicati calcoli algebrici volti ad eliminare il c.d. «montante di anticipazione», necessari a non realizzare una illegittima ed inappropriata liquidazione del danno futuro (Cass. n. 7774/2016). Sotto il profilo processuale, in sede di legittimità la decisione del giudice di merito che ha disposto la corresponsione di una rendita vitalizia in favore del danneggiato è incensurabile, se congruamente motivata (Cass. n. 2918/1983; Cass. n. 1140/1967; Cass. n. 658/1966; Cass. n. 553/1958). Inoltre, è possibile istituire la rendita vitalizia per una sola delle voci del danno complessivo (Cass. n. 14581/2007).

Condizioni delle parti

La norma richiede, ai fini della determinazione in merito alla liquidazione del danno permanente secondo una rendita vitalizia, che si tenga conto innanzitutto delle condizioni delle parti, ossia delle situazioni personali ed economiche incidenti sulla convenienza e sulla sicurezza del soddisfacimento dell'interesse del danneggiato (Bianca, 779). La valutazione discrezionale del giudice deve essere indirizzata a calibrare il sistema di liquidazione allo stato in cui versano entrambe le parti. Sotto il profilo attinente alla parte danneggiata, la ponderazione deve essere essenzialmente fondata sull'utilità di un riconoscimento una tantum ovvero sulla maggiore adattabilità alle esigenze del danneggiato di una liquidazione tramite rendita vitalizia. Questa scelta è rimessa alla verificazione di potenziali fattori di deviazione del vantaggio conseguente al riconoscimento di un capitale dalla soddisfazione delle sue esigenze primarie, alla stregua della condizione di debolezza in cui si trova la persona offesa. Sicché sarebbe elevato il rischio di una gestione inappropriata o scorretta della somma di denaro erogata. Allo stesso modo, dovrà aversi riguardo alla possibilità che il riconoscimento immediato di una somma capitale si presti a potenziali aggressioni perpetrabili da terzi, che fraudolentemente intendano sfruttare lo stato di minorità della vittima beneficiata del risarcimento. E ciò eventualmente mediante atti formalmente legittimi, come procure e mandati, ma che siano estorti con dolo e con la precipua finalità di accaparrarsi del suo patrimonio. Ne discende che la determinazione di una rendita vitalizia è particolarmente consigliata ove il danneggiato sia un incapace, anche naturale, ovvero sia persona non scolarizzata ovvero prodiga o a rischio insolvenza, tanto da rendere probabile una rapida dispersione della somma capitale liquidabile a titolo risarcitorio, disadattata o particolarmente limitata sul piano dell'autonomia funzionale in ragione di gravi deficit psico-fisici o con ridotte aspettative di vita (De Cupis, 1979, 284). Al contempo, occorre avere riferimento alle condizioni del danneggiante. E ciò perché il riconoscimento di una rendita vitalizia postula un vaglio sulla ricorrenza di una solida situazione economica della parte tenuta a rifondere il pregiudizio, tale da rendere certo o altamente probabile che questi sia in grado di far fronte al relativo periodico esborso e che il risarcimento ammesso secondo questa forma di liquidazione non si volatilizzi nel tempo, così ledendo il diritto del danneggiato al conseguimento del relativo beneficio. La solidità della situazione economico-patrimoniale del danneggiante deve soddisfare sia un parametro quantitativo, ossia relativo alla consistenza del relativo patrimonio, sia un parametro temporale, ossia inerente alla stabilità di tale florida posizione di liquidità. Ove queste condizioni non sussistano, è sconsigliabile ricorrere alla previsione di una rendita, poiché ciò non garantirebbe a sufficienza il danneggiato sulla percezione della refusione del danno spettantegli in conseguenza del fatto illecito integrato. Per converso, la previsione di una rendita sarebbe auspicabile qualora il danneggiante, pur godendo di una situazione economica certa, non sia in grado, o lo sia con notevole difficoltà o con particolare gravosità, di corrispondere per intero e in via immediata la somma capitale dovuta, ad esempio poiché sia proprietario della sola casa di abitazione e percepisca esclusivamente un reddito di lavoro (Bianca, 779).

