Codice Civile art. 2044 - Legittima difesa.Legittima difesa. [I]. Non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri [52 c.p.]. [II]. Nei casi di cui all'articolo 52, commi secondo, terzo e quarto, del codice penale, la responsabilità di chi ha compiuto il fatto è esclusa1. [III]. Nel caso di cui all'articolo 55, secondo comma, del codice penale, al danneggiato è dovuta una indennità la cui misura è rimessa all'equo apprezzamento del giudice, tenuto altresì conto della gravità, delle modalità realizzative e del contributo causale della condotta posta in essere dal danneggiato2. [1] Comma aggiunto dall'art. 7, comma 1, l. 26 aprile 2019, n. 36, in vigore dal 18 maggio 2019. [2] Comma aggiunto dall'art. 7, comma 1, l. 26 aprile 2019, n. 36, in vigore dal 18 maggio 2019. InquadramentoL'art. 2044 c.c. costituisce una vera e propria novità legislativa, posto che le precedenti codificazioni – il codice civile del 1865 ed il code Napoleon – non avevano un'analoga previsione. In dottrina si è acutamente osservato che l'art. 2044 c.c., sotto il profilo strettamente civilistico, riconosce ed instaura un vero e proprio diritto di respingere l'attacco altrui, che si traduce in una indiscussa tolleranza dell'ordinamento all'atto dannoso diretto a respingere l'aggressione ingiusta (Monateri, 228). La reazione difensiva avverso l'aggressore ingiusta (fattore quest'ultimo scatenante la scansione temporale dei concatenati eventi) può, talora, comportare conseguenze che pur apparendo armoniche rispetto al dato strettamente penalistico, di fatto, lo travalicano e si possono sostanziare, eventualmente, in ipotesi di danno di portata patrimoniale ed extrapatrimoniale. La correlazione con l'art. 52 c.p.La norma esclude in radice che il danno cagionato in presenza della causa di giustificazione, possa essere ingiusto, poiché la lesione prodotta in capo alla posizione giuridica dell'aggressore, ancorché in teoria contra ius, è, in realtà, in iure, posto che, intervenendo la causa di non punibilità (per la stretta conformazione della condotta allo stereotipo normativo) viene a mancare cioè uno degli elementi dell'iniuria. Il testo dell'art. 2044 c.c. («Non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri») introduce, pertanto, in intima e speculare correlazione con la previsione penalistica, una causa di esclusione di responsabilità civile, per il caso di commissione di un fatto, il quale se non fosse scriminato, potrebbe indubbiamente rivestire il carattere di fonte di risarcimento extracontrattuale. La ragione della assenza di antigiuridicità e di irresponsabilità sul piano civile da parte dell'agente, si rinviene nella circostanza che la condotta, con la quale il soggetto si oppone all'aggressione (quest'ultima non tutelata dall'ordinamento e, per tale motivo, definita ingiusta), è ritenuta – a precise e determinate condizioni — dall'ordinamento meritevole di tutela, quindi, lecita. In proposito, si è precisato che nell'ipotesi di legittima difesa l'evento è voluto dal soggetto e la sussistenza della causa di giustificazione incide ex post su di esso eliminando dal fatto l'antigiuridicità (Trib. Firenze 27 giugno 1991). Merita, quindi, puntualizzare che colui il quale agisce in stato di legittima difesa, «vuole» l'evento (in altri termini, «ha il dolo» dell'evento), quale conseguenza della propria azione diretta a difendere un diritto, posto in attuale pericolo da una offesa ingiusta altrui. La legittima difesa, infatti, non inerisce alla struttura della fattispecie e alla colpevolezza, ma postula viceversa l'esistenza di un reato perfetto negli elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi (Cass. pen. n. 4945/1999) e, sul piano civilistico, l'esistenza di un fatto (doloso), rilevante ai fini del risarcimento ex art. 2043 c.c. Essa opera, quindi, come scriminante ex post e ab externo, dal momento che il suo riconoscimento esclude sia la reazione punitiva dello Stato (dovendo l'imputato essere prosciolto ex art. 530 c.p.p., con la formula «perché il reato è stato commesso da persona non punibile»), sia, nell'ambito dei rapporti tra le parti, il riconoscimento della pretesa risarcitoria per i danni subiti dall'aggressore (dovendo il soggetto, che ha agito in tale stato, essere ritenuto «non responsabile» ai sensi dell'art. 2044 c.c. Viene, in questo modo, esclusa qualsiasi forma di contrarietà alla norma giuridica, altrimenti sussistente, e, parimenti, viene meno la