Innovazioni ordinarie e agevolate

Cesare Trapuzzano
10 Novembre 2017

All'indomani della Riforma del 2013, la disciplina delle innovazioni risulta alquanto articolata, sia con riferimento alla delimitazione del concetto di innovazioni rilevanti, tali da distinguerle dalle mere modifiche, sia in ordine all'individuazione dei quorum deliberativi previsti per ciascuna ipotesi di innovazione.
Inquadramento

La materia delle innovazioni nell'ambito del condominio è regolata dagli artt. 1120 e 1121 c.c. Il tema assume particolare importanza poiché la regolamentazione delle innovazioni esalta il ruolo delle decisioni adottate nel condominio a maggioranza.

In evidenza

La giurisprudenza ha accolto un concetto assai ampio di innovazione, che si sostanzia nella realizzazione di qualsiasi modificazione apportata alle cose comuni nell'ambito della proprietà condominiale, che sia di tale utilità, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, da incidere sulla sostanza della cosa comune ovvero da alterarne la precedente destinazione.

Sotto il profilo oggettivo, vi rientrano solo quelle modifiche che, eccedendo i limiti della conservazione e dell'ordinaria amministrazione della cosa comune, importino l'alterazione totale o parziale della res, di modo che le parti comuni, in seguito alle opere o alle attività eseguite, presentino una diversa entità materiale ovvero vengano ad essere utilizzate per fini differenti dai precedenti. Sempre sul piano oggettivo, all'innovazione è connaturato il concetto di novità, ma non quello di necessarietà, carattere proprio delle opere di c.d. manutenzione, ordinaria o straordinaria, indotte dall'esigenza pratica che la cosa comune continui ad avere l'efficienza sua propria. Sotto l'aspetto soggettivo, invece, il facere innovativo che contraddistingue l'innovazione è rappresentato dall'interesse collettivo ad essa rivolto dalla maggioranza qualificata dei condomini, con la conseguenza che, qualora la nuova opera non corrisponda all'interesse del complesso dei partecipanti al condominio e sia soltanto il frutto della volontà di taluni comproprietari -che agiscano nel proprio esclusivo interesse personale- si ricade piuttosto nel concetto di uso della cosa comune. Il consenso dei condomini alle innovazioni delle cose comuni, che possono essere disposte dall'assemblea con le maggioranze indicate, non richiede la forma scritta, non rientrando tra gli atti di cui all'art. 1350 c.c. (Cass. civ., sez. II, 10 marzo 2015, n. 4736). Inoltre, per la legittimità dell'innovazione è irrilevante che l'autorità amministrativa abbia autorizzato l'opera, in quanto il rapporto tra la pubblica autorità e il condomino esecutore dell'opera non può incidere negativamente sulle posizioni soggettive degli altri condomini (Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 2014, n. 20985). All'uopo, si distingue una fase deliberativa “interna”, attinente ai rapporti tra i condomini, da una fase esecutiva “esterna”, relativa ai successivi provvedimenti di competenza della pubblica amministrazione, fase quest'ultima che non può influire sulla legittimità della delibera autorizzativa (Cass. civ., sez. II, 20 gennaio 2015, n. 862). La definizione innanzi espressa di innovazione impone, a monte, la distinzione tra le mere modificazioni e le vere e proprie innovazioni. Ancora, il concetto di innovazione deve essere distinto dal significato che l'art. 1117-terc.c. attribuisce alle modificazioni delle destinazioni d'uso, per la cui realizzazione sono prescritte condizioni assai restrittive. Quindi, nell'alveo delle innovazioni propriamente dette, qualificate anche come semplici, per distinguerle dalle innovazioni (in senso improprio) significative, che implicano un mutamento della destinazione d'uso, si annoverano le innovazioni ordinarie, le innovazioni agevolate, le innovazioni gravose o voluttuarie, le innovazioni pregiudizievoli vietate. Pertanto, alla luce dell'ultima novella, sono contemplate cinque tipologie di innovazioni:

CASISTICA

Innovazioni ordinarie

  • Sono disciplinate dal primo comma dell'art. 1120;
  • Sono dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni;
  • La delibera assembleare deve essere assunta con il quorum previsto dal quinto comma dell'art. 1136 (maggioranza degli intervenuti e almeno due terzi del valore dell'edificio).

