L’accertamento della causalità nei reati omissivi impropri. Il giudizio di alta probabilità logica

09 Novembre 2017

Nella sentenza in commento, la Corte di cassazione torna a occuparsi della sussistenza del nesso causale nei reati omissivi impropri. Ricorrente è un medico di pronto soccorso, condannata per omicidio colposo a seguito della morte di una paziente, deceduta per shock settico.
Massima

Nei reati omissivi impropri, il nesso di causalità tra la condotta omissiva e l'evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica che, a sua volta, deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo, elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto e sulle particolarità del caso concreto.

Nello specifico, per stabilire se la condotta omissiva abbia avuto o meno un rilievo condizionante nel verificarsi dell'evento, bisognerà accertare, ferme restando le indicazioni scientifiche, qual è solitamente l'andamento della patologia in concreto accertata, qual è normalmente l'efficacia delle terapie, quali sono i fattori che solitamente influenzano il successo degli sforzi terapeutici.

Il caso

Nella sentenza in commento, la Corte di cassazione torna a occuparsi della sussistenza del nesso causale nei reati omissivi impropri.

Ricorrente è un medico di pronto soccorso, condannata per omicidio colposo a seguito della morte di una paziente, deceduta per shock settico. All'imputata, più in particolare, si fa carico di aver visitato la paziente senza la necessaria diligenza e di aver omesso di disporre approfondimenti diagnostici che le avrebbero consentito di rilevare la presenza, nella zona addominale, del versamento di materiale intestinale. Situazione questa che, se tempestivamente e correttamente individuata, avrebbe imposto il ricorso a immediato intervento chirurgico con esito salvifico. Invece, il medico, pur in presenza di forti dolori addominali, si limitò a diagnosticare un'influenza intestinale e uno stato di disidratazione, disponendo le dimissioni della paziente con la sola prescrizione di assumere antidolorifici e integratori.

La diagnosi risultò errata tanto è che le condizioni della paziente ben presto iniziarono a peggiorare. Fu nuovamente ricoverata e sottoposta a una tac-addome, che rilevò un abbondante versamento endoperitoneale. A nulla servì l'indicazione all'intervento; la paziente morì appena giunta in sala operatoria.

In entrambi i gradi di merito, l'imputata è stata ritenuta responsabile di omicidio colposo. Tra le diverse e opposte soluzioni offerte dai consulenti circa i tempi d'insorgenza della peritonite, i giudici hanno condiviso la tesi secondo cui la lesione dell'ansa intestinale, che l'aveva generata, si era verificata tra le ventiquattro e le quarantotto ore prima della morte. In conseguenza di tanto, la diagnosi di peritonite, secondo il convincimento espresso in sede di merito, sarebbe stata già possibile al momento in cui l'imputata visitò la paziente, solo che la visita fosse stata più accurata e fossero stati eseguiti i necessari accertamenti diagnostici.

Avverso la sentenza di appello, l'imputata ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando con un primo motivo la circostanza che i giudici, tra le varie e diverse indicazioni offerte dai consulenti, ne avessero condiviso solo una, senza valutare le altre; con il secondo motivo, evidenziando l'illogicità emergente dal considerare salvifico l'intervento chirurgico, se effettuato in caso di tempestiva diagnosi della patologia, pur dando atto della permanenza, anche in caso di tempestivo intervento, di un alto tasso di mortalità.

La questione

La Corte di cassazione ha ritenuto infondato il primo motivo e corretto il percorso motivazionale seguito dai giudici di merito, confermando di fatto l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il giudice, nel contrasto tra opposte tesi scientifiche, all'esito di un accurato e completo esame delle diverse soluzioni, può preferirne una purché motivi adeguatamente tale scelta.

Ha valutato, invece, fondato il secondo motivo, cogliendo l'illogicità di una motivazione che da un lato ritiene salvifico l'intervento chirurgico, dall'altro da atto della permanenza, anche in caso di tempestivo intervento, di un alto tasso di mortalità. Ha così affrontato, ancora una volta, il tema dell'accertamento della causalità nei reati omissivi impropri, dando una soluzione che offre sicuri elementi di novità.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha annullato la sentenza impugnata, perché non ha ritenuto corretto l'iter argomentativo, seguito dai giudici di merito per giungere al giudizio di responsabilità espresso nei confronti del sanitario. Una volta riconosciuto, infatti, che la mortalità in caso di tempestivo intervento è pari al 40% e che tale percentuale si riduce qualora s'intervenga all'insorgere della peritonite su soggetto in condizioni normali, bisognava valutare, questa volta con riferimento al caso concreto, quali possibilità di sopravvivenza, espresse in termini percentuali, avrebbe avuto quella paziente che si presentava in gravissime condizioni, ove le fosse stato praticato un tempestivo intervento chirurgico. In questi termini, la motivazione utilizzata dai giudici di merito è apparsa gravemente carente. Di qui l'annullamento con rinvio, per consentire un nuovo giudizio che dovrà valutare, ferme restando le indicazioni scientifiche, qual è solitamente l'andamento della patologia accertata in concreto, qual è normalmente l'efficacia delle terapie, quali sono i fattori che solitamente influenzano il successo degli sforzi terapeutici.