fonte dell'obbligazione, che sarebbe extracontrattuale, cioè quella da fatto illecito o aquiliana. La stessa Corte di Cassazione ha espressamente individuato nella previsione normativa penale elemento di assoluto e pieno riferimento anche per la elaborazione civilistica dell'istituto: l'art. 2044 rinvia sostanzialmente, per la nozione di legittima difesa quale situazione idonea ad escludere la responsabilità civile per fatto illecito, all'art. 52 c.p., che richiede, a tal fine, la sussistenza, nella fattispecie, della necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa (Cass. n. 2091/2000). Nella fattispecie è stata esclusa la configurabilità della legittima difesa (così come dello stato di necessità) in relazione al fatto dell'agente di polizia che, sopraggiunto immediatamente dopo la commissione di una rapina in una farmacia, mentre il rapinatore si stava allontanando, per sottrarsi alla cattura, impugnando una pistola a scopo difensivo, abbia esploso all'indirizzo dello stesso, che si proteggeva con il corpo del farmacista, un colpo di arma da fuoco il quale abbia attinto anche un cliente. Si è, infatti, così, ravvisato un eccesso colposo nell'uso legittimo di armi. Pertanto, l'art. 2044 c.c., rinvia sostanzialmente, per la nozione di legittima difesa, quale situazione idonea ad escludere la responsabilità civile per fatto illecito, all'art. 52 c.p., che richiede, a tal fine, la sussistenza, nella fattispecie, della necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempreché vi sia proporzionalità tra la difesa e l'offesa (requisito, quest'ultimo, da valutarsi ex ante, verificando, cioè, se, nelle circostanza della vicenda, la reazione dell'offeso fosse l'unica possibile, non sostituibile con altra meno dannosa e ugualmente idonea alla tutela del diritto). Peraltro, la Corte di Cassazione ha evidenziato che in tema di legittima difesa, mentre nel giudizio penale la semiplena probatio in ordine alla sussistenza di siffatta scriminante comporta l'assoluzione dell'imputato ex art. 530, comma 3, c.p.p., nel giudizio civile, al contrario, il dubbio si risolve in danno del soggetto che la invoca e su cui incombe il relativo onere della prova (Cass. n. 18094/2020). Il principio della irresponsabilità, dell'aggredito, il quale si difenda secondo i dettami canonizzati della legittima difesa, anche sul piano civile, si estende al caso in cui il fatto, che determina la reazione, provenga da un soggetto non imputabile. Va detto che, alla luce delle osservazioni che precedono, non pare, poi, per nulla casuale l'inserimento della disposizione regolatrice la legittima difesa nel sistema delineato dal legislatore in tema di responsabilità civile, il quale trova come norma fondamentale e di riferimento assoluto, l'art. 2043 c.c. La reazione difensiva, infatti, ancorché tutelata dall'ordinamento – per le ragioni dianzi esposte – provoca, naturalmente, un danno obbiettivamente ingiusto, il quale, in assenza delle circostanze costituenti la legittima difesa, sarebbe senza sorta di dubbio alcuno – come già puntualizzato — fonte di responsabilità ai sensi del citato art. 2043 c.c. (Zaina, 88). Per completezza è opportuno, inoltre osservare che l'effettivo ambito applicativo della norma portata dall'art. 2044 c.c., non può essere affatto circoscritto alla persona, pena una grave discrasia rispetto alla norma penale, di cui all'art. 52 c.p., che – come già ribadito — appare sicuro riferimento in materia, anche sul piano eminentemente civilistico. I presupposti per l'operatività della legittima difesaÈ giurisprudenza consolidata di legittimità (Cass. n. 45425/2005) che i presupposti essenziali della legittima difesa sono costituiti da un'aggressione ingiusta e da una reazione legittima: mentre la prima deve concretarsi nel pericolo attuale di un'offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione di un diritto (personale o patrimoniale) tutelato dalla legge, la seconda deve inerire alla necessità di difendersi, alla inevitabilità del pericolo e alla proporzione tra difesa e offesa. L'eccesso colposo sottintende i presupposti della scriminante con il superamento dei limiti a quest'ultima collegati, sicché, per stabilire se nel fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa legittima, bisogna prima accertare la inadeguatezza della reazione difensiva, per l'eccesso nell'uso dei mezzi a disposizione dell'aggredito in un preciso contesto spazio temporale e con valutazione