Innovazioni agevolate

  • Sono regolate dal secondo comma del nuovo art. 1120;
  • Devono essere approvate con il minor quorum ivi prescritto (maggioranza degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell'edificio).

Innovazioni vietate

  • Sono regolamentate dal terzo comma dell'art. 1120;
  • Consistono in innovazioni che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterano il decoro architettonico o che rendono talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.

Innovazioni gravose o voluttuarie

  • Sono disciplinate dall'art. 1121;
  • Consistono nelle innovazioni che importano una spesa molto consistente o hanno carattere voluttuario rispetto alle particolari condizioni e all'importanza dell'edificio;
  • Ove esse consistano in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata, i condomini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da qualsiasi contributo nella spesa;
  • Ove, invece, l'utilizzazione separata non sia possibile, l'innovazione non è consentita, salvo che la maggioranza dei condomini che l'ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa.

Modificazioni delle destinazioni d'uso

  • Sono regolate dall'art. 1117-ter;
  • Esigono il quorum dei quattro quinti dei partecipanti e del valore dell'edificio.
Mere modificazioni e innovazioni

Le mere modificazioni si traducono in un'attività posta in essere sulla cosa comune, che non sia tale da mutarne la consistenza o la funzione, mentre le innovazioni presuppongono un intervento incidente sulla sostanza della cosa o sulla sua destinazione. Al tema delle modificazioni è dedicato l'art. 1102 c.c., da cui è possibile desumere che, diversamente dalle innovazioni, le mere modificazioni non sono costituite da opere di trasformazione che influiscono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione o destinazione, ma si inquadrano nelle facoltà del condomino in ordine alla migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa, facoltà che incontrano solo i limiti indicati nel richiamato art. 1102 c.c.: divieto di alterarne la destinazione; divieto di impedirne il pari uso agli altri condomini (Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 2012, n. 18052). La giurisprudenza sottolinea la distinzione tra mere modifiche ed innovazioni sulla scorta del riferimento all'entità e alla qualità dell'incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa comune. Così per innovazioni in senso tecnico-giuridico si intende non un qualsiasi mutamento della cosa comune, ma esclusivamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria. Viceversa, le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune, e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto. In applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha sancito la legittimità della condotta di alcuni condomini, che transitavano con i loro veicoli all'interno delle parti comuni dell'edificio, al fine di raggiungere i locali di proprietà esclusiva, atteso che tale comportamento non costituisce innovazione e non è lesivo dei diritti degli altri condomini (Cass. civ., sez. II,5 ottobre 2009, n. 21256). Allo stesso modo, non integra un'innovazione l'autorizzazione assembleare, in favore del condomino richiedente, in ordine all'uso del vano contenente la canna pattumiera allo scopo di alloggiarvi il contatore e la caldaia di produzione dell'acqua calda, poiché tale decisione non prevede la realizzazione di opere da parte del condominio incidenti sull'essenza della cosa comune, le sole, idonee ad alterarne l'originaria funzione e destinazione ed a consentirne una diversa utilizzazione in favore di tutti i condomini (Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 2013, n. 945). E così non realizza un'innovazione la deliberazione dell'assemblea con cui sia disposta l'apposizione di cancelli all'ingresso dell'area condominiale, al fine di disciplinare il transito pedonale e veicolare ed impedire l'ingresso indiscriminato di estranei, attenendo essa all'uso ed alla regolamentazione della cosa comune, senza alterarne la funzione o la destinazione, né sopprimere o limitare la facoltà di godimento dei condomini (Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 2015, n. 3509; Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 2013, n. 4340). Nell'ambito degli interventi di mera modificazione, ciascun condomino ha il potere di trarre tutte le utilità possibili dalla cosa, indipendentemente da qualsiasi delibera condominiale. Sicché, ove ricorrano delle pure modificazioni eseguite dal singolo a proprie spese, ai fini della migliore utilizzazione della cosa comune nell'interesse della sua proprietà esclusiva, la volontà della maggioranza diviene irrilevante, mentre permane esclusivamente il diritto di ciascuno degli altri condomini di opporsi a che il singolo, per il raggiungimento dei propri personali interessi, violi i criteri-limite fissati dalla legge per l'uso delle cose comuni e pregiudichi ad altri il godimento di quei beni. Pertanto, costituiscono esplicazione del diritto di comproprietà, e in quanto tali non richiedono la preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale, le modificazioni della cosa comune atte ad ottenere una migliore e più conveniente utilizzazione della medesima, che non importino alterazioni della sua consistenza e della sua destinazione e non pregiudichino i diritti di uso e di godimento degli altri condomini, al contempo non compromettendo la stabilità e la sicurezza del fabbricato, non alterandone il decoro architettonico e non precludendone o diminuendone per alcuno dei condomini il godimento di talune parti dello stabile.

