Legge - 13/04/1988 - n. 117 art. 13 - Responsabilità civile per fatti costituenti reato.

Paola D'Ovidio

Responsabilità civile per fatti costituenti reato.

1. Chi ha subito un danno in conseguenza di un fatto costituente reato commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni ha diritto al risarcimento nei confronti del magistrato e dello Stato. In tal caso l'azione civile per il risarcimento del danno ed il suo esercizio anche nei confronti dello Stato come responsabile civile sono regolati dalle norme ordinarie.

2. All'azione di regresso dello Stato che sia tenuto al risarcimento nei confronti del danneggiato si procede altresì secondo le norme ordinarie relative alla responsabilità dei pubblici dipendenti.

2-bis. Il mancato esercizio dell'azione di regresso, di cui al comma 2, comporta responsabilita' contabile. Ai fini dell'accertamento di tale responsabilita', entro il 31 gennaio di ogni anno la Corte dei conti acquisisce informazioni dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro della giustizia sulle condanne al risarcimento dei danni per fatti costituenti reato commessi dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni, emesse nel corso dell'anno precedente e sull'esercizio della relativa azione di regresso1.

Inquadramento

Nel panorama disegnato dalla legge n. 117/1988, l'unica eccezione al divieto di diretta citazione in giudizio del magistrato è prevista all'art. 13, comma 1, concernente le ipotesi responsabilità per danni derivanti da un fatto costituente reato commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni.

In tali casi si riespande la regola generale della solidarietà passiva tra Stato e dipendente-magistrato verso il terzo danneggiato ma, nei rapporti interni, lo Stato che sia tenuto al risarcimento nei confronti del danneggiato, deve agire in regresso nei confronti del magistrato secondo le norme ordinarie relative alla responsabilità dei pubblici dipendenti (art. 13, comma 2).

Fin qui l'art. 13 è rimasto invariato, ma la legge n. 18 del 2015 ha aggiunto un altro comma (denominato 2-bis), a mente del quale il mancato esercizio dell'azione di regresso comporta responsabilità contabile.

L'introduzione di tale nuova disposizione pone qualche interrogativo sul significato dell'assenza di una analoga previsione con riferimento al mancato esercizio dell'azione di rivalsa nei casi previsti dall'art. 7: per questi ultimi, infatti, nel silenzio della legge sembrerebbe doversi escludere, a contrario, l'insorgenza di una responsabilità contabile del Presidente del Consiglio nel caso in cui quest'ultimo non provveda a promuovere la rivalsa nel termine di due anni attualmente previsto dal primo comma dell'art. 7. Una simile conclusione, pur fondata sul dato testuale della legge e su una interpretazione coerente con il noto brocardo ubi lex voluit dixit, sembra tuttavia inconciliabile con l'affermazione dell'obbligatorietà dell'azione di rivalsa nei casi previsti dall'art. 7, obbligatorietà che, in assenza di qualsiasi sanzione o conseguenza, finirebbe per costituire una scatola vuota.

Nel suo complesso, l'art. 13 non pone particolari problemi interpretativi, rinviando alle norme ordinarie, sia sostanziali che processuali, in tutti i casi in cui sia proposta una domanda di risarcimento del danno subito in conseguenza di un fatto reato commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni.

Le fattispecie delittuose presupposte da tale norma sono molteplici e non necessariamente coincidono con i reati propri del magistrato, restando escluse le sole ipotesi di crimini estranei alla sua attività funzionale.

Potranno pertanto dare origine a tale azione risarcitoria i danni subiti a causa di comportamenti del magistrato integranti, a titolo esemplificativo, la corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.), la concussione (317 c.p.) o l'induzione indebita a dare o a promettere utilità (319-quater c.p.), ovvero il traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.), o, ancora l'abuso d'ufficio (art. 323 c.p.) e i reati di rifiuto e di omissione di atti d'ufficio (art. 328 c.p.) nonché il peculato (art. 314 c.p.).

Applicando le regole ordinarie, le norme sostanziali di riferimento saranno costituite dagli artt. 2043 e ss. c.c., le quali disciplinando la responsabilità aquiliana.

