Gli artt. 138 e 139 cod. ass. dopo la Legge Concorrenza
30 Ottobre 2017
Le modifiche degli artt. 138 e 139 cod. ass.
Molteplici appaiono le questioni sollevate dalle previsioni contenute negli artt. 138 e art. 139 cod. ass.: norme – riguardanti l'adozione delle tabelle normative di valutazione del danno non patrimoniale da lesione alla salute provocate da sinistri stradali e da responsabilità sanitaria - poste al centro di un intenso e prolungato dibattito, incentrato sui dubbi di costituzionalità riguardanti sia il metodo di liquidazione adottato che le modalità stabilite per l'accertamento medico-legale del pregiudizio. La gran parte dei problemi sollevati in relazione a tale metodo di valutazione deriva dal fatto che lo stesso appare completamente immerso nel vasto e controverso panorama del risarcimento del danno alla persona e risulta essere stato - pertanto - coinvolto dalle evoluzioni interpretative che hanno interessato questa materia: segnate dai continui interventi provenienti dai massimi vertici giurisprudenziali, culminati nelle celeberrime sentenze delle Sezioni Unite dell'11 novembre 2008. Nell'intento di adeguare il sistema normativo a tali sviluppi e superare le diatribe interpretative, gli artt. 138 e art. 139 cod. ass. sono stati oggetto di una riforma attuata - con la legge 4 agosto 2017, n. 124 (legge annuale per il mercato e la concorrenza) – attraverso l'art. 1, comma 17, per quanto riguarda l'art. 138 cod. ass., e tramite il successivo comma 19 per quel che concerne l'art. 139 [su tali novità v. D.SPERA, Liquidazione danno non patrimoniale per lesioni micro permanenti, F.MARTINI, Danno non patrimoniale per lesioni di non lieve entità: come cambia il danno alla persona con la Legge Concorrenza e M.HAZAN, L'art. 139 (e il nuovo danno non patrimoniale) dopo la Legge Concorrenza in Ridare.it]. Il principale interrogativo da sciogliere riguarda l'attitudine della nuova normativa a superare dubbi e perplessità sollevati in passato, con particolare riguardo ai profili di legittimità costituzionale del modello di liquidazione del danno dalla stessa previsto. Una verifica del genere va condotta con la consapevolezza che tale disciplina – risultando strettamente connessa con il sistema generale di risarcimento del danno alla persona - deve armonizzarsi con i principi ad esso sottostanti: tra i quali fondamentale importanza assume il principio di riparazione integrale del pregiudizio, ribadito dalle Sezioni Unite del 2008 tramite l'affermazione che «il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre». Benché la tabellazione normativa possa strutturarsi in maniera peculiare - per il fatto di operare in un ambito nel quale vige l'obbligo assicurativo in ordine alla responsabilità civile – tale caratteristica non determina una totale autonomia del modello, le cui regole potranno distaccarsi da quelle generali in quanto tale diversità risulti fondata su un criterio di ragionevolezza. Particolarmente discussa è apparsa, in relazione al modello tabellare normativo, l'applicazione di quelle indicazioni delle Sezioni Unite secondo cui il principio di integrale riparazione può trovare concreta applicazione esclusivamente laddove venga operata una valutazione di carattere unitario del danno non patrimoniale, al fine di evitare duplicazioni risarcitorie. A rendere ancor più complessa la questione, appaiono le ulteriori affermazioni delle sentenze di San Martino, inclini a sostenere l'assorbimento del danno morale nel più ampio concetto di danno biologico, sulla base della considerazione che la sofferenza può rappresentare un autonomo pregiudizio esclusivamente in assenza di degenerazioni patologiche della stessa. Alla luce di tali indicazioni, si è diffusa presso taluni interpreti l'idea che la tabella normativa di cui all'art. 139 cod. ass. – che esplicitamente si riferisce alla valutazione del danno biologico – debba considerarsi applicabile ad una concezione unitaria di tale pregiudizio, comprensiva delle ripercussioni di ordine morale. A tale orientamento si è adeguata la stessa la Corte costituzionale che – con la sentenza C. Cost. n. 235/2014 - riconosce che la tabella normativa di cui all'art. 139 cod. ass. risulta riferita a una nozione di danno biologico anteriore a quella unitaria affermata dalle Sezioni Unite del 2008, ma ciononostante afferma che il relativo calcolo deve essere applicato per liquidare tutte le conseguenze non patrimoniali della lesione alla salute. È al fine di confermare tale linea di lettura che il legislatore ha