Codice di Procedura Civile art. 186 quater - Ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione 1.

Rosaria Giordano

Ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione 1.

[I]. Esaurita l'istruzione, il giudice istruttore, su istanza della parte che ha proposto domanda di condanna al pagamento di somme ovvero alla consegna o al rilascio di beni, può disporre con ordinanza il pagamento ovvero la consegna o il rilascio, nei limiti per cui ritiene già raggiunta la prova. Con l'ordinanza il giudice provvede sulle spese processuali.

[II]. L'ordinanza è titolo esecutivo. Essa è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio.

[III]. Se dopo la pronuncia dell'ordinanza, il processo si estingue, l'ordinanza acquista l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza.

[IV]. L'ordinanza acquista l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza se la parte intimata non manifesta entro trenta giorni dalla sua pronuncia in udienza o dalla comunicazione, con ricorso notificato all'altra parte e depositato [in cancelleria], la volontà che sia pronunciata la sentenza 2.

 

[1] Articolo inserito dall'art. 7 d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, conv., con modif., nella l. 20 dicembre 1995, n. 534.

[2] Comma così sostituito dall'art. 21 lett. m)l. 28 dicembre 2005, n. 263, con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 4 l. n. 263, cit., tali modifiche si applicano per i procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006. Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «[IV]. La parte intimata può dichiarare di rinunciare alla pronuncia della sentenza, con atto notificato all'altra parte e depositato in cancelleria. Dalla data del deposito dell'atto notificato, l'ordinanza acquista l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza». Da ultimo l'art. 3, comma 2, lett. p) d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164 ha soppresso le parole: «in cancelleria»; ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.

Inquadramento

L'art. 186-quater c.p.c. disciplina un provvedimento anticipatorio avente la finalità di evitare la necessità che, terminata l'istruttoria, le parti debbano attendere a lungo la decisione della causa con sentenza in ragione dell'eccessivo carico dei ruoli giudiziari (cfr. Santangeli, 1 ss.).

La S.C. ha ritenuto manifestamente infondata l'eccezione di legittimità costituzionale relativa alla disposizione in esame, inquadrata come norma contemplante uno strumento processuale che determinerebbe la soppressione del diritto ad ottenere una pronuncia, in violazione degli artt. 24 e 25 Cost., nel caso in cui le domande siano parzialmente accolte o respinte, avendo tale provvedimento anticipatorio esclusivamente la funzione di introdurre una forma di giudizio abbreviato ispirata a fini deflattivi che si realizza mediante il meccanismo di fare acquistare all'ordinanza (esecutiva ex lege) l'efficacia di sentenza a seguito di rinuncia alla pronuncia di merito da parte dell'intimato e rappresentando questa forma di giudizio l'estrinsecazione della potestà discrezionale del legislatore di conformare gli istituti processuali, razionalmente spiegabile in rapporta alla previsione dell'assorbimento dell'ordinanza nella sentenza o nell'acquisto dell'efficacia della sentenza impugnabile (Cass. III, n. 23313/2007).

Ambito applicativo

L'ordinanza può avere ad oggetto la condanna al pagamento di somme quanto alla consegna o al rilascio di cose.

L’emanazione del provvedimento è quindi generalmente ammesso nel caso di condanna al risarcimento del danno derivante da fatto illecito extracontrattuale (v., tra le altre, Trib. Como 4 novembre 1998, in Foro it., 1999, I, 330; Trib. Firenze 2 novembre 1995, in Giur. Merito, 1996, 670, con nota di Negro) e di condanna al risarcimento del danno derivante dall'inadempimento delle obbligazioni contrattuali (Trib. Milano 13 ottobre 1995, in Giur. merito, 1996, 671).

La dottrina dominante ritiene che l'ordinanza in esame non possa avere ad oggetto pronunce meramente dichiarative e costitutive di rapporti giuridici (Consolo, 1412; Sassani, 194).

La giurisprudenza appare incline a condividere questa impostazione: si è invero evidenziato che l'espressione utilizzata dal legislatore (“pagamento di somme, ovvero la consegna o il rilascio di beni”) comporta l'ammissibilità dell'ordinanza ex art. 186-quater c.p.c. ogni qual volta il provvedimento stesso sia correlato con i processi esecutivi di espropriazione forzata per consegna o rilascio, non potendo, invece, avere ad oggetto gli obblighi di fare e non fare (siano essi fungibili o infungibili,) né riguardare domande costitutive o di mero accertamento (Trib. Torino III, 23 dicembre 2006; conf. Pret. Bari, 17 giugno 1996, in Giur. it., 1998, 951).

Diversamente, si è ritenuto, sempre in sede applicativa, che l'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione può cumulare la decisione su di una domanda costitutiva con quella di condanna (Trib. Roma, 2 giugno 1997, in Giur. it., 1998, 951).

Per alcuni Autori, inoltre, la norma in esame non potrebbe trovare applicazione nei riti da ricorso, come quello del lavoro o locatizio, nei quali la pronuncia della stessa segue direttamente all'udienza di discussione (Consolo, 1411; Costantino 321).

L'art. 186-quater non si ritiene applicabile al giudizio in appello, sia per la mancanza nel giudizio di appello della figura del giudice istruttore (Campese, 111), sia per l'inidoneità dell'ordinanza anticipatoria a modificare un provvedimento a cognizione piena, come la sentenza di primo grado (Sassani, 195).

Sotto un distinto profilo, si è evidenziato che, stante il principio di infrazionabilità della domanda avente ad oggetto somme di denaro, l'istanza ex art. 186-quater c.p.c. limitata solo ad alcune voci del credito azionato, deve considerarsi inammissibile, tanto più perché ormai è conclusa la fase istruttoria, (ulteriore condizione, peraltro, di ammissibilità dell'istanza in esame), sicché appare del tutto incongruo e contrario allo scopo dell'istituto in esame (che è quello di accelerare la definizione del giudizio di primo grado) decidere solo su una parte della domanda e disporre per la prosecuzione del giudizio al solo fine di decidere con sentenza sugli altri capi della domanda (Trib. Bari II, 24 ottobre 2007).

Quanto all'ammissibilità dell'ordinanza in esame nei processi soggettivamente cumulati, la S.C. ha chiarito che il giudice può emettere l'ordinanza ex art. 186-quater c.p.c. quando, in presenza di un litisconsorzio necessario e in caso di richiesta di tutte le parti istanti nei confronti di tutti i convenuti, la medesima definisca tutte le cause; diversamente, può emetterla se le cause siano scindibili, previa separazione — da considerarsi implicitamente disposta con l'ordinanza — e deve, invece, rifiutarla in ipotesi di cause inscindibili; corrispondentemente, emanata l'ordinanza, la stessa acquista efficacia di sentenza e può essere impugnata se tutti gli intimati rinunciano alla sentenza, mentre, in caso di rinuncia solo da parte di alcuni, tale effetto si produce o meno a seconda che le cause siano scindibili o inscindibili (Cass. III, n. 983/2002).