Con riferimento a tale parametro, la giurisprudenza di merito si è concentrata sull'eccezionalità e imprevedibilità della condizione del danneggiato, affermando che la liquidazione mediante rendita vitalizia presuppone che lo stato in cui versa il danneggiato non consenta di formulare una prognosi sulle sue aspettative di vita (Trib. Genova 15 giugno 2005; Trib. Prato 11 gennaio 1989). Dell'istituto si è fatta applicazione nella giurisprudenza di merito a favore di un minore, al quale è stata riconosciuta una rendita vitalizia dapprima in sostituzione del reddito e, successivamente, del trattamento pensionistico, a partire dal compimento del venticinquesimo anno di età (Trib. Trieste 5 aprile 2012).

Natura del danno

Oltre che delle condizioni delle parti, affinché possa essere riconosciuta, anche d'ufficio, la rendita vitalizia in ordine al pregiudizio permanente alla persona patito dal danneggiato, occorre tenere conto della natura del danno. In specie, occorre che si tratti di un danno grave (Bianca, 779). E ciò perché il beneficio primario che tale forma di liquidazione consente di ottenere è appunto quello di adattarsi all'effettivo corso della vita del danneggiato. Sicché la previsione di una rendita è una forma di liquidazione essenzialmente elastica, che può essere plasticamente modellata sull'effettiva durata della vita del danneggiato, qualora non sia possibile compiere una prognosi postuma, in ragione della gravità, sia qualitativa (con riferimento alla severità dei pregiudizi) sia quantitativa (con riguardo all'ampiezza delle ripercussioni negative), delle conseguenze lesive riportate (Zeno Zencovich, 1310). Così come previsto dal d.lgs. n. 38 del 23 febbraio 2000, in tema di nocumenti da infortunio sul lavoro, la rendita spetta per i soli danni biologici che abbiano implicato una percentuale di invalidità permanente variabile dal 16% al 100%. Infatti, sono proprio i nocumenti più consistenti quelli che, per un verso, incidono sulla stessa persistenza in vita del danneggiato o comunque sulla difficoltà di avanzare una prognosi e, per altro verso, implicano ripercussioni periodiche del fatto lesivo, ossia manifestazioni successive delle conseguenze pregiudizievoli. Così il danno patrimoniale sulla capacità lavorativa specifica importa una perdita o diminuzione di reddito per ogni anno della vita del danneggiato. Ed ancora i danni da invalidità permanente si manifestano per tutto l'arco residuo della vita del danneggiato e frequentemente importano spese di cura e assistenza che dovranno essere sostenute di anno in anno. Siffatte situazioni difficilmente sono integrate in presenza di danni di lieve entità, rispetto ai quali è opportuna una liquidazione in unica soluzione. Stabilire se nel singolo caso sia preferibile un risarcimento in forma di capitale ovvero in forma di rendita costituisce valutazione da compiere caso per caso, tenendo conto di tutte le peculiarità della fattispecie concreta: si avranno, dunque, casi in cui sarà preferibile la liquidazione in forma di capitale e casi in cui sarà preferibile la liquidazione in forma di rendita. In linea generale può rilevarsi che la liquidazione in forma di rendita è sconsigliabile nel caso di lesioni modeste: il gettito della rendita sarebbe, infatti, così esiguo da non arrecare alcun serio ristoro al danneggiato. La liquidazione in forma di rendita sarà invece preferibile in tutti casi in cui sussiste il rischio che l'erogazione di un capitale possa andare dispersa o comunque non essere destinata a vantaggio del danneggiato. Ciò può avvenire, in particolare, quando la vittima sia incapace di intendere e di volere, sia per la sua patologia, sia per la minore età. In questi casi, infatti, un investimento sbagliato, un cattivo consiglio, ma anche la cupidigia di coloro che assistono o sono comunque in contatto con la vittima, possono portare alla dilapidazione del risarcimento e lasciare il danneggiato totalmente privo di ristoro (Rossetti, 602). In questi casi, la liquidazione di una rendita, ad esempio in favore dell'istituto ove il leso sia stato ricoverato o affidato, offre maggiori garanzie di salvaguardia degli interessi del danneggiato. La legge ha configurato la liquidazione della rendita come una facoltà del giudice, e non come un diritto della parte, al contrario del risarcimento in forma specifica. Pertanto, abbia o non abbia la parte chiesto la liquidazione della rendita, ed anzi quand'anche la parte abbia espressamente dichiarato di non volere la liquidazione mediante rendita, sarà sempre in facoltà del giudice provvedere d'ufficio a tale tipo di liquidazione, con giudizio incensurabile in cassazione se non per assoluta mancanza o apparenza della motivazione od errore di diritto (Rossetti, 609).