In evidenza

Nel caso in cui il cortile comune sia munito di recinzione che lo separi dalla proprietà esclusiva di un condomino, quest'ultimo può apportare a tale recinzione, benché anch'essa sia condominiale, senza bisogno del consenso dei partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che gli consentano di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini e, quindi, procedere anche all'apertura di un varco di accesso dal cortile condominiale, purché non impedisca agli altri condomini di continuare ad utilizzare il cortile come in precedenza (Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 2000, n. 42).

Secondo i parametri individuati, è escluso che costituisca innovazione vietata il restringimento di un viale di accesso pedonale, considerato che esso non integra una sostanziale alterazione della destinazione e della funzionalità della cosa comune, non la rende inservibile o scarsamente utilizzabile per uno o più condomini, ma si limita a ridurre in misura modesta la sua funzione di supporto al transito pedonale, restando immutata la destinazione originaria.

Modificazioni delle destinazioni d'uso

All'esito della l. 11 dicembre 2012, n. 220, che ha riformato le norme dedicate alla disciplina del condominio, assume una particolare valenza, per un verso, la discriminazione tra modificazioni della destinazione d'uso ed innovazioni semplici e, per altro verso, la distinzione, all'interno della categoria delle innovazioni semplici, tra innovazioni ordinarie, innovazioni agevolate e innovazioni gravose o voluttuarie. Infatti, l'alterazione della sostanza può in certi casi essere sufficiente a costituire innovazione, seppure in assenza di un concreto mutamento di destinazione d'uso della cosa comune. Le innovazioni (in senso atecnico) significative, ossia quelle che modificano l'identità funzionale del bene, implicando il radicale cambiamento della destinazione d'uso, esigono maggioranze qualificate, previa adozione di specifici adempimenti in ordine alle modalità di convocazione dell'assemblea, nonché un particolare requisito di efficacia della delibera, ossia l'esplicito richiamo alla previa effettuazione degli adempimenti di convocazione. Le modificazioni d'uso rivedono radicalmente i termini di utilizzazione oggettiva o di godimento soggettivo del bene comune, imponendone un uso in concreto che non si iscrive tra quelli potenziali cui il bene stesso avrebbe potuto essere destinato.

In evidenza

Realizzano una modificazione della destinazione d'uso, e dunque un'innovazione significativa, l'istallazione di un campo di calcio o di una piscina nell'area comune, la modifica della destinazione pertinenziale dei locali adibiti ad alloggio del portiere, l'accorpamento di più edifici in un unico condominio.