In dottrina non è pacifica l'ammissibilità della pronuncia dell'ordinanza nei processi oggettivamente cumulati ove l'istruttoria non sia conclusa per tutte le domande.

Per alcuni, nulla osterebbe alla presentazione dell'istanza cui potrebbe seguire un provvedimento di separazione delle cause (Califano, 30).

Altri sottolineano, per converso, che contrasta con tale soluzione la pronuncia sulle spese che deve essere contenuta nell'ordinanza a differenza di quanto avviene per le sentenze non definitive nonché la valenza di semplificazione dell'istituto (Sassani, 197).

In giurisprudenza, invece, si ritiene ammissibile l'emissione dell'ordinanza in esame anche nei processi oggettivamente cumulati. In particolare, la S.C. ha a riguardo chiarito che la disposizione in commento, nel prevedere che il giudice istruttore, su istanza della parte che ha proposto domanda di condanna al pagamento di somme ovvero alla consegna o al rilascio di beni, possa disporne con ordinanza il pagamento ovvero la consegna o il rilascio, non subordina la pronunzia al fatto che, in ipotesi di pluralità domande, l'istruttoria debba considerarsi per tutte esaurita, sicché è ben possibile che, trattandosi di cause scindibili (ed in conformità con l'intento acceleratorio sotteso a questo come agli altri provvedimenti interinali previsti agli artt. 186-bis e 186-ter c.p.c.) l'ordinanza venga emessa in ordine ad una soltanto di esse, sempre che ne sussistano i presupposti, tra i quali vi è in effetti l'esaurimento dell'istruzione, il quale non implica — a sua volta — che le richieste formulate dalle parti risultino tutte completamente espletate, ben potendo la causa essere ritenuta dal giudice adeguatamente istruita alla stregua degli incombenti istruttori già compiuti e senza necessità (ovvero impossibilità, in caso di mancanza inammissibilità o irrilevanza) di assumerne altri (Cass. I, n. 17807/2004). Nei processi oggettivamente cumulati, il giudice, provvedendo su una o più delle domande, non può statuire sulle spese di lite riferite all'intero oggetto della controversia, ma deve limitare la statuizione a quelle relative alla sola parte della causa che costituisce oggetto dell'ordinanza anticipatoria (Cass. II, n. 9379/2002, in Foro it., 2003, 886, con nota di Cea).

Analogamente, in accordo con un più recente orientamento della S.C., l'ordinanza anticipatoria prevista dall'art. 186 quater c.p.c., può essere emessa, in caso di proposizione di domanda principale e domanda riconvenzionale, solo sulla domanda principale che si presenti, sulla base degli atti, priva di esigenze istruttorie, attesa la ratio di semplificazione ed accelerazione del processo sottesa alla norma, salva la necessità di disporre contestualmente un provvedimento di separazione dei procedimenti finalizzato alla prosecuzione della trattazione e dell'istruzione in ordine alla domanda riconvenzionale (Cass. n. 2166/2011).

Per altro verso, la S.C. ha evidenziato che, proposta opposizione a decreto ingiuntivo, va considerata ammissibile la pronuncia dell'ordinanza ex art. 186-quater c.p.c. richiesta per lo stesso credito azionato con il ricorso per decreto ingiuntivo, qualora il decreto ingiuntivo non sia stato dichiarato provvisoriamente esecutivo, perché a tale giudizio si applicano tutti gli istituti di carattere generale, ivi compreso quello disciplinato dall'art. 186-quater c.p.c., né vale, in contrario, l'obiezione relativa all'astratta possibilità di una duplicazione di titoli esecutivi verificabile in caso di estinzione del giudizio di opposizione o di rinuncia dell'intimato alla sentenza (ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 186 quater, cit.), giacché, ove ciò si verifichi, il debitore in sede esecutiva può agevolmente paralizzare l'eventuale duplicazione della pretesa da parte del creditore (Cass. II, n. 5893/2004, in Foro it., 2004, I, 1733, con nota di Cea; in senso conforme, Pret. Terni, 13 dicembre 2000, in Rass. giur. umbra, 2002, 545, con nota di Gareggia; Trib. Bassano del Grappa, 2 settembre 1998, in Giur. it., 1999, 287, con nota di Didone, per la quale l'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruttoria può essere pronunciata anche nel corso di un giudizio instaurato a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo poiché la conversione dell'ordinanza in sentenza a seguito di estinzione del giudizio o per rinuncia alla sentenza da parte dell'intimato produce gli effetti di cui all'art. 653 c.p.c.; contra, nella giurisprudenza di merito precedente, Trib. Frosinone, 18 aprile 2002, in Giur. romana, 2002, 247, per la quale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non è ammissibile la pronuncia dell'ordinanza ex art. 186 quater c.p.c., in quanto nel caso in cui vi fosse rinuncia alla sentenza, ai sensi della norma ora indicata, il creditore disporrebbe di due distinti ed autonomi titoli esecutivi, nonché Trib. Biella, 14 febbraio 2000, in Giur. it., 2000, 1194, secondo cui deve ritenersi incompatibile con il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo la pronuncia di ordinanza ex art. 186 quater c.p.c., essendo questa un mezzo surrettizio — e come tale non predisposto dal legislatore — per ottenere, seppure all'esito dell'istruttoria, una sorta di via alternativa alla provvisoria esecuzione del decreto negata in prima battuta con provvedimento non impugnabile e non revocabile).

Peraltro, in sede applicativa, si è ritenuto che l'esecuzione forzata iniziata sulla base di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, la cui esecutività sia stata sospesa nel corso del giudizio di opposizione, non può essere continuata sulla base di ordinanza ex art. 186 quater c.p.c., ancora revocabile, ottenuta per una somma inferiore a quella indicata nel decreto opposto, poiché tale ordinanza non è equiparabile alla sentenza provvisoriamente esecutiva che definisce in primo grado il procedimento di opposizione all'ingiunzione, di cui all'art. 653 comma 2 c.p.c. (Trib. Roma, 12 dicembre 2002, in Giur. Merito, 2003, 2190).

Istanza e pronuncia del provvedimento

La parte interessata è tenuta a formulare istanza per l'emanazione dell'ordinanza in esa me. L' oggetto devoluto alla cognizione del giudice chiamato a rendere tale pronuncia anticipatoria è limitato alle domande formulate con l'istanza, non estendendosi alle altre pretese fatte valere dalla stessa parte istante ovvero ad altre domande, connesse a quella principale, proposte tra altre parti del processo, salvo che si tratti di giudizio a litisconsorzio necessario o di domande avvinte da un nesso di pregiudizialità-dipendenza o di incompatibilità-esclusione determinante l'inscindibilità dell'accertamento dei rapporti che ne formano oggetto (Cass. III, n. 27984/2019).

L'istanza non deve essere necessariamente depositata dalla parte personalmente potendo essere presentata dal difensore (Costantino, 329).

L'istanza può essere presentata sin dal provvedimento con il quale il giudice dichiari conclusa, anche implicitamente, la fase istruttoria (cfr. Santangeli, 144 ss.).

