Le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi: insidie ed opportunità

Riccardo Ranalli
31 Ottobre 2017

Le procedure di allerta possono essere uno strumento formidabile per assicurare maggiore tempestività nell'affrontare la crisi. La coesistenza di misure premiali da una parte e di vincoli temporali dall'altra dovrebbe sulla carta indurre ad anticipare le cure. La materia è però densa di tranelli e di ostacoli ai quali il legislatore delegato dovrà prestare particolare attenzione nel declinare con efficacia i principi della legge delega.
Premessa. Dall'esperienza dei tavoli di ristrutturazione alcuni suggerimenti al legislatore delegato per evitare le insidie e concretizzare le opportunità

La consapevolezza che la tempestività nella rilevazione dei segnali dell'emersione della crisi e nell'assunzione delle misure per la sua composizione sia il fattore maggiormente determinante per il successo della ristrutturazione ha indotto il legislatore a recepire nel nostro ordinamento le c.d. misure di allerta.

Si tratta di un diverso approccio del fenomeno della crisi d'impresa che è il filo conduttore della riforma; lo si percepisce sin dalla lettura dei principi generali e in particolare dalla lett. g) dell'art. 2 che privilegia le proposte conservative della continuità aziendale e dalla lett. c) dello stesso articolo dove si definisce lo stato di crisi come stato di futura insolvenza, per la quale è estata mantenuta la nozione di cui all'art. 5 della l.fall. (incapacità a soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni). La legge delega, in punto di insolvenza prospettica, rinvia alla scienza aziendalistica, argomento che è meglio affrontato più avanti. Qui basti osservare che una situazione prospettica di insolvenza risiede nell'insufficienza dei flussi prospettici al servizio del debito in misura adeguata a quest'ultimo (in linea capitale, ma anche in linea interesse), pur in assenza di qualsiasi inadempimento o di altri fatti esteriori di capacità ad adempiere. Adeguatezza che chi scrive da anni (anche in questo portale: Il raggiungimento del riequilibrio finanziario ex art. 67, comma 3 l.fall. una proposta interpretativa nell'ottica del professionista, 5 aprile 2012) individua nella capacità del rimborso, in un numero di anni non superiore a quello di settore, del debito finanziario e di quello non finanziario outstanding (e cioè lo scaduto caratterizzato da patologia), attraverso l'EBITDA al netto degli investimenti di mantenimento e del carico impositivo.

Individuare la linea di demarcazione tra lo stato di crisi e lo stato di insolvenza sarà a questo punto fondamentale. Il confine ben potrebbe risiedere nella natura meramente prospettica dell'insolvenza a condizione che insolvenza sia solo la incapacità attuale e conclamata a soddisfare regolarmente le obbligazioni. In buona sostanza è stato di insolvenza una situazione di inadempimenti diffusi quando essa non sia regredibile e sono regredibili solo quelle situazioni che non pregiudicano la continuità aziendale (lo stretto legame esistente tra la rilevazione tempestiva della crisi e la perdita della continuità aziendale emerge anche con chiarezza dalle modifiche previste dalla legge delega al codice civile all'art. 14, lett. b). Fa eccezione il solo caso, a ben vedere più di scuola che concreto, di situazioni in cui anche un processo liquidatorio consente di superare la crisi finanziaria dell'impresa fronteggiando con regolarità le proprie obbligazioni.

Nel nuovo quadro complessivo così delineato si innestano le "procedure" di allerta e di intervento degli organismi di composizione della crisi chiamati ad assistere il debitore in tale fase.

Caratteristiche e finalità

Le procedure di allerta sono caratterizzate dalla natura non giudiziale delle stesse e dalla loro confidenzialità. Lo precisa a chiare lettere il legislatore sin nelle prime righe dell'art. 4.

L'intera procedura non ha natura giudiziale e si svolge al di fuori del controllo e della vigilanza del tribunale, con una sola eccezione riguardante nel caso in cui vengano richieste misure di protezione (che hanno sempre portata temporalmente limitata). Ciò non toglie che la norma preveda a carico dell'Organismo di composizione della crisi obblighi di segnalazione al pubblico ministero (lett. b dell'art. 4) e di interlocuzione con creditori pubblici qualificati (lett. i dell'art. 4), nonché, nel caso in cui siano state accordate misure di protezione, di trasmissione di flussi informativi verso il tribunale (lett. g, art. 4). L'attivazione dell'organismo di composizione della crisi, così precisa la legge delega, avviene, infatti, su istanza del debitore e, solo in suo difetto, su segnalazione di pochi ed individuati soggetti: i creditori pubblici qualificati, l'organo di controllo e il revisore. Risponde al principio generale introdotto alla lett. d) dell'art. 2, che reca la legittimazione dell'organo di controllo ad agire per l'accertamento dello stato di crisi o di insolvenza, l'introduzione alla lett. c) dell'art. 4 di un obbligo a carico di questi ultimi, al manifestarsi di indizi specifici, di informarne tempestivamente l'organo amministrativo e, nel caso in cui quest'ultimo non si attivi, di segnalare la situazione all'organismo di composizione della crisi competente. Sulla natura di tali indizi specifici della crisi si tornerà più oltre; qui si osserva solo che il portato della legge delega limita la legittimazione di intervento degli organi di controllo e del revisore al solo caso della presenza di indizi ben individuati secondo specifici parametri che verranno definiti dal legislatore delegato; il che forse, anche alla luce delle considerazioni che verranno svolte in più avanti, non appare pienamente rispondente al principio generale testé enunciato contenuto nella lett. d) dell'art. 2. Sarebbe estremamente opportuno che, nell'esercizio della delega, venisse dato pieno contenuto a tale principio consentendo agli organi di controllo e al revisore di segnalare anche situazioni di crisi che non si manifestino soltanto attraverso astratti parametri specifici. Pare anche doveroso osservare che la legittimità dell'attivazione dell'organismo di composizione della crisi è invece sottratta al pubblico ministero, la cui iniziativa è limitata alla notizia dell'esistenza di uno stato di insolvenza (perché vi sia il suo intervento occorre pertanto sempre che la crisi si sia evoluta in un'effettiva insolvenza attuale e non meramente prospettica).