La giurisprudenza ha sostenuto che la rendita vitalizia può essere prevista in ordine al danno futuro da incapacità lavorativa specifica e alla necessità di far fronte a spese continuative di cura e assistenza. In specie, la parte danneggiata da un tardivo ed inadeguato intervento chirurgico, che abbia determinato, all'esito di un'emorragia non trattata tempestivamente e con personale sufficiente, una tetraparesi spastica con stato di disabilità estremamente severo, ha diritto a vedersi riconosciuto in via immediata il capitale per il danno non patrimoniale e sotto forma di rendita vitalizia il danno patrimoniale futuro (Trib. Milano 27 aprile 2017; App. Milano 17 gennaio 2017;Trib. Milano 27 gennaio 2015). Seguendo la medesima linea, altra pronuncia di merito ha previsto la liquidazione mediante costituzione di una rendita vitalizia per il danno patrimoniale da lucro cessante derivante dalla perdita della capacità lavorativa specifica, nonché per le spese mediche e di assistenza future (in ragione del carattere permanente del danno e dell'impossibilità di stabilire, in modo oggettivo, una durata presumibile della vita della vittima (Trib. Milano 14 maggio 2019;Trib. Palermo 5 luglio 2017Trib. Bergamo 24 febbraio 2016; Trib. Lodi 9 maggio 2013Trib. Trieste 5 aprile 2012).  Ancora il danno patrimoniale da lucro cessante è stato riconosciuto ai familiari per l'uccisione di un proprio caro, con riferimento alla perdita dei benefici economici che la vittima destinava loro: o per legge o per costume sociale, a condizione che non si trattasse di sovvenzioni episodiche (le quali ovviamente a cagione della loro sporadicità non consentirebbero di presumere ex art. 2727 c.c. che, se la vittima fosse rimasta in vita, sarebbero continuate per l'avvenire), con possibile liquidazione sia in forma di rendita, sia in forma di capitale (Trib. Busto Arsizio 3 luglio 2019). Infine, la rendita vitalizia è stata disposta con riferimento al danno patrimoniale emergente. Per l'effetto, si è affermato che la rendita vitalizia si adatta anche al rimborso delle spese mediche relative all'acquisto di farmaci da assumere periodicamente o inerenti alla prestazione di un'assistenza infermieristica continuativa (Trib. Bologna 15 novembre 1994Trib. Torino 27 giugno 1994Trib. Firenze 3 giugno 1950, in Resp. civ. e prev., 1951, 367). Secondo altro filone giurisprudenziale, la liquidazione del danno permanente sotto forma di rendita vitalizia è ammessa anche per i danni non patrimoniali. Al riguardo, alcuni arresti della giurisprudenza di merito hanno concesso la liquidazione mediante rendita vitalizia con riferimento ai danni non patrimoniali cui siano residuati gravi postumi invalidanti (Trib. Genova 15 giugno 2005; App. Roma 3 marzo 1998). Da ultimo, altra pronuncia di merito, pur muovendo dalla premessa della scarsissima applicazione pratica dell’art. 2057 al danno non patrimoniale, ne ha evidenziato le peculiarità e le funzionalità in ragione di una migliore attinenza del ristoro alla reale portata del danno non patrimoniale subito; e ciò in considerazione della oggettiva gravità della situazione in cui versava la parte danneggiata, del carattere permanente del danno e dell'impossibilità di stabilire, in modo oggettivo, una durata presumibile della vita della persona interessata (ormai già in età molto avanzata): il che ha indotto il Tribunale a provvedere mediante la costituzione di una rendita vitalizia ex art. 1872 c.c. (Trib. Milano 15 maggio 2019).