Non possono invece qualificarsi come ipotesi di modificazioni delle destinazioni d'uso l'istallazione di una canna fumaria sulla facciata, l'installazione di un ascensore, la destinazione a parcheggio del cortile comune, la costruzione di box auto nel sottosuolo comune. Dubbi ricorrono in dottrina sulla possibilità di qualificare come modificazioni della destinazione d'uso i seguenti interventi: l'installazione ex novo di un ascensore, con la correlata modifica della destinazione d'uso della tromba delle scale dei pianerottoli e degli anditi, la trasformazione di un tetto in lastrico solare, la realizzazione di un'autorimessa per il parcheggio delle autovetture al posto del cortile destinato al gioco dei bambini, l'istituzione di un servizio di portineria con adattamento dei locali comuni, la trasformazione della lavanderia in ambienti di soggiorno o disimpegno per i condomini.

Modificazioni delle destinazioni d'uso

Innovazioni (in senso improprio) significative

  • Uso del bene del tutto estraneo rispetto alla sua originaria destinazione oggettiva e funzionale;
  • Soddisfazione di esigenze di interesse condominiale;
  • Divieto di modificazioni che rechino pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o ne alterino il decoro architettonico, ma non di quelle che rendano inservibili le parti comuni all'uso o al godimento anche di un solo condomino

Requisiti di convocazione dell'assemblea

  • Affissione per almeno 30 giorni consecutivi nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine destinati;
  • Lettera raccomandata o equipollenti mezzi telematici;
  • Comunicazione almeno 20 giorni prima della data della convocazione
  • Indicazione delle parti comuni oggetto della modifica e della nuova destinazione d'uso

Requisiti della delibera assembleare

  • Quattro quinti dei partecipanti al condominio
  • Quattro quinti del valore dell'edificio
  • Dichiarazione espressa dell'effettuazione degli adempimenti di convocazione
Innovazioni ordinarie

Per converso, in tema di innovazioni semplici, il nuovo art. 1120 c.c. lascia inalterato, nella previsione del primo comma, il precedente dettato del codice civile, secondo cui i condomini, con la maggioranza indicata dal comma 5 dell'art. 1136 c.c., possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni. Da un lato, detti interventi devono tendere ai fini indicati, dall'altro, devono tradursi nel mutamento della consistenza del bene che ne costituisce l'oggetto ovvero nella relativa alterazione funzionale, affinché non si confondano con le mere modifiche. Pur essendo rimasto identico il dettato del comma 1 dell'art. 1120 c.c., è invece mutato il quorum della delibera assembleare. L'approvazione, infatti, avviene con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno i due terzi del valore dell'edificio, laddove l'originaria previsione dell'art. 1136, comma 5, c.c., prevedeva la maggioranza dei partecipanti al condominio. Dette maggioranze non sono derogabili dal regolamento del condominio ai sensi dell'art. 1138 c.c.. Si tratta appunto delle c.d. innovazioni ordinarie, genericamente tese al potenziamento o al più agevole e confortevole impiego o alla più proficua produttività delle cose comuni, che sono rimesse alla volontà assembleare, in quanto incrementano, sul piano qualitativo (in termini di comodità) o quantitativo (in termini di rendimento) le capacità o le funzioni di tali beni. Per le innovazioni ordinarie, così come per le innovazioni agevolate, il novellato comma 1, n. 4), dell'art. 1135 c.c., sulle attribuzioni dell'assemblea condominiale, impone all'assemblea che deliberi le suddette modifiche dello status quo ante di costituire un fondo speciale di importo pari all'ammontare dei lavori.

Innovazioni agevolate

A fronte di tale tipologia di innovazioni, le quali vengono qualificate ordinarie, il comma 2 dell'art. 1120 c.c. regola le innovazioni agevolate o speciali o di interesse sociale, già contemplate prima della riforma da diverse leggi di settore. In tale categoria rientrano eterogenee ipotesi di modificazioni - strutturali o funzionali - delle parti comuni, il cui minimo comun denominatore si apprezza sotto il profilo effettuale, trattandosi di interventi novativi che tendenzialmente travalicano la compagine condominiale e presentano un quid pluris rispetto ai meri miglioramenti di cui al comma 1 dell'art. 1120 c.c..Segnatamente, si tratta delle innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto:

1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti;

2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, per il contenimento del consumo energetico degli edifici e per realizzare parcheggi destinati al servizio delle unità immobiliari o dell'edificio, nonché per la produzione di energia mediante l'utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune;

3) l'installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze, ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto.