La confidenzialità e la riservatezza della procedura sono ribadite alla lett. e) dell'art. 4, per quanto esse trovino qualche limitazione nell'obbligo di interlocuzione dell'organismo con i creditori pubblici qualificati previsto all'art. 4 lett. i). La confidenzialità è stata voluta perché si tratta di misure di indici di mera allerta, in via anticipata non solo rispetto all'insolvenza ma, in alcuni casi, anche rispetto alla vera e propria crisi. Non vi è dubbio, e lo si vedrà più avanti, che possa accadere che pochi indici astratti e stereotipati diano segnali di “falso positivo” della sussistenza attuale o prospettica di uno stato di crisi. In questi frangenti, se non venisse assicurata la confidenzialità si rischierebbe di generare la crisi anche in totale assenza di essa; da una violazione della confidenzialità possono, infatti, derivare rischi reputazionali (nei confronti dei clienti, dei fornitori e degli altri stakeholder in genere) tali da pregiudicare la capacità dell'impresa di stare sul mercato. Il decadimento reputazionale può comunque accelerare l'aggravamento della crisi e finanche determinarne negativamente l'esito. Per questi motivi, la confidenzialità è una caratteristica fondamentale della procedura. Per assicurarne il rispetto, pare però opportuno che il legislatore delegato introduca presidi atti a tutelare la riservatezza delle informazioni, con espresse responsabilità, nei confronti del debitore e dei suoi creditori, a carico dell'organismo e di tutti coloro che siano venuti a conoscenza dell'informazione (compresi i creditori pubblici qualificati).

Nette, nel testo della legge delega, sono le finalità della procedura e il conseguente ruolo degli organismi di composizione della crisi. Si tratta in primo luogo, come si è detto, della finalità dell'emersione della crisi in via anticipata e cioè prima che la crisi si manifesti. Certo è che la definizione di stato di crisi quale insolvenza prospettica (e pertanto anche in assenza di alcuno scaduto nei confronti di chicchessia) non lascia grande spazio per una ulteriore anticipazione dello stato di crisi che, per definizione normativa, è solo prospettico; l'espressa finalità dell'anticipazione è pertanto piuttosto da intendersi in termini di mero rafforzamento concettuale della tempestività di rilevazione piuttosto che di una vera e propria rilevazione anticipata di una crisi solo futura.

La seconda finalità risiede nell'agevolazione delle trattative tra il debitore e i creditori, in cui emerge il ruolo dell'organismo al contempo di assistenza del debitore e, sul modello delle procedure di conciliation e sauvegarde francesi, di facilitatore dell'accordo. Scopo dell'organismo è quello della soluzione concordata della crisi ed è questo l'obiettivo per il cui raggiungimento egli è chiamato in primo luogo ad operare.

Ambito soggettivo di applicazione

L'ambito soggettivo di applicazione è, potenzialmente, estremamente ampio, essendo quello di tutti i soggetti indicati alla lett. e) dell'art. 2 ai quali si applica la riforma. Restano escluse, per stessa previsione normativa, le società quotate e le grandi imprese, oltre agli altri soggetti che verranno individuati dal legislatore delegato. La motivazione dell'esclusione risiede nel fatto che le quotate e le grandi imprese hanno strumenti interni di allerta atti ad intercettare tempestivamente uno stato di crisi prospettica. Non è un caso che le realtà quotate e quelle caratterizzate da maggiore rigore nell'applicazione dei principi contabili abbiano attivato tavoli di ristrutturazione quando non si era ancora in presenza di “scaduto patologico” di qualsivoglia sorta. Invero i percorsi virtuosi di tempestiva allerta sono anche propri di tutti i soggetti che adottano con rigore i principi contabili ed in particolare quelli sugli impairment test. Vi è una ragione in tutto ciò e muove dalla considerazione che il valore economico del patrimonio netto è pari alla somma algebrica dell'Enterprise Value (cioè il valore del complesso aziendale) e della Posizione Finanziaria Netta. Ebbene l'Enterprise Value corrisponde al valore d'uso dell'azienda. È un valore determinato, secondo la scienza aziendalistica (quella stessa scienza alla quale fa riferimento all'art. 2, cit. la legge delega), in misura corrispondente all'attualizzazione dei flussi di cassa prospettici, applicando un tasso che tenga implicitamente conto del premio per il rischio del loro effettivo avveramento. Si tratta del valore al quale i principi contabili (quelli internazionali, lo IAS 36, ma anche quelli interni, lo OIC 9) si riferiscono per la rilevazione delle perdite durevoli di valore dei beni (gli impaiment test). Tali principi, infatti, determinano il valore d'uso nel valore attuale dei flussi liberi che la gestione dei beni può generare. Si tratta dei soli flussi che possono essere posti al servizio del debito e che consentono di “sostenerlo”.

Ne deriva che se il valore attuale dei flussi al servizio del debito è inferiore al debito finanziario (la Posizione Finanziaria Netta), il debito non è sostenibile e quindi l'impresa versa in stato di crisi. Ma ne deriva anche che se la Posizione Finanziaria Netta negativa è, in valore assoluto, superiore all'Enterprise Value, il capitale sociale è integralmente perduto e amministratori, sindaci e revisori devono prontamente attivarsi, ciascuno nel rispetto dei propri doveri, per rilevare una situazione rilevante ai sensi dell'art. 2447 c.c.. La constatazione dell'insorgenza di uno stato di crisi, la cui tempestività deriva così, senza necessità di alcuna ulteriore precisazione, dal corretto rispetto dei principi contabili e ciò in modo chiaro ed incontrovertibile.

Applicare con rigore i principi contabili e disporre di un piano adeguato sono quindi i due soli fattori che consentono sempre di intercettare con la massima tempestività una situazione di crisi ancora circoscritta alla sola insolvenza prospettica. Si tratta delle regole di governo che più si attagliano a quell'obbligo di istituzione di assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi che la riforma impone all'imprenditore con le modifiche al codice civile previste all'art. 14 lett. b). Vi sono soggetti che già adottano tali regole in modo sistematico e tali sono, infatti, di norma le realtà quotate e le grandi imprese. Ve ne sono però anche altri che le adottato, quali le società controllate da investitori istituzionali (primi fra tutti i fondi di private equity) e le controllate di quotate. Sarebbe pertanto opportuno che il legislatore delegato estendesse a questi ultimi soggetti il regime di esenzione. Per le stesse ragioni potrebbe egli prevedere l'estensione a tutte le realtà che hanno istituito adeguati presidi organizzativi in termini di rigoroso rispetto delle regole di impairment test (ad esempio, con l'adozione di guide operative ad hoc) e in termini di processi di costruzione dei piani pluriennali (ad esempio, con l'istituzione di una funzione all'uopo preposta).

