Criteri di collegamento della giurisdizione nelle controversie europee in materia di scioglimento del matrimonio (reg. ce n. 2201/2003)

06 Novembre 2017

Sul modello delle Convenzioni di Bruxelles e di Lugano, il Reg. CE n. 2201/2003 in tema di giurisdizione, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale, detta norme uniformi sulla competenza giurisdizionale.

Inquadramento

IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE 

Sul modello delle Convenzioni di Bruxelles e di Lugano, il Reg. CE n. 2201/2003 in tema di giurisdizione, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale, detta norme uniformi sulla competenza giurisdizionale.

Il Regolamento utilizza l'espressione “competenza” per individuare una nozione che sembra piuttosto identificarsi, nel linguaggio giuridico italiano, con il termine giurisdizione, in quanto il legislatore comunitario si è posto di fronte allo spazio territoriale rappresentato dagli Stati membri dell'UE come di fronte ad uno spazio giudiziario unitario e, quindi, nella stessa prospettiva di un legislatore nazionale che ripartisce la competenza per territorio tra i vari giudici.

Il Regolamento non incide, per converso, sulla ripartizione della competenza territoriale e della competenza funzionale all'interno degli Stati membri.

Alternatività dei criteri di collegamento della cd. giurisdizione-competenza

L'art. 3 Reg. n. 2201/2003 costituisce la norma generale in materia e prevede una serie di criteri di giurisdizione di carattere alternativo, e quindi senza alcun ordine gerarchico, fondati sulla residenza abituale di uno o di entrambi i coniugi ovvero sulla loro comune cittadinanza, criterio sostituito dal “domicile” per il Regno Unito e l'Irlanda.

La stessa Corte di Giustizia ha a riguardo evidenziato che il sistema di ripartizione delle competenze introdotto dal Regolamento in esame in materia di scioglimento del vincolo matrimoniale non mira ad escludere competenze giurisdizionali multiple essendo prevista espressamente la coesistenza di più giudici competenti, senza che sia stabilita tra loro alcuna gerarchia (CGUE, 16 luglio 2009, C-168/08).

I diversi fori previsti si basano quindi essenzialmente su due criteri di collegamento, costituiti dalla residenza abituale e dalla cittadinanza dei coniugi o, in presenza di condizioni aggiuntive, di uno di essi.

Inderogabilità della giurisdizione

Come precisato dall'art. 6, Reg. CE n. 2201/2003, i criteri di collegamento della giurisdizione fissati dagli artt. 3-5 hanno natura esclusiva e sono pertanto inderogabili: ne deriva che, ove ne ricorrano i presupposti applicativi, non possono essere utilizzati criteri di giurisdizione diversi. Infatti il legislatore comunitario, collocandosi dinanzi all'insieme dei territori degli Stati membri come di fronte ad uno spazio giudiziario integrato, ha conseguentemente disciplinato in modo esclusivo la ripartizione della giurisdizione, sostituendo l'attribuzione di giurisdizione operata dai singoli legislatori statali ai rispettivi giudici.

L'inderogabilità della giurisdizione è affermata in relazione al coniuge convenuto che abbia la cittadinanza ovvero la residenza abituale in uno Stato Membro, sicché il Regolamento in esame ed i titoli di giurisdizione posti dallo stesso operano anche in relazione a soggettivi che non abbiano la nazionalità di uno Stato dell'Unione Europea.