Siffatte innovazioni vengono qualificate come agevolate, poiché il dettato normativo prevede che la relativa delibera sia assunta con un quorum ridotto, ossia con la maggioranza di cui al comma 2 dell'art. 1136 c.c. (numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio), invece che con la maggioranza prescritta dal quinto comma dello stesso articolo. In aggiunta, in ordine alle innovazioni agevolate, sono stabilite particolari prescrizioni procedurali per la convocazione dei condomini. In primis, l'amministratore è tenuto a convocare l'assemblea entro 30 giorni dalla richiesta anche di un solo condomino interessato all'adozione delle deliberazioni anzidette. L'eventuale ripetuto rifiuto da parte dell'amministratore di convocare l'assemblea costituisce, secondo il novellato art. 1129, comma 12, n. 1), c.c., una grave irregolarità, la cui integrazione legittima la revoca dall'incarico di amministratore. La richiesta di convocazione deve comprendere l'indicazione del contenuto specifico e delle modalità esecutive degli interventi proposti. In difetto, l'amministratore deve invitare, senza indugio, il condomino proponente a fornire le necessarie integrazioni. Tra gli interventi volti a migliorare la sicurezza del fabbricato di cui al n. 1) certamente rientra l'installazione di un impianto di videosorveglianza sulle parti comuni, benché il legislatore della riforma abbia dedicato un'apposita norma a tale ipotesi, introducendo l'art. 1122-ter c.c.

Per contro, le fattispecie delineate dal n. 2) possono distinguersi nelle seguenti fattispecie: le deliberazioni per l'eliminazione delle barriere architettoniche, quelle finalizzate al risparmio energetico nell'edificio, quelle per la realizzazione di parcheggi ed, infine, quelle per la promozione dell'utilizzo di fonti di energia rinnovabile (fonti eoliche, solari, impianti di cogenerazione), sia da parte del singolo condomino, sia da parte di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune.

Le ipotesi regolate dal n. 3) contemplano, invece, l'installazione di impianti centralizzati e dei relativi collegamenti alle singole utenze per la ricezione di qualunque genere di flusso informativo (ad esempio radiotelevisivo). La parte finale di questo capoverso non è, tuttavia, molto chiara, laddove esclude dalla disciplina delle innovazioni agevolate l'ipotesi di «impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto». Per dare un senso logico alla locuzione deve pervenirsi alla conclusione che la negazione “non” sia un mero refuso. Altrimenti l'espressione non avrebbe una ratio comprensibile. Tertium non datur, la giurisprudenza ha incluso tra le innovazioni agevolate di cui al n. 2), volte ad eliminare le barriere architettoniche, l'installazione di un ascensore su area comune, rientrante fra le opere di cui all'art. 27, comma 1, della l. n. 118/1971 e all'art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 384/1978. Tale innovazione, ex art. 2, commi 1 e 2, della l. n. 13/1989, va approvata dall'assemblea con la maggioranza prescritta dall'art. 1136, commi 2 e 3, c.c., e, in caso di deliberazione contraria od omessa nel termine di tre mesi dalla richiesta scritta, la stessa può essere installata -a proprie spese- dal portatore di handicap, con l'osservanza dei limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c.. Peraltro, secondo quanto prescritto dal terzo comma dell'art. 2 cit., la verifica della sussistenza di tali ultimi requisiti deve tenere conto del principio di solidarietà condominiale, che implica il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all'eliminazione delle barriere architettoniche, trattandosi di un diritto fondamentale che prescinde dall'effettiva utilizzazione -da parte di costoro- degli edifici interessati e che conferisce comunque legittimità all'intervento innovativo, purché lo stesso sia idoneo, anche se non ad eliminare del tutto, quantomeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell'abitazione (Cass. civ., sez. VI, 9 marzo 2017, n. 6129).