introdotto specifiche modifiche in seno all'art. 139 cod. ass., nonché nel (finora inattuato) art. 138, miranti a sancire l'onnicomprensività delle relative tabelle. Queste ultime sono, quindi, destinate a fornire il metodo di calcolo per il danno non patrimoniale derivante da lesione alla salute complessivamente inteso. Al fine di garantire una lettura onnicomprensiva delle tabelle, il legislatore ha ritoccato la rubrica delle due norme ed ha inserito, in seno ad entrambe, un esplicito riconoscimento quanto all'esaustività del risarcimento. Ora, per quanto riguarda la revisione delle rubriche, bisogna osservare che l'innovazione rischia di apparire molto ambigua. Mentre il vecchio riferimento al danno biologico rendeva palese il legame del pregiudizio alla lesione alla salute, non altrettanto accade ove si parli genericamente – come accade oggi - di danno non patrimoniale. Il pericolo che una locuzione così indeterminata possa tradursi in un ampliamento del campo di operatività delle tabelle può, fortunatamente, essere ovviato una volta verificato che il testo di entrambe le disposizioni si riferisce esclusivamente ai pregiudizi correlati alle menomazioni dell'integrità psico-fisica. Quanto al riconoscimento normativo dell'esaustività delle tabelle, va rilevato che lo stesso non fornisce alcun supporto alla discussa idea secondo cui il danno morale sarebbe assorbito nel concetto di danno biologico; ciò per il semplice fatto che rimane confermata la vecchia definizione di danno biologico, cui rimane del tutto estranea la sofferenza psichica indotta dalla menomazione alla salute. La netta differenza esistente tra le due voci di pregiudizio trova conferma nel nuovo testo dell'art. 138: dove, tra i criteri di determinazione del valore del punto, risulta inserita un incremento percentuale e progressivo dello stesso, al fine di considerare «la componente del danno morale da lesione dell'integrità psico-fisica». La previsione di tale inedito parametro appare ricollegata al principio di esaustività della tabella, in ragione del quale si è reso necessario aggiornare il metodo di calcolo, per tener conto delle compromissioni non comprese nel danno biologico: vale a dire le sofferenze di carattere morale. Resta da chiedersi se il metodo di calcolo tabellare previsto dalla due norme, così come risultante dall'ultimo ritocco legislativo, permetta effettivamente di fornire un riscontro all'intero ventaglio delle compromissioni provocate dalla lesione dell'integrità psico-fisica. Una risposta negativa va senz'altro formulata per quanto riguarda la tabella micro permanenti. I valori del punto di invalidità da quest'ultima previsti sono stati, in passato, determinati prendendo a riferimento il danno biologico strettamente inteso, sicché gli stessi avrebbero dovuto essere incrementati nel momento in cui è stato modificato il fenomeno oggetto di misurazione, includendo in quell'ambito anche la componente morale. Nessuna revisione è stata, tuttavia, prevista dalla riforma: che, pur estendendo il raggio di azione della tabelle, ha mantenuto fermo il precedente metodo di calcolo. Tale lacuna è palesata dal confronto con le previsioni contenute nell'art. 138, dove – come si è detto in precedenza - è stato introdotto un incremento del valore del punto volto a considerare il versante del pregiudizio relativo alla sofferenza. In materia di micro permanenti, le sofferenze emotive vengono invece a trovare riscontro, secondo quanto previsto dalla lettera della norma, soltanto qualora la menomazione causi una sofferenza psico-fisica di particolare intensità. La personalizzazione della liquidazione è ammessa esclusivamente a fronte di situazioni di patimento del tutto peculiari, mentre nessuna considerazione appare riconosciuta alla componente standard del pregiudizio. Una previsione del genere rappresenta, peraltro, un passo indietro rispetto alla disciplina previgente, all'intero della quale la personalizzazione del danno biologico da micro permanenti faceva generico riferimento alle condizioni soggettive della vittima, permettendo quindi al giudice di tener contro (sia pure entro i limiti del tetto normativo) del danno morale complessivamente inteso. In definitiva, emerge una diversità di trattamento contrastante con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., non essendo – in seno alla disciplina speciale – tale differenza fondata su un criterio di ragionevolezza. Bisogna, infine, segnalare che la considerazione della componente morale appare incompleta anche per quanto concerne la tabella della macro lesioni. Se, da un lato, è previsto che il valore del punto venga incrementato al fine di considerare la quota standard del danno morale, una lacuna si registra a livello di personalizzazione. La norma prevede, infatti, che il risarcimento possa essere incrementato fino al 30% esclusivamente in relazione alle compromissioni di specifici aspetti dinamico- relazionali, e non già – come avviene in seno all'art. 139 cod. ass.– qualora la menomazione causi una sofferenza di particolare intensità. I tetti risarcitori
