La compensatio lucri cum damno: la rilevanza della causa in concreto del contratto di assicurazione

Andrea Penta
09 Novembre 2017

L'Autore, nella convinzione che l'Istituto della "compensatio lucri cum damno" non possa essere elevato a principio giuridico autonomo del nostro ordinamento, quanto, piuttosto, debba essere considerato uno strumento di analisi del danno, che può concretarsi, a tutto concedere, in un criterio o in un mezzo di valutazione in via equitativa del danno stesso, cerca di offrire una chiave di lettura comune a tutte le questioni di tipo teleologico.
Inquadramento

Premesso che della questione - nella sua complessiva portata - erano già state investite le Sezioni Unite civili con ordinanza interlocutoria n. 4447 (Cass. civ., sez. III, ord. 2015 n. 4447), le quali, con sentenza n. 13372 (Cass. civ., Sez. Un., 30 giugno 2016 n. 13372), non ne hanno esaminato il fondamento, reputando che, nella causa ad Esse rimessa, la problematica «della compensatio lucri cum damno, pur di estremo interesse sul piano giuridico, si presenta(sse) in concreto quanto meno prematura» per ragioni intrinseche alla vicenda processuale colà rilevante, la III Sezione civile della Cassazione solleva nuovamente le seguenti questioni:

1) Se nella liquidazione del danno debba tenersi conto del vantaggio che la vittima abbia comunque ottenuto in conseguenza del fatto illecito, ad esempio percependo emolumenti versatigli da assicuratori privati, da assicuratori sociali, da enti di previdenza, ovvero anche da terzi, ma comunque in virtù di atti indipendenti dalla volontà del danneggiante (Cass. civ., ord. n. 15534/2017 e Cass. civ., ord. n. 15535/2017);

2) se la cd. "compensatio lucri cum damno" possa operare come regola generale del diritto civile ovvero in relazione soltanto a determinate fattispecie (Cass. civ., ord. n. 15534/2017 e Cass. civ., ord. n. 15535/2017);

3) se, in tema di risarcimento del danno, ai fini della liquidazione dei danni civili, il giudice debba limitarsi a sottrarre dalla consistenza del patrimonio della vittima anteriore al sinistro quella del suo patrimonio residuato al sinistro stesso, senza far ricorso prima alla liquidazione e poi alla cd. compensatio lucri cum damno (istituto o principio non individuabile nell'ordinamento giuridico);

3-bis) se, di conseguenza, quando l'evento causato dall'illecito costituisce il presupposto per l'attribuzione alla vittima, da parte di soggetti pubblici o privati, di benefici economici il cui risultato diretto o mediato sia attenuare il pregiudizio causato dall'illecito, di questi il giudice debba tenere conto nella stima del danno, escludendone l'esistenza per la parte ristorata dall'intervento del terzo;

4) se il risarcimento del danno patrimoniale patito dal coniuge di persona deceduta e consistito nella perdita del sostegno economico offertole dal defunto vada liquidato detraendo dal credito risarcitorio il valore capitalizzato della pensione di reversibilità erogata dall'ente di previdenza al superstite (Cass. civ., ord. n. 15536/2017);

5) se, in tema di risarcimento del danno, ai fini della liquidazione dei danni civili il giudice debba limitarsi a sottrarre dalla consistenza del patrimonio della vittima anteriore al sinistro quella del suo patrimonio residuato al sinistro stesso, senza far ricorso prima alla liquidazione e poi alla cd. compensatio lucri cum damno (istituto o principio non individuabile nell'ordinamento giuridico); e di conseguenza stabilire, quando l'evento causato dall'illecito costituisce il presupposto per l'attribuzione alla vittima, da parte di soggetti pubblici o privati, di benefici economici il cui risultato diretto o mediato sia attenuare il pregiudizio causato dall'illecito, se di essi il giudice debba tenere conto nella stima del danno, escludendone l'esistenza per la parte ristorata dall'intervento del terzo;

6) se il risarcimento del danno patrimoniale patito dalla vittima di lesioni personali, e consistente nelle spese da sostenere per l'assistenza personale ed infermieristica, vada liquidato detraendo dal credito risarcitorio il valore capitalizzato della indennità di accompagnamento di cui all'art. 1 l. 21 novembre 1988 n. 508, oppure di cui all'art. 5, comma 1, l. 12 giugno 1984 n. 222 (Cass. civ., ord. n. 15537/2017).

