Omissione di lavori necessari da parte del condomino proprietarioFonte: Cod. Pen Articolo 677
15 Novembre 2017
Il quadro normativo
L'art. 677 c.p. prevede oggi due illeciti amministrativi ed un reato contravvenzionale, a carico del proprietario dell'edificio o costruzione che minacci rovina ovvero di chi è per lui obbligato alla conservazione o alla vigilanza (nel condominio: l'amministratore). La condotta omissiva dell'illecito amministrativo verte sulla mancata realizzazione di interventi finalizzati a rimuovere il pericolo di rovina o del pericolo che derivi dal fatto pregresso dell'avvenuta rovina. Il passaggio dall'illecito amministrativo al reato è determinato dalla circostanza che dalle situazioni sopra descritte derivi pericolo per le persone, nel qual caso si passa dalla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 154 a euro 929 alla sanzione penale dell'arresto fino a sei mesi o dell'ammenda non inferiore a euro 309. La possibilità, discendente dallo statuto civilistico del diritto di proprietà, di spiegare un pieno potere di controllo sulla cosa potenzialmente pericolosa, costituisce al tempo stesso giustificazione del potere di intervento e fondamento razionale dell'obbligo di impedire l'evento, posto che tale potere certamente non ha il terzo potenzialmente minacciato da cose che appartengono ad altri, non essendo egli normalmente in grado di proteggersi da sé quanto meno perché ciò comporterebbe un'ingerenza nella sfera altrui. L'obbligo giuridico, poi, in tal caso discende dalle plurime norme (art. 677 c.p.; artt. 2051 e 2053 c.c.) che nel nostro ordinamento pongono a carico del proprietario e in genere di chi possa esercitare un pieno potere di controllo e custodia del bene pericoloso, l'obbligo di attivarsi onde prevenire pericoli all'incolumità di terzi derivanti dalla cosa sottoposta al loro potere di intervento. Per il caso di beni in comproprietà, è posto l'art. 1105 c.c. (Cass. pen., sez. IV, 10 luglio 2014 n. 38983).
L'art. 677 c.p. contiene tre distinte ipotesi, di cui due, relative alla sussistenza di un pericolo implicito o astratto, contemplate nel primo e nel secondo comma ed integranti illecito amministrativo, mentre la terza, relativa alla sussistenza di un vero e proprio pericolo concreto alle persone, di rilievo penale ed integrante una contravvenzione. Per la sussistenza del reato previsto dall'art. 677, comma 3, c.p., occorre che il proprietario - o chi per lui obbligato alla conservazione - non abbia provveduto prontamente ai lavori necessari e indispensabili per scongiurare il pericolo attuale per la pubblica incolumità, a nulla rilevando il costo degli stessi, il valore dell'immobile, le condizioni economiche del proprietario. Nemmeno rileva l'ignoranza dello stato di pericolo in cui versa l'edificio, rientrando nella normale diligenza del proprietario di un immobile curarne lo stato al fine di evitarne una rovina pericolosa. Egualmente non è necessaria da parte della pubblica amministrazione una preventiva diffida, con specifica previsione di un termine perentorio entro cui provvedere alla manutenzione dell'immobile pericolante. In altri termini l'obbligo di provvedere all'esecuzione dei lavori necessari a rimuovere il pericolo per l'incolumità delle persone sorge indipendentemente da qualsiasi provvedimento coattivo della pubblica amministrazione che, pertanto, ove adottato, assume carattere meramente ricognitivo della già verificatasi inosservanza. L'ordine della pubblica amministrazione, per quanto inottemperato, peraltro non comporta concorso formale di reati. La giurisprudenza di legittimità è ferma nell'affermare il principio secondo cui la clausola di sussidiarietà contenuta nell'art. 650 c.p. (secondo cui il reato di inosservanza dei provvedimenti dell'autorità si applica «se il fatto non costituisce un più grave reato») opera nel caso