In giurisprudenza si è evidenziato che la norma, nel richiedere che per la pronunzia dell'ordinanza anticipatoria sia “esaurita l'istruzione”, non fa riferimento ad un formale provvedimento di chiusura dell'attività istruttoria, ritiene sufficiente che il giudice istruttore abbia ritenuto chiusa la fase istruttoria rinviando per la precisazione delle conclusioni, così implicitamente disattendendo istanze istruttorie formulate in precedenti note autorizzate (Cass. n. 9379/2002). Pertanto, l'istanza per la pronuncia dell'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione è ammissibile anche quando non vi sia stato un formale provvedimento di chiusura dell'attività istruttoria (Cass. II, n. 13148/2003; contra Trib. Trani, 1° febbraio 1996, in Giur. it., 1997, I, 2, 754, secondo la quale, ai fini dell'ammissibilità dell'istanza ex art. 186-quater c.p.c., l'istruzione può considerarsi “esaurita” solo con la formale declaratoria della sua chiusura o con la pronuncia di altro provvedimento avente analoghi effetti preclusivi).

Il termine finale per la proposizione dell'istanza e per la pronuncia dell'ordinanza è, in accordo con la tesi prevalente, l'udienza di precisazione delle conclusioni: si è invero evidenziato che l'istanza per la pronuncia dell'ordinanza prevista dall'art. 186 quater, può essere proposta dopo che il giudice ha invitato le parti a precisare le conclusioni ed è efficacemente presentata nella medesima udienza od in quella successiva in cui le conclusioni sono precisate, determinando nel giudice istruttore il potere e dovere di pronunciarsi (Cass. III, n. 2084/2002, in Foro it., 2002, I, 1377, con nota di CEA). Peraltro, in altro precedente si è osservato che il potere del giudice istruttore di emettere l'ordinanza di condanna al pagamento di una somma di denaro a chiusura dell'istruttoria ex art. 186-quater c.p.c. non incontra limiti anche nell'ipotesi in cui, terminata l'istruttoria e precisate le conclusioni, la causa sia stata rimessa al collegio per la decisione, con la conseguenza che la relativa istanza, presentata al collegio, deve da questo essere rimessa al giudice istruttore per la decisione (Cass. I, n. 6694/2000, in Giust. civ., 2000, I, 1930, con nota di Sassani; contra, in sede di merito, Trib. Trani 27 aprile 1996, in Foro it., 1997, I, 308, con nota di Monteleone, per la quale Nelle cause soggette al vecchio rito, l'istanza di condanna post istruttoria non può essere proposta dopo la precisazione delle conclusioni e quando la causa è stata definitivamente rimessa al collegio).

La Corte Costituzionale ha chiarito che l'adozione, da parte del giudice del merito, dell'ordinanza ex art. 186-quater c.p.c. non determina l'esaurimento del potere del medesimo giudice di sollevare questione di legittimità costituzionale, attesa la naturale revocabilità del provvedimento (Corte cost., n. 64/2006).

Il provvedimento deve essere emesso all'esito del contraddittorio tra le parti (Sassani-Tiscini, 887).

L'ordinanza è emanata a cognizione piena, presupponendo che l'istruzione sia completa (Santangeli, 146 ss.), il che avviene quando siano state espletate le attività istruttorie, non siano stati richiesti mezzi di prova o il giudice li ritenga superflui per la decisione.

In giurisprudenza in senso analogo si è evidenziato che il giudice istruttore, nell'emettere, ad esaurimento dell'istruzione, l'ordinanza anticipatoria di condanna di cui all'art. 186-quater c.p.c., decide con cognizione piena, senza che il suo potere decisorio possa pertanto ritenersi limitato alle situazioni di chiara, lineare ed incontestabile soluzione, ossia di prova evidente (Cass. I, n. 4145/2003).

Nella giurisprudenza di merito è discussa l'ammissibilità dell'ordinanza nelle cause documentali (per la soluzione affermativa Trib. Milano 27 novembre 1995, in Foro it., 1996, I, 1052; contra Trib. Roma 24 ottobre 1995, in Foro it., 1996, I, 1053).

Effetti e regime dell'ordinanza

La pronuncia dell'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione implica la formulazione di una valutazione prognostica da parte del giudice istruttore circa l'esaustività dell'istruttoria esperita o circa l'irrilevanza dell'attività istruttoria richiesta (in analogia con quanto previsto per l'esame delle questioni pregiudiziali di rito e/o preliminari di merito), nonché un certo ambito di discrezionalità: sicché pur alla presenza dei requisiti richiesti dalla legge, possono sussistere ragioni di opportunità per rifiutare la richiesta di concessione del provvedimento (Trib. Torino III, 23 dicembre 2006).

In ogni caso si tratta di provvedimento pronunciato nella forma dell'ordinanza, la quale costituisce titolo esecutivo, nei limiti in cui è pronunciata la condanna (Ricci E.F., 644).

In sede di merito, si è ritenuto, sul punto, che l'efficacia di titolo esecutivo dell'ordinanza ex art. 186-quater c.p.c. deve essere intesa, come si desume dall'art. 474 c.p.c., soltanto come idoneità del provvedimento a dare inizio all'esecuzione forzata e non anche come sua attitudine ad essere per ciò solo equiparato sotto altri aspetti alla sentenza provvisoriamente esecutiva o ad acquisire forza di giudicato (Trib. Roma, 12 dicembre 2002, in Giur. Merito, 2003, 2190).

È stato a riguardo precisato, in sede di legittimità, che l'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 186-quater c.p.c. che venga annullata dal giudice di secondo grado con rinvio al primo giudice, perde efficacia di titolo esecutivo sia in ordine alle statuizioni di merito che a quelle relative alle spese in essa contenute, in applicazione dell'art. 336 c.p.c., con la conseguenza che il giudice dell'opposizione all'esecuzione deve dichiarare l'improseguibilità del processo esecutivo e la caducazione dei relativi atti. Coerentemente con l'effetto integralmente sostitutivo della pronuncia di grado successivo, il successivo nuovo accoglimento della domanda creditoria originaria, pronunciato dal giudice del rinvio a seguito della cassazione della sentenza di secondo grado, non è idoneo a rendere nuovamente efficace il titolo esecutivo definitivamente caducato, potendo soltanto fondare il diritto ad una nuova esecuzione forzata (Cass. III, n. 6042/2009).

L'ordinanza, immediatamente esecutiva, non costituisce invece titolo per iscrivere ipoteca giudiziale in mancanza di espressa previsione normativa. Peraltro, la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 186-quater nella parte in cui, diversamente dall'art. 186-ter, non prevede che l'ordinanza dell'art. 186-quater costituisca titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale (Corte cost. n. 357/2000, in Corr. Giur., 2000, 1469 con nota di Onniboni).

Il provvedimento è revocabile soltanto con la sentenza che conclude il giudizio (cfr. Tiscini, 622).

L'intimato, prima delle riforme degli anni 2005-2006, a fronte dell'emanazione dell'ordinanza in esame poteva rinunziare alla pronuncia della sentenza notificando l'atto di rinuncia alla controparte e depositandolo in cancelleria, momento dal quale l'ordinanza acquistava l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza.