Questa impostazione è stata confermata dalla stessa Corte di Giustizia dell'Unione Europea la quale ha affermato che, ai sensi di una corretta interpretazione degli artt. 6 e 7 Reg. CE del Consiglio 27 novembre 2003, n. 2201 che abroga il Reg. CE n. 1347/2000, come emendato dal Reg. CE del Consiglio 2 dicembre 2004 n. 2116, rispetto ai Trattati con la Santa Sede, nel corso di una causa di divorzio, qualora un convenuto non abbia la residenza abituale in uno Stato membro e non sia cittadino di uno Stato membro, i giudici di uno Stato membro non possono, per decidere su tale domanda, fondare la loro competenza sul loro diritto nazionale, nell'ipotesi in cui i giudici di un altro Stato membro sono competenti ai sensi dell'art. 3 del detto Regolamento. Infatti, dal chiaro dettato dell'art. 7, n. 1, di tale regolamento risulta che solo qualora nessun giudice di uno Stato membro sia competente ai sensi degli artt. 3‑5 del medesimo regolamento la competenza è determinata, in ciascuno Stato membro, dal diritto nazionale. D'altra parte, ai sensi dell'art. 17 del regolamento, l'autorità giurisdizionale di uno Stato membro, investita di una controversia per la quale il medesimo regolamento non prevede la sua competenza, deve dichiarare d'ufficio la propria incompetenza qualora sia competente un'autorità giurisdizionale di un altro Stato membro in forza del regolamento stesso. Tale interpretazione non è rimessa in discussione dall'art. 6 del regolamento, dato che l'applicazione degli artt. 7, n. 1, e 17 dello stesso non dipende dalla qualità del convenuto, ma dalla sola questione se un giudice di uno Stato membro sia competente in forza degli artt. 3‑5 del regolamento, che è diretto ad istituire norme di conflitto uniformi in materia di divorzio per assicurare una libera circolazione delle persone quanto più ampia possibile. Di conseguenza, il regolamento si applica anche ai cittadini di Stati terzi che hanno vincoli sufficientemente forti con il territorio di uno degli Stati membri in conformità dei criteri di competenza previsti dal detto regolamento, criteri che si fondano sul principio che deve esistere un reale nesso di collegamento tra l'interessato e lo Stato membro che esercita la competenza (CGUE, sez. III, n. 68/2007).

I singoli criteri di collegamento. La residenza abituale

A differenza di previsto dalla Convenzione di Bruxelles del 1968 è la residenza abituale di entrambi i coniugi il criterio di collegamento sovrano della “competenza” e non il domicilio. Si è quindi optato per un criterio collocato su un piano più consistente rispetto alla residenza ma meno legato agli affari rispetto al domicilio. In effetti il domicilio non è di solito utilizzato quale criterio di collegamento della competenza nelle convenzioni internazionali in materia familiare, poiché vi sono diverse nozioni di domicilio e, comunque sia, la definizione dello stesso è connessa ad implicazioni soggettive che possono essere oggetto di interpretazioni divergenti.

Il ricorso preferenziale al criterio di collegamento della residenza abituale è stato inoltre autorevolmente inteso come espressione del declino di quello della nazionalità, l'emblema di una nuova cittadinanza fondata non più sul legame tra individuo e Stato, bensì tra individuo e luogo nel quale sono concentrati gli interessi dello stesso, in coerenza con un sistema che tende all'unificazione normativa tra gli Stati membri dell'Unione Europea e comporta necessariamente un concetti di nazionalità via via più stemperato.

La nozione di “residenza abituale” richiama quella propria della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori, nell'ambito dei lavori della quale venne intesa alla stregua di una situazione di mero fatto, come dimora oggettivamente non transitoria di un soggetto in un determinato luogo.

I due caratteri essenziali della residenza abituale sono pertanto costituiti dalla presenza fisica nel luogo e dalla non temporaneità di questa, con un ruolo incidentale dell'elemento soggettivo della volontà di rimanere in un certo luogo. Tale posizione appare confermata dall'art. 32 della Relazione Borrás, secondo cui tale nozione deve essere riferita al «luogo in cui l'interessato ha fissato, con voluto carattere di stabilità, il centro permanente o abituale dei propri interessi, fermo restando che … occorre tener conto di tutti gli elementi di fatto che contribuiscono alla sua costituzione».

La stessa Corte di Giustizia comunitaria ha affermato che la residenza abituale si identifica con il luogo in cui l'interessato ha fissato, con voluto carattere di stabilità, il centro permanente o abituale dei propri interessi (CGCE 15 settembre 1994, in Raccolta,1994, I, 4925).

