Il Testo Unico sulle società partecipate. Una riforma già corretta

Valentina Guerrieri
20 Novembre 2017

Il decreto correttivo del Testo Unico società partecipate (D.Lgs. 16 giugno 2017, n. 100) introduce notevoli modifiche e integrazioni con riferimento ai profili del D.Lgs. n. 175/2016 risultati, nei primi mesi di vigenza della nuova disciplina, maggiormente problematici. Le “correzioni” sono state apportate anche alla luce delle illegittimità rilevate della sentenza della Corte Costituzionale 25 novembre 2016, n. 251. Il risultato della novella legislativa, tuttavia, non è stato sempre quello sperato.
La necessità di un decreto correttivo

A pochi mesi dall'entrata in vigore del D.Lgs. n. 175/2016, la Corte Costituzionale, con la sentenza 251/2016, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della Legge Madia, poiché non ha ritenuto soddisfatto, sulle materie di competenza anche regionale - tra cui le società pubbliche - il principio di leale collaborazione, che, nell'ambito del procedimento legislativo, deve essere assicurato coinvolgendo le autonomie regionali attraverso lo strumento dell'intesa e non del parere.

La materia delle partecipazioni pubbliche richiede, infatti, il coinvolgimento delle Regioni e delle autonomie territoriali in sede di Conferenza Unificata poiché interessa, da un lato, i profili pubblicistici relativi alle modalità organizzative di gestione delle funzioni amministrative, che rientrano nella competenza residuale delle Regioni. Dall'altro, vengono, invece, in rilievo ambiti di competenza esclusiva dello Stato per ciò che riguarda gli aspetti più propriamente privatistici, relativi alla forma e alle regole di funzionamento delle società in mano pubblica (che trovano fonte nel codice civile), a cui si affiancano, altresì, profili di tutela della concorrenza e del mercato.

La Consulta ha, pertanto, ritenuto che il percorso più ragionevole e compatibile con l'impianto complessivo della sentenza n. 251/2016 fosse quello di intervenire mediante i decreti correttivi, previa intesa in Conferenza Stato-Regioni, dato che “quest'ultima è la sede più idonea a consentire l'integrazione dei diversi punti di vista e delle diverse esigenze degli enti territoriali coinvolti”.

Sulla scorta delle premesse richiamate si è, dunque, resa necessaria la predisposizione di un decreto correttivo (D.Lgs. 16 giugno 2017, n. 100) che è stato valutato positivamente dal Consiglio di Stato nel parere n. 83 del 2017.

Alcune delle modifiche e integrazioni sollecitate dalle autonomie locali al fine di raggiungere l'intesa assumono particolare rilevanza. Di seguito si darà sinteticamente conto delle principali “correzioni” apportate al D.Lgs. n. 175/2016.

Ambito soggettivo di applicazione del Testo Unico

Un importante intervento del D.Lgs. n. 100/2017 si registra con riguardo ai soggetti coinvolti dall'applicazione del D.Lgs. n. 175/2016. In particolare, il decreto correttivo interviene (art. 3) sull'art. 1, comma 5 del T.U., precisando che il medesimo regime giuridico previsto per le società quotate si applica anche alle “società da esse partecipate, salvo che queste ultime siano, non per il tramite di società quotate, controllate o partecipate dalle amministrazioni pubbliche”.

In accoglimento del parere del Consiglio di Stato, è stato precisato che, a fini di applicazione del Testo Unico, rileva la situazione di controllo o partecipazione diretta dell'amministrazione e non già quella esercitata per il tramite di società quotate. La previsione de qua era originariamente contenuta nell'art. 2, comma 1, lettera p) – oggi espunta - è stata poi inserita nell'art. 1 al fine di non ingenerare incertezza sulla definizione di società quotata.

Non è stata accolta l'osservazione della V Commissione della Camera dei deputati di escludere dall'ambito di applicazione della disciplina prevista dal D.Lgs. n. 175/2016 le società partecipate dalle amministrazioni pubbliche con partecipazioni di entità estremamente limitata rispetto all'ammontare del capitale sociale delle predette società, ritenendo – come si legge nella Relazione Illustrativa - che “l'entità della partecipazione non possa rilevare a fini di esclusione dall'applicazione del decreto e che la deroga indebolisca l'impianto normativo e le finalità di razionalizzazione perseguite dal provvedimento”.