Costituzione e disciplina della rendita

Qualora il giudice delibi, secondo equo apprezzamento, anche senza che vi sia una specifica istanza della parte danneggiata, per il riconoscimento di una rendita vitalizia, la sua disposizione può avvenire mediante concessione in usufrutto, anticresi o godimento di un capitale, di un immobile o di un bene fruttifero, i cui frutti o le cui rendite periodiche entreranno direttamente nel patrimonio del danneggiato. In alternativa, la rendita può essere riconosciuta mediante costituzione dell'usufrutto sui titoli del debito pubblico appositamente acquistati, in favore del danneggiato, o mediante la stipulazione, a cura del danneggiante, di un contratto di assicurazione sulla vita a premio unico, il cui beneficiario sia il danneggiato. La previsione di una rendita soggiace alla disciplina generale in tema di rendita vitalizia. Pertanto, essa non potrà essere sostituita con la corresponsione di un capitale, sicché il danneggiante tenuto alla corresponsione della rendita non può liberarsi del pagamento di tale rendita offrendo il rimborso del capitale, anche qualora rinunzi alla ripetizione delle annualità già pagate. E ciò ai sensi dell'art. 1879, primo comma. È escluso a priori il patto contrario. Se così fosse, il danneggiante sarebbe in grado di derogare, di sua iniziativa, alla disposizione del giudice, che ha preferito prevedere una rendita vitalizia, anziché riconoscere una somma capitale una tantum. Ne consegue che il danneggiante sarà tenuto a corrispondere la rendita per tutto il tempo per il quale essa è stata costituita, quand'anche la sua prestazione sia divenuta gravosa successivamente alla costituzione. Sicché la rendita così disposta non può costituire oggetto di risoluzione per eccessiva onerosità, ai sensi dell'art. 1879, secondo comma. Inoltre, ove il danneggiante non corrisponda alle scadenze le rate di rendita, il danneggiato non può domandare la risoluzione, ma potrà ottenere il sequestro e la vendita dei beni dell'obbligato, affinché con il relativo ricavato sia assicurato il pagamento della rendita, ai sensi dell'art. 1878. Ai fini della liquidazione del danno permanente nella forma di rendita vitalizia, dal punto di vista finanziario, si definisce rendita la periodica esigibilità o pagabilità di una somma di denaro, detta rata o rateo; dal punto di vista giuridico, la rendita è un contratto necessariamente aleatorio, in virtù del quale un soggetto vitaliziante si obbliga ad erogare periodicamente ad un altro soggetto vitaliziato o beneficiario una somma di denaro o una quantità certa di cose fungibili, a fronte del trasferimento di un immobile o della cessione di un capitale. Le rendite possono essere di diverso tipo, ma il nostro codice civile ne disciplina solo due: quella vitalizia e quella temporanea. La rendita vitalizia prevista dall'art. 1872  è un contratto aleatorio, di durata, bilaterale. La dottrina ha evidenziato come la disciplina prevista dagli artt. 1782 e ss. c.c. sia essenzialmente unitaria: essa cioè si applica ad ogni rendita vitalizia, comunque costituita, che non sia assoggettata dalla legge ad una disciplina speciale. Di conseguenza: a) il debitore non può liberarsi dall'obbligazione, offrendo il pagamento di un capitale; b) il debitore non può invocare la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta; c) in caso di inadempimento del debitore, il creditore della rendita può far sequestrare e vendere i beni dell'obbligato. A queste cautele, previste in via generale dalla legge, debbono poi aggiungersi quelle che obbligatoriamente il giudice è tenuto a disporre ai sensi dell'art. 2057 (Rossetti, 597). Gli elementi essenziali che occorre avere presenti per la costituzione della rendita vitalizia sono: a) l'importo della rata, che in teoria può essere variabile o costante; b) la durata, che in teoria può essere limitata o illimitata; c) la decorrenza, che in teoria può essere immediata o differita; d) la periodicità del rateo, che in teoria può essere annuale, semestrale, trimestrale, ecc.; e) la scadenza, che in teoria può essere anticipata o posticipata: nel primo caso, le rate vengono pagate all'inizio di ogni periodo di decorrenza mentre nel secondo caso le rate vengono pagate alla fine di ogni periodo di decorrenza. La rendita accordata a titolo di risarcimento del danno alla persona deve necessariamente essere: a) a rate variabili, in quanto il giudice deve prevedere meccanismi di adeguamento al mutato potere di acquisto del denaro, altrimenti il risarcimento non sarebbe integrale; b) di durata vitalizia, poiché la rendita cessa con la morte del beneficiario, senza possibilità di trasmissione agli eredi; c) con decorrenza immediata, in quanto il debitore dell'obbligazione di risarcire un fatto illecito è in mora ex re; d) a scadenza anticipata, in quanto il danno che la rendita deve ristorare è stato patito dalla vittima immediatamente e si ripete giorno per giorno (Rossetti, 597). L'unico tra gli elementi sopra ricordati che resta rimesso alla discrezionalità del giudice è, dunque, la periodicità del rateo, la quale potrà essere stabilita dal giudice, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto: così, ad esempio, una rendita costituita a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, consistente negli esborsi per pagare un'assistenza infermieristica domiciliare, dovrà avere preferibilmente periodicità mensile, in quanto il danneggiato dovrà mensilmente retribuire i propri assistenti. Periodicità diverse, ad esempio semestrali o annuali, potranno invece concepirsi per le rendite costituite a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale da morte di un prossimo congiunto, anche al fine di evitare che pagamenti troppo ravvicinati possano rinnovare nella vittima il ricordo dell'evento luttuoso. Sul piano tecnico-giuridico, la rendita può essere costituita dal giudice due modi. Il modo più semplice consiste nello stabilire direttamente la misura del rateo, i criteri di indicizzazione e la periodicità: ad esempio, quando il giudice condanna Tizio a pagare a Caio una rendita vitalizia di euro 2.000 mensili, da aggiornare il primo di ogni anno in base all'indice del costo della vita per le famiglie di operai ed impiegati. Qualora si adotti questa modalità, il giudice ha l'onere di indicare le ragioni attraverso le quali sia pervenuto a determinare l'ammontare e la periodicità del rateo. Il secondo sistema consiste nel determinare innanzitutto l'entità del danno in valore capitale: ad esempio, per la morte del congiunto si stabilisce che il danno non patrimoniale patito dal superstite vada quantificato in euro 300.000. Una volta determinato il capitale, ovviamente in moneta attuale e comprensivo del danno da ritardato inadempimento, o degli interessi compensativi, l'ammontare annuo della rendita si otterrà dividendo il capitale stesso per un coefficiente stabilito per la costituzione delle rendite vitalizie. Ove adotti questo criterio, il giudice dovrà illustrare in motivazione i parametri attraverso i quali sia pervenuto alla aestimatio del danno in conto capitale: ad esempio, per il danno biologico moltiplicando il grado di invalidità permanente per il valore monetario del singolo punto di invalidità; e, quindi, indicare attraverso quali calcoli ha convertito il capitale in rendita (Rossetti, 598). Tuttavia, in mancanza di indicazione espressa di legge, non è affatto agevole individuare il coefficiente da applicare per l'operazione di costituzione della rendita.

