Decreto legislativo - 3/04/2006 - n. 152 art. 303 - (Esclusioni)

Francesco Agnino

(Esclusioni)

1. La parte sesta del presente decreto:

a) non riguarda il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno cagionati da:

1) atti di conflitto armato, sabotaggi, atti di ostilità, guerra civile, insurrezione;

2) fenomeni naturali di carattere eccezionale, inevitabili e incontrollabili;

b) non si applica al danno ambientale o a minaccia imminente di tale danno provocati da un incidente per il quale la responsabilità o l'indennizzo rientrino nell'ambito d'applicazione di una delle convenzioni internazionali elencate nell'allegato 1 alla parte sesta del presente decreto cui la Repubblica italiana abbia aderito;

c) non pregiudica il diritto del trasgressore di limitare la propria responsabilità conformemente alla legislazione nazionale che dà esecuzione alla convenzione sulla limitazione della responsabilità per crediti marittimi (LLMC) del 1976, o alla convenzione di Strasburgo sulla limitazione della responsabilità nella navigazione interna (CLNI) del 1988;

d) non si applica ai rischi nucleari relativi all'ambiente né alla minaccia imminente di tale danno causati da attività disciplinate dal Trattato istitutivo della Comunità europea dell'energia atomica o causati da un incidente o un'attività per i quali la responsabilità o l'indennizzo rientrano nel campo di applicazione di uno degli strumenti internazionali elencati nell'allegato 2 alla parte sesta del presente decreto;

e) non si applica alle attività svolte in condizioni di necessità ed aventi come scopo esclusivo la difesa nazionale, la sicurezza internazionale o la protezione dalle calamità naturali;

f) non si applica al danno causato da un'emissione, un evento o un incidente verificatisi prima della data di entrata in vigore della parte sesta del presente decreto; [ i criteri di determinazione dell’obbligazione risarcitoria stabiliti dall’articolo 311, commi 2 e 3, si applicano anche alle domande di risarcimento proposte o da proporre ai sensi dell’articolo 18 della legge 18 luglio 1986, n. 349, in luogo delle previsioni dei commi 6, 7 e 8 del citato articolo 18, o ai sensi del titolo IX del libro IV del codice civile o ai sensi di altre disposizioni non aventi natura speciale, con esclusione delle pronunce passate in giudicato; ai predetti giudizi trova, inoltre, applicazione la previsione dell’articolo 315 del presente decreto ]1;

g) non si applica al danno in relazione al quale siano trascorsi più di trent'anni dall'emissione, dall'evento o dall'incidente che l'hanno causato;

h) non si applica al danno ambientale o alla minaccia imminente di tale danno causa ti da inquinamento di carattere diffuso, se non sia stato possibile accertare in alcun modo un nesso causale tra il danno e l'attività di singoli operatori;

[ i) non si applica alle situazioni di inquinamento per le quali siano effettivamente avviate le procedure relative alla bonifica, o sia stata avviata o sia intervenuta bonifica dei siti nel rispetto delle norme vigenti hi materia, salvo che ad esito di tale bonifica non permanga un danno ambientale. ] 2

Inquadramento

In fase di riordino della normativa ambientale, il legislatore ha deciso di modificare il sistema del risarcimento del danno all'ambiente, abrogando l'art. 18 della l. n. 349/1986 e prevedendo un nuovo tipo di risarcimento applicabile solo nell'ipotesi in cui non fosse stata avviata una procedura di ripristino ambientale da condursi sotto la stretta sorveglianza della P.A.

Tutto il sistema risarcitorio delineato nella Parte Sesta del T.U. Ambiente era, in effetti, ispirato all'idea — neanche troppo velata — di ridurre drasticamente il contenzioso ambientale civile, eliminando l'art. 18, l. n. 349/1986, che si era dimostrato sì un'arma severa per la tutela dell'ambiente ma forse suscettibile di un applicazione casuale, a carico di questo o quel soggetto, solo perché astrattamente solvibile, e comunque assolutamente inefficiente, posto che l'incertezza del quantum risarcitorio lo rendeva del tutto imprevedibile ex ante con conseguente impossibilità di assicurare il rischio connesso: era quindi impossibile trasformare in costo il pericolo di danno ambientale, ed assicurare una gestione efficiente del rischio (Monti, passim).