Conseguentemente, per i fatti costituenti reato, non operano neppure i limiti concernenti la misura della rivalsa previsti dall'art. 8, comma 3, limiti che, peraltro, sono espressamente esclusi da tale norma per tutti i fatti commessi con dolo.

Giurisdizione e competenza, a loro volta, dovranno essere individuate secondo le norme del codice di rito.

In particolare, verranno in rilievo l'art. 30-bis c.p.c. per la competenza territoriale in caso di azione diretta verso il magistrato e l'art. 25 c.p.c. ove l'azione sia proposta nei confronti dello Stato.

In caso di condanna dello Stato al risarcimento del danno, la relativa controversia spetta alla giurisdizione della Corte dei conti, atteso che la giurisdizione contabile, secondo la previsione dell'art. 52 r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti), e dell'art. 103 Cost., si estende ad ogni ipotesi di responsabilità per pregiudizi economici arrecati allo Stato o ad enti pubblici da persone legate da vincoli di impiego o di servizio ed in conseguenza di violazioni degli obblighi inerenti a detti rapporti.

La devoluzione alla Corte dei Conti della giurisdizione sull'azione di regresso nei confronti del magistrato

Nell'ipotesi in cui lo Stato, citato direttamente in giudizio per i danni subiti in conseguenza di un fatto costituente reato posto in essere dal magistrato, sia tenuto al risarcimento nei confronti del danneggiato, la conseguente e doverosa azione di regresso verso il magistrato è soggetta alle norme ordinarie relative ai pubblici dipendenti, come disposto dall'art 13, comma 2, l. 117/1988.

In tali ipotesi la giurisdizione, dunque, spetterà alla Corte dei Conti ai sensi del combinato disposto degli artt. 22, 18 e 19 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, in quanto la commissione di un reato nell'esercizio delle funzioni fa venir meno l'esigenza di una speciale e più favorevole disciplina della responsabilità del magistrato ex l. n. 117/ 1988, e quindi anche l'attribuzione della giurisdizione al giudice ordinario prevista, per le azioni di rivalsa, insita nel disposto dell'art. 8 della legge citata (Cass. S.U., n. 12248/2009; Cass. S.U., n. 6582/2006).

L'insindacabilità in sede giuscontabile delle ipotesi risarcitorie previste dalla legge Vassalli, diverse da quelle implicanti la commissione di un reato, è stata ritenuta conforme ai principi costituzionali dallla Corte Costituzionale, la quale ha chiarito che l'attribuzione alla Corte dei Conti, ex art. 103 Cost., della giurisdizione in materia di contabilità pubblica (comprensiva sia dei giudizi di conto che di quelli sulla responsabilità amministrativa patrimoniale), non ha carattere cogente ed assoluto, ma solo tendenzialmente generale, sicché la concreta attribuzione della giurisdizione in relazione alle diverse fattispecie di responsabilità amministrativa richiede l'interpositio del legislatore ordinario, cui competono valutazioni e scelte discrezionali (Corte cost. n. 385/1996; Corte cost. n. 24/1993; Corte cost. n. 641/1987).

Proponibilità dell'azione di regresso prima del passaggio in giudicato della sentenza civile di condanna dello Stato

Stante la incontroversa devoluzione della giurisdizione sull'azione di regresso alla Corte dei Conti e l'applicabilità delle norme ordinarie relative alla responsabilità dei pubblici dipendenti, assume particolare rilievo la giurisprudenza giuscontabile formatasi sulla proponibilità dell'azione e sulla decorrenza della prescrizione in tema di danno erariale c.d. indiretto.

In particolare, si registra un contrasto sulla proponibilità o meno dell'azione erariale di danno prima del passaggio in giudicato della sentenza civile di condanna dell'Amministrazione al risarcimento del danno.

Da un lato, una parte della giurisprudenza contabile ritiene che il dies a quo della prescrizione dell'azione di responsabilità per il risarcimento del danno c.d. indiretto vada individuato nella data di emissione del titolo di pagamento al terzo danneggiato, senza dover attendere il futuro passaggio in giudicato della sentenza di condanna al risarcimento del danno (Corte conti, App. Sicilia, n. 474/2014; Corte conti, sez. Piemonte, n. 122/2014; Corte conti, sez. Toscana, n. 161/2014; Corte conti n. 139/2016).