di concorso tra tale reato e quello, più grave, previsto dall'art. 677, comma 3, c.p., la cui contestazione assorbe la fattispecie sussidiaria di inosservanza del provvedimento dato per ragioni di sicurezza pubblica, punita dall'art. 650 c.p. (Cass. pen., sez. I, 9 gennaio 2017, n. 14664). Il concetto di rovina non comprende solo il crollo improvviso o lo sfascio dell'edificio o della costruzione nella loro totalità, ma anche il distacco di una parte non trascurabile dell'edificio o della costruzione. Il principio di tipicità preclude l'analogia in malam partem, di talché occorre trattarsi di edifici e costruzioni. Perciò è stato deciso che sfugge alla norma incriminatrice in commento la mera non corretta edificazione di una canna fumaria comportante, non il pericolo di crollo, ma solo una paventata dispersione di fumi non consentiti (Cass. pen., sez. I, 11 giugno 2014 n. 28128). Alla nozione di pericolo per la pubblica incolumità, che costituisce la ratio della norma sanzionatoria, è riconducibile non solo l'eventualità che il crollo coinvolga passanti, ma anche l'occasionale passaggio di persone, per motivi di lavoro o per qualsiasi altra ragione, nel luogo in cui insiste l'edificio. Il reato in questione sussiste altresì quando vi sia un edificio ubicato all'interno di un terreno privato. La contravvenzione di omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina è reato permanente a condotta omissiva e il suo stato di consumazione perdura fino a che il pericolo per la pubblica incolumità non sia cessato. Quando poi il capo d'imputazione menziona soltanto la data di accertamento, l'addebito deve ritenersi comprensivo dell'eventuale protrazione della condotta antigiuridica sino alla sentenza di primo grado. Se la libera disponibilità del bene si ponga in collegamento causale con la persistenza o l'aumento del pericolo alle persone, è legittimo il ricorso allo strumento del sequestro, per impedire che il reato venga portato ad ulteriori conseguenze. Difatti nel tale caso, l'unico utilizzo consentito del bene è quello volto all'eliminazione del pericolo, almeno fino a quando i proprietari non si siano attivati per eliminarne la causa (Cass. pen., sez. I, 30 settembre 2009, n. 40034). La responsabilità del condomino in quanto comproprietario delle parti comuni dell'edificio, è vista come sussidiaria a quella dell'amministratore, ovviamente nei condominii ove tale figura sia presente. È da tempo chiara la distinzione fra la responsabilità per le porzioni esclusive e per quelle comuni. Il singolo condomino è responsabile della contravvenzione all'art. 677 c.p. quando il pericolo di rovina abbia avuto origine nell'ambito della parte di edificio della quale il condomino stesso è proprietario esclusivo. È stato affermato che al compimento dei lavori nelle parti comuni debbono provvedere, secondo i casi, l'amministratore o l'assemblea dei condomini, mentre ciascun condomino, per la disposizione dell'art. 1134 c.c., ha la facoltà e non l'obbligo di anticipare le somme necessarie per i lavori urgenti (Cass. pen., sez. VI, 22 aprile 1980 n. 9206). Successivamente la regola ha avuto migliore elaborazione, con approfondimento dei casi in cui i due poteri preposti fallissero negli ambiti di competenza (amministratore per i casi di manutenzione ordinaria o straordinaria urgente e assemblea per il caso di manutenzione straordinaria). Nel tale caso, la mancata formazione della volontà assembleare e l'omesso stanziamento dei fondi necessari a porre rimedio al degrado che dà luogo al pericolo impedisce di ipotizzare una responsabilità dell'amministratore per non avere attuato interventi che non era in suo materiale potere adottare e per la realizzazione dei quali non aveva, nella veste, le necessarie provviste, ricadendo in siffatta situazione la responsabilità in capo ai proprietari e a ciascun singolo