Infine una breve premessa. Secondo un'autorevole dottrina (BIANCA, Diritto civile, La responsabilità, Milano, rist. 2002, 114), al fine di decurtarla o, almeno, tenerla in considerazione nella quantificazione complessiva del danno, l'attribuzione del terzo (istituto assicurativo, istituto previdenziale, Ministero) potrebbe essere qualificata come beneficio incidente sull'evento lesivo «solo quando la prestazione del terzo sia formalmente giustificata in funzione di risarcimento del danno». Il vantaggio conseguito dal danneggiato dovrebbe, cioè, essere causalmente giustificato in funzione di rimozione dell'effetto dannoso dell'illecito.

In quest'ottica, ove fosse rintracciata una finalità, anche indiretta, di ristoro del danno, la somma del vantaggio andrebbe defalcata dalla liquidazione del danno, non già in applicazione del principio della compensatio, ma semplicemente perché il danno risulta in parte già risarcito.

Dovrebbe, pertanto, ammettersi il cumulo allorquando, ad esempio, la finalità dell'attribuzione fosse espressamente di natura solidaristica (si pensi all'indennità riconosciuta ai Comuni distrutti per il disastro del Vajont), a prescindere dalla sua fonte (illecito, contratto o legge).

Diventa, allora, utile, in una prospettiva innovativa, analizzare le varie fattispecie in presenza dei quali entra in gioco l'istituto della compensatio, al fine di verificare se sia prevalente lo scopo indennitario o quello solidaristico.

Le singole fattispecie: prevale la finalità indennitaria o quella solidaristica?

Per quanto concerne le cc.dd. “speciali elargizioni” riconosciute a favore di familiari di vittime cadute in servizio (poliziotti o carabinieri o militari dell'Arma) o vittime del terrorismo (si pensi, ad esempio, ai militari di leva), si assiste ad un contrasto tra chi riconosce alle stesse la natura indennitaria [ritenendo sussistere identità di titolo tra la conseguente “pensione privilegiata” (intesa come trattamento privilegiato di pensione per il dipendente civile o militare che presti la sua opera a favore della collettività, il quale, per infermità o lesioni derivate da fatti di servizio, abbia subìto menomazioni dell'integrità personale tali da renderlo inabile allo stesso) ed il danno liquidabile per il medesimo evento secondo le norme del codice civile], data la unicità sia del fatto antigiuridico da cui derivi il pregiudizio sia del bene giuridico protetto consistente nella integrità della persona, e chi ne identifica il carattere previdenziale (sostenendo che la "speciale elargizione" corrisposta per motivi di solidarietà trovi solo occasione, ma non dipendenza, genetica o causale, nel fatto illecito dannoso, che ha reso attuale una delle ipotesi previste dalla legge per l'erogazione di quell'indennizzo), siccome espressione di solidarietà nazionale.

Tuttavia, a partire da una pronuncia a Sezioni Unite del 1995 (Cass. civ., Sez. Un., 16 settembre 1995 n. 9779), la prevalente giurisprudenza, in ciò preceduta dalla Corte costituzionale, nell'affrontare la questione della natura giuridica della pensione privilegiata, ha ritenuto che la stessa abbia natura risarcitoria e non previdenziale. Sui rapporti tra pensione privilegiata e risarcimento del danno civile, la Suprema Corte (Cass. civ., 8 febbraio 1991 n. 1310) ha avuto modo di rilevare una identità di titolo. A ben vedere, in tal guisa ragionando, si è elevata la causa del lucro dal rango di "occasione" a quello di "causa".