Definizioni: in particolare l'in house

L'art. 2 del T.U., rubricato “definizioni”, ha subito diverse integrazioni da parte dell'art. 4 del decreto correttivo. Viene, infatti, riformulata la nozione di “società” (lett. b) ricomprendendo, altresì, gli organismi societari che hanno come oggetto sociale lo svolgimento di attività consortili, rendendo, così, applicabili le disposizioni del D.Lgs. n. 175/2016 alle società consortili disciplinate dall'art. 2615-ter c.c. La predetta precisazione si è resa necessaria al fine di tener conto del disposto dell'art. 3, comma 1, T.U. il quale prevede, tra l'altro che, le “amministrazioni pubbliche possono partecipare esclusivamente a società, anche consortili, costituite in forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata, anche in forma cooperativa”.

Risulta, poi, corretta la definizione di società in house (lett. o) seguendo la sollecitazione contenuta nel parere del Consiglio di Stato che aveva ammonito l'esecutivo circa il riferimento “soltanto al primo dei c.d. “requisiti Teckal” (quello del “controllo analogo”), e non anche a quello dell'attività prevalente” (che, oltretutto, il T.U. ha rimodulato rispetto alla sua iniziale portata, in conformità alla nuova normativa UE)”.Pertanto, le società in house sono definite nella versione“corretta” del T.U. “società sulle quali un'amministrazione esercita il controllo analogo o più amministrazioni esercitano il controllo analogo congiunto, nelle quali la partecipazione di capitali privati avviene nelle forme di cui all'articolo 16, comma 1, e che soddisfano il requisito dell'attività prevalente di cui all'articolo 16, comma 3”.

L'art. 16 comma 1 del Testo Unico, che è rimastoinvariato, si occupa della partecipazione dei capitali privati precisando che “le società in house ricevono affidamenti diretti di contratti pubblici dalle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo o da ciascuna delle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo congiunto solo se non vi sia partecipazione di capitali privati, ad eccezione di quella prescritta da norme di legge e che avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l'esercizio di un'influenza determinante sulla società controllata”. Mentre, il comma 2 dello stesso art. 16 T.U. definisce il requisito dell'attività prevalente, richiedendo “che oltre l'ottanta per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall'ente pubblico o dagli enti pubblici soci”.

Finalità perseguibili mediante l'acquisizione e la gestione di partecipazioni pubbliche.

Un ulteriore elemento di novità si riscontra con riguardo alle finalità perseguibili dalle amministrazioni attraverso l'acquisizione e la gestione di partecipazioni pubbliche definite dal legislatore nell'art. 4 del Testo Unico, novellato dall'art. 5 del decreto correttivo. In particolare, il comma 2 - che enuclea le attività per l'esercizio delle quali “le amministrazioni pubbliche possono, direttamente o indirettamente, costituire società e acquisire o mantenere partecipazioni in società”- viene modificato precisando che tra le attività ammesse c'è anche quella di“autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti” (come era previsto nel testo dell'agosto del 2016), ma anche “allo svolgimento delle loro funzioni”. Rimane, altresì, invariato, per le attività di autoproduzione, la necessità di rispettare “le condizioni stabilite

dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento”. La correzione apportata dal D.Lgs. n. 100/2017 è frutto di una sollecitazione proveniente dalle osservazioni della Iª Commissione Affari Costituzionali del Senato sullo schema del decreto correttivo che invitava il Governo a valutare “l'opportunità di attribuire alle pubbliche amministrazioni la facoltà di istituire o partecipare a società pubbliche (…) non solo per la produzione di beni o servizi, ma anche per lo svolgimento delle loro funzioni”.

Altre modifiche si rinvengono nella seconda parte dell'art. 4 del D.Lgs. n. 175/2016 dedicata alle deroghe rispetto alla disciplina generale delle finalità perseguibili dalle società pubbliche. Precisamente, al comma 7 si inserisce la possibilità di detenere partecipazioni anche in società che hanno quale oggetto sociale la produzione di energia da fonti rinnovabili”. A tal proposito si tenga, altresì, presente che ai fini della necessaria razionalizzazione periodica delle partecipazioni prevista dall'art. 20 T.U. è necessario, anche per le società che producono energie derivanti da fonti rinnovabili, che abbiano “prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti”, considerando, tuttavia, gli esercizi successivi all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 175/2016. Al comma 8, si introduce, invece, la possibilità per le università di costituire società per la gestione di aziende agricole con funzioni didattiche.

