Vantaggi e limiti degli ISAF

13 Novembre 2017

I vantaggi previsti per i contribuenti sono davvero consistenti. Proprio tale aspetto impone un quadro giuridico di riferimento che definisca rigorosamente parametri oggettivi, inattaccabili nel loro significato intrinseco ed estrinseco, applicabili in modo uniforme su tutto il territorio nazionale; che riducono i rischi di valutazioni soggettive, fonte di conseguenti discriminazioni; che assicurano la corrispondenza effettiva tra il “voto” attribuito a seguito dell'applicazione degli ISAF e la reale capacità contributiva. Ferma la validità degli obiettivi, l'attuale testo normativo solleva forti perplessità sotto differenti punti di vista per cui è auspicabile che, sulla base anche delle osservazioni della dottrina e delle associazioni professionali e di categorie, venga emendato in termini di maggiore chiarezza, certezza, equità e tutela.
Premessa

Con l'emanazione del Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate del 22 settembre 2017, a seguito del parere favorevole della commissione degli esperti nella riunione del 14 settembre 2017, sono state individuate (allegato n. 1 al citato provvedimento) le categorie economiche per le quali saranno definiti gli indici sintetici di affidabilità fiscale applicabili, a seguito di approvazione con decreto del Ministro dell'Economia e delle finanze, a decorrere dal 2017.

In tal modo è stato avviato un procedimento che dovrebbe concludersi entro tempi brevi tenuto conto che il primo periodo d'imposta interessato da questa importante innovazione volge al termine.

È auspicabile che non si assista al ripetersi della tendenza (quantunque appaia abbastanza concreta) registrata con riferimento agli studi di settore che venivano approvati a periodo d'imposta chiuso lasciando i contribuenti nell'assoluta incertezza.

Ovviamente, l'esigenza di conoscere, in anticipo, parametri e criteri di valutazione da parte dell'amministrazione non deve soddisfare una possibile parametrazione dei propri ricavi in funzione del futuro accertamento. È esigenza di democrazia fiscale, di chiarezza dei rapporti, di certezza del diritto, di attuazione del tanto invocato principio di affidamento e buona fede, di una concreta incentivazione alla compliance.

Al riguardo, per effetto dell'art. 21-bis del d.P.R. 31 maggio 1999, n. 195 a decorrere dal periodo d'imposta 2012 “gli studi di settore devono essere pubblicati nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre del periodo d'imposta nel quale entrano in vigore”. Eventuali integrazioni dovevano essere pubblicate entro il 31 marzo del periodo d'imposta successivo a quello di entrata in vigore.

Quantunque il rapporto fisco-contribuente non possa essere assimilato ad un torneo, è comunque evidente che le regole che lo disciplinano devono essere preventivamente definite per evitare che il contribuente continui a versare in una posizione di debolezza, fermo restando che, in attuazione dei medesimi principi, dovrebbe assolvere l'obbligazione tributaria di competenza, nel suo reale dimensionamento quantitativo e qualitativo.

In sostanza, non si è di fronte ad un gioco per verificare chi è più scaltro ma ad una politica fiscale che, ove costituzionalmente orientata, deve mirare ad un prelievo che sia realmente calibrato sulla capacità contributiva dei singoli soggetti.

I soggetti interessati

Il primo comma dell'art. 9-bis del D.L. 24 aprile 2017, n. 50 prevede che “al fine di favorire l'emersione spontanea delle basi imponibili e di stimolare l'assolvimento degli obblighi tributari da parte dei contribuenti e il rafforzamento della collaborazione tra questi e l'Amministrazione finanziaria, anche con l'utilizzo di forme di comunicazione preventiva rispetto alle scadenze fiscali, sono istituiti indici sintetici di affidabilità fiscale per gli esercenti attività di impresa, arti o professioni”.

Come può notarsi, la richiamata norma giuridica non indica espressamente le categorie di contribuenti interessati dalla nuova procedura di verifica della correttezza fiscale dei contribuenti. Essi, pertanto, devono essere desunti in modo indiretto quantunque la risposta non sembri di particolare difficoltà.

Trattandosi di indici che sostituiscono gli studi di settore, nel silenzio della norma giuridica, è inevitabile concludere che la novellata strategia non può che interessare i medesimi soggetti. Si tratta, pertanto, degli esercenti attività di impresa o di lavoro autonomo tenuti alle scritture contabili che svolgono, come "attività prevalente", un'attività per la quale non sussiste una causa di esclusione o di inapplicabilità e che non superano un volume d'affari di 7,5 milioni di euro.