Con riferimento alla pensione di reversibilità, l'orientamento che nega la cumulabilità del risarcimento del danno con eventuali benefici assistenziali o previdenziali percepiti dai congiunti della persona defunta in conseguenza del fatto illecito (riconoscendole, in particolare, una funzione indennitaria) si basa sul seguente sillogismo: a) il beneficio erogato dall'assicuratore sociale (o dall'ente previdenziale) ha lo scopo di attenuare il danno patrimoniale (sotto forma di mancato guadagno) subìto dai familiari della vittima; b) di conseguenza, esso elide in parte qua il danno subìto da questi ultimi; c) ergo, non tanto di compensatio lucri cum damno si dovrebbe parlare in casi simili, quanto di inesistenza stessa del danno patrimoniale, per la parte elisa dal beneficio assicurativo. In particolare, l'effettiva perdita reddituale subìta dagli eredi a causa del decesso del congiunto, nel concreto, è pari alla differenza tra il reddito in passato messo a disposizione dal defunto a favore dei familiari e quello sostitutivo comunque entrato a favore dei predetti, quali beneficiari del trattamento di reversibilità.

Ciò nonostante, sembra prevalere l'opposto indirizzo (favorevole al cumulo), il quale ritiene che il vantaggio debba essere una conseguenza immediata e diretta del danno, con la conseguenza che non si potrebbe far luogo alla compensazione quando il lucro ripeta la sua fonte e la ragione giuridica da titolo diverso dal fatto illecito e la morte rappresenti solo la condizione (o mera occasione) perché quel titolo spieghi la propria efficacia.

La compensatio non dovrebbe operare fra quanto percepito in forza del Fondo vittime per l'amianto istituito dall'INAIL e i diritti di risarcimento di cui alle norme generali e speciali dell'ordinamento, atteso che, in base all'art. 1, comma 242, della l. 244/2007, le prestazioni dispensate dal Fondo non dovrebbero escludere alcuno degli altri diritti stabiliti dall'ordinamento per i medesimi soggetti, trattandosi di diritti aventi titolo e significato diversi, come tali non confrontabili.

Con riferimento all'indennizzo riconosciuto ai soggetti danneggiati per complicanze irreversibili a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati, spettante in base alla l. 210 del 1992, le Sezioni Unite nel 2008 (Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 584) hanno osservato che la diversa natura giuridica dell'attribuzione indennitaria e delle somme liquidate a titolo di risarcimento danni per il contagio da emotrasfusione a seguito di un giudizio di responsabilità extracontrattuale, promosso dal soggetto contagiato nei confronti del Ministero della sanità, non è di ostacolo allo scomputo integrale fra le due poste (cioè dell'indennizzo già versato dalla somma liquidata per risarcimento del danno subìto dal paziente contagiato). Anche se il principio appare suscettibile di revisione critica, essendo fondato sull'esigenza di non porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo. Invero, l'indennizzo viene riconosciuto al soggetto leso come misura economica di sostegno aggiuntiva, volta a realizzare una forma di solidarietà puramente assistenziale (più precisamente, viene riconosciuto quando il cittadino subisce un danno alla salute nell'adempimento dei doveri di solidarietà), e per il solo fatto di aver subìto un danno permanente in seguito al contagio, e sembra pertanto del tutto svincolato da un'eventuale responsabilità ex art. 2043 c.c.

Tuttavia, la menzionata pronuncia è importante, in quanto, da un lato, si confermano l'esistenza e l'applicazione della regola della compensatio lucri cum damno, nonché la validità di due delle limitazioni all'applicazione del principio (pregiudizio ed incremento patrimoniale debbono discendere dallo stesso evento; danno e vantaggio devono conseguire con rapporto di causalità diretto ed immediato dall'evento), mentre, dall'altro, risulta superata la necessaria omogeneità delle poste compensabili.