Ancora, il comma 9 dell'art. 4 disciplina la facoltà, riconosciuta al decreto del Presiedente del Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell'Economia e delle finanze o dell'organo di vertice dell'amministrazione partecipante di escludere, in modo totale o parziale, dall'applicazione delle disposizioni dell'articolo 4 del Testo Unico a determinate società. Il decreto correttivo prevede che detto esonero possa essere operato anche mediante provvedimenti assunti dai Presidenti di Regione e delle Province autonome di Trento e Bolzano, nell'ambito delle rispettive competenze, e rispetto della legislazione regionale, dei principi di trasparenza e di pubblicità. In analogia a quanto già previsto per i DPCM, anche il provvedimento regionale deve essere motivato “con riferimento alla misura e qualità della partecipazione pubblica, agli interessi pubblici a essa connessi e al tipo di attività svolta, riconducibile alle finalità” enucleate dal primo comma dell'art. 4 T.U. Rispetto alla motivazione richiesta per il decreto del Presidente del Consiglio è assente il riferimento “al fine di agevolarne la quotazione” della società.

L'integrazione appena richiamata – come chiarito nella Relazione Illustrativa allegata allo schema del decreto correttivo - è diretta a “valorizzare il principio di leale collaborazione nei rapporti tra Stato e regioni, come anche richiesto espressamente dalla Corte costituzionale con la citata sentenza n. 251 del 2016”.

L'ultimo periodo del novellato comma 9 dell'art. 4 recepisce le osservazioni formulate dalla Vª Commissione della Camera dei deputati e dalla Iª Commissione del Senato di subordinare la facoltà del Presidente della Regione di deliberare l'esclusione totale o parziale dell'applicazione del disposto dell'art. 4 T.U. al rispetto di specifici criteri e procedure di verifica, ovvero l'obbligo di informativa alla Corte dei Conti, alla struttura di monitoraggio e controllo presso il ministero dell'Economia e delle finanze e alle Commissioni parlamentari competenti. Al contrario, l'esecutivo ha ritenuto di non seguire le sollecitazioni del Consiglio di Stato che invitava a indicare i criteri normativi idonei a costituire adeguato parametro di riferimento per l'esercizio del potere di esclusione dell'applicazione delle disposizioni del Testo Unico in oggetto attribuito al Presidente del Consiglio dei ministri ed esprimeva parere contrario sull'attribuzione del predetto potere al Presidente della Regione. A detta della Commissione speciale l'“aggiunta in questione, difatti, consentirebbe a un'autorità regionale di derogare, con suo provvedimento, a una disciplina statale generale propria dell'ordinamento civile. Tale possibilità provoca un vulnus nell'omogeneità e nell'uniformità dell'applicazione del diritto privato che non trova alcun fondamento, non soltanto nella legge delega, ma neppure nei principi generali dell'ordinamento. Peraltro, la ratio della correzione sembra muovere anche da un presupposto inesatto. La volontà di contemplare un sistema di garanzia delle autonomie regionali non dovrebbe riguardare tutte le «società a partecipazione regionale», ma soltanto le “società strumentali” all'esercizio di funzioni di competenza della Regione. (…) E ciò accade nel caso in cui le società regionali (…) pongono in essere «attività amministrativa in forma privatistica» in favore dell'ente regionale stesso. Ne consegue che soltanto nel caso in cui vengano in rilievo tali tipologie societarie (…) si potrebbe giustificare un intervento derogatorio, che comunque non sembra poter mai giungere fino alla previsione di un potere amministrativo regionale tout court di esclusione delle stesse dal perimetro della riforma, ma dovrebbe comunque avvenire di intesa con l'autorità statale”. Tuttavia, il Governo ha, nella Relazione illustrativa, “difeso” la previsione della facoltà di esclusione, ora estesa anche al Presidente della Regione, ritenendo che questa appare “molto circoscritta nell'ambito di applicazione e, in ogni caso, precisa in ordine ai presupposti del potere”.

