Domanda modificata in sede di precisazione conclusioni: il giudice si pronuncia solo sulla domanda originaria?

03 Novembre 2017

La Suprema Corte è stata chiamata a decidere se il giudice del merito, una volta che abbia ritenuto inammissibile la domanda risarcitoria fondata su ragioni prospettate solo in comparsa conclusionale, e dunque dopo il maturare delle preclusioni assertive, possa limitarsi a tale rilievo o debba invece pronunciarsi sulla originaria domanda di risarcimento fondata su un diverso titolo di responsabilità.
Massima

Quando il mutamento delle ragioni poste a base della domanda si risolve in una mutatio libelli, l'abbandono della precedente pretesa da parte del difensore costituisce una vera e propria rinuncia, invalida per difetto di poteri dispositivi in capo al difensore medesimo, sicché il giudice deve pronunciarsi in ordine alla domanda originaria contenuta nell'atto introduttivo, come se le successive conclusioni non fossero state precisate.

Il caso

Il Tribunale di Firenze, dinanzi al quale era stata proposta azione di riduzione del prezzo di acquisto di un immobile e di risarcimento del danno, condannava il convenuto al solo risarcimento dopo che gli attori, in sede di precisazione delle conclusioni, avevano rinunciato alla prima domanda.

La Corte di appello, riqualificata la domanda originaria come diretta a conseguire, oltre alla riduzione del prezzo, il risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 1494 c.c., dichiarava inammissibile la domanda risarcitoria ex art. 1669 c.c. proposta per la prima volta con la comparsa conclusionale, ritenendo che tale modifica avesse dato luogo ad una vera e propria mutatio libelli, ma non si pronunciava sulla diversa domanda contenuta nell'atto introduttivo.

La questione

La questione di maggiore interesse alla quale la Cassazione è chiamata a dare risposta è se il giudice del merito, una volta che abbia ritenuto inammissibile la domanda risarcitoria fondata su ragioni prospettate solo in comparsa conclusionale, e dunque dopo il maturare delle preclusioni assertive, possa limitarsi a tale rilievo o debba invece pronunciarsi sulla originaria domanda di risarcimento fondata su un diverso titolo di responsabilità.

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione dà al quesito risposta affermativa e, per l'effetto, cassa la sentenza impugnata che, avendo ritenuto tardiva la domanda risarcitoria ex art. 1669 c.c. avanzata solo con la comparsa conclusionale, aveva omesso di pronunciare sull'originaria domanda di risarcimento formulata ai sensi dell'art. 1494 c.c..

Il ragionamento della Corte riposa sul principio per cui, quando il mutamento delle ragioni poste a base della domanda dà luogo ad una mutatio libelli, l'abbandono della precedente pretesa da parte del difensore si risolve in una rinuncia alla stessa, rinuncia che il difensore non è legittimato a compiere ove gli faccia difetto il potere di disporre della situazione giuridica dedotta in giudizio: in tal caso, l'invalidità della rinuncia impone al giudice di statuire sulla domanda originaria contenuta nell'atto introduttivo, senza tenere conto di quella successivamente – e inammissibilmente – avanzata.

Osservazioni

La decisione che si annota si pone nel solco di una risalente giurisprudenza, espressamente richiamata in motivazione, che per la prima volta aveva interpretato l'art. 189 c.p.c. in chiave di legittimazione del difensore a compiere atti di disposizione del diritto della parte assistita, sul presupposto che la rinuncia ad una domanda, in alcuni casi, può produrre effetti analoghi alla rinuncia al diritto. Di qui l'affermazione che tale facoltà, che sempre compete al difensore munito di procura speciale (e che in base ad essa può compiere qualunque atto di disposizione del diritto in contesa), spetta al difensore che ne è privo soltanto laddove egli sostituisca una domanda con altra ad essa alternativa, non configurando un simile mutamento un atto di disposizione del diritto ma un momento di manifestazione dei normali poteri che al difensore competono nell'ottica della migliore gestione della controversia e della scelta delle opzioni difensive più funzionali alla tutela delle ragioni del proprio assistito. La prospettazione alternativa di più tesi giuridiche, tutte finalizzate a conseguire lo stesso risultato pratico, non priva infatti il difensore della facoltà di abbandonarne alcune nel corso del giudizio e di concentrare la propria attività sulle rimanenti.

Secondo un orientamento interpretativo piuttosto consolidato, la rinuncia alla domanda, qualora si atteggi come espressione della facoltà della parte di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate, rientra fra i poteri del difensore, che in tal modo esercita la discrezionalità tecnica che gli compete nell'impostazione della lite e che lo abilita a scegliere, in relazione anche agli sviluppi della causa, la condotta processuale da lui ritenuta più rispondente agli interessi del proprio rappresentato.

Tale forma di rinuncia si differenzia quindi sia dalla rinunzia agli atti del giudizio, che può essere fatta solo dalla parte personalmente o da un suo procuratore speciale nelle forme rigorose previste dall'art. 306 c.p.c., e non produce effetto senza l'accettazione della controparte, sia dalla disposizione negoziale del diritto in contesa, che a sua volta costituisce esercizio di un potere sostanziale, spettante come tale alla parte personalmente o al suo procuratore munito di mandato speciale, giacché diretto a determinare la perdita o la riduzione del diritto stesso.