Avuto riguardo alle pensioni, agli assegni e alle indennità spettanti agli invalidi civili e corrisposti in conseguenza del fatto illecito di terzi, anche alla luce dell'art. 41 del d.m. 19 marzo 2013, numerosi elementi depongono nel senso di riconoscere a tali prestazioni la natura assistenziale, anziché assicurativa; ciò sia perché le stesse vengono erogate a favore di chiunque, avendone fatta richiesta, presenti i requisiti di legge per beneficiarne, in termini di invalidità e di reddito; sia in quanto l'assistenza tende a fornire a soggetti bisognosi i necessari supporti per condurre un'esistenza dignitosa, laddove il risarcimento mira, invece, a compensare un danno (patrimoniale o meno). In tal caso, infatti, la prestazione verrebbe resa anche in assenza di illecito e deriva perciò direttamente dal sistema assistenziale pubblico e solo indirettamente dall'illecito aquiliano.

Peraltro, una parte della giurisprudenza di merito ritiene che, in caso di inabilità permanente che abbia provocato la dispensa dal servizio, con conseguente assegnazione della pensione di invalidità, il danneggiato potrebbe reclamare, nei confronti del danneggiante, solo la differenza tra gli stipendi che lo stesso avrebbe percepito ove avesse continuato a prestare la propria attività e l'ammontare della pensione di invalidità sino alla data di attribuzione di quella di vecchiaia, per evitare una ingiustificata locupletazione da parte dell'infortunato.

Anche in materia di prestazioni assistenziali, l'art. 1 l. 21 novembre 1988 n. 508, nella parte in cui, modificando la disciplina dell'indennità di accompagnamento, ha, tra l'altro, previsto l'incompatibilità della suddetta indennità "con analoghe prestazioni concesse per invalidità contratte per cause di guerra, di lavoro o di servizio", deve essere interpretato nel senso che, al fine della verifica della sussistenza o meno del suddetto rapporto di analogia, il raffronto tra le prestazioni deve essere operato facendosi esclusivo riferimento alla natura e alle finalità delle stesse. Ne consegue che il divieto di cumulo in oggetto deve considerarsi operante esclusivamente rispetto alle prestazioni dirette a sopperire alle medesime esigenze cui fa fronte l'indennità di accompagnamento e non con riguardo a prestazioni predisposte per soddisfare altre e differenti esigenze e necessità (Cass. civ., sez. lav., sent. 21 settembre 2011 n. 19226).

Le polizze assicurative contro gli infortuni

Per quanto concerne le polizze assicurative contro gli infortuni, tutti i contrasti e le incertezze sembrano essere stati risolti dall'intervento delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. civ., Sez. Un., 10 aprile 2002, n. 5119), le quali hanno definitivamente stabilito che l'assicurazione contro il rischio di infortuni non mortali è un'assicurazione contro i danni, alla quale si applicherà il principio indennitario e l'intera disciplina dettata dal codice per l'assicurazione contro i danni.

In tale ambito, Cass. civ., sez. III, sent. 11 giugno 2014, n. 13233, nel ribadire la teoria del cd. “doppio binario” (avendo le assicurazioni sulla vita chiara matrice previdenziale; cd. disciplina di tipo misto), ha affermato due importanti principi:

1) al riconoscimento della natura indennitaria non osterebbe il fatto che qui non operi l'istituto della compensatio lucri cum damno, a causa della diversità dei titoli in base ai quali il danneggiato può vantare (da un lato l'indennizzo, dall'altro il risarcimento), atteso che «la diversità formale dei titoli posti a fondamento della pretesa risarcitoria non può mai servire a superare il principio indennitario»;

2) la «surrogazione dell'assicuratore non interferisce in alcun modo con il problema dell'esistenza del danno […]. Abbia o non abbia l'assicuratore rinunciato alla surroga, non può essere risarcito il danno inesistente […] ed il danno indennizzato dall'assicuratore è un danno che ha cessato di esistere dal punto di vista giuridico» (la detta rinuncia gioverebbe solo al responsabile civile, non al danneggiato, il quale anche in questo caso non potrebbe conseguire il cumulo).

Pertanto, indennizzo assicurativo e risarcimento non si potrebbero cumulare non già perché sarebbe operante in tale ipotesi il principio della compensatio, ma perché, nell'assicurazione contro i danni, un pregiudizio risarcibile non ci sarebbe più per la parte indennizzata dall'assicuratore.