L'applicazione retroattiva del d.lgs. n. 152/2006

La l. n. 166/2009 ha modificato il d.lgs. n. 152/2006, artt. 303 e 311 e precisamente: tentando di adeguare l'ordinamento nazionale alla lettera della direttiva 2004/35/Ce ed all'esito della procedura di infrazione n. 2007/4679 (ai sensi dell'art. 226 del Trattato Ce), relativa all'esclusione, dalla disciplina della responsabilità ambientale, delle situazioni di inquinamento rispetto alle quali fossero già avviate le procedure di bonifica, alla limitazione dell'obbligo di riparazione ai soli danni causati da comportamenti dolosi o colposi ed all'ammissibilità del risarcimento del danno ambientale in forma pecuniaria, mentre la direttiva prevede principalmente misure di ripristino dello stato dei luoghi; prevedendo, allora e tra l'altro, mediante la disposizione contenuta nell'art. 5-bis, comma 1, lett. b), l'aggiunta al comma 3, dell'art. 311 del richiamato d.lgs. n. 152 del 2006, del seguente periodo: «Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, ai sensi della l. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 3, sono definiti, in conformità a quanto previsto dal punto 1.2.3 dell'Allegato 2 alla direttiva 2004/35/CE, i criteri di determinazione del risarcimento per equivalente e dell'eccessiva onerosità, avendo riguardo anche al valore monetario stimato delle risorse naturali e dei servizi perduti e ai parametri utilizzati in casi simili o materie analoghe per la liquidazione del risarcimento per i equivalente del danno ambientale in sentenze passate in giudicato pronunciate in ambito nazionale e comunitario; prevedendo, ancora e tra l'altro, mediante la disposizione contenuta nell'art. 5-bis, comma 1, lett. f), l'aggiunta al primo comma della lett. f) dell'art. 303 del richiamato d.lgs. n. 152/2006, del seguente periodo: »i criteri di determinazione dell'obbligazione risarcitoria stabiliti dall'art. 311, commi 2 e 3, si applicano anche alle domande di risarcimento proposte o da proporre ai sensi della l. 18 luglio 1986, n. 349, art. 18, in luogo delle previsioni dei commi 6, 7 e 8 del citato art. 18, o ai sensi del titolo 9 del libro 4 del codice civile o ai sensi di altre disposizioni non aventi natura speciale, con esclusione delle pronunce passate in giudicato; ai predetti giudizi trova, inoltre, applicazione la previsione dell'art. 315 del presente decreto.

L'intera normativa sulla liquidazione del danno ambientale risulta quindi totalmente riscritta, con un rinvio espresso alle previsioni della direttiva comunitaria, la quale prevede, sul punto espressamente richiamato, testualmente quanto appresso: se non è possibile usare, come prima scelta, i metodi di equivalenza risorsa-risorsa o servizio-servizio, si devono utilizzare tecniche di valutazione alternative. L'autorità competente può prescrivere il metodo, ad esempio la valutazione monetaria, per determinare la portata delle necessarie misure di riparazione complementare e compensativa. Se la valutazione delle risorse e/o dei servizi perduti è praticabile, ma la valutazione delle risorse naturali e/o dei servizi di sostituzione non può essere eseguita in tempi o a costi ragionevoli, l'autorità competente può scegliere misure di riparazione il cui costo sia equivalente al valore monetario stimato delle risorse naturali e/o dei servizi perduti; le misure di riparazione complementare e compensativa dovrebbero essere concepite in modo che le risorse naturali e/o i servizi supplementari rispecchino le preferenze e il profilo temporali delle misure di riparazione. Per esempio, a parità delle altre condizioni, più lungo è il periodo prima del raggiungimento delle condizioni originarie, maggiore è il numero delle misure di riparazione compensativa che saranno avviate.

In particolare, il nuovo testo dei commi 2 e 3 del ricordato art. 311 d.lgs. n. 152/2006, va così letto: chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato al ripristino della precedente situazione e, in mancanza, al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato.

Alla quantificazione del danno il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio provvede in applicazione dei criteri enunciati negli Allegati 3 e 4 della parte sesta del presente decreto.

All'accertamento delle responsabilità risarcitorie ed alla riscossione delle somme dovute per equivalente patrimoniale il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio provvede con le procedure di cui al titolo 3 della parte sesta del presente decreto.

Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, ai sensi dell'art. 17, comma 3, l. n. 400/1988, sono definiti, in conformità a quanto previsto dal punto 1.2.3 dell'Allegato 2 alla direttiva 2004/35/CE, i criteri di determinazione del risarcimento per equivalente e dell'eccessiva onerosità, avendo riguardo anche al valore monetario stimato delle risorse naturali e dei servizi perduti e ai parametri utilizzati in casi simili o materie analoghe per la liquidazione del risarcimento per equivalente del danno ambientale in sentenze passate in giudicato pronunciate in l ambito nazionale e comunitario.

La peculiarità della disciplina sopravvenuta sta in ciò, che essa si applica appunto anche alle domande già proposte, con il solo evidente limite, ricavabile dai principi generali, dei giudizi già definiti con sentenza passata in giudicato.