condomino, indipendentemente dall'attribuibilità ai medesimi dell'origine della situazione di pericolo (Cass. pen., sez. I, 10 febbraio 2009, n. 21401). Il principio sopra esposto non è altro che la specificazione della più generale regola di giustizia affermata dal codice penale, per cui ai fini della configurabilità dell'elemento soggettivo nel reato di omissione di lavori in edifici che minacciano rovina, è necessaria una volontà cosciente e libera. Ai sensi dell'art. 42 c.p. a tale momento soggettivo è connessa l'imputabilità per il reato contravvenzionale, esclusa dalla oggettiva impossibilità di esecuzione dei lavori non dipendente da colpa (Cass. pen., sez. I, 12 luglio 2016, n. 41932). L'eventuale difficoltà di raggiungere maggioranze utili alla formazione di una volontà comune, non osta alla configurabilità di una posizione di controllo in capo a tutti i comproprietari e a ciascuno di essi. Difatti non mancano all'ordinamento i mezzi alternativi: segnatamente attraverso il ricorso all'autorità giudiziaria, in sede di volontaria giurisdizione, per l'adozione dei provvedimenti opportuni (art. 1105, comma 4, c.c., applicabile anche al condominio in forza del rimando dell'art. 1139 c.c.). Nel caso della comunione pro indiviso il diretto sostenimento delle spese necessarie alla manutenzione e messa in sicurezza del bene da parte del singolo comunista comporta il diritto al rimborso da parte degli altri, in proporzione alle relative quote (art. 1110 c.c.). Nel caso del condominio, l'eventuale diretto sostenimento di siffatte spese da parte del singolo condomino è ripetibile alle condizioni di cui all'art. 1134 c.c. Va, peraltro, ricordato che è sufficiente, per andare esenti da responsabilità, per l'amministratore come per i condomini, intervenire sugli effetti anziché sulla causa della rovina, prevenendo la specifica situazione di pericolo indicata dalla norma incriminatrice con opere provvisorie ed urgenti oppure interdicendo, ove ciò sia possibile, l'accesso o il transito nelle zone pericolanti (Cass. pen., sez. I, 12 luglio 2016, n. 41932). Nel caso di più proprietari dell'edificio o della costruzione, l'inosservanza del provvedimento dell'autorità con cui si intima ai comproprietari pro indiviso di eliminare la situazione di pericolo è configurabile nei confronti di ciascuno dei destinatari, e quindi anche nei confronti di chi abbia adempiuto parzialmente, non rilevando, per la parte residua, l'inottemperanza degli altri titolari, non essendo frazionabile l'obbligo, che riguarda l'intera proprietà, salvo rivalsa, per chi l'abbia adempiuto per l'intero, verso gli altri (Cass. pen., sez. I, 29 gennaio 2008, n. 12679). In capo a tutti e a ciascuno dei comproprietari dell'immobile sussiste difatti l'obbligo di mantenere in sicurezza il bene e, comunque, di evitare che ai terzi possa derivare danno dalle situazioni di pericolo determinate dalle condizioni del medesimo. I possessori e i detentori
Trattando la posizione di garanzia riguardo al bene immobile potenzialmente pericoloso si abbracciano responsabilità soggettivamente diverse, ma sempre non alternative, anzi il più delle volte concorrenti nell'assolvimento dell'onere di protezione. Se nel rapporto amministratore condominiale\condomino la giurisprudenza privilegia per il secondo una responsabilità sussidiaria, invece nei rapporti fra chi abbia la titolarità del diritto dominicale e chi abbia la concreta disponibilità del bene a prevalere è il concorso di responsabilità. Se è vero, infatti, che anche il semplice possesso - ossia una situazione di fatto corrispondente all'esercizio di poteri dominicali sull'immobile, sia o meno assistita dalla effettiva sussistenza del diritto soggettivo - è idoneo a costituire fonte dell'assunzione di un obbligo di garanzia rilevante ai fini in discorso, ciò non esclude che con tale posizione possa