Alle Sezioni Unite le conseguenze del licenziamento per errato superamento del periodo di comporto

Francesco Pedroni
16 Novembre 2017

La Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al primo Presidente per la valutazione dell'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della trattazione del ricorso che verte sulle conseguenze giuridiche del licenziamento intimato in costanza di malattia del lavoratore durante il periodo di comporto.

La Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al primo presidente per la valutazione dell'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della trattazione del ricorso che verte sulle conseguenze giuridiche del licenziamento intimato in costanza di malattia del lavoratore durante il periodo di comporto.

Un lavoratore adiva il giudice del lavoro chiedendo di accertarsi la illegittimità del licenziamento, intimato per superamento del periodo di comporto, lamentando erroneità di calcolo, da parte del datore di lavoro, delle assenze effettuate in base alle previsioni del CCNL applicabile al rapporto di lavoro.

Sia in primo che in secondo grado la domanda veniva rigettata. Nel disattendere l'impugnazione di secondo grado la Corte d'Appello territoriale, confermando le medesime conclusioni cui era giunto il giudice di primo grado, ribadiva il principio secondo cui il licenziamento intimato prima della scadenza del periodo di comporto non è nullo e neppure ingiustificato, ma temporaneamente inefficace fino al venir meno della situazione ostativa (cessazione della malattia). Il lavoratore ricorreva in cassazione denunciando, tra l'altro, violazione di legge (art. 2110 c.c.) e di CCNL in relazione al calcolo della malattia effettuato dalla datrice di lavoro e le relative conseguenze sul licenziamento.

Si tratta di stabilire quali siano le conseguenze giuridiche (tra nullità e inefficacia) del licenziamento intimato prima della scadenza del periodo di comporto previsto dalla contrattazione collettiva applicabile al rapporto di lavoro e, quindi, in applicazione dell'art. 2110, comma 2 c.c..

La quarta sezione della Corte di Cassazione Corte di Appello di Milano, dopo aver confermato il contrasto giurisprudenziale, interno alla propria sezione, circa le conseguenze del licenziamento intimato durante il periodo di protezione previsto dal CCNL, esamina i diversi orientamenti della giurisprudenza di legittimità sul tema e conclude rimettendo gli atti al primo presidente per la valutazione dell'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

Secondo un primo orientamento giurisprudenziale il licenziamento fondato sul superamento del periodo di comporto, prima della relativa scadenza, intimato in costanza di malattia del lavoratore, è inefficace fintanto che la causa ostativa (il perdurare della malattia) persista e produce automaticamente i propri effetti non appena l'evento (il superamento del periodo di comporto previsto dal CCNL) si verifica (Cass. sez. lav., 04 luglio 2001, n. 9037; Cass. sez. lav., 10 febbraio 1993, n. 1657).

Il fondamento normativo di tale conclusione si rinviene nel principio di conservazione degli atti giuridici desumibile dall'art. 1367 c.c., applicabile al licenziamento in virtù del rinvio operato agli atti unilaterali dall'art. 1324 c.c.

Questo orientamento richiama, analogicamente, quello in tema di licenziamento per giustificato motivo intimato durante la malattia del lavoratore per cui il recesso è ritenuto valido, ma solo la sua efficacia è sospesa fino al venir meno della situazione ostativa (Cass. sez. lav., 10 ottobre 2013, n. 23063; Cass. 6 luglio 1990, n. 7098; Cass. 2 luglio 1988, n. 4394; Cass. 17 dicembre 1987, n. 9375; Cass. sez. lav., 29 giugno 1985, n. 3909; Cass. sez. lav., 15 maggio 1984, n. 2966; Cass. sez. lav., 30 aprile 1985, n. 2779; Cass. sez. lav., 15 marzo 1984, n. 1781; Cass. sez. lav., 19 gennaio 1981, n. 451).

Al predetto orientamento si contrappone quello espresso in altre pronunce della quarta sezione della Corte di Cassazione con cui è stato affermato che nella fattispecie considerata il licenziamento è radicalmente nullo e non inefficace (Cass. sez. lav., 18 novembre 2014, n. 24525; Cass. sez. lav., 26 ottobre 1999, n. 12031; Cass. sez. lav., 21 settembre 1991, n. 9869; Cass. sez. lav., 17 aprile 1987; Trib. Bari, 16 gennaio 2017, n. 148). Tale tesi si fonda sulla considerazione che, in base ad una lettura coordinata della disciplina dettata dall'art. 2110 c.c., comma 2 e della L. 15 luglio 1966, n. 604 in tema di licenziamenti individuali, solo l'avvenuto superamento del periodo di comporto conferisce al datore di lavoro il diritto di recedere dal contratto, pertanto il potere datoriale di risoluzione del rapporto fondato sul superamento del periodo di comporto non può legittimamente esercitarsi se non in presenza del completo realizzarsi del comporto stesso, non essendo logicamente configurabile un diritto datoriale di recesso anteriore alla realizzazione della relativa situazione giustificativa (Cass. sez. lav., 19 gennaio 1988, n. 382; Cass. sez. lav., 10 aprile 1981, n. 2090; Cass. sez. lav., 22 febbraio 1980, n. 1277), con conseguente applicazione della tutela reintegratoria prevista dall'art. 18 St. Lav. e dall'art. 2 D.Lgs. n. 23/2015 a seconda del regime applicabile.

Un'indicazione per la soluzione del contrasto potrebbe provenire dalla riflessione sulla natura del licenziamento per superamento del periodo di comporto e sull'attenzione prestata dal legislatore a tale tipologia di recesso.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, il licenziamento in questione non costituisce un'ipotesi di giustificato motivo, ma un'autonoma fattispecie di recesso che trova la sua fonte diretta nell'art. 2110 c.c. (Cass. civ., SU, n. 20172/1980) e che si sostanzia nella impossibilità oggettiva della prestazione secondo le regole generali di cui agli artt. 1256 e 1464 c.c. Del resto, il recesso per esaurimento del periodo di comporto non sembra rientrare nella definizione normativa di giustificato motivo oggettivo data dall'art. 3 della L. n. 604/1966 (“Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”) e il legislatore ha escluso il licenziamento per superamento del periodo di comporto dalla procedura di conciliazione preventiva prevista per il caso di licenziamento per motivo oggettivo (art. 7, comma 6 L. n. 604/1966 secondo cui “La procedura di cui al presente articolo non trova applicazione in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto di cui all'art. 2110 c.c.”). Inoltre, le conseguenze giuridiche in caso di illegittimità del licenziamento per violazione del periodo di comporto sono specificamente regolate da norma espressa (art. 18, comma 7, St., Lav. “Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell'ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli artt. 4, comma 4, e 10, comma 3, della L. 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell'inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell'art. 2110, secondo comma, del c.c.”.