Un altro ed opposto orientamento, invece, ritiene improponibile l'azione nei confronti del dipendente per carenza di un interesse attuale ad agire in capo, in assenza di un danno «certo» da recuperare.

Ciò in quanto l'obbligazione risarcitoria della P.A. si perfeziona in modo definitivo, almeno con riferimento ai mezzi ordinari di impugnazione, ed acquisisce concretezza ed attualità al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna in favore del terzo danneggiato.

Da tale rilievo conseguirebbe che un soggetto deve essere sottoposto a processo, per quanto riguarda la giurisdizione di responsabilità amministrativa, solo quando si siano realizzate tutte le condizioni di certezza, concretezza ed attualità del danno, che sono gli elementi alla cui tutela è posto il presidio della giustizia contabile, poiché non si vede per quali ragioni un soggetto debba essere costretto a subire un processo ed una condanna per poi, eventualmente, doversi nuovamente rivolgere ad un altro giudice (e quindi «subire», sia pure come parte attiva, un altro processo) per ricondurre il tutto alla situazione quo ante in ipotesi di constatato ingiustificato arricchimento. Dunque, secondo tale lineare sentenza delle Sezioni Riunite, l'azione giuscontabile per danno c.d. indiretto è proponibile dopo il giudicato civile e la prescrizione dell'azione decorre dalla data di emissione del titolo di pagamento al terzo danneggiato, di regola successivo al giudicato (Corte Conti, sez. riun. n. 14/QM/2011; Corte conti, sez. Lombardia, n. 136/2016).

Con specifico riferimento all'azione di regresso nei confronti del magistrato, l'art. 13, comma 2, della legge n. 117/1988 fa riferimento solo alla circostanza che lo Stato «sia tenuto» al risarcimento, senza precisare se in forza di un titolo definitivo o meno, sicché si ripropone la medesima questione interpretativa sopra prospetta.

Peraltro, come evidenziato dalla ultima delle sentenze citate (Corte conti, sez. Lombardia, n. 136/2016), il contrasto in realtà potrebbe essere solo apparente, in quanto riconducibile ad una non corretta lettura della sentenza delle Sezioni Riunite della Corte dei conti (Corte Conti, sez. riun. n. 14/QM/2011), i cui enunciati sarebbero stati in alcuni casi stravolti o interpretati soggettivamente.

In realtà, dalla motivazione di quest'ultima pronuncia, si evincerebbe la doverosità, ai fini del decorso della prescrizione, di due presupposti giuridico-fattuali: il giudicato di condanna e la successiva emissione del mandato di pagamento. La sentenza delle Sezioni Riunite non vaglia tuttavia la speculare evenienza (non configurata nel caso ivi esaminato) in cui la sequenza cronologica-giuridica risulti invertita, ovvero il caso di un pagamento (e dunque dell'emissione del relativo mandato) anteriore al giudicato, eseguito sulla base di sentenza di merito esecutiva. Avendo tuttavia le Sezioni Riunite autorevolmente affermato, come detto, che «l'obbligazione risarcitoria della P.A. si perfezioni in modo definitivo–almeno con riferimento ai mezzi ordinari di impugnazione–ed acquisisca concretezza ed attualità al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna in favore del terzo danneggiato, è un dato di tale solare evidenza da non richiedere ulteriori argomentazioni», tale giudicato, secondo la sezione Lombardia della Corte, resta pur sempre il basilare e concorrente presupposto giuridico per la configurazione di un danno «certo» e per il decorso della prescrizione dell'azione della Procura anche qualora il pagamento da parte della p.a. fosse già avvenuto prima del giudicato stesso in ossequio a sentenza di merito esecutiva. In tale seconda evenienza, in ragionevole sviluppo dell'iter argomentativo della citata sentenza n. 14/2011/QM, si deve concludere che, essendo necessari per il decorso della prescrizione sia il giudicato di condanna della p.a. che il mandato di pagamento, qualora tale sequenza fosse invertita, l'interesse ad agire sorgerà e la prescrizione decorrerà, a fronte di un pagamento già espletato, fatalmente dalla data del sopravvenuto giudicato, successivo al mandato di pagamento citate (Corte conti, sez. Lombardia, n. 136/2016).