L'esclusione potrebbe essere anche estesa alle società a controllo pubblico in considerazione del presidio richiesto dal secondo comma dell'art. 6 del relativo T.U. (D.Lgs. 175 del 19 agosto 2016), che prevede l'obbligo di definizione ed approvazione, da parte dell'assemblea chiamata ad approvare il bilancio, di specifici “programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale”.

Dovrebbe essere anche prevista, molto opportunamente, una esclusione per i debitori che hanno già attivato autonomamente misure di composizione della crisi, avendo in corso una negoziazione attiva con i creditori bancari e con gli altri creditori qualificati. Sarebbe, infatti, del tutto vano prevedere un obbligo di attivazione dell'organismo di composizione della crisi se quest'ultima è già in corso. Anzi, potrebbe addirittura essere controproducente, in quanto indurrebbe i debitori a differire l'apertura delle negoziazioni con i creditori sino a quando non emergano gli specifici indicatori previsti dalla legge. D'altronde, in assenza di una esclusione specifica, non si giustificherebbe il trattamento di favore previsto nelle misure premiali per l'imprenditore che, pur non avendo proposto istanza di attivazione dell'Organismo di composizione della crisi, abbia tempestivamente chiesto l'omologazione di un accordo di ristrutturazione o proposto un concordato preventivo o presentato il ricorso per l'apertura di una liquidazione giudiziale.

Sempre con riferimento all'ambito soggettivo, non deve passare sotto traccia la previsione che l'Organismo svolge i propri compiti attraverso un collegio di almeno tre esperti. Tale fatto è fonte, per le realtà di più piccole dimensioni, di più di una perplessità in relazione sia ai costi, sia al rispetto dei tempi di intervento che il legislatore ha voluto estremamente ristretti. Non vi è dubbio, infatti, che un organismo collegiale necessita del rispetto di proprie formalità (in tema di convocazione, confronto, deliberazione, verbalizzazione), che impongono una diversa scansione dell'attività in riunioni collegiali, in contrasto con l'esigenza di un'assistenza pervasiva in continuo del debitore, che invece occorre alle realtà meno strutturate, poco avvezze alla redazione di piani e prive di sistemi di controllo gestionale. L'esperienza ci insegna, infatti, che sono proprio queste le realtà che intercettano la crisi con minore tempestività; come già rilevato, la scarsa attitudine alle valutazioni prospettiche costituisce, di fatto, uno degli ostacoli maggiori nella definizione concordata della crisi. Sarebbe pertanto opportuno tenerne pragmaticamente conto introducendo, nella definizione dell'ambito soggettivo, una soglia minima dimensionale per l'attivazione dell'organismo più elevata rispetto a quella generale prevista per le procedure concorsuali (oggi si direbbe di "fallibilità", termine espunto dal nuovo corpo normativo), salvo prevedere, nelle realtà di dimensioni inferiori, organismi monocratici, con costi inferiori e maggiore flessibilità di intervento. Ma questo però andrebbe oltre i limiti della delega.

L'organismo di composizione della crisi ed il collegio degli esperti. Sua composizione, ambito di intervento, compiti e facoltà

Quanto agli organismi di composizione della crisi di cui all'art. 4, è previsto che essi siano istituiti presso le Camere di commercio. Ancorché siano accomunati, nella denominazione, agli organismi per la composizione delle crisi da sovraindebitamento di cui alla L. 27 gennaio 2012, n. 3, gli organismi in questione nulla hanno a che vedere con essi.

La legge delega non fornisce precisazioni in relazione alla competenza territoriale. La norma delegata dovrebbe invece esprimersi in merito per evitare incertezze in materia e dovrebbe farlo avendo riguardo al principio generale contenuto all'art. 2 lett. f) della legge delega che fa proprio il "centro degli interessi principali del debitore".

Braccio armato dell'organismo è il collegio, costituito da almeno tre esperti iscritti nell'albo ministeriale di coloro che svolgono funzioni di gestione o di controllo nell'ambito delle procedure concorsuali, di cui uno designato dal presidente della sezione specializzata del tribunale competente in base alla sede dell'imprenditore (anche qui pare opportuno il rinvio alla regola generale di cui alla lett. f dell'art. 2), uno designato dalla stessa CCIAA e un terzo da associazioni di categoria. Non è chiaro peraltro quali siano le associazioni di categoria titolate: solo quella alla quale è iscritta l'impresa? E se l'impresa non fosse iscritta ad alcuna associazione? Il legislatore delegato sul punto dovrebbe fornire chiarimenti, come pure dovrebbe chiarire come ci si debba comportare nel caso di collegi costituiti da più di tre membri (consentendone in questi soli casi anche la designazione di uno da parte dello stesso debitore e di un secondo da parte dei creditori bancari).

Con riferimento alla necessità che i membri del collegio siano iscritti nell'albo ministeriale dei soggetti abilitati a svolgere funzioni di gestione o di controllo nell'ambito delle procedure concorsuali, pare doveroso svolgere qualche considerazione ulteriore che investe anche tutte le procedure aventi natura conservativa.

Diverso è, infatti, l'approccio richiesto nella gestione di una procedura liquidatoria, che si fonda su grandezze stock, con riferimento sia al passivo che all'attivo, rispetto a quello proprio di una procedura conservativa, che si fonda invece su grandezze flusso, in considerazione del profilo dinamico che caratterizza le attività e le passività nella continuità d'impresa. La maturazione della competenza dei curatori fallimentari è preminentemente rivolta alle grandezze stock. Per reperire competenze nella gestione delle grandezze flusso e in particolare nella valutazione del profilo dinamico dell'impresa proprio dei piani in continuità occorrerebbe rivolgersi agli aziendalisti, in particolare agli attestatori che hanno maturato competenza nei piani in continuità aziendale. D'altronde la vitalità dell'impresa è materia assai delicata che richiede specifiche conoscenze. Ben potrebbe pertanto l'albo in questione essere suddiviso in sezioni diverse al fine di dare maggiore marcata evidenza delle specifiche competenze, liquidatorie ovvero conservative, maturate sul campo.