Infine, la Conferenza Unificata in sede di intesa ha proposto l'inserimento del comma 9-bis all'art. 4, che fa salva la prerogativa per le amministrazioni di derogare all'art. 4 comma 2 lett. a), e, dunque, di acquisire o mantenere partecipazioni in società che producono servizi di interesse economico generale a rete fuori dall'ambito territoriale della collettività di riferimento. Accogliendo l'invito proveniente dalla Iª Commissione del Senato si è chiarito che detta previsione derogatoria riguarda solo le partecipazioni in società che abbiano in corso o ottengano l'affidamento del servizio tramite procedure ad evidenza pubblica. In altre parole, il decreto correttivo rende ammissibili partecipazioni in società con attività extra moenia, anche se con i limiti e le condizioni appena richiamate.

Si è ritenuto, inoltre, di precisare che resta ferma l'applicazione degli artt. 20 e 16 del T.U. Il richiamo alla prima diposizione impone che anche dette società che producono servizi economici di interesse generale a rete debbono essere razionalizzate se abbiano un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti. Mentre, la completa operatività dell'art. 16 del T.U. che disciplina le società in house, si è resa necessaria “al fine di salvaguardare – come si legge nella Relazione illustrativa - la disciplina europea e con essa la previsione secondo la quale tali società devono in ogni caso garantire che oltre l'80% del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti ad esso affidati dall'ente pubblico o dagli enti pubblici soci, potendo agire fuori da tale ambito solo ed esclusivamente per la produzione ulteriore”.

Oneri di motivazione analitica dell'atto di costituzione della società o dell'acquisto di partecipazioni

L'art. 5 del T.U. disciplina il procedimento di adozione e il contenuto dell'atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica ovvero della delibera di acquisto di partecipazioni in società già costituite, prevedendo precisi obblighi di motivazione. A questa disposizione fanno eccezione i casi in cui la costituzione di società pubbliche, ovvero l'acquisto di partecipazioni, si realizza in conformità di previsioni legislative (anche regionali). Anche la predetta norma ha subìto delle modifiche. In particolare, permane l'esigenza di dare atto della “necessità della società per il perseguimento delle finalità istituzionali (…) evidenziando, altresì, le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato. La motivazione deve anche dare conto della compatibilità della scelta con i principi di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa”. Con il decreto correttivo (art. 6) è, invece, stato espunto al primo comma il riferimento alla “possibilità di destinazione alternativa delle risorse pubbliche impiegate”, previsione che non risultava di facile attuazione pratica.

Il Consiglio di Stato aveva fortemente ammonito il Governo su detta modifica chiarendo che essa fa venir meno “l'unico onere motivazionale effettivamente stringente per l'attività di acquisto presso terzi delle partecipazioni sociali. Questa, non essendo sottoposta ad alcun onere di selezione competitiva del venditore, può ritenersi sottoposta unicamente ai principi di mercato. Eliminando l'onere di indicare la possibile «destinazione alternativa delle risorse» si potrebbero legittimare operazioni che, pur essendo astrattamente conformi a criteri economici, risultino comunque discriminatorie, perché l'amministrazione potrebbe favorire un potenziale venditore al posto di un altro”.

Anche il comma 2 dell'art 5 del T.U. è stato integrato nel 2017 precisando che lo schema di atto deliberativo è sottoposto a forme di consultazione pubblica secondo modalità disciplinate dagli enti locali. Sul punto il Governo non ha seguito le osservazioni del parere del Consiglio di Stato che riteneva preferibile “l'emanazione di un decreto del Presidente della Giunta (…) ovvero un DPCM adottato previa intesa con la Conferenza Unificata Stato Regioni”.

Il decreto correttivo, infine, novella il primo periodo del comma 4 dell'art. 5 precisando che sui richiamati atti deliberativi “delle amministrazioni dello Stato e degli enti nazionali sono competenti le Sezioni Riunite in sede di controllo”.

Organi amministrativi e di controllo delle società pubbliche

Anche in materia di governance societaria si registrano “correzioni” apportate dall'art. 7 del correttivo che incide sull'art. 11 del T.U., il quale disciplina la composizione degli organi di amministrazione con riguardo al numero dei componenti – prevedendo la regola della gestione da parte di un amministratore unico – ai requisiti che gli stessi devono possedere e ai compensi dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo, dirigenti e dipendenti delle società.