concorrere anche quella di chi riveste la qualità di proprietario, in quanto pur sempre titolare di poteri e doveri di intervento esercitabili, se del caso, attraverso le eventuali dovute mediazioni giudiziali, anche in dissenso rispetto al terzo possessore. Sulla scorta di tali principi va esaminata la posizione dell'erede. Ove la fonte del subingresso nella posizione di comproprietari dell'immobile sia la successione ereditaria non è esclusa o ritardata di per sé l'attivazione della posizione di garanzia, l'acquisizione della quale si determina comunque in conseguenza della consapevole e volontaria scelta del chiamato di accettare l'eredità (ancorché implicitamente desunta, in caso di accettazione tacita), la quale a sua volta comporta l'onere per lo stesso di prendere cognizione dei beni caduti in successione. (Cass. pen., sez. IV, 10 luglio 2014, n. 38983). Prevale invece per il conduttore l'esonero di posizione di garanzia, seppure con richiami al dovere di piena collaborazione per cautelare pienamente il pericolo alla incolumità dei consociati. Secondo la più recente giurisprudenza di legittimità l'illecito di omissione dei lavori che minaccino rovina può essere commesso soltanto dal proprietario dell'edificio o dal non proprietario che, per legge o per convenzione, sia obbligato alla conservazione o alla vigilanza del medesimo. Ne consegue che il conduttore dell'appartamento sito nell'edificio non è destinatario, in quanto tale, del precetto dell'art. 677 c.p., atteso che, a norma dell'art. 1576 c.c., tutte le riparazioni necessarie per il mantenimento della cosa locata sono a carico del locatore e non già del conduttore e che costui ha solo l'onere, secondo quanto dispone l'art. 1583 c.c., di non opporsi alla loro esecuzione (Cass. pen., sez. I, 5 novembre 2002, n. 41709). Né cambia l'assunto la circostanza che la persona offesa, quale conduttore, avesse minacciato, in caso di inadempimento all'obbligazione di effettuare la manutenzione, lo svolgimento in proprio dei lavori con spese a carico del locatore. Infatti la posizione di garanzia grava sul proprietario locatore che non potrà sentirsi liberato da una mera minaccia legale del suo inquilino (Cass. pen., sez. IV, 17 ottobre 2012, n. 4493). In conclusione
In tempi meno prossimi, ma in definitiva coerentemente con l'orientamento sopra riportato, è stato affermato che costituisce violazione dell'art. 677 c.p. l'inosservanza da parte del conduttore dell'obbligo di attivarsi al fine di impedire un evento di danno o di pericolo e, in particolare, il mancato sgombero di un immobile ordinato per minaccia di rovina; infatti, il conduttore, a norma dell'art. 1583 c.c., è tenuto a consentire le riparazioni necessarie della cosa, anche quando dette riparazioni importano privazione del godimento di essa. Il richiamo più forte al dovere di attivazione dell'inquilino va ascritto a Cass. pen., sez. I, 22 gennaio 1997, n. 1437, che parte dalla constatazione che egli detiene il bene nel proprio interesse, con obbligo di provvedere alla piccola manutenzione e potere di eseguirvi comunque le riparazioni urgenti, dandone contemporaneamente avviso al locatore. Da ciò viene derivato l'obbligo di attivarsi, anche in luogo del proprietario, per la eliminazione di situazioni che possano, almeno potenzialmente, causare la violazione del principio del neminem laedere, ma con la precisazione che il conduttore non può essere ritenuto responsabile se non nei limiti in cui le leggi civili gli consentono un autonomo potere di intervento. Pezzi - Mereu, Il proprietario dell'appartamento è “garante” della sicurezza dell'inquilino, in Immob. & proprietà, 2007, 714; Gargani, Percorsi di giurisprudenza - Le posizioni di garanzia, in Giur. it., 2016, I, 214; Leo, Edifici che minacciano rovina e responsabilità del conduttore, in Diritto pen. e proc., 2003, 5, 571. |