Sarà il legislatore delegato che dovrà meglio definire i compiti dell'organismo e del collegio. Dalla legge delega traspaiono comunque alcuni compiti che gravano sull'organismo e sul collegio. Spetta all'organismo fissare un termine congruo (e concederne la sua eventuale proroga) entro il quale deve avere luogo la definizione concordata della crisi. Spetta al collegio individuare le misure idonee a superare la crisi, verificare, non oltre la scadenza del termine, se sia stata raggiunta una soluzione concordata della crisi e attestare lo stato di insolvenza, in assenza di misure idonee, dandone notizia al pubblico ministero competente ai fini del suo tempestivo accertamento. È, infine, il collegio che deve rendere i flussi informativi ai creditori pubblici qualificati.

Pare poi opportuno che il legislatore delegato si pronunci sulla natura del ruolo dell'Organismo che dovrebbe essere di impulso, supervisione, vigilanza e controllo del processo di composizione della crisi. In tal senso il legislatore delegato dovrebbe dare specifiche indicazioni che assumono particolare importanza per assicurare all'organismo e al collegio strumenti efficaci.

Dovrebbe così essere previsto che il collegio sia chiamato ad accertare la presenza dello stato di crisi. Tale accertamento non dovrà però avere luogo sulla base dei soli parametri di cui alla lett. h) dello stesso art. 4 (indici di natura finanziaria che il legislatore delegato deve individuare tenendo conto, in particolare, del rapporto tra mezzi propri e mezzi di terzi, dell'indice di rotazione dei crediti, dell'indice di rotazione del magazzino e dell'indice di liquidità) in quanto essi costituiscono meri indizi dello stato di crisi e non indicatori incontrovertibili dello stesso (il punto, di elevata criticità, merita un approfondimento che è svolto in un paragrafo ad hoc). Tale accertamento dovrebbe essere svolto dal collegio avendo riguardo alla situazione di fatto; l'organismo parrebbe già chiamato dalla legge delega, alla lett. e) dell'art. 2, a verificare la situazione patrimoniale economica e finanziaria esistente. Da tale verifica potrà anche emergere una situazione di sostenibilità del debito indipendentemente dall'anomalia riscontrata sulla base dei predetti indici e in tal caso l'organismo deve poter dare atto del non luogo a procedere.

Ciò premesso, la verifica della situazione economico finanziaria condotta dal collegio non può però che essere sommaria e ciò è bene che venga precisato. Il collegio non dispone, infatti, delle risorse tecniche ed organizzative che gli permettono di condurre una verifica sostanziale di veridicità ed affidabilità, potendo al più compiere limitati riscontri di coerenza. A tal fine dovrebbe essere riconosciuta espressamente al collegio la possibilità di chiedere al debitore l'esibizione della situazione economico-patrimoniale e di ogni ulteriore informazione qualito-quantitativa, nonché di chiedere al revisore e all'organo di controllo i propri giudizi di affidabilità (veridicità) della situazione rassegnata dal debitore.

Il collegio deve poter rivolgere all'impresa la richiesta della individuazione delle cause della crisi e della redazione del piano, recante le intenzioni strategiche del risanamento e le relative azioni industriali e finanziarie. A tal fine è probabile che l'impresa si faccia assistere dai propri advisors, ma l'intervento del collegio assicurerebbe una più efficace scansione temporale dei rilasci a vantaggio dei tempi di componimento della crisi. Non si potrebbe, infatti, pretendere che l'individuazione delle azioni e la redazione del piano siano rimessi all'organismo trattandosi di atti che ricadono sotto la competenza e la responsabilità dell'organo amministrativo in relazione ai quali, tra l'altro, tutte le funzioni aziendali chiamate a darvi esecuzione dovrebbero avere un elevato grado di consapevolezza e coinvolgimento; un piano eteroredatto presenterebbe invece evidenti limiti di attuabilità.

Dovrebbe essere anche previsto che l'accennata attività di verifica della situazione economico finanziaria si svolga anche attraverso la valutazione di fattibilità del piano, suffragata dall'attestatore. È comunque opportuno che vengano sollecitate interlocuzioni tra il collegio e l'attestatore anche durante i lavori di attestazione e di definizione del piano relativo alle azioni di risanamento.

L'Organismo deve poter richiedere ulteriori dati ed informazioni al debitore, quali quelle sull'andamento corrente, statuendo flussi informativi periodici e la redazione di un piano di tesoreria atto a rappresentare fabbisogni finanziari e relative coperture, in particolare nell'orizzonte di più breve termine.

Sarebbe opportuno prevedere che il collegio sia chiamato ad individuare, anche sulla base del piano e sulla scorta delle informazioni ottenute dall'attestatore, l'adeguatezza delle misure di composizione della crisi eventualmente proposte dall'impresa ovvero, in caso di loro assenza o inadeguatezza, a proporne di proprie. Potrà così pronunciarsi sull'esigenza di un accordo omologato in luogo di un accordo non omologato sottostante ad un piano attestato o potrà raccomandare l'attivazione di strumenti di protezione od anche il ricorso a strumenti coercitivi nei confronti dei creditori riottosi. Potrebbe, ad esempio, verificarsi che un accordo su base consensuale non appaia all'organismo come lo strumento più adeguato. In tal caso esso dovrebbe poter chiedere al debitore di virare verso una soluzione concordataria anche se non siano ancora decorsi i termini della conclusione della procedura di composizione assistita della crisi.

Nello svolgimento della propria assistenza al debitore, l'organismo potrebbe rendere pareri non vincolanti sulla costruzione della proposta ai creditori (c.d. “manovra finanziaria”), ciò in quanto l'insuccesso nell'esecuzione del piano dipende talvolta dall'inadeguatezza di quest'ultima. Analogamente, l'organismo dovrebbe poter rendere un parere non vincolante sulla proposta concordataria qualora la misura adottata sia il concordato preventivo. La previsione della natura non vincolante dei pareri è giustificata dal fatto che l'organismo ha, dell'impresa. una conoscenza necessariamente sommaria e comunque ogni decisione al riguardo dovrebbe essere sempre endo-societaria, avendo gli organi sociali responsabilità nella conduzione ed esecuzione della stessa.

Quanto al processo di composizione negoziale della crisi è già previsto dalla legge delega che il collegio, una volta nominato, convochi in via riservata e confidenziale il debitore e, in presenza di organi di controllo, anche questi ultimi. Sarà questo il momento in cui il collegio potrà percepire le criticità e più opportunamente richiedere al debitore la situazione economico patrimoniale e gli ulteriori flussi informativi. Sarebbe opportuno, in considerazione della brevità dei termini, che già in tale occasione venissero indicativamente definiti di concerto con il debitore i tempi per il rilascio del piano e l'individuazione delle intenzioni strategiche (le c.d. "Linee guida del piano") e delle relative azioni industriali e finanziarie.