Quando la rendita viene costituita mediante sentenza, il rapporto giuridico che ne scaturisce sarà comunque disciplinato dalle norme codicistiche sul contratto di rendita vitalizia, al pari di quanto accade nell'ipotesi di condanna all'adempimento in forma specifica dell'obbligo di contrarre ex art. 2932. Ne consegue che il rapporto scaturito dalla sentenza sarà disciplinato dagli artt. 1872 e ss. c.c. ed, in particolare, dagli artt. 1878 e 1879 nel caso di inadempimento del debitore.

Tale forma di liquidazione del danno permanente è stata riconosciuta anche in favore di un minore. In questo senso, la rendita vitalizia può essere ammessa anche qualora il danneggiato sia un minore, sulla scorta del riferimento all'incidenza dei danni alla salute riportati sulla sua futura possibilità di percepire redditi e un trattamento pensionistico adeguati alle aspettative che questi avrebbe avuto qualora il fatto illecito non fosse accaduto (Trib. Trieste 5 aprile 2012).

Rivalutazione

Al risarcimento dei danni in forma di rendita si applicano, in quanto compatibili, le norme sulla rendita vitalizia. Per l'effetto, l'obbligazione del danneggiante si converte in un'obbligazione pecuniaria di valuta, potendo tra l'atro disporre il titolo costitutivo che la rendita non sia soggetta a pignoramento o sequestro entro i limiti del bisogno alimentare del creditore (Bianca, 780). In ogni caso, il giudice, già nel momento in cui dispone la rendita vitalizia, dovrà prevedere dei criteri di rivalutazione automatica dell'importo riconosciuto a tale titolo. E ciò al fine di adeguare tale riconoscimento al costo della vita relativo al periodo in cui la rendita è corrisposta. Spetta alla sua discrezionalità individuare degli indici adeguati di rivalutazione, come possono essere, ad esempio, gli indici Foi elaborati dall'Istat. Qualora ricorra un danno dipendente dalla ridotta capacità di guadagno o dalla necessità di sostenere spese mediche e di assistenza sanitaria, appare più congruo avere riguardo rispettivamente al tasso di crescita dei salari e all'indice dei consumi Nic ovvero all'Ipca, quale indice armonizzato dei prezzi al consumo per i Paesi dell'UE.