Tra l'altro, già prima della novella la giurisprudenza di legittimità aveva osservato che la verifica, ai sensi dell'art. 1120, ultimo comma, c.c., se l'installazione di un ascensore nell'atrio di uno stabile condominiale rechi pregiudizio, oltre che alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, al decoro architettonico dell'edificio, nonché all'uso o godimento delle parti comuni ad opera dei singoli condomini, implica una valutazione anche in ordine alla ricorrenza, o meno, di un deprezzamento dell'intero immobile, essendo lecito il mutamento estetico che non cagioni un pregiudizio economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni a un'utilità la quale compensi l'alterazione architettonica che non sia di grave e appariscente entità. Nel compiere tale verifica, inoltre, è necessario tenere conto del principio di solidarietà condominiale, secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento, al fine dell'ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali, di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all'eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto, peraltro, di un diritto fondamentale che prescinde dall'effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati (Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2012, n. 18334). Nondimeno, l'installazione dell'ascensore al fine di eliminare le barriere architettoniche incontra comunque il limite del divieto di innovazioni che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso e al godimento anche di un solo condomino, comportandone una sensibile menomazione dell'utilità, secondo l'originaria costituzione della comunione; infatti, ove tale installazione sia lesiva dei diritti di un condomino sulle parti di sua proprietà esclusiva, la delibera è inficiata da nullità e la relativa nullità è sottratta al termine di impugnazione previsto dall'art. 1137, ultimo comma, c.c., potendo essere fatta valere in ogni tempo da chiunque dimostri di averne interesse, ivi compreso il condomino che abbia espresso voto favorevole (Cass. civ., sez. II, 24 luglio 2012, n. 12930; Cass. civ., sez. II, 27 dicembre 2011, n. 28920

Innovazioni pregiudizievoli vietate

Le innovazioni sono vietate qualora:

a) possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato;

b) ne alterino il decoro architettonico;

c) rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.

Altri due limiti sono rinvenibili per ragioni sistematiche. Infatti, in applicazione della regola del neminem laedere, gli interventi innovativi non possono mai risolversi in un atto lesivo delle parti dell'edificio di proprietà esclusiva dei singoli condomini. Inoltre, come discende implicitamente dal primo comma dell'art. 1120 c.c., non sono consentite modifiche che non migliorino, nemmeno in potenza, la cosa comune ovvero che apportino più danni che benefici al complesso dell'edificio e dei suoi abitanti. Nei casi indicati la delibera che abbia disposto siffatte innovazioni, indipendentemente dalla maggioranza raggiunta, sarà affetta da nullità. Si discute però sulla possibilità di adottare simili deliberazioni all'unanimità. Secondo la tesi prevalente, solo le prescrizioni in tema di innovazioni pregiudizievoli per la collettività, come quelle lesive della statica e della sicura abitabilità dell'edificio, sono di ordine pubblico e, per l'effetto, assolutamente inderogabili; viceversa, le modifiche pregiudizievoli dei diritti di godimento dei singoli condomini sono disponibili dai partecipanti, i quali possono deliberarle con il voto favorevole della totalità dei partecipanti. Controverso è l'inquadramento del divieto di alterazione del decoro architettonico, ossia della sua riconduzione ad un principio di ordine pubblico ovvero al mero diritto di godimento dei singoli codomini. In base alle tesi più accreditate, detto limite - lungi dall'essere dettato da ragioni di salvaguardia della sicurezza pubblica - si sostanzia nella tutela degli interessi di natura economica, collegati naturaliter all'estetica di ciascun fabbricato, sicché l'unanimità dei condomini può liberamente approvare interventi innovativi che mutino l'armonico aspetto esterno dello stabile.