La soluzione concordata della crisi, intendendosi per tale il raggiungimento dell'accordo del debitore con i creditori, deve, in base alla lett. b) dell'art. 4, avere luogo entro un congruo termine prorogabile solo a fronte di positivi riscontri delle trattative e comunque non superiore complessivamente a sei mesi. Si tratta di un termine che, anche nella sua espressione massima, è significativamente più breve rispetto a quello medio di durata della negoziazione degli accordi con i creditori. Sei mesi sono un obiettivo comunque estremamente sfidante, tenuto conto che i creditori per pervenire ad un accordo pretendono ragionevolmente di esaminare il piano e il contenuto dell'attestazione e tenuto altresì conto che i tempi di redazione del primo non sono mai inferiori a due-tre mesi ai quali occorre aggiungere il tempo occorrente per la redazione della seconda. È ben vero che i sei mesi collimano con il termine massimo per la presentazione del ricorso in caso di concordato prenotativo, ma è altresì vero che nel concordato manca la complessa fase della negoziazione con i creditori tanto più lunga quanto maggiore è il numero degli stessi e la cui durata l'esperienza ci insegna essere solo molto marginalmente mitigata dal ricorso alla coercizione di cui all'articolo 182-septies. Il timore di chi scrive è che sia facile profezia quella dell'eccessiva brevità del termine di sei mesi che spesso si dovrà constatare sul campo.

Non è chiaro poi che cosa succeda alla scadenza del termine qualora non sia stato raggiunto l'accordo con i creditori. L'organismo deve comunque attestare lo stato di insolvenza? La legge delega lascia intendere che lo stato di insolvenza debba essere oggetto di un'attestazione da parte dell'organismo solo se esso non individui (altre) misure idonee al superamento della crisi. Il legislatore delegato dovrebbe rafforzare questo iter logico; sarebbe, infatti, sufficiente che recuperasse il principio generale che differenzia lo stato di crisi dallo stato di insolvenza (art. 2 lett. c). Non è infatti detto che in caso di mancato raggiungimento dell'accordo il debitore versi in stato di insolvenza (potrebbe non avere scaduto di sorta) pur restando in presenza del rischio concreto di un'insolvenza prospettica.

Se, come pare, tale lettura è corretta, alla scadenza del termine, in assenza di accordo tra il debitore ed i creditori, il collegio, nel rispetto del principio della priorità delle proposte conservative rispetto a quelle liquidatorie (art. 2 lett. g), dovrebbe poter graduare l'atto conclusivo del proprio incarico in relazione allo stato dell'impresa:

  • in presenza solo di uno mero stato di crisi e non di insolvenza, esso non attesterà quest'ultimo e non dovrà dare alcuna notizia al pubblico ministero;
  • anche in presenza di uno stato di insolvenza, l'organismo, se individua (in ciò facilitato dalla presenza del piano in relazione al quale sono stati coltivati gli accordi con i creditori) quale misura di composizione della crisi il concordato conservativo, ne darà atto e si potrebbe prevedere che la segnalazione al pubblico ministero sia dovuta solo in caso di mancato deposito del relativo ricorso. Il che costituisce un doppio incentivo alla tempestività dell'azione: da una parte i creditori con i quali sono in essere le trattative saranno incentivati a concludere accordi entro il termine prefissato nell'ottica di evitare soluzioni concordatarie nelle quali rischierebbero di avere un ruolo passivo; dalla parte opposta sarà lo stesso debitore, nell'ipotesi in cui non si riesca a raggiungere l'accordo, ad avere interesse – per evitare la segnalazione al pubblico ministero – a proporre una soluzione concordataria presentando il relativo ricorso;
  • in presenza dello stato di insolvenza, qualora l'Organismo non individui alcuna misura di composizione della crisi, ne dovrà dare notizia al pubblico ministero.

Invero, il legislatore delegato avrebbe un'opportunità ulteriore per privilegiare soluzioni conservative della crisi rispetto a quelle liquidatorie, nel rispetto del principio generale in tal senso introdotto con la riforma. Potrebbe legittimare espressamente l'Organismo, in assenza del raggiungimento dell'accordo con i creditori e qualora ravvisi la percorribilità di una misura concordataria conservativa, alla presentazione del relativo ricorso. Si tratterebbe di un concordato prenotativo, ancorché sulla base di un piano del debitore che potrà essere corredato da un'articolata relazione predisposta dallo stesso organismo recante anche proposta concordataria, ancorché ancora provvisoria. È, infatti, improbabile che l'organismo disponga di tutte le informazioni e di tutti gli elementi occorrenti per il deposito del ricorso completo.

La declinazione dei compiti e delle facoltà dell'organismo è estremamente importante in quanto da essa dipende la sua capacità di incidere nel processo di risanamento dell'impresa e di imprimere una concreta accelerazione nell'adozione di misure idonee. In tale ottica, è richiesto dalla legge delega al legislatore delegato di indicare le condizioni di utilizzo degli atti istruttori della procedura di allerta nelle successive procedure giudiziali. Sarebbe al riguardo opportuno, per assicurare maggiore efficacia allo strumento, prevedere altresì che un atteggiamento reticente o refrattario del debitore di fronte alle richieste ed alle iniziative dell'organismo assuma un peso nella valutazione soggettiva che potrà avere luogo nella fase giudiziale, con riferimento all'opportunità di attivazione dei sistemi premiali previsti.

Le misure di protezione

La legge delega ha previsto alla lett. g) l'adozione di misure di protezione anche nelle procedure di composizione assistita della crisi; la loro attivazione è rimessa alla sezione specializzata del tribunale competente su istanza del debitore. Il legislatore delegato dovrà definirne, durata, effetti, regime di pubblicità, competenza ad emetterle e loro revocabilità in presenza di atti in frode.

A ben vedere, è altrove previsto nella legge delega che le misure di protezione possano essere attivate negli accordi di ristrutturazione omologati, oltre che nei concordati preventivi. Il fatto che la legge delega ne parli espressamente anche nel caso delle misure di allerta, induce a ritenere possibile una estensione del loro ambito di applicazione anche in presenza di accordi di moratoria o di mere negoziazioni con i creditori, indipendentemente dalla presenza di preaccordi, che potrebbero sfociare anche solo in piani attestati. La presenza di un organismo indipendente che riferisce al tribunale giustificherebbe tale estensione. Per rendere maggiormente efficace e tempestiva la sanzione della revocabilità della protezione in caso di atti in frode ai creditori, si potrebbe inoltre introdurre un obbligo a carico del collegio degli esperti di dare tempestiva segnalazione al tribunale dell'intervenuta commissione degli atti in questione.