ex ante, e occorre poi procedere ad una ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema dell'eccesso colposo delineato dall'art. 55 c.p. L'art. 2044 c.c., rinvia per la nozione di legittima difesa — quale situazione idonea ad escludere la responsabilità civile per fatto illecito — all'art. 52 c.p. che richiede, a tal fine, la sussistenza, nella fattispecie, della necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempreché vi sia proporzionalità tra la difesa e l'offesa (requisito, quest'ultimo, da valutarsi ex ante, verificando, cioè, se, nelle circostanza della vicenda, la reazione dell'offeso fosse l'unica possibile, non sostituibile con altra meno dannosa e ugualmente idonea alla tutela del diritto (Trib. Bari 2 maggio 2016, n. 2436). L'art. 2044 c.c. dispone, quindi, che la responsabilità per danni sia esclusa quando il danno stesso è arrecato per difendere se o altri contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che vi sia proporzione tra difesa ed offesa. La legittima difesa discrimina, quindi, il fatto nella sua interezza, in tale modo differenziandosi dall'eccesso colposo di legittima difesa nel quale venendo a mancare il requisito della proporzionalità, vi è come conseguenza che la reazione difensiva, per effetto del suo trasmodare in eccesso, termini di essere legittima dando luogo ad un fatto illecito soggetto alla sanzione penale e fonte di obbligazione civile risarcitoria. Nell'ipotesi in cui l'imputato, per fuggire da una lite, si accorga di aver investito una persona e, consapevole che l'investito sia a terra sotto le ruote, ritiene di allontanarsi passando sul suo corpo con l'auto, si può ritenere cha lo stesso abbia agito nell'indifferenza del risultato in danno della parte lesa; in tale situazione non è ipotizzabile la legittima difesa, per l'evidente assoluta sproporzione tra una lite e la condotta estrema posta in essere da chi alle conseguenze di quella lite voleva sottrarsi. Ed a fronte di una tale sproporzione neppure può ipotizzarsi un eccesso colposo (Cass. pen., n. 1490/2012). Si è affermato che la reazione dell'imprenditore che sia danneggiato dalla condotta sleale di un concorrente è legittima, e non causa un danno risarcibile, solo quando risponde ai parametri della continenza generale e della proporzionalità rispetto all'offesa ricevuta (Cass. n. 12820/2018, nell'enunciare il principio, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, che aveva ritenuto sleale, perché sproporzionata, la campagna di denigrazione effettuata da un imprenditore contro l'ex agente, il quale aveva avviato un'attività commerciale in violazione del patto di non concorrenza). I diritti tutelabili contro i quali è diretta l'aggressioneIn questo contesto, l'ambito di operatività dell'art. 2044 c.c. appare ben più ampio ed esteso rispetto al dettato della norma di cui all'art. 2045 c.c., la quale regola lo stato di necessità. Quest'ultimo acquisisce valenza soltanto in relazione al danno arrecato in difesa di un diritto relativo alla persona. Deriva, pertanto, l'ovvia considerazione che anche nell'ambito della disciplina civilistica si possa affermare che, silente la legge, l'azione reattiva rientri nel novero della legittimità, se si riferisca alla difesa di una posizione giuridica soggettiva tutelata, qualunque sia l'oggetto del diritto. Anche ai fini prettamente risarcitori e civilistici, si deve concludere che la reazione possa essere ritenuta legittima anche quando il diritto minacciato abbia natura patrimoniale, o comunque non sia strettamente inerente alla persona umana, allo stesso modo in cui si ritiene operi la correlativa tutela penalistica. Proprio dai principi identificativi la legittima difesa sul piano penale – come peraltro già detto – quale ad esempio la sussistenza di una minaccia ingiusta ed attuale ad un diritto, si è ricavato il convincimento del fatto che sia legittimo difendersi, in relazione a tutti i diritti indistintamente, nessuno escluso. È stata ammessa la configurabilità della scriminante anche relativamente alla materia concorrenziale mantenendo fermo il limite, anche in questo caso, della proporzione tra la difesa e l'offesa arrecata (Trib. Milano 26 gennaio 1989, n. 606). Così come l'art. 2044 c.c. ha trovato applicazione anche in ambito di pubblicità: la pubblicità contenente apprezzamenti sfavorevoli sui prodotti dei concorrenti è lecita in due ipotesi e precisamente a) quando l'apprezzamento