Il problema fondamentale è individuare il periodo minimo di tempo necessario perché possa affermarsi che un soggetto risiede abitualmente in un determinato luogo, posto che in presenza di una permanenza risalente neppure è necessario indagare circa l'animus del soggetto nel risiedere in quel luogo. In ogni caso, il periodo di permanenza in un dato luogo deve essere apprezzabile, non occasionale, sebbene non necessariamente continuativo.

E' discusso, peraltro, se debba assumere rilevanza anche un elemento soggettivo, ossia la volontà della persona di risiedere in un determinato luogo.

Questa posizione è stata affermata nella giurisprudenza francese da Cass., 14 dicembre 2005, in Gazette du Palais, 2006, n. 55, 14 ss.

Non vi è inoltre concordia di opinioni in ordine alla connotazione giuridica degli elementi essenziali che costituiscono la residenza abituale.

Secondo una prima posizione, infatti, gli stessi dovrebbero essere accertati in concreto con un'indagine di fatto, mentre in accordo con un diverso orientamento la determinazione della nozione di residenza abituale porrebbe anche questioni giuridiche. Si è inoltre ritenuto che tale concetto sembrerebbe l'equivalente di quello italiano di domicilio, siccome definito dall'art. 43, comma 1, c.c..

Pronunciandosi sulla questione, la Suprema Corte ha chiarito che, ai fini della corretta individuazione della giurisdizione in un giudizio di separazione personale tra coniugi, cittadini di diversi stati membri dell'Unione europea, secondo i criteri stabiliti dall'art. 3 Reg. CE n. 2201/2003, per "residenza abituale" della parte ricorrente deve intendersi il luogo in cui l'interessato abbia fissato con carattere di stabilità il centro permanente ed abituale dei propri interessi e relazioni, sulla base di una valutazione sostanziale e non meramente formale ed anagrafica, essendo rilevante, sulla base del diritto comunitario, ai fini dell'identificazione della residenza effettiva, il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale ed eventualmente lavorativa alla data di proposizione della domanda (Cass. civ., Sez. Un., n. 3680/2010).

In primo luogo la residenza abituale viene in rilievo quale criterio di collegamento della competenza per radicare la stessa nello Stato membro di residenza comune di entrambi i coniugi, a prescindere dalla nazionalità degli stessi. Si è notato che non è richiesta una residenza abituale comune, né si fa un riferimento al domicilio o alla residenza coniugale, essendo piuttosto sufficiente che entrambi i coniugi risiedano nello stesso Stato, anche se in luoghi diversi, al momento della presentazione della domanda.

Rileva inoltre quale criterio di collegamento della competenza l'ultima residenza abituale dei coniugi, se uno di essi vive ancora nel medesimo Stato nel momento in cui è introdotta la causa. Si è osservato che il coniuge che vive nel luogo dell'ultima residenza abituale comune può essere, secondo questa disposizione, sia l'attore sia il convenuto: in questo caso il forum actoris appare giustificato dall'esistenza di un collegamento reale tra le Corti nazionali ed il matrimonio. Una tale previsione sembrerebbe inoltre assicurare al coniuge lasciato, nell'ipotesi di trasferimento dell'altro coniuge in un diverso Stato, la possibilità di iniziare per primo la causa incardinandola nel luogo della propria residenza abituale.

La Suprema Corte, nel ribadire che la giurisdizione sullo scioglimento del matrimonio celebrato in Italia tra cittadini italiani ivi residenti appartiene al giudice italiano in base agli artt. 3, comma 1, e 32 legge 31 maggio 1995, n. 218, nonché agli artt. 3 e 31, Reg. CE n. 2201/2003, ha precisato che la stessa non può essere derogata convenzionalmente, ex art. 4 l. n. 218/1995, in favore del giudice straniero, poiché la causa verte su diritti indisponibili, trattandosi di scegliere il regime giuridico da attribuire ad uno "status" (Cass. civ., sez. I, n. 5710/2014: nella specie, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di merito che non ha concesso il riconoscimento in Italia ad una sentenza di divorzio congiunto tra coniugi italiani pronunciata dall'autorità giudiziaria di Santo Domingo).