Quanto alla ratio della previsione, si era osservato che la rinuncia della parte intimata alla pronunzia della sentenza, ai sensi dell'art. 186-quater comma ultimo c.p.c., è prevista in funzione meramente acceleratoria della definizione del giudizio, tanto che l'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione acquista in tal caso l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza, a meno che non vi sia stata acquiescenza sul punto, ovvero che non vi fosse comunque contestazione in punto di an debeatur (Cass. III, n. 12869/2000, in Resp. civ. e prev., 2001, 361, con nota di Cannarile).

Per parte intimata, unica legittimata a rinunciare alla sentenza in caso di pronuncia dell'ordinanza ex art. 186 quater c.p.c., deve intendersi la parte destinataria della condanna contenuta nel provvedimento anticipatorio, non essendo necessaria a tal fine la notifica di un atto di precetto (Cass. I, n. 13113/2004, in Foro it., 2004, I, 3030, con nota di Cea).

La dichiarazione di rinunzia alla pronunzia della sentenza costituisce atto tipico per il quale è richiesta la forma scritta in relazione alla necessità che sia notificato all'altra o alle altre parti del processo e successivamente depositato in cancelleria (cfr. Cass. III, n. 11611/2004, per la quale detta dichiarazione non può pertanto assumere forma implicita e manifestarsi proponendo appello avverso l'ordinanza senza sollevare questioni in ordine alla sua emissione). Peraltro, la dichiarazione di rinunzia alla pronunzia della sentenza, che ha finalità di semplificare le forme decisorie, non è necessariamente esercizio dello “ius postulandi”, sicché è rituale la rinuncia compiuta personalmente dalla parte contumace (Cass. III, n. 10748/2002).

Negli altri casi, la rinuncia alla pronuncia della sentenza deve essere effettuata dal difensore, sebbene senza necessità di una procura speciale (App. Milano, 28 maggio 2002, in Giur. milanese, 2003, 205). Invero, la rinuncia dell'intimato alla pronuncia della sentenza, di cui all'ultimo comma del citato articolo, non rientra tra gli atti espressamente riservati alla parte o ad un suo procuratore speciale ex art. 306, comma 2, c.p.c., onde può essere compiuta dal difensore non munito di procura speciale, giacché detta rinuncia si configura, non come un atto di dismissione di un diritto sostanziale, ma come uno strumento di difesa che, determinando la trasformazione della stessa ordinanza in sentenza impugnabile, apre la via alla proposizione immediata dell'appello e dell'istanza di sospensione dell'ordinanza, costituente titolo esecutivo (Cass. III, n. 3434/2002; contra, nella precedente giurisprudenza di merito, App. Venezia, 14 aprile 1998, in Foro it., 2000, I, 962, con nota di Cea, per la quale, una volta pronunciata l'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione, la dichiarazione di rinuncia alla sentenza effettuata dal difensore non munito di procura speciale è inammissibile e determina l'inammissibilità del successivo atto di appello).

L'atto di rinuncia alla sentenza sottoscritto dalla parte personalmente, essendo nullo per violazione dell'art. 82, comma 3, c.p.c., non è idoneo a determinare la conversione dell'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione in sentenza impugnabile, sicché, dovendo escludersi che l'atto di impugnazione firmato dal difensore possa sanare la nullità della rinuncia, il giudice d'appello deve dichiarare l'inammissibilità dell'impugnazione rilevando la non impugnabilità del provvedimento interinale (Cass. III, n. 3194/2002, in Giur. it., 2002, 1599, con nota di Dominici).

È invero inammissibile l'appello proposto avverso l'ordinanzaex art. 186- quaterc.p.c. prima del deposito della rinunzia dell'intimato alla sentenza, ancorché detto deposito intervenga nel termine per la iscrizione a ruolo dell'impugnazione già proposta, in quanto l'effetto della conversione dell'ordinanza in sentenza impugnabile si determina soltanto a seguito del deposito dell'atto di rinunzia, ai sensi del comma 4 dell'art. 186 quater, e dunque prima di tale momento non esiste un provvedimento impugnabile (Cass. I, n. 14097/2003).

Per altro verso, il potere di rinunziare alla pronunzia della sentenza, provocando la conversione dell'ordinanza in provvedimento impugnabile, compete alla sola parte intimata, senza alcuna interferenza della parte richiedente, sicché non è richiesta l'accettazione della rinunzia, la quale ultima produce il suo effetto tipico indipendentemente dall'atteggiamento della parte che aveva richiesto l'ordinanza (Cass. III, n. 10748/2002).

In detto assetto, la S.C. aveva chiarito che l'adempimento degli oneri di notifica e di deposito della rinuncia alla pronuncia della sentenza, ai sensi del comma 4 dell'art. 186-quater c.p.c., attribuisce all'ordinanza stessa, dal momento del deposito, l'efficacia della sentenza pubblicata, con conseguente decorrenza del termine lungo di cui all'art. 327 c.p.c., mentre, per la decorrenza del termine breve di cui all'art. 325 c.p.c. è necessaria una nuova notifica dell'ordinanza con l'attestazione del deposito in cancelleria della notifica della rinuncia alla sentenza (v., tra le altre, Cass. I, n. 21978/2012; Cass.S.U., n. 557/2009, in Giust. civ., 2010, I, 1, 135, con nota di Didone; Cass. III, n. 20750/2004, in Foro it., 2005, I, 1411, con nota di Costanzo; conf. App. Brescia 14 aprile 2000, in Giust. civ., 2001, I, 1085, con nota di Russillo; in senso contrario App. Milano, 29 giugno 1998, in Resp. civ. e prev., 1999, 1121, con nota di Romano, per la quale, nell'ipotesi di rinuncia alla pronuncia della sentenza, dopo l'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione ex art. 186-quater c.p.c., l'appello deve essere proposto nel termine breve di trenta giorni decorrente dal deposito dell'atto di rinuncia notificato dalla parte intimata alla controparte). Più in particolare, in tema di impugnazione dell'ordinanza anticipatoria di condanna ai sensi dell'art. 186-quaterc.p.c., l'attività posta in essere dall'intimato con la notificazione alla controparte dell'atto di rinuncia alla pronuncia della sentenza e con il deposito in cancelleria dell'atto di rinuncia notificato, cui consegue l'acquisto, per l'ordinanza, dell'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza, costituisce adeguata dimostrazione della legale conoscenza del provvedimento da parte dell'intimato nonché della specifica volontà dello stesso di far acquisire all'ordinanza medesima l'efficacia della sentenza impugnabile; ne deriva che, esclusa l'applicabilità, per l'intimato, del termine lungo di impugnazione, dal momento in cui detta attività si perfeziona — ossia dal deposito in cancelleria dell'atto di rinuncia, notificato, alla sentenza — decorre, per il medesimo intimato, il termine breve di impugnazione. Per la controparte, invece, il termine breve di impugnazione decorre soltanto dal momento in cui sia stata ad essa notificata anche l'ordinanza — sentenza, restando fermo che, ove poi la stessa controparte riceva dall'intimato la notificazione, in luogo dell'ordinanza — sentenza, dell'atto di impugnazione dallo stesso proposto, essa potrà, a sua volta, proporre impugnazione con le forme e nei termini dell'impugnazione incidentale (Cass. II, n. 19602/2004).