sfavorevole idoneo a screditare il prodotto concorrente è il mezzo per reagire all'attacco altrui, quindi è scriminato dalla legittima difesa ai sensi art. 2044 c.c.; b) quando l'apprezzamento sfavorevole circa il prodotto concorrente direttamente o indirettamente indicato è il mezzo necessario per mettere in evidenza l'effettiva superiorità tecnica del proprio prodotto, quindi è scriminato dall'esercizio di un diritto che la le sue radici nella libertà di iniziativa economica garantita dal comma 1 dell'art. 41 Cost. (Trib. Torino 21 marzo 1983). Ad ogni modo, la legittima difesa, quale reazione difensiva ad un'altrui offesa, non può consistere nella divulgazione di notizie false sui prodotti e l'attività del concorrente e non esclude, quindi, la responsabilità civile per l'illecito concorrenziale previsto dall'art. 2598, comma 1, n. 2, c.c. (Cass. n. 22042/2016). In tale direzione si è affermato che La reazione dell'imprenditore che sia danneggiato dalla condotta sleale di un concorrente è legittima, e non causa un danno risarcibile, solo quando risponde ai parametri della continenza generale e della proporzionalità rispetto all'offesa ricevuta. (Cass. n. 12820/2018, nell'enunciare il principio, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, che aveva ritenuto sleale, perché sproporzionata, la campagna di denigrazione effettuata da un imprenditore contro l'ex agente, il quale aveva avviato un'attività commerciale in violazione del patto di non concorrenza). In tema di concorrenza sleale mediante diffusione di notizie screditanti, l'esimente della legittima difesa, operando quando vi sia la necessità di difendere un diritto contro il pericolo attuale dell'altrui offesa ingiusta, postula che la reazione risponda ai parametri della continenza generale e della proporzionalità rispetto all'offesa ricevuta e che la comunicazione sia veritiera, sicché essa non può essere invocata ove si diffondano, con toni offensivi, notizie false relativamente all'emanazione di un provvedimento dell'autorità giudiziaria (Cass. n. 31170/2023). L'onere della provaPer il Supremo Collegio — pur dovendosi ravvisare quella sostanziale identità concettuale tra l'art. 52 c.p. e l'art. 2044 c.c. — non si può, peraltro, prescindere dal confronto con le diverse regole che presiedono la formazione della prova nel processo civile e penale, oltre che con il favor rei che governa in materia penale; con la conseguenza che — mentre nel giudizio penale la semipiena probatio in ordine alla sussistenza della scriminante comporta l'assoluzione dell'imputato ex art. 530, comma 3 c.p.p. — nel giudizio civile il dubbio si risolve in danno del soggetto su cui incombe il relativo onere della prova, id est del soggetto che la invoca (Cass. n. 6383/2003). Sul piano della valutazione civilisticamente orientata, in ipotesi di insufficienza della prova, in ordine alla individuazione e distinzione fra chi appaia l'aggressore e chi risulti l'aggredito, non si potrà innovare l'operatività della scriminante. È ovvio, dunque, che non si possa parlare, quindi, di legittima difesa in caso di rissa, neppure in sede di giudizio civile. La ragione è semplice ed agevole da comprendersi. La rissa si concreta quando entrambe le parti agiscono in contemporanea e con pari volontà di offesa. Si potrà anche presumere che ciascuno dei corrissanti abbia potuto agire sull'erroneo presupposto psicologico di versare in uno stato di doverosa difesa e tutela della propria persona, ma appare chiaro che la reciprocità delle condotte materiali e la ipotetica reciprocità dei convincimenti – dianzi espressi – non pare affatto sufficiente a legittimare il richiamo all'esimente in oggetto (anzi tale situazione si pone in contrasto con una siffatta posizione). L'indimostrabilità dei presupposti di fatto che possano rendere la legittima difesa effettivamente invocabile da uno dei protagonisti dell'evento (attraverso la ricostruzione della sequenza temporale dei comportamenti), confina, dunque, il giudice nel limbo del dubbio e gli impedisce di applicare lo specifico istituto. Legittima difesa e provocazioneAssimilabile, poi, a queste considerazioni è pure l'orientamento, in base al quale anche in sede civile si è dato, inoltre, corso alla distinzione fra la legittima difesa e la provocazione. Il tratto saliente che distingue le due situazioni consiste nel fatto che il danno cagionato dalla reazione del soggetto vittima della provocazione non rientra