Potrà essere importante la previsione della consecuzione della procedura di allerta con quelle concordatarie o di liquidazione giudiziale successiva per evitare, tra l'altro, il consolidamento delle ipoteche giudiziali.

Ci si deve, infine, interrogare sulla portata del riferimento alla “attuazione delle misure idonee a superare la crisi” contenuta nella parte terminale della lett. g), per il cui mancato “significativo progresso” il collegio degli esperti è chiamato ad informare il tribunale in relazione alle misure protettive concesse. Che cosa si deve intendere per “attuazione”? Non pare che, nel caso in questione, il significato di tale locuzione si possa spingere sino alla fase più squisitamente attuativa che è quella di "esecuzione" delle misure di composizione della crisi. Il riferimento normativo dovrebbe invece ritenersi limitato alla fase di studio, predisposizione, proposizione e negoziazione, nel caso di accordi, e di studio, predisposizione e proposizione in caso di soluzioni concordatarie e ciò in quanto le misure protettive in questione (e il ruolo dell'organismo) cessano con l'omologazione dell'accordo e vengono sostitute da quelle proprie dello strumento giudiziale impiegato nel caso di soluzioni concordatarie o di liquidazioni giudiziali. Una precisazione in tal senso nei provvedimenti normativi delegati potrebbe peraltro essere opportuna.

Gli indizi dello stato di crisi. Il ricorso a indici e parametri specifici

La legge delega precisa che il requisito della tempestività ricorre esclusivamente quando il debitore abbia proposto una delle predette istanze, entro il termine di sei mesi dal manifestarsi di determinati indici di natura finanziaria, spingendosi a disporre che questi ultimi debbano essere individuati dal legislatore delegato considerando, in particolare, il rapporto tra mezzi propri e mezzi di terzi, l'indice di rotazione dei crediti (non ha invece sorprendentemente indicato, come sarebbe parso più ragionevole, l'indice di rotazione dei debiti), l'indice di rotazione del magazzino e l'indice di liquidità.

Tali parametri si vorrebbe fossero indicatori di uno stato di crisi che si ricorda l'art. 2 definisce come “probabilità di futura insolvenza anche tenendo conto delle elaborazioni della scienza aziendalistica”. In presenza di indicatori incontrovertibili con livelli soglia o limite realmente segnalatori di uno stato di crisi, il ricorso ad essi per le finalità previste dalla legge delega sarebbe di grande efficacia. Purtroppo così non è. A nessuno dei cennati quattro parametri la scienza aziendalistica ha mai attribuito la capacità di segnalare in modo incontrovertibile o anche solo probabile una situazione di insolvenza prospettica.

Il rischio di “falsi positivi” è dunque concreto e dovrebbe indurre il legislatore delegato ad un'estrema attenzione nell'individuazione degli indici in questione e delle relative soglie/livelli di rilevanza, anche per evitare di vincolare la conduzione gestionale delle imprese al rispetto di astratti parametri finanziari che, se non incidono sulla solidità dell'impresa, possono pregiudicarne la capacità di stare sul mercato e competere, con il rischio che venga prestata maggiore attenzione al rispetto di specifici parametri piuttosto che all'efficienza ed all'efficacia della gestione nel suo complesso.

In appresso si fornisce una spiegazione del perché essi appaiono singolarmente inadeguati allo scopo.

Gli indici di rotazione del magazzino e dei crediti sono innanzitutto indicatori particolari che contrappongono una grandezza di flusso (le vendite) con una di stock (rispettivamente il magazzino ed i crediti). Il che ne impedisce l'utilizzo e la comparazione con misurazione intra-periodali. Per avere un valore indicativo occorrerebbe riferirsi a grandezze relative all'intero esercizio, il che appare difficilmente conciliabile con la tempestività voluta dal legislatore, che premia un'attivazione entro sei mesi dall'evento. Ma diversa è la questione. Essi non hanno coefficienti di normalità che possano essere desunti agevolmente dal mercato. Basti pensare quanto sia diverso l'indice di rotazione del magazzino per un ingrosso di frutta e verdura rispetto a quello di un ingrosso di ferramenta, e quanto esso cambi in relazione alle strategie adottate: se il nostro commerciante di frutta e verdura decidesse di cogliere l'opportunità di importare un carico di frutta secca si esporrebbe al rischio di alterare significativamente l'indicatore di rotazione in questione. Entrambi poi dipendono da grandezze esogene e in particolare dalla domanda e dalle difficoltà finanziarie del mercato. Con l'avvento della grande crisi, tutti gli operatori, nessuno escluso, dalle banche alla grande distribuzione, agli operatori della telefonia, hanno avuto una dilatazione dei tempi di incasso dei crediti (e un rallentamento della rotazione del magazzino). Sulla base dei parametri in questione, tutti gli operatori avrebbero presentato indizi finanziari di uno stato di crisi, anche senza che questo sussistesse.

Quanto al rapporto tra mezzi propri e mezzi di terzi (meglio noto con l'acronimo di D/E), esso è un tentativo per intercettare la sostenibilità prospettica del debito, che è l'unico incontrovertibile vero indizio della “probabilità di futura insolvenza”. Si tratta però di un tentativo molto maldestro, perché il rapporto tra mezzi propri e mezzi di terzi, ex se, non dice nulla: attiene infatti alla struttura finanziaria dell'impresa. Una struttura finanziaria non equilibrata espone l'impresa ad un rischio finanziario maggiore, ma non è necessariamente indizio di crisi. Basta un esempio per comprenderlo: lo stesso rapporto può essere proprio di un'impresa redditizia che produce flussi liberi al servizio del debito in grado di sostenere quest'ultimo agevolmente, in quanto essi ne consentono il rientro in un numero contenuto di anni, ma anche un' impresa in perdita strutturale che viceversa brucia in continuo cassa e non è in grado di ripagare nemmeno in parte il proprio debito.

Chi scrive ha volutamente lasciato per ultimo l'indice di liquidità, in quanto è quello maggiormente in grado di segnalare il grado di solvibilità nel breve termine attraverso il confronto tra le attività a breve con le passività a breve. Non è peraltro possibile trarre da tale indice valori generalizzati di normalità in quanto esso non è in grado di contrapporre la reale durata (rotazione) degli attivi contrapponendola con quella reale dei passivi (rotazione).