Più nel dettaglio, con riguardo all'iter di adozione D.P.C.M. previsto al comma 1 dell'art. 11 T.U. per determinare i requisiti di onorabilità e autonomia degli organi amministrativi e di controllo di società in mano pubblica, si chiarisce che viene adottato previa intesa in Conferenza Unificata.

Viene, poi, interamente riscritto il comma 3 che amplia le possibilità per l'assemblea di derogare al principio secondo cui l'organo amministrativo della società è costituito da un amministratore unico. Si prevede, infatti, che “l'assemblea della società a controllo pubblico, con delibera motivata con riguardo a specifiche ragioni di adeguatezza organizzativa e tenendo conto delle esigenze di contenimento dei costi, può disporre che la società sia amministrata da un consiglio di amministrazione composto da tre o cinque membri, ovvero che sia adottato uno dei sistemi alternativi di amministrazione e controllo”, ovvero quello di tipo dualistico o quello di tipomonistico.

Le criticità legate all'eccessivo spazio lasciato alla valutazione caso per caso da parte dell'organo assembleare sono state acutamente messe in luce dall'ANAC che in audizione alla Camera dei deputati, precisava che “la precedente formulazione - che prevedeva la definizione tramite D.P.C.M. dei criteri in base ai quali, per ragioni di adeguatezza organizzativa l'assemblea della società a controllo pubblico potesse disporre che la società fosse amministrata da un consiglio di amministrazione composto a tre o cinque membri ovvero che fosse adottato un modello di governance diverso - appariva adeguata a garantire una omogeneità nell'azione delle assemblee delle società a controllo pubblico. La modifica rimette, invece, a ciascuna assemblea societaria la decisione in merito all'amministrazione della società, prevedendo esclusivamente un obbligo motivazionale”.

In ossequio alla sentenza della Corte Costituzionale n. 251/2016, anche al comma 6 dell'art. 11 T.U. si chiarisce che il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze - con il quale sono definiti indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi, per individuare fino a cinque fasce per la classificazione delle società a controllo pubblico e i criteri di determinazione della remunerazione degli amministratori di tali società attraverso la previsione di limiti massimi di remunerazione proporzionati alla dimensione dell'impresa - deve essere adottato, in caso di società controllate dalle Regioni o dagli enti locali, previa intesa in Conferenza unificata. Sul punto, si segnala che l'esecutivo non ha recepito l'osservazione del Consiglio di Stato (ritenuta superflua) secondo cui sarebbe stato opportuno specificare che il predetto D.M. “si applica alle società a controllo pubblico “diretto ed indiretto” (…)”. Non è stata, altresì, accolta l'indicazione della Commissione speciale volta a precisare che, ai fini del controllo sul superamento del limite ai compensi, si dovrebbe “tenere conto dei compensi corrisposti non solo da altre pubbliche amministrazioni o da altre società in controllo pubblico ma anche da “altre società partecipate”(…)”. Il Consiglio di Stato riteneva necessaria detta specificazione per evitare “possibili elusioni all'applicazione dei limiti previsti” per le retribuzioni degli amministratori delle società in anno pubblica.

Gestione del personale

Anche l'art. 19 del T.U. rubricato “gestione del personale” è stato novellato dall'art. 7 del D.Lgs. 100/2017. Precisamente, al comma 5 dell'art. 19 del T.U. si stabilisce che le amministrazioni pubbliche che detengono partecipazioni, nel fissare obiettivi specifici annuali e pluriennali, sul complesso delle spese di funzionamento delle società controllate comprese quelle destinate al personale, devono tener conto (oltre che alle disposizioni transitorie fissate dall'art. 25 del T.U. e di quelle che stabiliscono divieti o limitazioni alle assunzioni di personale anche) “del settore in cui ciascun soggetto opera”. Detta modifica non è stata salutata positivamente dall'ANAC chenell'Audizione alla Commissione bilancio della Camera ha ritenuto maggiormente adeguata la disciplina previgente in quanto obbligava indistintamente “tutte le amministrazioni pubbliche socie a fissare obiettivi specifici anche di lunga durata che consentissero il contenimento delle spese di funzionamento, anche con riferimento al personale”.

