Le barriere architettoniche negli edifici di nuova costruzione

Cristoforo Moretti
20 Novembre 2017

Sono passati quasi trent'anni dalla legge per il superamento delle barriere architettoniche, alla quale subito dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è succeduto il regolamento con le prescrizioni tecniche al fine di consentire una progettazione adeguata degli edifici. Eppure, ancora oggi vi sono immobili di nuova costruzione dichiarati “a norma”, ma pieni di irregolarità, di vere e proprie barriere che, a fronte di modesti risparmi per il costruttore, peggiorano la vita di tutti.
Il concetto di barriera architettonica

Molto spesso si collega la barriera architettonica a chi deve utilizzare una carrozzina, in realtà le barriere riguardano tutti noi. Ecco la definizione di legge.

«Per barriere architettoniche si intendono:

a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea;

b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di parti, attrezzature o componenti;

c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l'orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi.»

Si tratta dell'art.2 del d.m. n. 236/1989, regolamento di attuazione del testo fondamentale: la legge n. 13 del 1989.

La legge n. 13/1989

Il 1989 è un anno importantissimo per il tema di questa scheda: in gennaio viene pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge base con il n. 13 ed a giugno seguono le indispensabili prescrizioni tecniche, senza le quali la legge sarebbe stato soltanto un bel proposito.

La legge n. 13/1989 in pochi articoli fornisce indicazioni che saranno determinanti per cambiare i punti di vista tecnici e giuridici nel settore delle costruzioni: i nuovi progetti dovranno conformarsi alle prescrizioni tecniche (poco dopo, come detto, emanate), nei condominii le assemblee dovranno approvare gli adeguamenti alla legge e, ove non lo facessero in tempi ragionevoli, i singoli condòmini richiedenti avranno la facoltà di provvedere autonomamente intervenendo sulle parti comuni; la legge poi si occupa delle distanze, degli eventuali vincoli, delle autorizzazioni e della burocrazia necessaria ed infine dei contributi pubblici disponibili per questo genere di interventi. Insomma un testo base importante, che intende migliorare la vivibilità di tutti i luoghi, pubblici e privati.

Il campo di applicazione

La legge n. 13/1989 e il suo regolamento prescrittivo si applicano in tutti gli edifici, che siano pubblici o privati, costruiti dopo la messa a regime della legge. Ogni costruttore di un edificio privato deve (da almeno due decenni) adeguarsi alla normativa, secondo la quale: «le disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati si applicano:

1. agli edifici privati di nuova costruzione, residenziali e non, ivi compresi quelli di edilizia residenziale convenzionata;

2. agli edifici di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata ed agevolata, di nuova costruzione;

3. alla ristrutturazione degli edifici privati di cui ai precedenti punti 1 e 2, anche se preesistenti alla entrata in vigore del presente decreto;

4. agli spazi esterni di pertinenza degli edifici di cui ai punti precedenti»(d.m. n. 236/1989).

Lo stesso decreto ministeriale precisa: «In relazione alle finalità delle presenti norme si considerano tre livelli di qualità dello spazio costruito. L'accessibilità esprime il più alto livello in quanto ne consente la totale fruizione nell'immediato. (…) L'accessibilità deve essere garantita per quanto riguarda: a) gli spazi esterni; il requisito si considera soddisfatto se esiste almeno un percorso agevolmente fruibile anche da parte di persone con ridotte o impedite capacità motorie o sensoriali; b) le parti comuni». L'unica deroga è concessa per locali tecnici con accesso consentito ai soli addetti, per il resto le parti comuni devono essere accessibili e raggiungibili sempre, tramite almeno un percorso fruibile da chiunque.

Se i casi di ristrutturazione edilizia di un edificio in condominio sono molto rari (si tratta di interventi estremamente rilevanti che possono anche richiedere l'evacuazione parziale dell'immobile), nelle nuove costruzioni le parti comuni devono essere accessibili, quindi prive di barriere architettoniche. Da quando? Stabilire una precisa data di entrata in vigore delle norme di legge non è possibile, ma certamente possiamo dire che i progetti degli immobili presentati ad inizio degli anni '90 del secolo scorso dovevano già essere conformi alle prescrizioni di legge (e di conseguenza anche gli edifici costruiti secondo quei progetti). Perché così non è avvenuto? Perché ancora moltissime «barriere», come definite dal testo prescrittivo, sono presenti in edifici pubblici e soprattutto privati anche recenti?

Il problema del controllo

In caso di contestazioni al costruttore circa l'applicazione della norma in tema di barriere architettoniche, in genere, se trattasi di immobili recenti, intervengono adeguamenti alla normativa, mentre sempre più spesso si tende a minimizzare, sostenendo che gli immobili siano perfettamente regolari. Ad esempio, affermando, la non applicabilità del d.m. n. 236/1989 agli edifici privati o – come variante più articolata – la non applicabilità alle parti comuni condominiali in assenza di condòmini con disabilità. In questi casi è molto facile opporre il testo di legge, nel quale non c'è alcun riferimento alla presenza o meno di persone con disabilità: si deve costruire bene per vivere meglio tutti.