Con riguardo ai pregiudizi di cui alla lett. a) e alla lett. c), la Suprema Corte ha evidenziato, in ipotesi di abbassamento del pavimento e del piano di calpestio eseguito da un singolo condomino, che non è automaticamente configurabile un uso illegittimo della parte comune costituita dall'area di terreno su cui insiste il fabbricato e posano le fondamenta dell'immobile, dovendosi a tal fine accertare o l'avvenuta alterazione della destinazione del bene, vale a dire della sua funzione di sostegno alla stabilità dell'edificio, o l'idoneità dell'intervento a pregiudicare l'interesse degli altri condomini al pari uso della cosa comune (Cass. civ., sez. II, 22 settembre 2014, n. 19915).

Quanto al pregiudizio di cui alla lett. b), la giurisprudenza di legittimità ha valorizzato due aspetti:

1) che la nozione, più restrittiva, di decoro architettonico, di cui all'art. 1120 c.c., che opera come limite alle innovazioni, non coincide con la nozione di aspetto architettonico, di cui all'art. 1127 c.c., che opera come limite alla facoltà di sopraelevare, sebbene l'una nozione non possa prescindere dall'altra, dovendo l'intervento edificatorio in sopraelevazione comunque rispettare lo stile del fabbricato e non rappresentare una rilevante disarmonia in rapporto al preesistente complesso, tale da pregiudicarne l'originaria fisionomia ed alterare le linee impresse dal progettista (Cass. civ., sez. II, 24 aprile 2013, n. 10048);

2) che il regolamento di condominio può legittimamente dare del limite del decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'art. 1120 c.c., estendendo il divieto di innovazioni sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva (Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2013, n. 1748). Così non dà luogo ad una innovazione vietata dall'art. 1120 c.c., non comportando tale destinazione alcun apprezzabile deterioramento del decoro architettonico, né alcuna significativa menomazione del godimento e dell'uso del bene comune, la delibera assembleare di destinazione a parcheggio di un'area di giardino condominiale, interessata solo in piccola parte da alberi di alto fusto e di ridotta estensione rispetto alla superficie complessiva, anzi, da essa derivando una valorizzazione economica di ciascuna unità abitativa e una maggiore utilità per i condomini (Cass. civ., sez. VI/II, 12 luglio 2011, n. 15319). Viceversa, costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio (Cass. civ., sez. II, 11 maggio 2011, n. 10350; Cass. civ., sez. II, 19 giugno 2009, n. 14455; Cass. civ., sez. II, 4 aprile 2008, n. 8830). In ogni caso, il decoro architettonico cui è apprestata tutela riguarda l'estetica fornita dalle linee e dalle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante dell'edificio od anche di sue singole parti, ma non l'impatto dell'opera con l'ambiente circostante (Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 2010, n. 1286). Con riferimento ai divieti di cui alla lett. c), al fine di identificare il limite all'immutazione, il concetto di inservibilità della cosa comune non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione, coessenziale al concetto di innovazione, ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità (Cass. civ., sez. II, 12 luglio 2011, n. 15308). Inoltre, si può tenere conto di altre specificità, le quali possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità della compressione del diritto del singolo condomino, solo se queste costituiscano un' inevitabile e costante caratteristica di utilizzo. Sul punto, la S.C. ha ritenuto che costituisce innovazione vietata l'assegnazione, in via esclusiva e per un tempo indefinito, di posti auto all'interno di un'area condominiale, in quanto essa determina una limitazione dell'uso e del godimento che gli altri condomini hanno diritto di esercitare sul bene comune, con conseguente nullità della relativa delibera (Cass. civ., sez. II, 27 maggio 2016, n. 11034).