Pronunciata l'ordinanza di condanna ex art. 186-quater c.p.c. e verificatasi la trasformazione della stessa in sentenza in virtù della rinuncia dell'intimato, con l'atto di appello non possono chiedersi beni della vita diversi da quelli oggetto dell'istanzaex art. 186- quaterc.p.c., mentre può censurarsi la qualificazione giuridica impressa dal giudice di primo grado al bene della vita oggetto dell'istanza di pronuncia dell'ordinanza (Cass. II, n. 1692/2004, in Foro it., 2004, I, 1437).

Era stato poi precisato che la rinuncia alla sentenza prevista dall'art. 186-quater c.p.c., a seguito di pronuncia dell'ordinanza di condanna a chiusura dell'istruzione, nei processi a litisconsorzio necessario, anche se formulata da una sola delle parti contro cui è stata emanata la detta ordinanza, è idonea a determinare la trasformazione dell'ordinanza in sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza per tutti gli intimati (Cass. III, n. 6729/2005, in Giust. civ., 2006, I, con nota di Cuscito; Cass. III, n. 11611/2004, con riguardo ad un procedimento in tema di risarcimento dei danni da circolazione stradale). Tuttavia l'efficacia estensiva nei confronti delle parti non rinuncianti — siano esse costituite ovvero contumaci postula che l'atto di rinuncia venga loro notificato, così da porle in grado, a loro volta, di proporre appello, risultando altrimenti vanificata l'effettività della difesa (App. Roma, 8 luglio 2003, in Giur. Merito, 2004, 67).

Quanto ai processi oggettivamente cumulati, occorre distinguere se si tratti di cause inscindibili o scindibili. Rispetto alla prima ipotesi infatti, è stato affermato che l'ordinanza di cui all'art. 186 quater c.p.c. che pronuncia su alcuni dei danni richiesti con la domanda e rimette al collegio la decisione su altri, se è fatta rinunzia alla sentenza, produce gli effetti di questa sull'intero oggetto della domanda e così acquista gli effetti di una sentenza definitiva: le parti possono impugnarla in ragione del loro interesse ad una diversa decisione e, se è proposto appello, il giudice di secondo grado, che ne sia richiesto con impugnazione principale o incidentale, ha il dovere di pronunciare anche circa i danni sui quali sia mancata una pronuncia di merito nell'ordinanza; la stessa ordinanza, avendo acquisito l'efficacia di sentenza impugnabile, deve essere impugnata entro il termine annuale previsto dall'art. 327 c.p.c., decorrente dal deposito dell'atto di rinuncia notificato alle controparti, ed in difetto passa in giudicato, rimanendo irrilevante l'eventuale riserva di appello effettuata dopo aver ricevuto la notifica della rinunzia alla sentenza, posto che la sentenza stessa non può considerarsi sentenza non definitiva (Cass. III, n. 20750/2004). Diversamente, si è ritenuto che, qualora il processo sia caratterizzato dal cumulo di domanda principale e di quella riconvenzionale, l'autonomia e la compatibilità delle rispettive domande rende ammissibile che le istanze proposte dalle parti, ai sensi dell'art. 186 quater c.p.c., in collegamento con le rispettive domande, abbiano esiti separati ed autonomi come nel caso in cui l'una sia accolta e l'altra sia rigettata, sicché, mentre nella prima ipotesi potrà verificarsi in presenza dei presupposti di cui all'art. 186-quater c.p.c. il meccanismo della conversione in sentenza impugnabile dell'ordinanza di accoglimento dell'istanza, nel secondo caso il processo dovrà necessariamente proseguire per concludersi con la sentenza, realizzandosi così la separazione delle cause anche senza un provvedimento formale del giudice (Cass. II, n. 1007/2004, in Giust. civ., 2005, I, 2187, con nota di Delle Donne). In sostanza, l'ordinanza anticipatoria ex art. 186-quater c.p.c. trova applicazione anche nel caso di giudizio in cui siano state proposte più domande nei confronti di una o più parti, ove trattasi di cumulo di cause scindibili: in tal caso il giudice, provvedendo su una o più delle domande, deve statuire sulle spese, con la conseguenza che, ove intervenga la rinuncia dell'intimato alla sentenza, si verifica automaticamente la separazione dei giudizi (Trib. Bari, 5 ottobre 2002, in Foro it., 2003, I, 886, con nota di Cea). Sulla questione, sempre in sede applicativa, si è evidenziato, inoltre, che nei giudizi con pluralità di domande, la pronuncia dell'ordinanza ex art. 186-quater c.p.c., intervenuta soltanto su una delle domande cumulate, non comporta automaticamente la separazione delle cause, con la conseguenza che il giudice non è tenuto a provvedere sulle spese se, pronunciando l'ordinanza, non dispone la separazione delle cause (Trib. Messina, 9 dicembre 2003, in Foro it., 2004, I, 1439).

Per altro verso, sempre con riguardo ai processi cumulativi, qualora il giudice emetta l'ordinanza ex art. 186-quater c.p.c. pronunciando, oltre che sulla domanda della parte richiedente, su quella connessa proposta da altra parte e l'ordinanza venga impugnata sul presupposto che si è trasformata in sentenza, il giudice di appello non può verificare se sussistessero le condizioni per la pronunzia, ove tale questione non sia stata oggetto di censura, mentre, per converso, il giudice d'appello deve verificare, anche d'ufficio, se concorrano le condizioni in presenza delle quali l'ordinanza si trasforma in sentenza e diventa impugnabile, trattandosi di verifica relativa all'ammissibilità del gravame (Cass. III, n. 11611/2004).

In caso di emissione della ordinanza di pagamento successiva alla chiusura della istruzione in un giudizio di risarcimento danni, l'attività processuale posta in essere dalla compagnia di assicurazione terza chiamata in causa in manleva, dopo che la stessa abbia dichiarato di rinunziare alla pronuncia della sentenzaex art. 186- quaterc.p.c., non può essere presa in alcuna considerazione dal giudice, essendo del tutto irrituale e priva di giuridico effetto e dovendosi ritenere la terza chiamata ormai estranea al giudizio stesso, né alcuna ulteriore pronunzia può essere emessa nei suoi confronti nel medesimo grado di giudizio, neppure per quel che concerne le spese processuali successive all'emissione della predetta ordinanza (Trib. Milano X, 12 febbraio 2005).

Nel sistema novellato, invece, l'ordinanza si “consolida” e diviene il provvedimento conclusivo del giudizio se la parte intimata non manifesta entro trenta giorni dalla sua pronuncia in udienza o dalla comunicazione, con ricorso notificato all'altra parte e depositato in cancelleria, la volontà che sia pronunciata la sentenza.