Tanto consente di ritenere che con la citata normativa della l. n. 163/2009 siano stati completamente neutralizzati, soprattutto ed anche per i giudizi ancora in corso e cioè non ancora conclusi con sentenza passata in giudicato (qual è appunto il presente), i criteri di determinazione del danno già stabiliti dall'art. 18 l. n. 349/1986: e tanto probabilmente, secondo l'opinione dei commentatori, proprio per le difficoltà applicative indotte dalla loro intrinseca contraddittorietà e per il carattere latamente punitivo che pareva discendere dalla previsione legislativa originaria (Cass. n. 6551/2011).

Peraltro, se così è, deve rilevarsi l'imprescindibile necessità di rivedere espressamente ogni determinazione sulla liquidazione, essendo stati appunto travolti i criteri fissati originariamente dalla l. n. 349/1986 e comunque rivisti, con efficacia appunto estesa ai giudizi ancora pendenti, tutti i criteri già applicabili.

È ben vero che non consta ancora essere stato emanato il decreto attuativo del Ministero, previsto espressamente dalla richiamata nuova norma di cui al d.l. n. 135/2009; ma il richiamo, come operato da quest'ultima, ai criteri di una specifica previsione di fonte comunitaria ne ha consacrato, ai fini della concreta applicazione nelle singole liquidazioni, la forza precettiva, quand'anche essa non si potesse già di per sé ricavare dal contenuto intrinseco delle disposizioni.

In tema di danno ambientale la disposizione dell'art. 303, comma 1, lett. f) del codice dell'ambiente, secondo la quale la parte sesta del d.lgs. non si applica al danno causato da un'emissione, un evento o un incidente verificatosi prima della data di entrata in vigore della parte sesta del presente decreto si interpreta nel senso che laddove la pretesa di danno si fondi sul recupero del danno ambientale quale costo monetario per le operazioni di ripristino dello stato dei luoghi viene in rilievo il momento in cui detto danno continui a sussistere (Corte Conti Lombardia n. 137/2015, fattispecie nella quale il Corpo forestale dello Stato aveva acclarato detto danno con relazione del 2013; Corte Conti Molise n. 144/2010).

La prescrizione del diritto al risarcimento dei danni ambientali

Ulteriore problema è quello relativo alla prescrizione della domanda risarcitoria.

Nel sistema dell'art. 18, l. n. 349/1986, il termine di prescrizione si ricava (per i fatti anteriori all'entrata in vigore del T.U. sull'ambiente del 2006, che l'ha abrogato) dall'art. 2947 c.c., sugli illeciti aquiliani, norma che prevede una prescrizione più breve di quella ordinaria (quinquennale anziché decennale), salvo il caso in cui il fatto sia astrattamente riconducibile ad una fattispecie di reato, nel qual caso si applica il termine di prescrizione previsto per il reato.

Nella nuova responsabilità civile della Parte Sesta del T.U. Ambiente — sulla scorta delle precise indicazioni fornite dalla Direttiva comunitaria di cui esso è attuazione — viene indicato un termine di trenta anni — che appare di decadenza più che di prescrizione (Feola, 1612, argomentando dall'art. 303, lett. g, per il quale la Parte Sesta non si applica al danno in relazione al quale siano trascorsi più di trent'anni dall'emissione, dall'evento o dall'incidente che l'hanno causato).

Anche il termine di prescrizione dell'azione di risarcimento del danno all'ambiente fondata sul T.U. Ambiente si individuerà in base alle regole generali, con questa particolarità, però: che — concretandosi nel rimborso dei costi di ripristino — esso comincerà a decorrere dal momento in cui la spesa è affrontata dall'ente pubblico. Quanto agli altri danni ambientali, essi andranno valutati in relazione alla permanenza dell'illecito e delle conseguenze delle quali si chiede il ristoro (Trib. Napoli, 3 novembre 2014, n. 11235, relativamente al quantum del risarcimento, aveva ritenuto di individuare nel profitto dei cinque anni precedenti all'azione la misura del solo danno ancora pretendibile, considerando prescritto il danno anteriore).

Del resto, la Suprema Corte ha evidenziato che in sede di quantificazione equitativa del danno ambientale, il risarcimento non è riducibile ai soli profitti giornalmente conseguiti dal danneggiante nel periodo di cinque anni anteriori alla domanda risarcitoria processuale bensì deve comprendere tutti i comportamenti anteriori e, quindi, tutte le somme già percepite dal stesso sin dalla manifestazione della relativa condotta illegittima (Cass. n. 6551/2011).

Non è, pertanto, applicabile il concetto civilistico di prescrizione per quei danni che, come in materia ambientale, maturano quotidianamente dalla protrazione della permanenza della situazione lesiva.

Bibliografia

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