Una volta acquisita la conoscenza di tali elementi, i giudici del rinvio dovranno compiere il necessario giudizio controfattuale e valutare se, nel caso concreto, il compimento del comportamento omesso avrebbe evitato il verificarsi dell'evento, precisando a quali condizioni possa essere definito tempestivo il ricorso all'intervento chirurgico da effettuarsi su paziente gravemente debilitata.

Dimostrare l'esistenza del nesso di causalità tra evento e omissione impone l'acquisizione della prova che l'azione doverosa, supposta come realizzata, sarebbe valsa a impedire l'evento; tanto con apprezzabile probabilità, vicina alla certezza. Siffatto procedimento probatorio non può prescindere dal sapere medico, che si basa appunto sulla conoscenza delle leggi scientifiche. Secondo la migliore dottrina, bisogna compiere un procedimento logico con il quale ricondurre il caso concreto al caso astratto, previsto dalla c.d. legge di copertura; in tal modo, la legge scientifica e astratta si riempie di contenuti, divenendo concreta.

Le leggi scientifiche, tuttavia, non sempre sono utilizzabili in sede di giudizio penale o perché superate da ricerche successive o perché del tutto mancanti, se riferite ad alcune materie. Ecco perché, in sede giudiziale, si fa ricorso al criterio della probabilità. Il problema che permane è quello di definire tale concetto specie se riferito ai reati omissivi impropri dei quali, da tempo, si auspica una migliore definizione normativa. In punto d'interpretazione, si è assistito a una costante oscillazione tra due modelli di definizione della causalità: quello basato sull'aumento del rischio e quello della certezza causale. Entrambi tali orientamenti hanno come punto di partenza il concetto di probabilità statistica, vale a dire l'applicazione di un criterio percentualistico da ricavarsi all'interno delle leggi statistiche.

Affidarsi esclusivamente alle leggi statistiche, tuttavia, può portare da un lato a una colpevolizzazione generalizzata, dall'altro a una sorta d'impunità per l'intera classe medica.

La soluzione più ragionevole è offerta dalla teoria della probabilità logica. In questa direzione, si è mossa la giurisprudenza più recente a partire dalla nota sentenza Franzese, secondo cui non è tranquillizzante dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità statistica la conferma dell'ipotesi sull'esistenza del rapporto di causalità.

La causalità nell'omissione può dirsi accertata solo quando la condotta omissiva del medico è stata la condizione necessaria dell'evento lesivo; tanto è rilevabile alla luce della probabilità logica: l'interprete, partendo da leggi statistiche, dovrà puntualmente analizzare il caso concreto; ciò gli consentirà di formulare un giudizio complessivo di probabilità logica e, dunque, di affermare in sede di processo che l'evento, al di là di ogni ragionevole dubbio, è causalmente collegato alla condotta del soggetto.

Osservazioni

Un'attenta lettura dei principi di diritto, cui la Corte d'appello dovrà attenersi nel giudizio di rinvio, consente di cogliere il preciso significato della probabilità logica. Compiendo il giudizio controfattuale, necessario ad accertare il collegamento causale tra condotta omissiva ed evento, i giudici dovranno acquisire la prova che, se l'imputata avesse compiuto una diagnosi corretta e sottoposto a intervento chirurgico la paziente, questa non sarebbe deceduta o sarebbe deceduta in tempi apprezzabilmente più lunghi. Nel fare ciò, i medesimi giudici dovranno avere quale base di valutazione non solo le indicazioni fornite dalla legge scientifica ma anche dovranno tener conto di un'altra serie di fattori, tutti esclusivamente rilevabili dal caso concreto. Dovranno, cioè, partire dall'evento e verificare se – attese le condizioni generali della paziente, tenuto conto dell'evolversi della patologia e considerando tutti i fattori che solitamente influenzano il successo degli sforzi terapeutici – una tempestiva e corretta diagnosi e il conseguente intervento chirurgico avrebbero avuto effetto salvifico.

La malattia è sicuramente il principale responsabile dell'evento e il dovere del medico, che a tal riguardo assume una posizione di garanzia, è quello di intervenire nell'ambito della serie causale che, naturalisticamente, collega la malattia al possibile evento morte. Il suo intervento dovrà, per quel che è possibile, contrastare quella causalità, sostituendola con altra, tendenzialmente volta a consentire la guarigione. Non sempre, tuttavia, le cure conseguono l'effetto sperato.

Entriamo così nella prospettiva di un possibile processo penale: generalmente, si fa carico al medico di non aver fornito al paziente il suo necessario supporto. Il giudice, a questo punto, tenuto conto delle leggi scientifiche che disciplinano la materia, dovrà accertare in concreto se, attuata la condotta doverosa, questa con probabilità logica sarebbe stata capace di incidere sul nesso causale che lega la malattia all'evento, ponendo in essere tutte le condizioni per evitare o ritardare il suo verificarsi.

In mancanza di tale valutabilità in concreto, ogni corretta soluzione della causa porterà a escludere l'esistenza del nesso causale.

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