L'esigenza di stabilire un calibrato indice di adeguamento è affermata anche dalla giurisprudenza (Cass. n. 7774/2016). In particolare, si è precisato da ultimo che in caso di danno grave alla persona la liquidazione sotto forma di rendita vitalizia ex art. 2057 c.c. ha natura aleatoria e di durata e, dunque, in applicazione delle "cautele" prescritte dalla norma, il giudice deve prevedere "ex ante" i meccanismi di adeguamento della rendita al potere di acquisto della moneta, perché, in assenza di tali meccanismi, il risarcimento non sarebbe integrale; possono essere considerate "opportune cautele" la rivalutazione annuale della rendita secondo l'indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi membri dell'Unione europea (IPCA) oppure in base all'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati elaborato dall'Istat (FOI) o, in alternativa, l'imposizione di altri strumenti di salvaguardia del beneficiario, come l'acquisto di titoli del debito pubblico in favore dell'avente diritto ovvero la stipulazione, in suo favore, di una polizza sulla vita a premio unico ex art. 1882 c.c. (Cass., n. 31574/2022).

Opportune cautele

La norma dedicata alla liquidazione dei danni permanenti sotto forma di rendita vitalizia prevede, con formula alquanto generica, che il giudice che dispone detta rendita provveda altresì ad accordare le opportune cautele. Tuttavia, non è specificato alcunché sulla tipologia e consistenza di dette cautele. Deve trattarsi di forme di garanzia che consentano al danneggiato di ottenere tutela qualora il danneggiante resti inadempiente. A tal fine il provvedimento giudiziale può disporre la corresponsione di una rendita vitalizia subordinatamente alla costituzione di un'idonea garanzia entro un dato termine, scaduto inutilmente il quale acquisterebbe effetto la condanna al versamento di una somma capitale (Bianca, 780). Sicché si prestano al raggiungimento di tale fine le garanzie ipotecarie (reali) o fideiussorie (personali) disposte dal giudice che prevede la rendita ovvero il deposito vincolato di titoli, eventualmente presso una banca (De Cupis, 1979, 285). A tiolo esemplificativo, gli strumenti di garanzia prevedibili dal giudice possono consistere: a) nell'imposizione al debitore dell'obbligo di costituire la rendita mediante cessione di un capitale o l'alienazione di un immobile; b) nell'imposizione al debitore di costituire la rendita mediante acquisto di titoli del debito pubblico, di cui l'obbligato abbia la proprietà ed il danneggiato l'usufrutto; c) nell'imposizione al debitore di costituire la rendita mediante la stipulazione, in favore del danneggiato, di un'assicurazione vita, a vita intera ed a premio unico (ovviamente versato dal responsabile del danno); d) nell'imposizione al debitore dell'obbligo di prestare idonea cauzione o assicurazione fideiussoria (Rossetti, 599). Il giudice può anche ordinare al debitore di investire un capitale determinato in acquisti di titoli del debito pubblico, nominativi ed intestati — ad esempio — al cancelliere dell'ufficio giudiziario procedente, la cui rendita sia destinata al danneggiato. Scegliendo poi titoli a reddito fisso, il danneggiato avrebbe la migliore garanzia della solvibilità del debitore, mentre quest'ultimo potrebbe, in caso di decesso del creditore o di avveramento della condizione risolutiva della rendita, rivendere i titoli o lucrarne la rendita. Nondimeno, la previsione di dette cautele non costituisce un requisito indefettibile per il riconoscimento della rendita.

In questo senso, si è ritenuto in giurisprudenza che la liquidazione sotto forma di rendita vitalizia non esiga il supporto di adeguate garanzie dell'adempimento del danneggiante, qualora la struttura economica di cui questi gode nel caso concreto sia talmente solida da non richiedere alcuna ulteriore cautela in favore del danneggiato (Trib. Genova 15 giugno 2005).