Analogamente a quanto previsto dall'art. 2 della Convenzione di Bruxelles del 1968, la domanda può, in alternativa, essere proposta nello Stato nel quale risiede abitualmente il coniuge convenuto.

In caso di domanda congiunta di separazione, di divorzio o di annullamento del matrimonio, la giurisdizione può fondarsi sulla residenza abituale anche di uno solo dei coniugi. Il che si giustifica in base al rilievo che in questa situazione non vi è l'esigenza di proteggere da eventuali abusi il coniuge residente in uno Stato diverso da quello del giudizio, dal momento che egli, consentendo alla proposizione della domanda congiunta, ha manifestato in modo inequivoco la propria volontà di radicare la causa nello Stato in cui risiede l'altro coniuge. La stessa regola è dettata in Italia dall'art. 4, comma 1, della legge sul divorzio.

La residenza abituale dei coniugi radica la giurisdizione del giudice dello Stato Membro adito, anche se i coniugi sono cittadini di uno Stato al di fuori dell'Unione Europea.

Questa impostazione appare confermata in sede applicativa. Si è invero osservato che, nel caso di domanda di divorzio proposta da coniugi che non sono cittadini italiani e che hanno contratto matrimonio nel paese d'origine (nella specie, in India) va affermata la giurisdizione del giudice italiano, in forza del Regolamento CE del Consiglio n. 2201/2003 del 27 novembre 2003 "relativo alla competenza, al riconoscimento ed all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale", che trova applicazione a prescindere dalla cittadinanza europea delle parti ed indipendentemente dalle norme sulla giurisdizione previste dal diritto nazionale. Nella fattispecie, la giurisdizione italiana (di carattere esclusivo, ai sensi dell'art. 6 Regolamento) va affermata a norma dell'art. 3 comma 1, lett. a), citato Reg CE n. 2201/2003, il quale fissa il criterio generale della residenza, ed in particolare, nella specifica ipotesi di domanda congiunta, il criterio della "residenza abituale di uno dei coniugi", che sussiste nel caso in esame poiché entrambe le parti risiedono nel territorio italiano (Trib. Belluno, 6 marzo 2009, in Giur. Merito, 2010, n. 3, 663, con nota di D'Auria).

Forum actoris

La causa può essere in alternativa instaurata nello Stato nel quale risiede abitualmente il coniuge attore esclusivamente in tre casi, i.e. qualora egli continui a risiedere nello Stato nel quale i coniugi hanno avuto la loro ultima residenza abituale, se l'attore vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda o, infine, quando vi ha risieduto almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino dello stesso Stato membro.

Questi ultimi due criteri sono stati criticati poiché mancherebbero di significative connessioni con i luoghi ove si è effettivamente svolta la vita matrimoniale ed in quanto, anche se rinforzati determinerebbero una significativa deroga al generale principio processuale secondo cui actor sequitur forum rei.

Il forum actoris è tuttavia riconosciuto senza alcuna limitazione in Italia dalla l. n. 218/1995stante il rinvio ai criteri di competenza per territorio. Si è pertanto affermato che, rispetto alle cause di divorzio, ciò ha l'effetto di attribuire valenza sul piano giurisdizionale all'art. 4 della legge sul divorzio che, nell'ipotesi di irreperibilità o di residenza all'estero del coniuge convenuto, attribuisce la competenza per territorio al Tribunale del luogo di ultima residenza o domicilio del ricorrente.

Con riferimento alle controversie in materia di nullità e di annullamento del matrimonio e di separazione personale ciò sembrerebbe avallato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui il rinvio ai criteri di competenza per territorio effettuato dalla l. n. 218/1995 opera non soltanto per le norme speciali che regolano la competenza per territorio in relazione a singole materie, ma anche per il foro generale previsto dagli artt. 18 e 19 c.p.c. e, pertanto, anche per il foro dell'attore di cui all'art. 18, comma 2, c.p.c. (Cass. n. 12056/1998).