È chiaro, però, che i principi sopra declinati in tanto possono essere applicati in quanto le poste di danno (indennizzato e risarcibile) siano omogenee; il che potrebbe non avvenire, ad esempio, ogni qualvolta la polizza copra voci di pregiudizio patrimoniale (spese mediche, perdita di guadagno, ecc.) ed il danno azionato in via risarcitoria nei confronti del responsabile attenga, invece, a profili non patrimoniali o biologici. Così, qualora l'assicurazione coprisse il danno da perdita della capacità di lavoro (danno patrimoniale), e la vittima del fatto illecito avesse subìto soltanto un danno biologico (danno non patrimoniale), nessuna detrazione sarebbe possibile, a nulla rilevando che l'assicuratore avesse, per effetto di particolari clausole contrattuali che ammettessero l'indennizzabilità di un danno presunto, pagato ugualmente l'indennizzo.

Tuttavia, di frequente, le polizze infortuni prevedono la generica erogazione di determinate somme al verificarsi dell'infortunio, da calcolarsi in funzione della gravità del danno subìto ed alla misura del capitale assicurato indicato in polizza, ma senza alcun esplicito riferimento al concetto di danno biologico. Ben può accadere, allora, che a fronte di una modestissima IP, sia erogata, in forza del patto negoziale, una somma ingente (e completamente disallineata dai consueti parametri di liquidazione). E questo potrebbe smentire la tesi secondo cui la copertura “per le disgrazie accidentali” (non mortali) avrebbe – sempre e comunque - una “funzione indennitaria” (di “rivalere” o “risarcire un danno”, ai sensi degli artt. 1882, prima parte, e 1905 c.c.), anziché, lato sensu, previdenziale. Se da un lato lo stesso codice civile, all'art. 1908 — e, dunque, proprio nella sezione dedicata alla disciplina delle assicurazioni del ramo danni —, ammette la possibilità della polizza stimata, dall'altro, non va, peraltro, trascurato che questa norma è — nel titolo e nel contenuto — strettamente legata ai beni materiali e patrimoniali, e che non è agevole pensare che il legislatore volesse includere nell'oggetto di una stima l'integrità psicofisica.

Inoltre, per quanto l'integrità fisica non assuma valore monetizzabile, con la conseguenza che il capitale assicurato in tale tipo di contratti rappresenta una mera somma fissata per convenzione tra le parti (non esprimendo, per l'effetto, un danno inteso come perdita economica), l'introduzione di specifiche tabelle di origine legale e giurisprudenziale fanno sì che sia possibile riconoscere la possibilità di introdurre una, sufficientemente precisa, valutazione del danno da menomazione o da malattie.

L'ambito lavorativo

In ambito lavorativo, a seguito del revirement avvenuto alla fine degli anni settanta, al di fuori dei casi in cui le ripercussioni patrimoniali favorevoli derivino dallo stesso fatto dannoso che abbia prodotto quelle negative (si pensi al risarcimento del danno subìto dal lavoratore tra licenziamento ed annullamento, il cui ammontare va ridotto in funzione dei compensi percepiti dal lavoratore per lo svolgimento di altra attività lavorativa; cd. aliunde perceptum), l'impossibilità negli altri casi (si pensi ad un infortunio sul lavoro) per il responsabile del fatto illecito di conseguire le somme già ottenute dall'assicuratore non è espressione della regola della compensatio lucri cum damno, bensì della perdita, eventualmente parziale, della titolarità del diritto di credito nei confronti del responsabile e dell'acquisto dello stesso da parte dell'assicuratore.

Viceversa, si tende a negare la detraibilità delle prestazioni previdenziali percepite medio tempore dal lavoratore, l'attribuzione delle quali trovi titolo nella cessazione del rapporto di lavoro. A tale risultato si perviene sia in virtù della diversità dei titoli delle erogazioni patrimoniali, sia in considerazione del fatto che, per effetto della sentenza di reintegra, si ripristina la continuità giuridica del rapporto di lavoro e viene a cadere il fondamento legale delle erogazioni, delle quali sopravviene la natura indebita, con conseguente esposizione del lavoratore reintegrato all'azione di ripetizione da parte degli enti previdenziali. In quest'ottica, sono da considerarsi indetraibili l'indennità di mobilità, l'indennità di disoccupazione ed i trattamenti pensionistici.