Con orientamento altrettanto costante la Cassazione ha però ammesso che, malgrado la natura semplicemente illustrativa della comparsa conclusionale, per mezzo di essa sia possibile rinunciare a qualche capo di domanda, con correlativa restrizione del thema decidendum: e infatti, se è certamente da escludere una estensione del thema decidendum dopo la precisazione delle conclusioni, attraverso domande ed eccezioni nuove che non potrebbero essere confutate dalla controparte, non può al contrario ritenersi vietata una sua restrizione, mediante rinuncia a qualche capo di domanda o a qualche eccezione.

Vi sono tuttavia dei casi in cui dietro alla apparente rinuncia ad una parte dell'originaria domanda si cela una vera e propria rinuncia all'azione proposta e, quindi, all'intera pretesa azionata contro uno dei convenuti; in simili ipotesi, l'incidenza di quell'atto sulla situazione giuridica sostanziale sottesa o comunque dedotta nel processo richiede in chi la compie il potere di disporre della situazione stessa e, dunque, nel caso in cui la rinuncia provenga dal difensore, un mandato speciale, conferito dalla parte, che lo abiliti a tanto.

Volendo sintetizzare il discorso finora svolto, può dunque affermarsi che atti come la rinuncia ad una eccezione o il mutamento della domanda originaria rientrano nel potere scaturente dal mandato alle liti, e sono quindi consentiti al difensore, solo se siano riconducibili alla mera scelta del mezzo tecnico più idoneo alla tutela degli interessi del cliente, mentre qualora incidano sostanzialmente sul diritto controverso, determinandone la perdita o la riduzione, si versa nell'ipotesi di atti dispositivi, per i quali non è più sufficiente il mandato alle liti ma occorre un mandato speciale.

La rinuncia all'azione, o alla situazione sostanziale sottostante, preclude infatti ogni ulteriore tutela giurisdizionale e, ove venga meno la ragion d'essere del giudizio per cause di natura oggettiva o soggettiva, conduce alla declaratoria di cessazione della materia del contendere. Ciò in quanto essa investe direttamente il diritto sostanziale fatto valere in giudizio, o quantomeno il correlato diritto d'azione, quale diritto a ottenere un provvedimento di merito su quella data situazione sostanziale, con la conseguenza che: a) la sua incidenza sul processo pendente – a differenza della rinuncia agli atti del giudizio, la cui operatività è circoscritta entro la sfera del rapporto giuridico pendente – è soltanto mediata, in virtù della sentenza definitiva che ad essa rinuncia all'azione viene a ricollegarsi; b) detta sentenza, implicando l'accertamento della perdita in capo all'attore del diritto azionato o della possibilità d'invocarne la tutela giurisdizionale, non può che esplicare, al pari di una comune pronuncia di rigetto nel merito, effetti definitivamente preclusivi della proponibilità di una nuova domanda sullo stesso oggetto.

Occorre poi ricordare che l'ipotesi di abbandono della domanda, intesa come rinuncia ad una pretesa fatta valere in giudizio, oltre al potere di disposizione del diritto da parte del dichiarante presuppone una inequivoca manifestazione di volontà: anche sotto il profilo formale, pertanto, essa si distingue dall'ipotesi analoga di abbandono di un profilo giuridico della pretesa giudiziale e dalla rinuncia agli atti del giudizio, trattandosi di istituti aventi finalità e modalità di espressione diverse.

Per quanto riguarda il problema della legittimazione del difensore all'esercizio di quelle facoltà abdicative, bisogna riconoscere che solo nel caso di richieste alternative dirette a conseguire un determinato risultato, è consentito al procuratore alle liti disporre della migliore difesa del suo rappresentato, con l'abbandonare una tesi giuridica per farne valere un'altra; quando, invece, il mutamento delle ragioni poste a base della domanda sfocia in una inammissibile mutatio libelli, la diserzione dell'iniziale pretesa comporta una vera e propria rinuncia alla stessa, invalida – al pari della rinuncia agli atti del giudizio – per difetto di poteri dispositivi in capo al difensore.

Se dunque il difensore non ha facoltà di rinunciare alla domanda quando la stessa si risolve in una rinuncia alla pretesa dedotta in giudizio, una dichiarazione esplicita o implicita in tal senso deve considerarsi tamquam non esset. In questo caso, il giudice del merito non potrà però limitarsi a rilevare tale aspetto ma dovrà considerare operante l'originaria domanda contenuta nell'atto introduttivo del giudizio, come se quella successiva non fosse stata avanzata.

Questa, in sostanza, la posizione finora espressa dalla giurisprudenza, rispetto alla quale la decisione che si annota si pone in rapporto di sostanziale continuità.

Riferimenti
  • Barbara, nota a Cass. 21.6.1974, n. 1852, Il Foro Italiano, 1974, Parte 1, p. 3056;
  • Mandrioli, Diritto processuale civile, XXII ed. aggiornata a cura di Carratta, II, Torino, 2012;
  • Montanari, sub art. 306, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da Consolo, II, Milano, 2013.

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