L'interruzione del processo è automatica in caso di morte del difensore?

Selene Bologna
07 Novembre 2017

La Corte di Cassazione è tornata sulla questione dell'interruzione del processo: si verifica automaticamente oppure è necessaria la prova del concreto pregiudizio arrecato al diritto di difesa?
Massima

La morte dell'unico difensore, a mezzo del quale la parte è costituita in giudizio, determina l'automatica interruzione del processo anche se il giudice e le altre parti non ne abbiano avuto conoscenza, con conseguente nullità degli atti successivi, poiché presuppone il concreto pregiudizio arrecato al diritto di difesa.

Il caso

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza della Corte di Appello di Genova, affermando che i giudici di secondo grado avevano violato gli artt. 301, 372 c.p.c., in riferimento all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c..

In particolare, la Corte d'appello di Genova, in sede di gravame, aveva accolto la domanda formulata dalla società Allianz Torino s.p.a., riformando così la pronuncia del Tribunale di Savona n. 383/2009, che disponeva in favore della parte attrice il risarcimento dei danni lamentati in conseguenza di un sinistro stradale.

A seguito della pronunzia della Corte d'appello, la controparte ha proposto ricorso per cassazione, articolandolo in cinque motivi (i Giudici di legittimità hanno accolto il primo motivo e ritenuto assorbiti i restanti quattro).

Con il primo motivo il ricorrente ha denunziato in via principale la violazione degli artt. 301, 372 c.p.c. in riferimento all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c..

Ha lamentato, nello specifico, la nullità degli atti processuali e, quindi, anche della sentenza impugnata, perché emessa e pubblicata successivamente al decesso dell'unico difensore della parte, avvenuto durante la pendenza dei termini concessi per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ai sensi dell'art. 190 c.p.c..

Il ricorrente ha dedotto, inoltre, che la morte dell'unico difensore della parte costituita aveva determinato automaticamente l'interruzione del processo, anche se il giudice e le altre parti non ne avevano avuto conoscenza, con la conseguente preclusione di ogni attività processuale e nullità degli atti successivi e della sentenza pronunciata.

La questione

L'art. 301 c.p.c. dispone che il processo è interrotto dal giorno della morte, radiazione o sospensione del procuratore stesso, se la parte è costituita a mezzo del procuratore.

La norma, in tal caso, richiama l'applicabilità dell'art. 299 c.p.c..

Sulla questione se l'interruzione si verifichi automaticamente oppure se sia necessario la prova del concreto pregiudizio arrecato al diritto di difesa, si sono formati due orientamenti contrapposti.

Una tesi rimasta minoritaria afferma che gli articoli richiamati e il relativo regime di nullità sono applicabili non come conseguenza della sola morte del difensore durante la pendenza dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., ma solo nell'ipotesi in cui da tale evento siano derivati danni gravi alla controparti, valutabili economicamente.

In un caso di sospensione dell'unico difensore, con il quale la parte si era costituita nel giudizio di merito, la Corte di Cassazione ha affermato il principio (tra l'altro più volte applicato dalla giurisprudenza di legittimità nel giudicare la sussistenza o meno della violazione di norme processuali) secondo il quale «l'art. 360, comma 1 n. 4, c.p.c. nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l'interesse all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l'eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato error in procedendo». Ne consegue che «ove il ricorrente non indichi lo specifico e concreto pregiudizio subito, l'addotto error in procedendo non acquista rilievo idoneo a determinare l'annullamento della sentenza impugnata».

Diversamente, l'orientamento maggioritario, richiamato dalla sentenza in commento, afferma che l'art. 301 c.p.c. opera indipendentemente dalla circostanza che dall'evento morte del difensore unico derivi un danno valutabile in capo alla parte.

Ciò trova spiegazione nel fatto che la morte del difensore in pendenza dei termini sopra indicati comporta l'interruzione del processo in ragione di una presunzione astratta ed assoluta, operata già dal legislatore, di lesione del diritto di difesa, costituzionalmente garantito dall'art. 24 Cost..