L'attore può, in primo luogo, incardinare la causa nello Stato dove vive, se risiede abitualmente nello stesso da almeno un anno. In tale prospettiva, le Sezioni Unite hanno affermato che sussiste la giurisdizione italiana, ai sensi dell'art. 3 Reg. n. 2201/2003, in relazione alla domanda di separazione, quando l'attore abbia risieduto in Italia per almeno un anno immediatamente prima della separazione stessa (Cass., Sez. Un., n. 3680/2010).

In sede applicativa si è quindi ritenuto che sussiste la giurisdizione del giudice italiano, in relazione alla domanda di separazione personale promossa tra cittadini ucraini sposati in Ucraina, quando l'attore abbia la residenza abituale in Italia e vi abbia risieduto almeno un anno prima della proposizione della domanda (Trib. Belluno, 5 novembre 2010, in Foro it., 2011, n. 3, I, 013, con nota di De Marzo). In senso analogo, luogo in cui risiede abitualmente il coniuge convenuto: il Tribunale di prima istanza di Liegi, in una decisione del 24 novembre 2009, ha affermato la propria giurisdizione a pronunciare il divorzio tra due coniugi pakistani, a fronte della residenza del marito ricorrente in Belgio da oltre un anno, nonostante risultasse sconosciuta la residenza della moglie convenuta.

Se vi è concordia di opinioni in dottrina circa l'insussistenza, in questo caso, di un effettivo collegamento tra lo Stato e la controversia, si è anche rilevato che tale criterio potrebbe essere coerente con un sistema che, comunque sia, consente al coniuge rimasto nello Stato in cui risiedeva abitualmente durante il matrimonio di iniziare egli stesso la causa nel luogo in cui vive; invero, soltanto dopo un anno è permesso all'altro coniuge, cioè a quello che si è trasferito, di incardinare la causa nello Stato ove ha stabilito la propria nuova residenza abituale.

Il periodo di residenza abituale nello Stato necessario all'attore per poter ivi instaurare la controversia matrimoniale è ridotto a sei mesi se egli è cittadino del medesimo Stato (ovvero, nel caso di Regno Unito ed Irlanda, ha nel medesimo il proprio domicile).

Cittadinanza

La cittadinanza opera quale criterio autonomo di giurisdizione – e naturalmente nell'ipotesi in cui nessuno dei coniugi vi risieda - soltanto quando è comune ad entrambi i coniugi (cfr. Cass. fr. 25 feb. 2005, in Rev. Crit. DIP, 2005, n. 3, 515, con nota di PATAUT) ed a meno che non si accompagni ad una pregressa residenza di almeno sei mesi del coniuge attore sul territorio dello Stato nel quale è incardinata la causa.

Diversamente, l'art. 32 l. n. 218/1995 ammette la giurisdizione italiana anche quando uno soltanto dei coniugi ha la cittadinanza italiana.

Tuttavia la cittadinanza comune può fondare la giurisdizione di uno Stato membro anche se uno dei coniugi, o entrambi, possiedono, oltre a quella comune, una o più cittadinanze di un altro Stato.

Si è invece sostenuto che i titoli di giurisdizione basati sulla cittadinanza risultano in pratica inidonei ad operare sia per gli apolidi sia per soggetti in possesso di una cittadinanza non ragionevolmente significativa come i rifugiati, in quanto non sarebbe trasferibile in termini di giurisdizione l'art. 12, § primo, della Convenzione di Ginevra del 28 settembre 1954 relativa allo statuto degli apolidi, ratificata dall'Italia con la l. n. 306/1962, concernente il distinto problema dell'individuazione della legge destinata a regolare lo statuto personale di tali persone. Ai fini della determinazione della nozione di cittadinanza non è possibile, come per quella di residenza abituale, una qualificazione autonoma, in quanto il carattere giuridico-politico di tale vincolo, implica che soltanto lo Stato possa decidere se conferire o negare la propria cittadinanza.

Si è comunque sia evidenziato che, non avendo i coniugi la propria residenza nello Stato del quale sono entrambi cittadini e nel quale, per tale motivo, può essere iniziata la causa, il criterio di collegamento in questione non postula un legame effettivo tra le parti, il matrimonio e la controversia e potrebbe essere quindi definito an exorbitant forum. In realtà si è al contempo osservato che la disposizione è frutto di un compromesso con alcuni Stati dal momento che, come detto a proposito della stessa Italia, la nazionalità costituisce un tradizionale criterio di collegamento nel diritto di famiglia.