Il legislatore delegato potrebbe invero ricorrere alla costruzione di un indicatore complesso che combini la rotazione delle attività a breve (crediti e magazzino) con quella delle passività a breve (peraltro non menzionati tra i parametri critici) oltre che con il rapporto D/E. Vi è qualche cosa di familiare e già noto: lo Z-score di Altman, che consiste in una formula per esprimere le probabilità di fallimento delle imprese. Si tratta però di formula assai complessa (tra l'altro declinata nella costruzione in forme diverse per quanto tra loro affini); inoltre i dati che la alimentano hanno due anni di anzianità e pertanto sono fondamentalmente retrospettici. In ogni caso, si tratta di una grandezza di sintesi i cui livelli di normalità e di attenzione sono il frutto di medie astratte che non tengono conto delle peculiarità della realtà specifica; livelli privi pertanto dei requisiti di incontrovertibilità che uno strumento di allerta, per essere veramente tale, dovrebbe avere; al più sono solo in grado di esprimere la presenza di un rischio. La possibilità di “falsi positivi” non è affatto esclusa, come non è esclusa quella di una sopravvalutazione dello stato di salute dell'impresa.

Il legislatore delegato potrebbe allora portare in conto ulteriori indicatori sulla base dell'esperienza maturata da parte di creditori qualificati quali quelli utilizzati dalle banche per il monitoraggio della salute finanziaria dei propri debitori. Ebbene, il momento focale del monitoraggio da parte delle banche è costituito dai covenants, parametri finanziari pre-individuati che vengono convenuti al momento della concessione del credito per assicurare la tempestiva rilevazione di derive nella conduzione aziendale. Sono grandezze singole o più frequentemente parametri, costituiti dal rapporto tra due grandezze, che costituiscono un limite oltre il quale si ritiene convenzionalmente compromesso il raggiungimento dell'equilibrio finanziario con decadenza dal beneficio del termine. Ci si riferisce spesso al rapporto tra la Posizione Finanziaria Netta e l'EBITDA, che consente il confronto in via sintetica tra il debito finanziario e una grandezza che è espressione (pur se molto grossolana) dei flussi annuali al servizio dello stesso; lo scopo è quello di dare una prima grossolana indicazione di quanti anni potrebbero occorrere perché il debito possa essere rimborsato. A questo punto pare opportuna un'osservazione. Anche se ci si riferisce quasi sempre al rapporto tra la Posizione Finanziaria Netta (PFN) e l'EBITDA, sarebbe più coerente con le finalità del monitoraggio ricorrere al rapporto tra indebitamento finanziario e NOPAT. Il NOPAT è la grandezza economica più prossima al Free Cash Flow from Operation (FCFO) che consente di meglio misurare i flussi liberi al servizio del debito (per capitale ed interessi). Si ricorda, infatti, che il FCFO è costituito dal margine operativo lordo dedotte le imposte pagate e gli investimenti realizzati, ulteriormente inciso dal fabbisogno finanziario derivante dalla variazione di Capitale Circolante Netto. Rispetto al FCFO, il NOPAT non tiene conto di quest'ultima posta ed assume gli investimenti, anziché in misura pari all'ammontare effettivamente sostenuto nell'esercizio, nell'ammontare degli ammortamenti maturati. È sulla base di tale assunto che di solito non si tiene convenzionalmente conto dell'ammortamento dell'avviamento (e dei beni immateriali che hanno natura analoga). Infatti, l'avviamento costituisce un investimento iniziale una tantum cui non fanno seguito ulteriori investimenti di mantenimento capitalizzabili e, per tale motivo, il suo ammortamento non è indicativo di una misura standard di investimento.

Stimare gli investimenti nella misura degli ammortamenti, anziché in quella puntuale sostenuta nell'anno, presenta il vantaggio di assumere una grandezza che risente della media degli investimenti effettuati nei precedenti esercizi e, pertanto, meno volatile.

Inoltre, per la sua struttura, il NOPAT rispetto al FCFO evita di incorrere nel rischio di generare falsi segnali derivanti dalle variazioni di Capitale Circolante Netto. Il momento di debolezza del FCFO è, infatti, costituito dal fatto che porta in conto sia grandezze di flusso (quelle economiche), sia la variazione di grandezze di stock (quella del Capitale Circolante Netto), il cui ammontare dipende grandemente dal mese solare di riferimento. Ne consegue che il NOPAT permette anche rilevazioni infra-periodali rendendone più tempestivo il monitoraggio.

In ogni caso, anche ricorrendo al NOPAT, resta una pur contenuta possibilità di falsi positivi, o, comunque, la criticità del riferimento ad un dato storico, ancorché cristallizzato in un bilancio periodale, per una realtà dinamica ed in evoluzione quale è l'impresa. Da qui l'importanza del già rappresentato ruolo dell'Organismo che meriterebbe un rafforzamento da parte del legislatore delegato, e precisamente nella fase relativa alla valutazione, al momento di apertura della procedura di allerta, della sussistenza di uno stato di crisi sulla base della situazione economica, patrimoniale e finanziaria concreta dell'impresa, prescindendo da specifici indicatori.

Per le realtà che redigono con continuità piani pluriennali e adottano regole rigorose di impairment test per la valutazione degli attivi, l'organismo potrebbe limitarsi a constatare, per le ragioni già espresse, la presenza di un equity positivo, integrandolo eventualmente con una valutazione della adeguatezza dell'assetto organizzativo relativo al controllo di gestione ed alla pianificazione.

In ogni caso, è bene che il legislatore delegato preveda espressamente che, qualora l'organismo, a valle dell'esame condotto, non ravvisi la presenza dello stato di crisi, sia chiamato a darne atto e a chiudere con immediatezza la procedura.

Accanto alla proposizione di indicatori di autovalutazione endogena, la legge delega ha anche previsto momenti di sollecitazione esogena introducendo un onere a carico dei creditori pubblici qualificati, a pena di inefficacia dei privilegi che assistono i relativi crediti, di segnalare con immediatezza agli organi di controllo della società e anche all'organismo di composizione assistita della crisi il perdurare di scaduti per importi rilevanti. La rilevanza è un elemento fondamentale per l'efficace funzionamento dello strumento. Tant'è che il legislatore, nel prevedere che debbano essere individuati i criteri per misurarla, si preoccupa di sottolinearne la natura relativa e non assoluta.