Tra le critiche rivolte al metodo tabellare previsto dagli artt. 138 e art. 139 cod. ass. ricorrente è quella riguardante la limitazione prevista per quanto concerne la discrezionalità del giudice. Quest'ultimo vede, infatti, il suo intervento vincolato da un tetto stabilito in sede normativa, in quanto l'incremento volto a garantire la personalizzazione del risarcimento deve rimanere strettamente confinato entro la percentuale individuata dal legislatore: determinata nella misura del 30% per le macro invalidità e del 20% per le micro permanenti. Pur non essendo intervenuto, in sede di riforma, alcun ritocco specifico con riguardo a tale previsione, sulla stessa si riflette il principio di esaustività della tabelle, che rende palese come entro i tetti indicati debba essere confinato il danno non patrimoniale complessivamente inteso. La legittimità di tale limite è stata messa in discussione per il fatto che lo stesso verrebbe a confliggere con il principio di integralità del risarcimento, in relazione a quei profili del pregiudizio insuscettibili di trovare congruo riscontro entro l'importo massimo previsto dalla legge. La Corte costituzionale – nella già ricordata sentenza C. Cost. n. 235/2014 - ha respinto i dubbi di legittimità, ritenendo tale limitazione fondata su un criterio di ragionevolezza: risultando in questi termini valutato il bilanciamento che sacrifica, da un lato, il diritto all'integrale risarcimento del danno per soddisfare, sul versante opposto, l'interesse degli assicurati a godere di un livello sostenibile dei premi assicurativi. Una conclusione del genere non appare condivisibile: non solo perché a livello normativo non appare garantito alcun vincolo ai premi assicurativi, ma per il fatto che il bilanciamento risulta attuato sacrificando, a fronte di un interesse di carattere economico, la piena tutela del diritto alla salute. Da questo punto di vista, non convincono le considerazioni dei giudici costituzionali, inclini a fondare tale conclusione sulle affermazioni delle Sezioni Unite del 2008, secondo cui una compressione dei diritti inviolabili sarebbe ammissibile sulla base del dovere di solidarietà spettante a ciascun consociato. Mentre le Sezioni Unite ritengono operante tale principio lungo il profilo dell'an del risarcimento - al fine di escludere la tutela a fronte di lesioni non gravi e pregiudizi non seri – il sistema tabellare si applica per liquidare pregiudizi dei quali è stata già accertata la rilevanza risarcitoria e che quindi non rivestono per alcun verso la natura di danni bagatellari: pregiudizi per i quali, stando alle affermazioni delle medesime Sezioni Unite, andrebbe allora garantita l'applicazione del principio di integrale riparazione.
I dubbi relativi a tali argomentazioni rimangono confermati a fronte del nuovo sistema tabellare: il quale non solo mantiene fermo il limite per l'intervento del giudice, ma riconosce espressamente che non esistono margini di riscontro – per il pregiudizio derivante dalla lesione alla salute – al di fuori delle tabelle. Si tratta di tetti che non appaiono, in effetti, indispensabili per garantire la prevedibilità del risarcimento, quale elemento imprescindibile per il funzionamento del sistema assicurativo. Basta osservare che, pur in assenza di tale limitazione, la personalizzazione non sarebbe destinata a diventare imprevedibile: quand'anche influenzata da circostanze specifiche e peculiari, essa rimane infatti indissolubilmente legata alla menomazione risentita dalla vittima, e quindi comunque ad essa proporzionata. Del resto, in tutti questi anni il sistema rca ha mostrato di funzionare con l'applicazione delle tabelle giurisprudenziali, sia in ordine alle macro lesioni, che per quanto riguarda il danno non patrimoniale dei congiunti: per il quale il metodo di liquidazione continuerà, peraltro, ad essere anche in futuro quello di matrice giurisprudenziale, considerato che la riforma non ha introdotto alcuna previsione al riguardo.
