Indennità di trasferta e regime contributivo

La Redazione
20 Novembre 2017

Torna dinanzi alla Corte di Cassazione la questione relativa al trattamento contributivo e fiscale applicabile alle indennità di trasferta, su cui gli interventi del legislatore avevano portato alla formazione di una giurisprudenza non univoca.

Sul tema sono intervenute le Sezioni Unite Civili della Suprema Corte con la sentenza n. 27093/17, depositata il 15 novembre.

Il caso. La pronuncia in oggetto origina dalla controversia insorta tra l'INPS ed il titolare di una ditta individuale, condannato al versamento dei contributi dovuti sulle somme corrisposte ai propri dipendenti a titolo di indennità di trasferta ex art. 51, comma 6, D.P.R. n. 917/1986 (TUIR), relativo alla determinazione del reddito da lavoro dipendente.

La questio iuris. La questione giunge dunque dinanzi alle Sezioni Unite che sono chiamate ad esprimersi sul regime applicabile ai contributi dovuti sull'indennità di trasferta nel caso di specie e, dunque, sull'applicabilità del regime previsto dall'art. 51, comma 5, TUIR per i “trasfertisti occasionali” oppure quello dell'art. 51, comma 6, TUIR per i “trasfertisti abituali”.

Trasfertisti abituali. Le due fattispecie si distinguono sulla base dell'accertamento di fatto riservato al giudice di merito che qualificherà come “trasfertisti abituali” i «lavoratori subordinati destinati a svolgere sistematicamente e professionalmente la propria attività quasi interamente al di fuori della sede aziendale». Sulla base di tale presupposto, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere un'indennità di natura risarcitoria - se relativa alle spese sostenute dal lavoratore per recarsi nel luogo in cui deve svolgere la sua attività come destinazione stabile e continuativa- o retributiva – laddove si tratti del corrispettivo della peculiarità della abituale collaborazione richiesta al dipendente e dunque del maggior disagio provocato -.
Tale duplice componente retributiva si riflette anche sulla determinazione del regime contributivo e fiscale su cui giurisprudenza e dottrina hanno nel tempo sviluppato diversi orientamenti, anche a seguito di diversi interventi normativi.

«Anche se…». Punto focale del “rompicapo ermeneutico” è la locuzione «anche se…» contenuta nel comma 6 dell'art. 51 TUIR secondo cui, testualmente, «le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all'espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità, [...] concorrono a formare il reddito nella misura del 50 per cento del loro ammontare [...]».
Il Supremo Collegio ribalta il precedente orientamento consolidato nella sentenza n. 396/2012 ed afferma che alla locuzione summenzionata «non possa essere attribuito il significato di limitare la “rigida continuità” della “trasferta abituale” (e della corresponsione del relativo compenso), considerando tale elemento come eventuale». Il legislatore, con l'inciso «anche se…», ha infatti voluto prendere in considerazione la continuità delle trasferte solo in senso eventuale e dunque anche nel caso di continuità il trattamento contributivo non deve essere quello ordinario, bensì quello più favorevole previsto per le indennità di trasferta abituale.
Nel caso di specie, dunque la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto che il ricorrente fosse tenuto a corrispondere i contributi dovuti all'INPS sulle indennità versate ai dipendenti nella misura prevista dall'art. 51, comma 6 per i trasfertisti abituali, mentre doveva ritenersi applicabile il regime per i trasfertisti occasionali in quanto il compenso non era corrisposto «in misura fissa». Il ricorso viene quindi accolto e la sentenza impugnata cassata con annullamento della cartella di pagamento opposta.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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