Di fatto, appare di stimolo all'adozione di misure di composizione della crisi da parte dello stesso debitore, la previsione di una comunicazione preventiva allo stesso avente ad oggetto il superamento della soglia della rilevanza. Tutto ciò con un anticipo di tre mesi rispetto alla segnalazione che il creditore pubblico qualificato deve dare all'organismo di composizione della crisi, consentendo così al debitore di attivare egli stesso il procedimento di composizione assistita ovvero di estinguere il debito o di raggiungere un accordo con il creditore pubblico qualificato o infine di decidere di richiedere l'ammissione diretta ad una procedura concorsuale. Tutto ciò è rafforzato dalla previsione, contenuta alla lett. i), una volta ricevuta la comunicazione dell'organismo del suo coinvolgimento da parte del debitore (o dei suoi organi di controllo), che il creditore qualificato sospenda la segnalazione.

Le misure premiali e il profilo delle responsabilità

Il legislatore delegato dovrà, come già più volte accennato, introdurre misure premiali in favore dell'imprenditore che abbia agito con tempestività. Come già detto, per la valutazione della tempestività rileveranno i citati indici parametrici della crisi che non dovranno risalire a più di sei mesi. Il che appare coerente con l'impianto dell'istituto. Desta invece perplessità il fatto che per potere fruire dei benefici in questione occorra alternativamente:

a) avere proposto istanza di attivazione dell'organismo di composizione della crisi entro sei mesi dallo sforamento dell'indice;

b) oppure, entro lo stesso termine, avere chiesto l'omologazione di un accordo di ristrutturazione o proposto un concordato preventivo o presentato ricorso per la liquidazione giudiziale.

Ebbene il termine di sei mesi può essere certamente rispettato in caso di proposizione di ricorso per la liquidazione giudiziale. Tale termine può essere anche rispettato in caso di presentazione di ricorso di concordato preventivo ma, in questo caso, solo a condizione che il legislatore delegato precisi che vale allo scopo anche la presentazione di un concordato con riserva. Non potrà invece mai essere rispettato nel caso in cui l'imprenditore decida di attivare autonomamente le misure di composizione consensuale della crisi in quanto per rilevare lo sforamento dell'indice occorre un tempo minimo di qualche mese, che è quello necessario per la redazione di una situazione economico patrimoniale di riferimento. Nei pochi mesi che mancano sino allo spirare del termine l'imprenditore, per fruire della misura premiale, dovrebbe: 1) attivare il tavolo bancario; 2) redigere il piano; 3) concludere le negoziazioni con i creditori; 4) ottenere l'attestazione occorrente; 5) conseguire le deliberazioni da parte degli organi deliberanti delle banche coinvolte; 6) sottoscrivere l'accordo. Ciò è del tutto inverosimile. In pratica, la misura dell'accordo di ristrutturazione sarebbe di fatto uno strumento che preclude l'applicazione del sistema premiale ed il debitore dovrebbe sempre ricorrere alle procedure di composizione assistita della crisi; si tratta di una considerazione tanto più grave quando si pensi che vi sono soggetti per i quali le misure di allerta sono precluse per legge (le società quotata, quelle di grandi dimensioni e le ulteriori che dovessero essere previste dal legislatore delegato). Ad essi, salvo che ricorrano al concordato preventivo, sarebbero preclusi i sistemi premiali, anche se agiscono con tempestività. Chi scrive non crede che fosse questa l'intenzione del legislatore. È auspicabile che il legislatore delegato ponga rimedio all'inconveniente, equiparando alla richiesta di omologazione l'attivazione di un preaccordo. Allo stato, forse questa è l'unica possibilità per evitare di scrivere una norma inefficace.

Resta comunque, incomprensibilmente, il fatto che i piani attestati, pur annoverati tra gli strumenti di composizione della crisi, se non transitano dagli organismi di composizione subiscono un trattamento di sfavore, non essendo toccati dalle misure premiali.

Vi è da svolgere anche qualche considerazione con riferimento ai contenuti economico-patrimoniali delle misure premiali. Per la loro individuazione occorreranno stimoli da parte degli addetti ai lavori, in quanto l'unico previsto nel disegno di legge (quello della riduzione di interessi e delle sanzioni fiscali) non dovrebbe mai presentarsi nel caso di una crisi intercettata con tempestività, come l'esperienza nei casi più virtuosi insegna. Se l'attivazione della misura è veramente tempestiva, il soggetto non dovrebbe, infatti, presentare alcuno scaduto a titolo di imposte e di contributi previdenziali.

Quanto, infine, al profilo delle responsabilità degli organi di controllo, è invece da apprezzare la previsione di determinare i criteri di responsabilità del collegio sindacale, di modo che venga disgiunta la responsabilità dello stesso rispetto a quella dell'organo amministrativo nel caso in cui, rilevata la presenza degli indizi di crisi, i sindaci ne abbiano data segnalazione all'organo amministrativo stesso e, in caso di inerzia di quest'ultimo, all'organismo di composizione della crisi. L'apprezzamento non è però esente da timori: quanto spesso il collegio sindacale preferirà evitare qualsiasi vaglio critico della situazione di fatto e quante volte, pur in assenza di un'apparente situazione di sostenibilità prognostica del debito, darà corso alle segnalazioni per il solo sforamento di taluni indici, per quanto limitatamente indicativi?

Conclusioni

Le misure di allerta dovrebbero servire a scuotere l'imprenditore, nel tentativo di ricondurlo alla realtà. Da esse egli deve poter trarre un insegnamento: che se vuole portare avanti l'impresa, deve condurla utilizzando un piano d'impresa, l'unico efficace strumento per intercettare con tempestività gli ostacoli alla continuità. Se non dimostrerà di saperlo fare, il timone passerà in mano ad altri. In questi termini lo strumento potrà aiutare anche a fare evolvere la cultura d'impresa su un piano di maggiore consapevolezza.

Vi è però un altro messaggio che non è meno importante e che non è rivolto solo all'imprenditore ma anche ai suoi creditori: se la realtà presenta concrete prospettive di risanamento non è sufficiente che vengano aperte con tempestività le trattative per la composizione della crisi, ma occorre che anche i suoi creditori ne consentano una conclusione parimenti tempestiva; in difetto, il tavolo di confronto passerà, pur nella tutela della continuità, da quello dialettico e flessibile degli accordi a quello più rigido e preordinato delle procedure concorsuali.

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