Riconoscimento dell'aggravamento

Ove le conseguenze pregiudizievoli derivate dal fatto illecito, il cui risarcimento sia stato riconosciuto mediante previsione di una rendita vitalizia, si aggravino nel corso della vita del danneggiato e dopo la chiusura del giudizio risarcitorio conclusosi con sentenza passata in cosa giudicata, il danneggiato medesimo potrà invocare ulteriori poste risarcitorie intraprendendo un autonomo giudizio, qualora ricorrano le seguenti condizioni: a) che anche l'aggravamento sia causalmente riconducibile all'originario fatto illecito e non a cause eterogenee; b) che la manifestazione di tale aggravamento non sia prevedibile, ossia non rientri tra le conseguenze progressive normali dell'originario fatto lesivo. Sicché l'aggravamento così esternatosi ricade in realtà in un'ulteriore voce di nocumento. In questa evenienza la nuova domanda spiegata non sarà coperta da giudicato e la relativa prescrizione comincerà a decorrere, non già dall'integrazione del fatto illecito, bensì dal momento in cui l'aggravamento è divenuto percepibile. Viceversa, la liquidazione mediante rendita vitalizia include anche gli aggravamenti che costituiscano uno sviluppo normale e prevedibile degli originari pregiudizi conseguiti al fatto illecito. Molto ha fatto discutere l'eventualità che, in costanza della rendita, il danno subito dalla vittima si aggravi o si attenui. Tale eventualità viene spesso addotta come argomento a sostegno della tesi della impraticabilità del risarcimento in forma di rendita, in base all'assunto che non si saprebbe quale strumento adottare per assicurare la revisione periodica della rendita. Si tratta però di un falso problema. Il risarcimento liquidato in forma di rendita non è meno intangibile di quello liquidato in forma di capitale: Come nell'uno così nell'altro caso, una volta avvenuta la liquidazione del risarcimento e la condanna del debitore al pagamento della rendita, il diritto del creditore deve ritenersi quesito ed eventuali circostanze sopravvenute o scoperte successivamente non verranno a modificare i termini del rapporto. Come anticipato, unica eccezione possibile, analogamente anche in questo caso a quanto accade nel caso di liquidazione del danno in forma di capitale, si realizza nel caso in cui gli aggravamenti del danno alla persona siano del tutto imprevedibili al momento della liquidazione (Rossetti, 600). Per converso, qualora diminuiscano le garanzie stabilite in condanna, il danneggiato può chiedere la revisione della sentenza, ossia il versamento del capitale residuo dovuto, ove tale condizione sia stata espressamente prevista nel caso di mancata prestazione o riduzione delle garanzie determinate (Bianca, 780).

Anche in sede di legittimità tali principi sono stati confermati. In specie, la giurisprudenza ha ammesso la possibilità di effettuare una revisione della rendita in presenza di aggravamenti di natura patologica non prevedibili al momento della pronuncia della sentenza. Così si è ritenuto che sia autonoma e non coperta dal giudicato l'azione volta ad ottenere l'ulteriore risarcimento dei danni derivanti da aggravamenti della patologia non prevedibili al momento del riconoscimento della rendita vitalizia e non ricadenti in tale forma di liquidazione (Cass. n. 265/1970; App. Roma 3 marzo 1998). Ancora, si è sostenuto che il giudice possa procedere alla revisione della rendita per aggravamenti successivi e sopravvenuti alla formazione del pregresso giudicato o alla transazione, solo se al momento della prima liquidazione non fossero accertabili elementi attuali capaci di determinare l'aggravamento futuro, o non erano prevedibili gli effetti dei medesimi ovvero non sussisteva ancora un evento, manifestatosi successivamente, con efficacia concausale dell'aggravamento (Cass. n. 5576/1984; Trib. Firenze 12 giugno 2020). Con riferimento alla decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento ex art. 2947 c.c., si è, invece, osservato che in tali fattispecie essa comincia a decorrere dal verificarsi delle ulteriori conseguenze pregiudizievoli (Cass. n. 7139/2013; Cass. S.U., n. 580/2008; Cass. n. 10448/1996).

Bibliografia

Bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1997; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 3, Obbligazioni e contratti, Torino, 1990; De Cupis, Dei fatti illeciti, in Comm. S.B., sub artt. 2043-2059, 1971; De Cupis, Il danno. Teoria generale della responsabilità civile, II, Milano, 1979; Franzoni, Dei fatti illeciti, in Comm. S.B., sub artt. 2043-2059, Bologna-Roma, suppl. 2004; Gentile, voce Danno alla persona, in Enc. dir., XI, Milano, 1962; Rossetti, Dei fatti illeciti, in Comm. del codice civile (a cura di Carnevali), sub art. 2057, Torino, 2011; Ruperto, La giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina, IV, Delle obbligazioni, Milano, 2012, 619; Zeno Zencovich, Per una «riscoperta» della rendita vitalizia ex art. 2057 c.c., in Nuova giur. civ. comm., I, 1999.

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