A seguito delle riforme degli anni 2005/2006, il meccanismo è stato invertito, poiché l'ultimo comma prevede che l'ordinanza acquista direttamente l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza a meno che la parte intimata non manifesti, nel termine di trenta giorni dalla pronuncia in udienza o dalla comunicazione, sempre con ricorso notificato all'altra parte e depositato in cancelleria, la volontà di ottenere la pronuncia della sentenza.

In forza della modifica legislativa l'inerzia dell'intimato comporta,quindi, l'acquisto dell'efficacia della sentenza impugnabile, sicché non si pronuncia alcuna sentenza, ancorché l'ordinanza non abbia pronunciato sull'intera domanda. A quest'ultimo riguardo, nella recente giurisprudenza di legittimità è stato chiarito che L'ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. che abbia pronunciato solo su alcune domande o capi della domanda, se non è richiesta dalla parte intimata la pronuncia della sentenza, produce gli effetti di una sentenza definitiva sull'intero oggetto del giudizio, sicché le parti possono impugnarla in ragione del loro interesse a una diversa pronuncia, ed il giudice di secondo grado, se richiesto, deve provvedere anche sulle domande o sui capi della domanda per i quali è mancata una decisione di merito, mentre la sentenza successivamente pronunciata dal tribunale nello stesso giudizio è nulla, ma l'appello su quest'ultima decisione, limitato a contestare soltanto tale vizio processuale e non il merito della sentenza, deve essere dichiarato inammissibile, perché l'errore denunciato non potrebbe comportare una rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c. (Cass. I, n. 10097/2020).

Pertanto, se non interviene rinuncia, l'ordinanza diviene appellabile (App. Palermo III, 16 gennaio 2016, n. 41).

La S.C. ha da lungo tempo chiarito, sotto altro profilo, che è inammissibile il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. avverso l'ordinanzaex art. 186- quaterc.p.c., poiché tale provvedimento, nel caso di prosecuzione del processo è modificabile e revocabile con la sentenza che definisce il processo stesso, mentre, sia nel caso che dopo la sua emissione il processo si estingua, sia nel caso in cui la parte intimata dichiari di rinunciare alla pronuncia della sentenza stessa, l'ordinanza è direttamente appellabile, né con riferimento al caso in cui il processo prosegua a diversa conclusione può pervenirsi per il fatto che la detta ordinanza è immediatamente esecutiva, poiché tale esecutività, che è espressione della logica propria dei provvedimenti anticipatori di condanna, non elimina il dato della non definitività del provvedimento, incompatibile con il rimedio dell'art. 111 Cost. (Cass. I, n. 4322/1999).

L'ordinanza con la quale il giudice, ai sensi dell'art. 186 quater c.p.c. — introdotto dalla l. 20 dicembre 1995 n. 534 — nel rigettare l'istanza di condanna, dopo la chiusura dell'istruttoria, al pagamento di una somma per responsabilità extracontrattuale, non ha statuito sulle spese processuali, non è ricorribile per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., perché espressamente revocabile e perciò provvisoria, dovendosi, peraltro negare che una siffatta natura del provvedimento sia incompatibile con la condanna alle spese, la cui possibilità del resto, deriva anche da una interpretazione adeguatrice della norma di previsione, in relazione ai principi di cui agli art. 3 e 24 Cost. (Cass. III, n. 12609/1998, in Giust. Civ., 1999, I, 2073, con nota di R. Lombardi).

Nel caso di ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione affetta da errore materiale, è ammissibile il ricorso al procedimento di correzione previsto dall'art. 288 c.p.c. (Trib. Reggio Calabria 23 settembre 1998, in Giur. it., 2000, 1418, con nota di Dalfino).

Effetti dell'estinzione del processo

In caso di estinzione, l'ordinanza acquista l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza (Santangeli, L'ordinanza successiva, 211 ss.).

La formula della legge lascia aperta la questione del momento di decorrenza dell'impugnabilità, in quanto con « estinzione » si può intendere, sia il momento in cui l'evento estintivo si verifica (Balena, 332), sia quello della dichiarazione di estinzione nel processo (Tarzia, 187), sia quello in cui l'estinzione è divenuta definitiva, cioè quando diviene irrevocabile l'ordinanza di estinzione oppure passa in giudicato la sentenza che pronuncia l'estinzione (Luiso, 246).

È sotto altro profilo controverso, poi, quale tipo di termine cominci a decorrere (quello breve o quello annuale) nell'ipotesi in cui l'ordinanza venga notificata all'altra parte prima che si formi il provvedimento impugnabile.

Sulla questione, la S.C. ha evidenziato che l'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione ex art. 186-quater, acquista natura decisoria, divenendo pertanto, impugnabile a seguito della sopravvenuta estinzione del processo nel corso del quale è stata pronunciata, sicché, in tal caso, il termine di impugnazione ex art. 327 c.p.c., decorre dal momento in cui si perfeziona la fattispecie estintiva e non dal passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa dell'estinzione, in quanto la sua decorrenza non può essere rimessa alla mera volontà della parte, consentendogli la proposizione di una tardiva riassunzione finalizzata a provocare la dichiarazione di estinzione al solo scopo di prorogare, in questo modo, il termine di impugnazione (Cass. VI, n. 24185/2014).

Casistica

Non spetta al giudice valutare l'opportunità di decidere nel merito dell'istanza di emanazione di ordinanza di condanna ad istruzione esaurita ex art. 186 quater c.p.c., esistendo, in presenza dei presupposti di legge, un diritto processuale delle parti a questa decisione (Pret. Bologna, 17 febbraio 1996, in Giur. it., 1996, I, 2, 330, con nota di Chiarloni).

L'art. 186-quater c.p.c. mantiene in capo al giudice un certo ambito di discrezionalità, come si rileva dal tenore letterale della dizione “può disporre”, che induce a ritenere che, pur in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, possano sussistere ragioni di opportunità che portino a rifiutare la richiesta di concessione del provvedimento, così come accade alla provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo in ragione dell'analoga dizione dell'art. 648 c.p.c. (Trib. Biella 14 febbraio 2000, in Giur. it., 2000, 1194).

Spetta al giudice istruttore valutare l'opportunità di decidere nel merito dell'istanza di emanazione dell'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione e di non provvedere qualora la complessità degli accertamenti istruttori effettuati faccia ritenere più opportuna una decisione esclusiva del collegio (Trib. Matera 5 agosto 1997, in Giur. it., 1998, 951; Trib. Torino, 21 dicembre 1995, in Giur. it., 1996, I, 2, 329, con nota di Chiarloni).

Non può trovare accoglimento in seno al processo arbitrale la richiesta di un provvedimento anticipatorio di condanna ai sensi dell'art. 186 quater c.p.c. (Coll. arbitrale, 15 luglio 2003, in Riv. arbitrato, 2004, 355, con nota di Lipponi).

Con l'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione può essere disposta la condanna al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno da illecito extracontrattuale (Trib. Como, 4 novembre 1998, in Foro it., 1999, I, 330, la quale ha disposto la condanna dell'Ussl al risarcimento del danno per lesioni conseguenti a ritardata esecuzione di un parto cesareo da parte di alcuni medici).