Secondo i Giudici di legittimità, l'irrituale prosecuzione del processo, nonostante il verificarsi dell'evento interruttivo, può essere dedotta e provata in sede di legittimità, ai sensi dell'art. 372 c.p.c., mediante la produzione dei documenti all'uopo necessari, ma solo dalla parte colpita dal predetto evento a tutela della quale sono poste le norme che disciplinano l'interruzione, non potendo quest'ultima essere rilevata d'ufficio dal giudice, né eccepita dalla controparte come motivo di nullità della sentenza.

In sostanza, non è richiesta la prova della lesione subita dalla parte al proprio diritto di difesa, perché essa è oggetto di una presunzione assoluta.

Si tratta, quindi, di una disposizione volta a garantire la più ampia operatività possibile del diritto di difesa, in relazione ad eventi imprevedibili intervenuti in costanza di processo, quale l'improvvisa morte del difensore.

Le soluzioni giuridiche

I Giudici di legittimità, pertanto, richiamando l'orientamento maggioritario, hanno affermato che è nulla la sentenza emessa dal giudice prima della scadenza dei termini ex art. 190 c.p.c., risultando per ciò solo impedito ai difensori l'esercizio completo del diritto di difesa.

La Corte ha specificato che non è necessario verificare la sussistenza, in concreto, del pregiudizio che da tale inosservanza deriva alla parte, dal momento che trattandosi di termini perentori fissati dalla legge, la loro violazione è già stata valutata dal legislatore, in via astratta e definitiva, come automaticamente lesiva del diritto di difesa. Difatti - evidenziano i Giudici di legittimità - «l'illustrazione delle conclusioni che i difensori fanno nelle comparse e le osservazioni che possono contrapporvi nelle repliche rappresentano un complemento dell'esercizio del diritto di difesa nel contraddittorio tra le parti».

I giudici, condividendo quindi l'assunto difensivo, hanno evidenziato che l'automatica interruzione del processo si determina anche se il giudice e le altre parti non ne abbiano avuto conoscenza, con la conseguente nullità degli atti successivi e della sentenza di appello eventualmente pronunciata.

In ultimo la Corte ha precisato che, nonostante il verificarsi dell'evento interruttivo, può essere dedotta e provata in sede di legittimità l'irrituale prosecuzione del processo.

Osservazioni

L'orientamento maggioritario merita di essere condiviso perché, pur sottolineando l'importanza dei due principi che di qui a poco si citeranno, afferma nel contempo che questi due principi soffrono una giustificata eccezione nel caso di violazioni di termini perentori fissati dalla legge.

Il primo principio è quello della lesività in concreto delle nullità che trova la sua fonte di legittimazione nel principio della ragionevole durata del processo, sicché una nullità che non produce alcun danno in concreto non accresce la giustizia del processo, ma ne incide sulla sua ragionevole durata.

Il secondo principio è nel senso che le violazioni del diritto di difesa non devono essere ipotetiche e virtuali, ma effettive e concrete.

I Giudici di legittimità sottolineano che «nel momento in cui il legislatore fissa un termine perentorio ha già operato una valutazione legale tipica che un termine inferiore lederebbe il diritto di difesa, con la conclusione che seppure risponde alla logica del giusto processo e alla sua ragionevole durata ancorare – in linea di principio – la nullità alla lesione in concreto del diritto di difesa», tuttavia, «questo principio va derogato nel caso dei termini a difesa poiché in questi casi il legislatore – con valutazione legale tipica ancorata ai principi di razionalità e normalità (cioè il legislatore ritiene secondo l'id quod plerumque accidit che termini inferiori pregiudichino l'effettività della difesa) – ha stabilito in astratto e una volta per tutte che la violazione del termine produce la lesione del diritto di difesa».

In conclusione, in tutte le ipotesi dei termini a difesa il giudizio sul danno al diritto di difesa viene fatto dal legislatore e non dal giudice.

Non vi è, quindi, alcun bisogno che la lesione al diritto di difesa sia provata dalla parte che la eccepisce.

Riferimenti

P. F. Luiso, Diritto processuale civile, Giuffrè, 2015.

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