nei canoni della come legittima difesa. L'azione reattiva, infatti, non è finalizzata alla tutela della persona o del patrimonio, ma è dovuta ad un impulso collerico ed emotivo, anche se cagionato da un fatto ingiusto altrui. Per alcuni autori in dottrina ove la provocazione si ponga oltre una certa intensità, le relative conseguenze dovrebbero ricadere, seppur parzialmente, su chi ha dato corso alla provocazione stessa (Monateri, 298). Costruzione che porta ad ulteriori conclusioni nel senso di escludere l'elemento soggettivo dell'illecito in capo al provocato, nell'ipotesi in cui la provocazione appaia talmente intensa da determinare una reazione quasi automatica, di modo che la stessa non possa ritenersi voluta. La legge 26 aprile 2019 n. 36Con la l. n. 36/2019, il legislatore ha cercato di garantire quanto più possibile a chi si difende da aggressioni nel domicilio l'esenzione dalla responsabilità penale come anche dalla responsabilità civile. A riguardo, vale il principio generale dell'efficacia universale delle cause di giustificazione, che rendono il fatto lecito non solo agli effetti del diritto penale, ma in tutto l'ordinamento giuridico. È un principio generale, valevole per tutte le cause di giustificazione, che nell'art. 2044 c.c. è esplicitato proprio con riferimento alla legittima difesa: “non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri”. L'odierno legislatore, con una disposizione pleonastica, ha esplicitato che quel che vale per la legittima difesa vale anche per la legittima difesa domiciliare. E' infatti inserito un nuovo secondo comma nell'art. 2044 c.c., ai sensi del quale “nei casi di cui all'articolo 52, commi secondo, terzo e quarto del codice penale, la responsabilità di chi ha compiuto il fatto è esclusa”. Degna di nota è invece la novità introdotta nel nuovo terzo comma dell'art. 2044 c.c. per regolare i profili risarcitori dell'eccesso colposo di difesa nel domicilio, di cui all'art. 55, co. 2 c.p. La relativa fattispecie, come si è detto, non comporta conseguenze penali ma obbliga a corrispondere al danneggiato “una indennità la cui misura è rimessa all'equo apprezzamento del giudice, tenuto altresì conto della gravità, delle modalità realizzative e del contributo causale della condotta posata in essere dal danneggiato”. E' così introdotta una disciplina analoga a quella prevista dall'art. 2045 c.c. per lo stato di necessità (un'altra scusante), che pure prevede il pagamento di un indennizzo (disciplina ritenuta anche di recente applicabile, per analogia, in caso di legittima difesa putativa colpevole: Cass. pen., n. 29515/2018). Sino ad oggi la giurisprudenza prevalente ha applicato per analogia l'art. 1227, co. 1 c.c. prevedendo, in caso di eccesso colposo nelle cause di giustificazione, la condanna al risarcimento del danno in misura diminuita in ragione del concorso del fatto doloso del danneggiato (Cass. pen. n. 17571/1989). In questa sede è necessario sottolineare come siano nette le differenze tra l'impostazione civilistica e quella penalistica: nell'ordinamento penale la legittima difesa sospende la punibilità del reo, anche se non sospende l'antigiuridicità dell'azione; nella responsabilità civile, con il dichiarare non responsabile il difensore legittimo viene negata l'antigiuridicità dell'azione: l'identità concettuale tra l'art. 52 c.p. e l'art. 2044, deve comunque confrontarsi, oltre che con il favor rei che ha valenza generale in materia penale, con le diverse regole che presiedono la formazione della prova nel processo civile e penale, con la conseguenza che, mentre nel giudizio penale la semiplena probatio in ordine alla sussistenza della scriminante comporta l'assoluzione dell'imputato ex art. 530,3º co., c.p.p., nel giudizio civile il dubbio si risolve in danno del soggetto che la invoca e su cui incombe il relativo onere della prova. Da ciò consegue che uno stesso fatto, pur essendo "scriminato" sul piano penale, potrebbe comunque costituire illecito sul piano civile, con conseguente obbligo risarcitorio in capo all'autore.
BibliografiaComporti, Fatti illeciti: le responsabilità presunte, artt. 2044-2048, in Comm. S., 2002; Dogliotti – Figone, Le cause di giustificazione, in Commentario al Codice Civile, a cura di Cendon, VIII, Torino, 1998; Franzoni, Dei fatti illeciti, in Comm S.B., sub artt. 2043-2059, 1993; Monateri, La responsabilità civile, in Tr. Sac. 1998; Zaina, La Nuova legittima difesa, Rimini, 2007. |