Innovazioni gravose o voluttuarie

L'art. 1120, comma 1, c.c., nel consentire all'assemblea condominiale, sia pure con una particolare maggioranza, di disporre innovazioni, non postula affatto che queste rivestano carattere di assoluta necessità, ma richiede soltanto che esse siano dirette «al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni», salvo a vietare espressamente, nell'ultimo comma, quelle che possono recare pregiudizio alla statica o al decoro architettonico del fabbricato o che rendano talune parti comuni inservibili all'uso o al godimento anche di uno solo dei condomini. Pertanto, al di fuori di tale divieto, ogni innovazione utile deve ritenersi permessa anche se non strettamente necessaria, con il solo limite, posto dal successivo art. 1121 c.c., del suo carattere voluttuario o della particolare gravosità della spesa in rapporto alle condizioni e all'importanza dell'edificio (Cass. civ., sez. II, 30 maggio 1996, n. 5028). Al riguardo, il legislatore disciplina in un'apposita disposizione le innovazioni gravose o voluttuarie. Si tratta di quelle innovazioni che importino una spesa molto onerosa o che appaiano superflue o addirittura inutili, a fronte delle particolari condizioni e dell'importanza dell'edificio. Sia la gravosità della spesa sia la natura voluttuaria dell'intervento innovativo devono essere valutate in termini relativi: infatti, esse sono correlate dalla norma allo stato in cui versa l'edificio (caratteristiche, situazione logistica) e al suo valore, requisiti da ponderare in senso oggettivo (Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 1984, n. 428). Ove vi sia un fabbricato che versi in buono stato, ad esempio perché recentemente costruito o ristrutturato, o che costituisca immobile di pregio, tali aspetti incideranno sulla valutazione dell'innovazione, quand'anche essa implichi una spesa consistente, ovvero sull'opportunità della sua esecuzione, quand'anche concerna profili accessori o marginali, ai fini di qualificare l'intervento proposto come gravoso o voluttuario. Evidentemente l'innovazione non potrà essere qualificata come gravosa o voluttuaria, qualora l'adozione della misura sia imposta dall'antieconomicità delle ordinarie riparazioni (Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1968, n. 62). L'onere della prova di tali estremi grava sul condomino interessato, vertendosi in tema di deroga alla disciplina generale della ripartizione delle spese condominiali (Cass. civ., sez. II, 23 aprile 1981, n. 2408). Solo qualora l'innovazione sia qualificabile come gravosa o voluttuaria, in relazione ai parametri anzidetti, la disciplina di settore distingue due fattispecie: quella in cui l'innovazione consista in opere, impianti o manufatti non passibili di utilizzazione separata; quella in cui l'innovazione consista in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata. Nel primo caso, l'innovazione non è permessa, salvo che la maggioranza dei condomini che l'ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente le spese. Nel secondo, i condomini che non intendano trarre vantaggio dall'innovazione suscettibile di utilizzazione separata sono esonerati da qualsiasi contributo alle spese, che resteranno a carico dei soli condomini che intendano avvalersene. Il condomino che non voglia partecipare alle spese per un'innovazione gravosa o voluttuaria deve manifestare il suo dissenso in assemblea o con la tempestiva impugnazione della deliberazione (Cass. civ., sez. II, 17 aprile 1969, n. 1215). Tuttavia, in tale ultima ipotesi, i condomini dissenzienti, ovvero i loro eredi o aventi causa, possono, in qualunque tempo, partecipare ai vantaggi dell'innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e manutenzione dell'opera. Si tratta di un diritto potestativo di partecipare successivamente ai vantaggi delle innovazioni stesse, contribuendo pro quota nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera, ragguagliate al valore attuale della moneta, onde evitare arricchimenti in danno dei condomini che hanno assunto l'iniziativa dell'opera (Cass. civ., sez. II, 18 agosto 1993, n. 8746).

Guida all'approfondimento

Celeste - Scarpa, Riforma del condominio, Milano, 2013, 69;

Giuggioli - Giorgetti, Il nuovo condominio, Milano, 2013, 57;

Rinaldi, L'istituto delle innovazioni nel nuovo condominio, in Immob. & proprietà, 2013, 5;

Vincenti, Le innovazioni, in Il nuovo condominio, a cura di Triola, Torino, 2013, 270.

Sommario