In relazione alla eventuale rendita erogata dall'INPS in caso di sinistro di cui sia stato vittima un lavoratore, il credito risarcitorio della vittima nei confronti del responsabile si riduce solo nella misura in cui abbia ricevuto dall'assicuratore sociale indennizzi destinati a ristorare danni che, dal punto di vista civilistico, possano dirsi effettivamente patiti. Pertanto, solo se vi è coincidenza tra quanto erogato dall'INAIL ed il contenuto dell'obbligazione del responsabile nei confronti del danneggiato per il fatto illecito, il primo può ottenere dal secondo il rimborso delle prestazioni erogate.

Da ciò consegue che il relativo indennizzo assicurativo potrà essere detratto dal risarcimento aquiliano solo se la vittima abbia effettivamente patito un pregiudizio di questo tipo. Negli altri casi, l'indennizzo resterà acquisito alla vittima, ma né potrà essere defalcato dal credito risarcitorio di quest'ultima per altre voci di danno, né potrà dar luogo a surrogazione: se, infatti, la vittima non ha patito alcuna riduzione della capacità di guadagno, non vanta il relativo credito verso il responsabile, e se quel diritto non esiste, non può nemmeno trasferirsi all'INAIL.

Nel caso in cui il lavoratore danneggiato, avendo già ricevuto dall'assicurazione sociale un indennizzo (rispetto al quale l'INAIL è surrogato), richieda al responsabile del fatto illecito il risarcimento del danno, la sua pretesa potrà avere ad oggetto solo il danno ulteriore. Infatti, il principio indennitario preclude al lavoratore di ottenere dal responsabile gli stessi importi già ottenuti, mentre il danneggiato ha diritto ad agire per il risarcimento dell'eventuale pregiudizio ulteriore rispetto a quello liquidato dall'INAIL, ossia del cd. danno differenziale.

In conclusione

In attesa della decisione delle Sezioni unite, proprio le polizze contro gli infortuni esaminate nel § 3 appaiono significative.

Guardando, infatti, alle proposte assicurative presenti sul mercato, si scopre che buona parte dei contratti assicurazioni infortuni quantificano l'indennizzo riconoscibile in funzione dell'ammontare del premio versato. Ciò induce a riconoscere in simili operazioni vere e proprie operazioni di risparmio previdenziale, finalizzate ad assicurarsi «mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita in ipotesi di infortunio» (utilizzando qui la nota definizione di assistenza e previdenza sociale di cui al dettato dell'art. 38, comma 2, Cost.), e non tanto coperture per garantirsi avverso ai danni (patrimoniali e non) derivanti dall'infortunio.

Appare allora necessario privilegiare un approccio che non escluda, ed anzi apprezzi, la possibilità di diversamente inquadrare le assicurazioni infortuni (e le assicurazioni della persona in genere) a seconda delle finalità effettivamente perseguite dalle parti, in ossequio a scopi che possono essere tanto indennitari quanto previdenziali. Scopi che saranno rivelati, di volta in volta, dalla stessa struttura contrattuale, la quale, a seconda dei casi, potrebbe collegare ad infortuni del medesimo tipo prestazioni "risarcitorie" (in quanto mirate al ristoro dei pregiudizi effettivamente patiti ed ancorate ai concetti di danno biologico, non patrimoniale o patrimoniale) ovvero "previdenziali" (perché volte a soddisfare esigenze di risparmio e di provvista correlate al verificarsi di eventi infortunistici).

In definitiva, la natura dei contratti di assicurazione infortuni, ben al di là della distinzione tra eventi mortali e non mortali, deve essere rintracciata nella causa in concreto assegnata dalle parti alla convenzione assicurativa.

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