Con riferimento all'indicato limite, va precisato che, in realtà, finora non è stata mai superata la soglia dei cinque milioni di euro.

Per "attività prevalente" si intende l'attività dalla quale deriva, nel corso del periodo d'imposta, il maggiore ammontare di ricavi o di compensi. La sua individuazione deve essere effettuata con riferimento a una stessa categoria reddituale.

Pertanto, se il contribuente svolge diverse attività, alcune delle quali in forma di impresa e altre in forma di lavoro autonomo, dovrà determinare sia l'attività prevalente relativa al complesso delle attività svolte in forma di impresa sia quella prevalente relativa al complesso delle attività svolte in forma di lavoro autonomo, indicando separatamente quelle che producono una categoria di reddito e quelle che producono l'altra.

Anche con riferimento agli ISAF, sono espressamente previste ipotesi di inapplicabilità sulla base anche delle esperienze maturate in passato e delle scelte consolidate in tema di studi di settore.

In particolare, l'applicazione degli ISAF è stata esclusa al verificarsi di due ipotesi.

La prima interessa i contribuenti che hanno iniziato o cessato l'attività ovvero non si trovano in condizioni di normale svolgimento della stessa. Pur non disponendo ancora di conferme, è verosimile ritenere che per la verifica della sussistenza di tale presupposto valgano le indicazioni fornite, a suo tempo, dall'Amministrazione finanziaria per gli studi di settore.

La seconda ipotesi attiene all'importo dei ricavi dichiarati o compensi ordinari di ammontare superiore al limite stabilito dal decreto di approvazione o revisione dei relativi indici.

A tal fine, però, per la verifica del superamento dell'indicata soglia occorre considerare che per i ricavi non vanno considerati quelli derivanti dalla cessione di azioni o quote non costituenti immobilizzazioni finanziarie e dalla cessione di strumenti finanziari similari.

In modo del tutto condivisibile, poi, l'indicato art. 9-bis accorda una delega al Ministro dell'Economia e delle Finanze per consentirgli di prevedere ulteriori ipotesi esclusione per determinate tipologie di contribuenti sulla base, evidentemente, di situazioni particolari che non possono essere previste a priori.

I vantaggi

Pur non costituendo una novità assoluta, è indubbio che i vantaggi previsti per i contribuenti sono davvero consistenti. Ed è proprio tale aspetto che impone un quadro giuridico di riferimento in cui siano rigorosamente definiti ed applicati parametri oggettivi, inattaccabili nel loro significato intrinseco ed estrinseco, applicabili in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, che riducono i rischi di valutazioni soggettive fonte di conseguenti discriminazioni, che assicurano la corrispondenza effettiva tra il voto attribuito a seguito dell'applicazione degli ISAF e la reale capacità contributiva.

Si è di fronte ad una strategia che presenta ancora troppe ombre sulla quale, però, un giudizio definitivo potrà essere dato soltanto a seguito delle prime simulazioni.

La vigente disciplina prevede i seguenti benefici:

1) esonero dall'apposizione del visto di conformità per la compensazione di crediti per un importo non superiore a 50.000 euro annui relativamente all'imposta sul valore aggiunto e per un importo non superiore a 20.000 euro annui relativamente alle imposte dirette e all'imposta regionale sulle attività produttive.

Al riguardo, andrebbe chiarita la ratio di questa differenziazione tenuto conto dell'elevato tasso di evasione (o, meglio di frodi quali quelle c.d. carosello) che caratterizza alcuni comparti economici.

Il visto di conformità dovrebbe assicurare non solo una correttezza formale ma anche quella sostanziale rilevabile, ovviamente, con l'ordinaria attività di riscontro;

2) l'esonero dall'apposizione del visto di conformità ovvero dalla prestazione della garanzia per i rimborsi IVA per un importo non superiore a 50.000 euro annui.

Anche per tale ipotesi possono valere le considerazioni di cui al punto precedente quanto meno con riferimento all'esonero delle garanzie che potrebbe essere fissate ad una soglia inferiore;

3) l'esclusione dell'applicazione della disciplina delle società non operative;

4) l'esclusione degli accertamenti basati sulle presunzioni semplici.