Competenza territoriale nel giudizio proposto direttamente nei confronti del magistrato

A norma dell'art. 30-bis c.p.c., nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte cost. n. 147/2004, ove la controversia in cui è parte un magistrato abbia origine da un fatto illecito costituente reato ed il danneggiato scelga il criterio di collegamento costituito dal «locus commissi delicti», lo stato di fatto rilevante per il radicamento della competenza per territorio va rapportato al momento in cui l'obbligazione è sorta, e non a quello di proposizione della domanda; ne consegue che lo spostamento di competenza in favore del giudice individuato ai sensi dell'art. 11 c.p.p. si determina a condizione che il magistrato prestasse servizio, al momento dell'insorgere dell'obbligazione, nel distretto di corte d'appello nel quale si colloca il «locus commissi delicti», non assumendo rilievo ilfatto che il medesimo sia stato «medio tempore»trasferito ad altra sede (Cass. n. 4185/2010; Cass. n. 16382/2011).

Prospettazione in sede civile di ipotesi di reato non accertate con sentenza penale passata in giudicato

Nel regime previgente alle modifiche introdotte alla legge Vassalli dalla legge n. 18/2015, ed in particolare nella vigenza del c.d. filtro di ammissibilità di cui all'art. 5 della legge n. 117/1988, la Suprema Corte ha ripetutamente affermato che l'art. 13 della legge citata si pone su di un piano diverso da quello delle ipotesi di responsabilità contemplate dagli artt. 2 e seguenti della legge stessa e si riferisce a fattispecie che presentino, rispetto all'ipotesi di dolo di cui all'art. 2, un ulteriore connotato, rappresentato dalla costituzione di P.C. nel processo penale eventualmente instaurato a carico del magistrato, ovvero da una sentenza penale di condanna del medesimo, passata in giudicato.

In applicazione di tale principio la Cassazione aveva ritenuto che, qualora il soggetto leso prospetti, pur in difetto di tali presupposti, di aver subito un danno ingiusto per il compimento di reati da parte di magistrati nell'assolvimento delle funzioni istituzionali, la relativa domanda non si sottrae al giudizio di ammissibilità previsto dall'art. 5 della richiamata legge, in quanto ove il (preteso) danneggiato potesse liberamente agire in giudizio civile (in via alternativa o cumulativa nei confronti del magistrato e dello Stato), semplicemente prospettando ipotesi di reato a carico del magistrato, risulterebbero completamente vanificati i limiti ed il «filtro» imposti dalla legge all'ammissibilità dell'indicata azione (Cass. n. 11044/1998 conf. Cass. n. 2567/2002; Cass. n. 6697/2003, Cass. n. 24387/2006; Cass. n. 10295/2007).

Tale consolidata giurisprudenza, sebbene non più attuale, potrebbe comunque fondare una declaratoria di improponibilità dell'azione diretta nei confronti del magistrato, e quindi di inapplicabilità dell'art. 13, ove venissero a mancare i presupposti di costituzione di parte civile nel processo penale, ovvero di previo accertamento del reato con sentenza penale passata in giudicato.

Da un punto di vista concettuale, peraltro, si è anche affermato che sussiste una sostanziale sovrapponibilità tra l'art. 2, relativo alle ipotesi di dolo e colpa grave, e l'art. 13, relativo invece ai fatti costituenti reato, della l. n. 117/1988, atteso che è di difficile configurazione un dolo civile distinto da quello penale, e presupposto applicativo della prima disposizione, come dell'intera legge n. 117 del 1988, non è l'espletamento di funzioni giurisdizionali in senso stretto, bensì l'esercizio in generale di funzioni giudiziarie, con estensione dell'ambito di operatività della disciplina oltre l'attività eminentemente decisoria (Cass. n. 41/2014).

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