Sotto altro profilo, la Corte di Giustizia ha chiarito che, qualora entrambi i coniugi possiedano la cittadinanza di due stessi Stati membri, l'art. 3 n. 1, lett. b), del Regolamento in materia di diritto di famiglia va applicato nel senso che i giudici di detti Stati sono entrambi competenti a giudicare della domanda di dissoluzione coniugale, con la duplice conseguenza, da un lato, che le parti dispongono di un margine di scelta del giudice dinanzi al quale radicare la controversia e, dall'altro, che, se più giudici sono aditi, la questione della competenza giurisdizionale è risolta in base alle norme sulla litispendenza (CGUE, sez. III, 16 luglio 2009, n. 168, in Giust. Civ., 2010, n. 2, 263).

L'ipotesi della pari giurisdizione-competenza in capo a tutte le autorità degli Stati di comune cittadinanza era già stata sostenuta in dottrina in virtù del principio della qualificazione lege fori del titolo di giurisdizione costituito dalla cittadinanza: in particolare, poiché ciascuno Stato gode di competenza esclusiva nell'accertamento della qualità di “cittadino” in capo agli interessati, più di uno Stato potrebbe di fatto ritenersi competente ai sensi del Regolamento e nessuno Stato membro avrebbe diritto di limitare gli effetti dell'attribuzione di cittadinanza effettuata da un altro membro dell'Unione.

Per altri la medesima soluzione doveva essere affermata per ragioni di certezza del diritto, le quali impediscono di ammettere un margine di discrezionalità in capo agli Stati membri in materia di giurisdizione, dovendo gli stessi limitarsi ad effettuare una verifica in ordine all'effettività della cittadinanza.

Sempre in dottrina, l'interpretazione avallata poi dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea era stata sostenuta avendo riguardo al valore preponderante da attribuire, in dette ipotesi, alla volontà delle parti e, quindi, alla possibilità di scegliere l'autorità giudiziaria da adire.

Giurisdizione sulla domanda riconvenzionale

La giurisdizione di uno Stato membro è suscettibile di ampliarsi, parallelamente a quanto avviene ex art. 6 n. 3 della Convenzione di Bruxelles, in presenza di una domanda riconvenzionale rientrante nell'ambito di applicazione del Regolamento.

Non è necessaria, in coerenza con quanto disposto dall'art. 19, un'identità dell'oggetto e del titolo, ossia una forma di connessione, perché vi sia la trattazione congiunta della domanda principale e di quella riconvenzionale. In dottrina, si è evidenziato che, pertanto, nulla esclude, che, almeno in via teorica, si possa introdurre una domanda riconvenzionale di divorzio in un procedimento di separazione.

Si è inoltre ritenuto che l'estensione della giurisdizione in esame valga anche, in deroga alla non incidenza del Regolamento sui criteri interni di ripartizione della competenza, quale norma di attribuzione diretta di competenza interna con riguardo alla competenza territoriale. Ciò significa che se sussiste la giurisdizione italiana ed in base al diritto processuale nazionale è competente per territorio un certo Tribunale, lo stesso sarà competente a conoscere anche di una domanda riconvenzionale che, ove proposta in via principale, doveva essere sottoposta ad un altro Tribunale.

Riferimenti
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  • Calo', L'influenza del diritto comunitario sul diritto di famiglia, Familia, 2005, 509;
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  • Mosconi, Giurisdizione e riconoscimento delle decisioni in materia matrimoniale secondo il regolamento comunitario 29 maggio 2000, RD PROC, 2001, 376;
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  • Tomasi, Doppia cittadinanza e giurisdizione in materia matrimoniale nel Reg. n. 2201/2003 (“Bruxelles II bis”), in Int'Lis, 2008, n. 1, 134;
  • Uccella, La prima pietra per la costruzione di un diritto europeo delle relazioni familiari: il regolamento n. 1347/2000 relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi, GC, 2001, II, 313.

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