Trattasi di una previsione superflua o, quantomeno, contraddittoria, atteso che, già secondo i principi generali, l'utilizzo delle presunzioni semplici, per giurisprudenza pacifica, è consentito soltanto qualora si verificano i presupposti per l'accertamento induttivo (art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600/1973; art. 55, d.P.R. n. 633/1972). In sostanza, poiché le fattispecie sono tassativamente previste e sono inderogabili, l'utilizzo delle presunzioni semplici in sede di accertamento non è condizionato dal voto attribuito al contribuente ma dal verificarsi di uno dei presupposti legislativamente previsti.

5) l'anticipazione di almeno un anno, con graduazione in funzione del livello di affidabilità, dei termini di decadenza per l'attività di accertamento.

In esito a tale previsione, occorre ribadire, ancora una volta, che si è di fronte ad una indicazione eccessivamente generica atteso che è stato previsto un vantaggio minimo ma non quello massimo. Tale circostanza può, e non solo sul piano teorico, escludere con atto del funzionario preposto alla valutazione ed all'attribuzione del voto (verosimilmente massimo) qualsiasi futura attività di accertamento.

La previsione di tale conseguenza va valutata anche nell'ottica di tutela del funzionario laddove, per ipotesi, successivamente dovesse rilevarsi la contabilizzazione e l'utilizzo in sede di dichiarazione di fatture false, cioè di frode fiscale (art. 2 D.Lgs. 10 luglio 2000, n. 74).

6) l'esclusione della determinazione sintetica del reddito complessivo a condizione che quello accertabile non ecceda di due terzi il reddito dichiarato.

Proprio tale previsione conferma le osservazioni fatte con riferimento al precedente n. 5) nel senso che il rischio di un'errata valutazione (in assoluta buona fede) può comportare un vantaggio ingiustificato per il contribuente.

Va da sé che si concorda sulla politica premiale per i contribuenti onesti; si vuole e si deve evitare che, dolosamente, i soggetti più scaltri conseguano vantaggi ingiustificati. Conseguentemente (ma il principio è mutuato dalla disciplina relativa agli studi di settore), la previsione di soglie idonee a perimetrare in modo oggettivo la portata dei benefici è ampiamente condivisibile.

Il richiamato regime premiale è giustificato dal passaggio dal sistema degli studi di settore - costruito sulla stima di un livello “congruo” di ricavi - ad un sistema costituito sulla base di diversi indicatori elementari a loro volta rapportati non solo agli imponibili dichiarati ma anche ad indicatori di coerenza o di anomalia riferiti all'attività economica.

In sostanza, il nuovo sistema è ritenuto più attendibile e tale valutazione giustificherebbe il passaggio da una logica repressiva a una premiale.

Indubbiamente, la previsione di una regime premiale e l'accentramento dell'attenzione del fisco sulla fase preventiva e non su quella repressiva, consentono, sul piano potenziale, di migliorare il rapporto fisco – contribuente; trattasi di esigenza, comunemente avvertita, finalizzata ad ottimizzare il rapporto giuridico d'imposta, in termini di affidabilità e buona fede, e a incentivare la compliance, ormai evocata in ogni occasione, a volte anche in modo non pertinente.

Tale considerazione, tuttavia, presuppone che il dichiarato tasso di affidabilità risulti in sede applicativa realmente tale e non si verifichi quanto registrato con gli studi di settore che, dopo averne esaltato duttilità ed affidabilità, sono risultati, com'era stato ampiamente previsto anche da chi scrive, un vero fallimento, quanto meno per l'utilizzo dichiarato dai loro ideatori.

Inoltre, sarà necessario verificare l'effettiva idoneità a misurare la reale capacità contributiva degli indicatori elementari, di affidabilità e di anomalia, e, soprattutto, la mancata consumazione di sperequazioni che sembra, al momento, il principale rischio derivante dall'attribuzione del voto.

Gli effetti delle violazioni penali

Un ulteriore punto di debolezza della formulazione dell'art. 9-bis si registra laddove si prevede che “con riferimento al periodo d'imposta interessato dai benefìci premiali di cui al comma 11, in caso di violazioni che comportano l'obbligo di denuncia ai sensi dell'art. 331 del c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non si applicano le disposizioni di cui al comma 11, lettere c), d), e) e f), del presente articolo”.

In merito, si evidenzia che il legislatore ha fatto proprio l'orientamento del Giudice di legittimità (Cass. civ., sez. VI-T, 30 maggio 2016, n. 11171) per il quale, ai fini dell'accertamento, rileva il momento in cui sorge l'obbligo della presentazione della denuncia e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale (Corte. Cost. n. 247/2011).