Accertamento del danno
Tra le varie modifiche introdotte in sede di riforma, alcune ruotano attorno alla questione dell'accertamento del danno. Emerge - in vari contesti - l'esigenza di attenersi ad un estremo rigore, per evitare il risarcimento di pregiudizi inesistenti. Segnali, in tal senso, si traggono nella formula d'esordio del comma 1 dell'art. 138, dove la finalità del pieno risarcimento viene riconosciuta con riguardo al «danno non patrimoniale effettivamente subito». Un'ulteriore precisazione appare inserita – in entrambe le norme – per quanto riguarda l'intervento di personalizzazione del risarcimento, da parte del giudice, con riguardo a specifici aspetti dinamico-relazionali, che debbono apparire “documentati e obiettivamente accertati”. La vittima è tenuta, dunque, a dimostrare di esercitare le specifiche attività realizzatrici che assume essere state compromesse dalla lesione, sia tramite idonea documentazione, che attraverso altro obiettivo accertamento, come quello derivante dalla prova testimoniale. Il profilo più discusso -prima dell'intervento di riforma– riguardava l'accertamento medico-legale del danno biologico provocato da lesioni di lieve entità, alla luce del dibattito scatenato dalle controverse indicazioni introdotte con l'art. 32 d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 (conv. con modi. dalla l. 24 marzo 2012, n. 27). Con riguardo alle relative previsioni, è noto come un diffuso orientamento si è mostrato propenso a ritenere che il comma 3 ter ponga quale condizione per il ristoro del danno biologico permanente un accertamento diagnostico (della lesione da cui è stato originato) per immagini, mentre il comma 3-quater consenta di procedere a un riscontro visivo per quanto riguarda l'esistenza della lesione fonte di danno biologico temporaneo. In tal senso si sono pronunciati, in particolare, i giudici della Consulta - nella più volte citata pronuncia C. Cost. n. 235/2014 - con un obiter in materia di accertamento medico-legale, cui si è allineata la successiva ordinanza n. 242/2015. In seno a quest'ultima, viene affermato - con riguardo al danno biologico permanente - che «la limitazione imposta al correlativo accertamento (che sarebbe altrimenti sottoposto ad una discrezionalità eccessiva, con rischio di estensione a postumi invalidanti inesistenti o enfatizzati) è stata già ritenuta rispondente a criteri di ragionevolezza». I giudici costituzionali ammettono che – anche in assenza di accertamento visivo o strumentale della lesione – un danno possa manifestarsi, ma, per evitare il rischio che lo stesso venga in qualche caso enfatizzato se non addirittura simulato dalla vittima del sinistro, si esclude in maniera drastica la relativa risarcibilità, onde evitare il ristoro di pregiudizi inesistenti che graverebbero sul bilancio delle assicurazioni. Sul fronte opposto è apparsa schierata una giurisprudenza orientata in termini più estensivi. In particolare, la S.C., nella sentenza Cass. civ., sez. III, 26 settembre 2016, n. 18773, ha affermato che le richiamate disposizioni vanno interpretate come espressive della necessità che il danno biologico sia suscettibile di accertamento medico-legale, esplicando entrambe «(senza differenze sostanziali tra loro) i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina legale (ossia il visivo-clinico-strumentale non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo la leges artis)». Sarebbe quindi rimesso alla valutazione medico-legale l'accertamento della lesione, senza che i criteri attraverso i quali opera la scienza medica possano subire limitazioni da parte della legge. A fronte di un panorama interpretativo così contrastato, la riforma del sistema tabellare sgombra il campo dalle contraddizioni emergenti tra commi 3-ter e 3-quater dell'art. 32 d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, dal momento che la seconda disposizione viene del tutto eliminata. A sopravvivere è solo la regola relativa al danno biologico permanente, la quale - nel nuovo testo dell'art. 139 cod. ass. - precisa che il risarcimento appare possibile a fronte di una lesione acclarata - oltre, come stabilito in precedenza, attraverso accertamento clinico strumentale obiettivo – tramite riscontro visivo, in quanto la stessa si presti ad essere verificata (come accade per le cicatrici) senza l'ausilio di strumentazioni di sorta. Se, da un lato, si assiste ad un'estensione rispetto al passato - vista la possibilità di un