In accoglimento dell'intesa sancita in Conferenza unificata, si prevede, al comma 8, che nei casi in cui le amministrazioni titolari di partecipazioni di controllo in società decidano di reinternalizzare delle funzioni o dei servizi esternalizzati, affidati alle società stesse, e procedano - prima di effettuare nuove assunzioni - al riassorbimento dei dipendenti, “limitatamente al recupero delle risorse, in precedenza assegnate alla società per il personale trasferito, la spesa per il riassorbimento del personale non rileva nell'ambito delle facoltà assunzionali disponibili e del parametro di cui al comma 557-quater dell'art. 1 della legge n. 296/2006”. Non è stata, invece, accolta la proposta del Consiglio di Stato di estendere espressamente alle società in house la norma relativa al personale delle società a controllo pubblico.

Al comma 9 dell'art. 19 si precisa che le disposizioni in materia di personale previste dalla normativa vigente (legge 27 dicembre 2013, n. 147 – Legge di Stabilità per il 2014) continuino ad applicarsi fino alla data di pubblicazione del decreto di cui all'articolo 25, comma 1 e comunque non oltre il 31 dicembre 2017.

In tema di personale, ulteriori adeguamenti sono stati apportati all'art. 25 del T.U. dall'art. 14 del decreto correttivo che differisce al 30 settembre il termine per le società controllate di effettuare la ricognizione del personale per individuare eventuali eccedenze.

Revisione straordinaria e razionalizzazione periodica delle partecipazioni

L'art. 20 del D.Lgs. n. 175/2016, che disciplina la procedura di razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche, è stato emendato dall'art. 14 del decreto correttivo solo al comma 7, specificando che le sanzioni stabilite in caso di mancata adozione gli atti di cui ai commi da 1 a 4 si riferiscono – esclusivamente (previsione non contenuta nel testo originario) - agli enti locali. Pertanto, la mancata adozione, da parte di questi ultimi dei provvedimenti recanti l'analisi dell'assetto complessivo delle società in cui detengono partecipazioni e, ove necessario, il piano di razionalizzazione, nonché la successiva relazione sull'attuazione del medesimo piano comporta per detti enti la sanzione amministrativa da un minimo di euro 5.000 a un massimo di euro 500.000 (salvo il danno eventualmente rilevato in sede di giudizio amministrativo contabile).

L'art. 24 del T.U. si occupa, invece, del meccanismo di razionalizzazione straordinaria, senza, tuttavia prevedere l'alienazione diretta delle partecipazioni come disposto all'art. 20 del T.U. Il correttivo differisce al 30 settembre 2017 – come richiesto in sede di Conferenza unificata e dalla V Commissione della Camera - il termine per la ricognizione di tutte le partecipazioni possedute dalle amministrazioni alla data di entrata in vigore del T.U., ovvero il 23 settembre 2016. (Tuttavia, si precisa che l'art. 21 del D.Lgs. n. 100/2017 posticipa al 1 ottobre 2017 l'entrata in vigore delle disposizioni relative al provvedimento di ricognizione delle partecipazioni detenute e ai conseguenti atti deliberativi - art. 24 commi 3 e 5 del T.U.- e sono fatti salvi gli atti di esercizio dei diritti sociali di cui all'art. 24 comma 5 del T.U. già compiuti dal socio pubblico sino a detta data).

Non sono invece stati accolti i suggerimenti del Consiglio di Stato volti a prevedere “l'obbligo in capo alle pubbliche amministrazioni di inviare il provvedimento avente ad oggetto l'analisi dell'assetto complessivo delle società in cui detengono partecipazioni all'Autorità garante per la concorrenza e per il mercato anche al fine di consentire a quest'ultima l'esercizio del potere di cui all'art. 21-bis, della L. n. 287/1990”. Inoltre l'esecutivo non ha recepito l'invito della Commissione speciale di chiarire che “il meccanismo di revisione opera anche per le società in house miste, ossia quelle nelle quali vi sia una partecipazione di capitale privato”.