La pronuncia dell'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione — con la quale a norma dell'art. 186-quater, c.p.c., il giudice istruttore dispone il pagamento (ovvero la consegna o il rilascio) — non può ritenersi preclusa dalla necessità di un preliminare accertamento in ordine alla responsabilità del convenuto, in quanto la previsione legislativa delle ipotesi in cui l'istanza può essere formulata — richiedendo la proposizione di una “domanda di condanna al pagamento di somme” (ovvero alla consegna o rilascio di beni) — necessariamente presuppone che il giudice accerti innanzitutto la fondatezza della pretesa e la sussistenza del credito (e quindi il diritto fatto valere dall'attore che trova il proprio fondamento nella responsabilità contrattuale del convenuto o extracontrattuale) e conseguentemente pronunci — a differenza dalle sentenze di mero accertamento — la condanna del debitore, che costituisce titolo per l'esecuzione forzata. Pertanto, l'istanza ex art. 186-quater, c.p.c., è astrattamente proponibile nei giudizi in cui viene chiesta la condanna del convenuto al pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno, conseguente ad un sinistro stradale, sul presupposto dell'accertamento della responsabilità esclusiva o concorrente del convenuto nella produzione del sinistro (Trib. Padova 26 aprile 1996, in Giur. it., 1997, I, 2, 614).

È inammissibile l'ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. nelle cause aventi ad oggetto il risarcimento dei danni morali e patrimoniali ivi compresi i danni biologici ed estetici in conseguenza di un fatto illecito (Trib. Roma 5 febbraio 1996, in Giur. merito, 1998, 276).

L'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione ex art. 186 quater c.p.c. può essere emanata nel giudizio di condanna al pagamento in ripetizione di una somma versata dal fallito durante il fallimento e perciò inefficace ex art. 44 r.d. n. 267/1942 l. fall. (Trib. Roma 5 marzo 1999, in Giust. civ., 2000, I, 575).

Nel giudizio promosso dal curatore avente ad oggetto una azione revocatoria fallimentare, il giudice non può emettere l'ordinanza di condanna di cui all'art. 186-quater c.p.c. in quanto la pronuncia ha efficacia costitutiva e prima della pronuncia non preesiste un diritto di credito (Trib. Pordenone, 13 marzo 1998, in Fall., 1999, 333).

Deve ritenersi applicabile, in via di interpretazione analogica o estensiva, l'art. 186 quater c.p.c. al giudizio di opposizione allo stato passivo, trattandosi di un provvedimento idoneo ad anticipare l'accesso alle forme concorsuali di esecuzione del diritto di credito (Trib. Roma, 20 aprile 1998, in Giur. merito, 1998, 895, con nota di Tiscini).

Le disposizioni dell'art. 186-quater c.p.c. possono essere applicate ai giudizi di dichiarazione tardiva di credito ex art. 101 r.d. n. 267/1942l. fall. posto che sia nell'ipotesi prevista dalla norma del codice di rito, sia in quelle previste dalla richiamata norma della l. fall. La controversia ha ad oggetto accertamento di crediti in funzione della formazione di un titolo esecutivo giudiziale (Trib. Roma, 2 aprile 1997, in Giur. merito, 1998, 637).

Nel caso di controversia tra condominio e società per il compenso per prestazioni non contemplate nel contratto ma rese dalla società e accettate dal condominio, il quale ha onorato tutte le fatture anteriori a quelle in questione, emesse anche per tali prestazioni, il giudice può emettere ordinanza di pagamento ai sensi dell'art. 186 quater c.p.c. (Trib. Ragusa 21 febbraio 2001).

L'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione di cui all'art. 186-quater c.p.c. non può essere emanata nelle controversie in materia di locazione, regolate dal rito speciale del lavoro (Pret. Terni, 9 marzo 1998, in Rass. giur. umbra, 1999, 781).

L'ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. è un provvedimento a contenuto tendenzialmente decisorio ancorché la decisorietà si realizzi a prezzo di una certa compressione dei diritti di difesa, che si manifesta sia nella attenuazione della difesa tecnica conclusiva, sia nella attenuazione della garanzia offerta dalla piena motivazione. Peraltro l'utilizzabilità d'una motivazione “succinta” consente la finalità anticipatoria dello strumento ex art. 186 quater citato, rispetto alla sentenza; e detta ordinanza è ammissibile anche a conclusione del procedimento di opposizione all'esecuzione per rilascio di immobile quando vi sia accordo delle parti sulla data del rilascio (Pret. Bologna, 24 febbraio 1996, in Giur. merito, 1998, 451, con nota di Nardo).

In relazione alle controversie sorte in merito all'attività di fornitura di medicinali svolta dalle farmacie convenzionate in favore del S.s.n., rientranti per effetto dell'art. 33 d.lgs. n. 80 del 1998 nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, trova applicazione il procedimento delineato dall'art. 186 quater c.p.c., il quale presenta un maggior livello di compatibilità con lo schema della misura cautelare tipica del processo amministrativo, prevista dall'art. 21 l. n. 1034/1971, derivante in particolare dalla mancanza di una necessaria istruttoria, laddove la prova si consideri raggiunta documentalmente, e dall'assenza di un giudizio di opposizione (T.A.R. Sicilia, Catania, III, 8 novembre 1999, n. 2392, in Urbanistica e appalti, 2000, 50, con nota di De Palma).

Nelle materie rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 33 d.lgs. n. 80 del 1998 il procedimento delineato dall'art. 186 quater c.p.c. è applicabile alla fase cautelare, prevista dal comma ultimo dell'art. 21 l. n. 1034/1971, che generalmente non prevede l'espletamento di attività istruttoria o, comunque, richiede una ridotta attività istruttoria (T.A.R. Sicilia, Catania, III, 8 novembre 1999, n. 2392, in Urbanistica e appalti, 2000, 50, con nota di De Palma).

L'ordinanza anticipatoria di condanna ex art. 186 quater c.p.c. è utilizzabile anche nei processi soggettivamente cumulati (App. Milano, 28 maggio 2002, in Giur. milanese, 2003, 205).

La disciplina dell'art. 186 quater c.p.c. è applicabile nei processi in cui la domanda di condanna sia proposta nei confronti di più parti e quindi anche nei processi in cui è esercitata l'azione diretta ex art. 18 della legge n. 990 del 1969, anche qualora la domanda sia proposta, oltre che nei confronti dell'assicuratore e del responsabile del danno, anche nei confronti del conducente: in tale ipotesi, a seguito di rinunzia alla sentenza di alcuni soltanto dei destinatari dell'ordine di pagamento determina, l'ordinanza acquista efficacia di sentenza ed è impugnabile con l'appello (Cass. III, n. 2079/2002, in Foro it., 2002, I, 1377, con nota di Cea; contra App. Firenze, 8 marzo 2000, in Foro it., 2000, I, 2506, per la quale, ove nel giudizio di risarcimento dei danni da sinistro stradale, su richiesta del danneggiato, sia pronunciata ordinanza di condanna ex art. 186-quater c.p.c. nei confronti del conducente, del proprietario del veicolo e dell'assicuratore, la rinuncia alla sentenza di uno solo dei condannati non è idonea a far sì che l'ordinanza anticipatoria acquisti l'efficacia della sentenza, sicché deve ritenersi inammissibile l'appello proposto contro il provvedimento in questione).