accertamento di carattere visivo – quest'ultimo sembra essere prospettato, dall'altro lato, come unica eccezione praticabile rispetto all'applicazione del criterio strumentale. L'attuale tenore della norma impone, dunque, una restrizione in ordine all'accertamento della lesione all'integrità psico-fisica, con riguardo alla quale restano intatti i dubbi legittimità per quel che concerne l'irrisarcibilità di quei pregiudizi permanenti che discendano da lesioni riscontrabili non già tramite i suddetti parametri normativi, bensì attraverso altri criteri di carattere scientifico. In questo caso sembra difficile parlare di bilanciamento, considerato il sacrificio imposto alle vittime: sulle quali viene fatta pesare non già una limitazione del risarcimento, ma una più radicale esclusione della tutela. È evidente che una soluzione del genere mal si concilia con i dettami delle Sezioni Unite del 2008, secondo cui, in caso di lesione di diritti inviolabili della persona, il risarcimento deve essere sempre riconosciuto, salvo nelle ipotesi di danni bagatellari; non si vede, in effetti, come una valutazione in termini di futilità possa essere ricollegata alle modalità di accertamento della lesione che ha dato origine al pregiudizio. Valore monetario del punto
Per quanto riguarda i valori monetari del punto di invalidità, si tratta di partire dalla constatazione che, da qualche anno a questa parte, le tabelle stilate dal tribunale di Milano sono divenute - alla luce della vocazione nazionale ad esse riconosciuta dalla Cassazione - il riferimento attraverso il quale accertare l'equità della valutazione operata dal giudice. Un aggancio a quei valori pare destinato a divenire imprescindibile anche in seno alla futura tabella normativa relativa alle macro lesioni, visto che nel nuovo testo dell'art. 138 cod. ass. il legislatore richiama la necessità di tener conto, nella relativa costruzione, di «criteri di valutazione del danno non patrimoniale ritenuti congrui dalla consolidata giurisprudenza di legittimità». La necessità di attenersi a quelle indicazioni monetarie appare confermata dall'affermazione, inserita nell'art. 138 cod. ass., che la finalità perseguita tramite la costruzione della tabella è quella di garantire il diritto delle vittime a un “pieno risarcimento”: indicazione, questa, che porta ad escludere la possibilità di operare interventi di carattere riduttivo rispetto a quei riferimenti. Sembra, dunque, che la tabella nazionale per il danno non patrimoniale da lesioni di non lieve entità sia destinata a confermare a livello legislativo i valori delle tabelle di Milano, rendendo gli stessi operanti in via normativa per quanto riguarda i settori dei sinistri stradali e della responsabilità medica. Stridente appare, allora, il confronto con la tabella relativa alle micro permanenti, la cui costruzione rimane imperniata su valori del punto significativamente inferiori rispetto a quelli liquidati a livello giurisprudenziale. Anche in relazione a tale profilo emerge, quindi, una differenza di trattamento che non appare giustificata sulla base di un criterio di ragionevolezza, sicché un ulteriore dubbio di costituzionalità viene, quindi, ad aggiungersi a quelli già alleggianti su tale normativa. I dubbi di legittimità relativi al sistema di tabellazione del danno da micro permanenti sono destinati a moltiplicarsi ove si tratti di applicare lo stesso nel campo della responsabilità sanitaria. L'ampliamento del relativo raggio di azione a tale ambito è stato oggetto di critica fin dal momento della sua prima attuazione con il d.l. Balduzzi in ragione delle differenze che sussistono tra il sistema rc auto e quello relativo alla responsabilità sanitaria. Un dubbio di fondo riguarda la stessa possibilità di accomunare i due settori in ragione della previsione di un sistema di assicurazione obbligatoria, considerato che in ambito sanitario è ammessa la derogabilità dell'obbligo assicurativo tramite l'adozione di altre analoghe misure, quali i c.d. sistemi di “autoassicurazione”. Una volta osservato che le diversità tra i due sistemi permangono anche dopo la riforma Gelli, si tratta di riconoscere che le limitazioni risarcitorie previste dal sistema tabellare normativo non potranno – in ambito sanitario – essere fondate per alcun verso sulle argomentazioni, strettamente legate al settore dei sinistri stradali, messe finora in campo dalla Corte costituzionale.
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