Senonché, è stato fatto riferimento al solo obbligo della denuncia da parte dei funzionari dell'Agenzia delle Entrate senza considerare che la Polizia Tributaria, nella sua veste anche di Polizia giudiziaria, deve, ai sensi dell'art. 347 c.p.p., portare a conoscenza del Pubblico Ministero qualsiasi notizia di reato.

È pur vero che l'artt. 331 c.p.p. fa “salvo quanto stabilito dall'art. 347”, ma è di tutta evidenza che le due disposizioni hanno una portata differente.

Indubbiamente, l'art. 9-bis del D.L. n. 50/2017 è norma diretta all'Agenzia delle Entrate, quale unico titolare del potere di accertamento, ma tale considerazione origina, a sua volta, un ulteriore interrogativo al quale l'attuale quadro giuridico di riferimento non fornisce, almeno in modo esplicito, una risposta precisa tenendo conto della rigidità del principio di legalità, ex art. 23 Cost., che trova certa applicazione anche nel caso in esame.

Un'interpretazione di buon senso dovrebbe indurre ad equiparare le due ipotesi nel senso che rileva il fatto oggettivo dell'esistenza di una notitia criminis e la sua ascrivibilità ad un soggetto ben determinato essendo del tutto irrilevante, per contro, la qualificazione giuridica del soggetto che informa la magistratura avendone, ovviamente, la legittimità.

Tuttavia, occorre una precisazione in quanto l'aver attribuito rilevanza al momento in cui si acquisire la notitizia crimins e non a quello in cui viene informata la magistratura, un sistema omogeneo e coordinato dovrebbe prevedere, in tal caso, la sua circolazione tra le due componenti dell'Amministrazione finanziaria superando il segreto sulle indagini che grava sulla Polizia giudiziaria.

Al fine di comprendere la portata di tale esigenza può essere utile ricordare l'autonomia dei periodi d'imposta e le modalità concrete con cui vengono effettuati gli accertamenti che, di norma, non comprendono mai tutte le annualità per le quali non sono scaduti i termini di decadenza.

Allora, considerate le rilevanti conseguenze che la mera consumazione della condotta incriminata determina o l'Agenzia delle Entrate viene informata dal Magistrato oppure deve provvedere la Guardia di Finanza in tal caso, previa autorizzazione del pubblico ministero. In entrambi i casi, però, tale procedura necessita di una esplicita previsione normativa.

L'art. 9-bis prevede che, a seguito dell'obbligo di denuncia alla Procura della Repubblica per uno dei reati tributari di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, a prescindere dal voto attribuito, trova applicazione:

a) la disciplina delle società non operative;

b) la disciplina degli accertamenti basati sulle presunzioni semplici sia in materia di imposte sul reddito che di IVA;

c) la disciplina ordinaria dei termini di decadenza per l'attività di accertamento;

d) la determinazione sintetica del reddito complessivo.

Inoltre, l'Agenzia delle Entrate e la Guardia di finanza, nel definire specifiche strategie di controllo basate su analisi del rischio di evasione fiscale, tengono conto del livello di affidabilità fiscale dei contribuenti derivante dall'applicazione degli indici nonché delle informazioni presenti nell'apposita sezione dell'anagrafe tributaria.

Conclusioni

Le finalità che si perseguono con la nuova strategia fiscale rientrano indubbiamente nell'ambito di una tendenza volta a modificare il rapporto fisco-contribuente rendendolo meno oppressivo, più trasparente, più aderente alla capacità contributiva dei cittadini, meno penalizzante anche in termini di sanzioni.

Nel valutare gli effetti della vigente formulazione dell'indicato art. 9-bis – che, va ricordato, è già alla seconda versione a distanza di pochi mesi – non può prescindersi dal considerare che dall'attribuzione del voto scaturiscono diritti soggettivi del contribuente sottratti a qualsiasi valutazione discrezionale dell'amministrazione.

Permangono forti dubbi di legittimità costituzionale sia sui criteri di attribuzione del voto sia con riferimento alla formulazione del comma 11 dell'art. 9-bis laddove si rinvia ad un provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate per la determinazione dei livelli di affidabilità fiscale.

In conclusione, fermo restando la validità degli obiettivi (la cui realizzazione, però, è tutta da verificare) l'attuale testo normativo solleva forti perplessità sotto differenti punti di vista per cui è auspicabile che, sulla base anche delle osservazioni della dottrina e delle associazioni professionali e di categorie, venga emendato in termini di maggiore chiarezza, certezza, equità e tutela 8sia dei contribuenti sia dei funzionari.

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