Ulteriori richiami alla razionalizzazione periodica ricorrono anche nel successivo art. 26 del T.U. Rispetto alla prescrizione secondo cui devono essere assoggettate a razionalizzazione le partecipazioni in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro (dell'art. 20, comma 2, lett. d), era emersa da più parti la richiesta di procedere ad un abbassamento di tale livello di riferimento. L'art. 17 del D.Lgs. n. 100/2017 introduce, dunque, il comma 12-quinquies dell'art. 26 T.U., che precisa che il primo triennio rilevante che terrà conto della soglia di un milione di euro è identificato nel triennio 2017-2019. Si segnala che in via transitoria, si applica la soglia di fatturato medio non superiore a 500.000 euro per il triennio precedente l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 175/2016 ai fini dell'adozione dei piani di revisione straordinaria di cui all'art. 24 e per i trienni 2015- 2017 e 2016-2018 per predisporre i piani di razionalizzazione di cui all'art. 20.

La ratio della modifica del livello di fatturato medio va individuata, nel breve termine nella necessità di escludere dalle procedure di razionalizzazione le società rientranti nella classe tra 500.000 e 1.000.000 di euro. Al contrario, nel lungo termine la disciplina a regime dovrebbe favorire un processo di aggregazione idoneo a consentire il superamento del livello di fatturato medio richiesto.

Viene, poi, inserito il comma 12-ter all'art. 26 del T.U. prevedendo per le società con caratteristiche di spin off o di start up universitari, nonché quelle con caratteristiche analoghe degli enti di ricerca (previste dall'art. 4 comma 8 del T.U.) una salvaguardia temporanea speciale. In particolare si stabilisce che, rispetto ad esse, le disposizioni dell'art. 20 del T.U. trovano applicazione decorsi 5 anni dalla loro costituzione.

Disposizioni transitorie

Quanto alle scadenze previste per l'attuazione del Testo Unico, si segnala che con il correttivo è stato differito al 31 luglio 2017 il termine ordinatorio - originariamente individuato nel 31 dicembre 2016 - entro il quale, ai sensi dell'art. 26, comma 1, primo periodo, le società pubbliche già costituite alla data di entrata in vigore del T.U. sono tenute ad adeguare i propri statuti alle disposizioni dello stesso.

Al 31 luglio 2017 viene, inoltre, fissato il termine (in origine il riferimento era al decorso di sei mesi dopo la data di entrata in vigore del Testo unico) entro il quale le società a controllo pubblico, secondo quanto fissato dall'art. 26, comma 10, sono tenute ad adeguarsi alle previsioni dell'art. 11, comma 8 che prevede che “gli amministratori delle società a controllo pubblico non possono essere dipendenti delle amministrazioni pubbliche controllanti o vigilanti”.

Quanto, invece alla temporanea inapplicabilità prevista dall'art. 26 comma 4 del T.U. alle società in partecipazione pubblica che abbiano deliberato la quotazione delle proprie azioni in mercati regolamentati con provvedimento comunicato alla Corte dei conti, essa è stata estesa - come suggerito dalla V Commissione della Camera - da dodici a diciotto mesi.

In conclusione

Il D.Lgs. 16 giugno 2017, n. 100, attua la delega contenuta nell'art. 16 comma 7, della legge 7 agosto 2015, n. 124, il quale prevede che, “entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi (…), il Governo può adottare, nel rispetto dei principi e criteri direttivi (…) uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive”. L'intervento integrativo ecorrettivo sul decreto legislativo n. 175 del 2016 rappresenta, anche, una diretta conseguenza della sentenza della Corte Costituzionale n. 251/2016, in quanto rappresenta lo strumento necessario poter acquisire sul testo originario e sulle modifiche e integrazioni apportare in sede di correttivo l'intesa della Conferenza unificata.

Le “correzioni” apportate, dunque, da un lato cercano di dare risposta ai profili di illegittimità rilevate dalla Corte Costituzionale, dall'altro, puntano a risolvere gli elementi più problematici emersi nei primi mesi di applicazione del Testo unico.

Nonostante le lodevoli intenzioni del Governo, il testo risultante dal Correttivo sembra recepire solo parzialmente le sollecitazioni, provenienti sia dal Consiglio di Stato che dalle altre istituzioni coinvolte nell'iter di emanazione del correttivo, in ordine agli aspetti critici che si stanno manifestando nella concreta attuazione delle norme contenute nel D.Lgs. n. 175/2016. Continuano, infatti, a permanere perplessità sulle modalità di gestione di alcune società partecipate soprattutto con riguardo al reclutamento del personale, all'individuazione dei criteri per selezionare i componenti dei consigli di amministrazione e alle dinamiche di gestione delle risorse pubbliche affidate alle compagini sociali pubbliche.

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