Nell'ipotesi di più domande nei confronti di una o più parti, l'ordinanza ex art. 186-quater c.p.c. non può essere emessa in rapporto ad una sola delle dette domande quando i procedimenti non siano scindibili ricorrendo ipotesi di litisconsorzio necessario (Cass. III, n. 13690/2001: nella specie la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di appello che aveva rigettato l'eccezione di inammissibilità del gravame interposto, avverso l'ordinanza emessa dal giudice istruttore ai sensi dell'art. 186-quater c.p.c., dall'impresa assicuratrice nei cui confronti solamente le detta ordinanza anticipatoria era venuta ad acquistare efficacia di sentenza, sul rilievo che, nel caso, trattandosi dell'art. 23 della legge n. 990 del 1969 e ricorrendo pertanto un'ipotesi di litisconsorzio necessario, i procedimenti non potevano essere separati e l'ordinanza in parola non poteva essere emessa).

Nell'ipotesi di processo con pluralità di parti per comunanza di “causa petendi”, ove le posizioni dei singoli partecipanti non siano scindibili perché implicano una decisione unitaria e sincronica, è inammissibile l'istanza per ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. proposta da alcuni soltanto degli attori (Trib. Modena, 4 giugno 1998, in Giur. merito, 1999, 25: nella specie, si trattava del risarcimento danni da incidente stradale che aveva coinvolto molti automobilisti, e l'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione era stata chiesta soltanto da due dei numerosi danneggiati i quali pretendevano il risarcimento).

Ove nel giudizio di risarcimento dei danni da sinistro stradale venga pronunciata l'ordinanza di condanna ex art. 186-quater c.p.c. nei confronti del danneggiante e del suo assicuratore, la dichiarazione di rinuncia alla sentenza proveniente da una soltanto delle parti intimate è idonea a far sì che l'emessa ordinanza acquisti l'efficacia della sentenza (Cass. III, n. 13397/2001, in Nuovo dir., 2002, 361, con nota di D'alonzo).

L'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione ex art. 186 quater c.p.c. è opponibile, ai sensi dell'art. 25 comma secondo l. n. 990 del 1969, all'impresa designata al risarcimento del danno per conto del fondo di garanzia per le vittime della strada (Trib. Roma, 14 novembre 1997, in Riv. giur. circol. trasp., 1998, 740, con nota di D'urbano).

L'istanza ex art. 186 quater c.p.c., è inammissibile qualora in essa si formuli richiesta di condanna al pagamento di una somma di ammontare inferiore rispetto al quantum oggetto della domanda di merito, che sia stata ribadita nel suo ammontare più ampio in sede di precisazione delle conclusioni (Trib. Udine, 24 gennaio 1998, in Riv. dir. proc., 1998, 915, con nota di Gasperini).

La produzione di nuovi documenti non è di ostacolo alla pronuncia dell'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione, purché sia esaurita l'assunzione delle prove orali (Trib. Reggio Emilia, 11 luglio 1997, in Foro it., 1997, I, 3399).

L'ordinanza ex art. 186-quater c.p.c., prima dell'acquisizione dell'efficacia di sentenza, non comporta la conversione del sequestro conservativo in pignoramento (Trib. Monza, 3 ottobre 2003, in Giur. it., 2003, 2275).

Nel caso di processo con cumulo di domande (nella specie, domanda di adempimento contrattuale e domanda di risarcimento dei danni conseguenti al ritardato adempimento del contratto), pronunciata ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione su tutto l'oggetto del giudizio, è inammissibile la rinuncia alla sentenza proposta soltanto con riferimento ad alcune delle domande cumulate e con conseguente richiesta di decisione con sentenza sulle altre domande non interessate dalla rinuncia (Trib. Messina, 29 maggio 2002, in Foro it., 2002, I, 3148).

Posto che, nei processi a litisconsorzio necessario, la dichiarazione di rinuncia alla pronuncia della sentenza è idonea a determinare la trasformazione dell'ordinanza anticipatoria di condanna ex art. 186-quater in sentenza impugnabile anche se fatta da una sola delle parti destinatarie dell'ordine giudiziale di pagamento (ovvero di consegna o rilascio), una volta che l'assicuratore della responsabilità civile da circolazione di autoveicoli — parte intimata nell'ordinanza anticipatoria in solido con il danneggiante — abbia ritualmente effettuato tale dichiarazione, il danneggiante è legittimato a proporre appello, senza che, ai fini dell'ammissibilità di questa impugnazione, rilevi l'indagine in ordine alla eventuale irritualità della di lui dichiarazione di rinuncia, in quanto proveniente da soggetto rimasto contumace nel giudizio di primo grado (Cass. III, n. 3434/2002).

Quando l'azione di condanna al risarcimento del danno per sinistro stradale sia stata proposta contro l'impresa assicuratrice designata dal Fondo di garanzia, ai sensi dell'art. 19, comma 4, l. n. 990 del 1969, il commissario liquidatore dell'assicurazione posta in liquidazione coatta è legittimato alla rinuncia alla sentenza quale parte intimata (Cass. III, n. 3194/2002).

È nulla l'ordinanza di condanna di cui all'art. 186 quater c.p.c. pronunciata a scioglimento di una riserva di decisione espressa dal giudice istruttore in udienza se, alla data della sottoscrizione del provvedimento emanato a scioglimento della detta riserva, il magistrato abbia cessato di appartenere all'ufficio giudiziario presso il quale il procedimento è pendente (Cass. III, n. 9294/2001, in Giust. civ., 2002, I, 1335, con nota di Salvato).

Ai sensi dell'art. 354 c.p.c. il processo può regredire dall'appello al primo grado nei soli casi tassativamente previsti da detta norma: pertanto, è viziata la sentenza con cui il giudice d'appello, dichiarata la nullità dell'ordinanza pronunciata ai sensi dell'art. 186-quater c.p.c. (per essere stata emessa, in un giudizio in cui erano proposte una domanda principale e una riconvenzionale, su istanza del solo attore dopo la precisazione delle conclusioni), rimette le parti davanti al primo giudice (Cass. III, n. 2084/2002; in senso opposto App. Campobasso, 8 ottobre 1998, in Giur. it., 1999, 1622, con nota di Tiscini, per la quale è viziata da nullità assoluta l'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione ex art. 186 quater c.p.c. emessa successivamente all'udienza di precisazione delle conclusioni dal giudice istruttore a seguito della rimessione degli atti da parte del collegio e, trattandosi di vizio equiparabile a quello di cui all'art. 161 comma 2 c.p.c., la causa deve essere rinviata al tribunale ai sensi dell'art. 354 c.p.c.).

Bibliografia

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