Può accadere che la responsabilità del mancato rispetto della disposizione sia legata all'approvazione che l'ufficio tecnico comunale avrebbe dato al progetto intero, come se i tecnici di un Comune anche piccolo avessero la possibilità di sindacare sui colori dei pavimenti o sulla lunghezza di un corrimano (particolari peraltro sempre assenti dai progetti protocollati). In realtà, precisa lo stesso d.m. n. 236/1989, «Il Sindaco, nel rilasciare la licenza di abitabilità o di agibilità (…) deve accertare che le opere siano state realizzate nel rispetto della legge. A tal fine egli può richiedere al proprietario dell'immobile una dichiarazione resa sotto forma di perizia giurata redatta da un tecnico abilitato». Per questo motivo l'agibilità viene dichiarata di norma dal direttore dei lavori, spesso anche progettista, che – ignaro della legge (“non si può sapere tutto”) e sostanzialmente indifferente ai risvolti penali di un falso ideologico ex art.481 c.p. – dichiara il rispetto delle normative sull'abbattimento delle barriere architettoniche senza accertare fino in fondo quanto realizzato. E nessuno, o quasi, verifica quanto dichiarato, perché i servizi di prevenzione delle ASL non hanno competenza in questo settore (le dotazioni degli ambienti per la sicurezza nei luoghi di lavoro sono differenti rispetto a quanto richiesto dal d.m. n. 236/1989) e i Comuni non hanno personale per controllare tutti i progetti, né entrano nel merito in caso di eventuali contestazioni. Se manca un corrimano sembra ormai che il problema sia di chi ha comprato, non di chi vende qualcosa di incompleto, mentre dal punto di vista legale si ha buon gioco ad affermare che la mancanza di un corrimano non è un grave difetto ex art.1669 c.c.

In caso di incidente o infortunio, però, sarà difficile invocare il caso fortuito ex art.2051 c.c. quando una prescrizione di legge non è rispettata.

Le prescrizioni tecniche

Stabilito che le parti comuni di un edificio privato costruito da almeno vent'anni devono essere accessibili, quindi realizzate con il più alto livello di qualità previsto dalle norme, entriamo in dettaglio sulle prescrizioni che il d.m. n. 236/1989 elenca minuziosamente e che sono contemporaneamente il minimo di legge per garantire qualità di vita a chiunque ed anche qualcosa di sostituibile, se il progettista o il direttore lavori lo ritengono necessario, da soluzioni tecniche che garantiscano il livello di qualità richiesto. In epoca di costruzioni al minimo costo, la strada più facile è certamente rispettare il d.m. n. 236/1989, non eluderlo.

Senza entrare nel merito del testo legislativo, ampio e sufficientemente chiaro anche per chi non ha conoscenze tecniche, e senza toccare gli ascensori, campo nel quale la necessità di specializzazione impone di utilizzare le professionalità delle imprese installatrici, elenchiamo alcune prescrizioni spesso disattese: la lettura è consigliata e riserverà qualche sorpresa. È tutto obbligatorio:

  • Le porte vetrate devono essere facilmente individuabili mediante l'apposizione di opportuni segnali.
  • I pavimenti devono essere di norma orizzontali e complanari tra loro e, nelle parti comuni e di uso pubblico, non sdrucciolevoli. Per pavimentazione antisdrucciolevole si intende una pavimentazione realizzata con materiali il cui coefficiente di attrito, misurato secondo il metodo della British Ceramic Association Ltd. (B.C.R.A.) Rep: CEC. 6/81, sia superiore ai seguenti valori: - 0.40 per elemento scivolante cuoio su pavimentazione asciutta; - 0.40 per elemento scivolante gomma dura standard su pavimentazione bagnata. I valori di attrito predetto non devono essere modificati dall'apposizione di strati di finitura lucidanti o di protezione che, se previsti, devono essere applicati sui materiali stessi prima della prova. Le ipotesi di condizione della pavimentazione (asciutta o bagnata) debbono essere assunte in base alle condizioni normali del luogo ove sia posta in opera. (I pavimenti comuni non possono non essere non sdrucciolevoli; quanto sopra verrà ripetuto anche per i gradini delle scale – ndA)
  • Eventuali differenze di livello devono essere contenute ovvero superate tramite rampe con pendenza adeguata in modo da non costituire ostacolo al transito di una persona con sedia a ruote. Nel primo caso si deve segnalare il dislivello con variazioni cromatiche; lo spigolo di eventuali soglie deve essere arrotondato. Qualora i pavimenti presentino un dislivello, questo non deve superare i 2,5 cm. (Si noti la richiesta di variazioni cromatiche – ndA)
  • Nelle parti comuni dell'edificio, si deve provvedere ad una chiara individualizzazione dei percorsi, eventualmente mediante una adeguata differenziazione nel materiale e nel colore delle pavimentazioni. (Anche qui si noti la richiesta di variazioni cromatiche – ndA)
  • Gli zerbini devono essere incassati.
  • I corridoi non devono presentare variazioni di livello; in caso contrario queste devono essere superate mediante rampe.
  • I gradini delle scale devono avere una pedata antisdrucciolevole a pianta preferibilmente rettangolare e con un profilo preferibilmente continuo a spigoli arrotondati.
  • Le scale devono essere dotate di parapetto atto a costituire difesa verso il vuoto e di corrimano.
  • Nelle scale comuni il corrimano deve essere installato su entrambi i lati. (Doppio corrimano su ogni rampa di scala comune – ndA)
  • Negli spazi esterni e sino agli accessi degli edifici deve essere previsto almeno un percorso preferibilmente in piano con caratteristiche tali da consentire la mobilità delle persone con ridotte o impedite capacità motorie, e che assicuri loro la utilizzabilità diretta delle attrezzature dei parcheggi e dei servizi posti all'esterno, ove previsti.
  • Quando un percorso pedonale sia adiacente a zone non pavimentate, è necessario prevedere un ciglio da realizzare con materiale atto ad assicurare l'immediata percezione visiva nonché acustica se percosso con bastone.
  • Ove sia necessario prevedere un ciglio, questo deve essere sopraelevato di 10 cm dal calpestio, essere differenziato per materiale e colore dalla pavimentazione del percorso, non essere a spigoli vivi ed essere interrotto, almeno ogni 10 m da varchi che consentano l'accesso alle zone adiacenti non pavimentate.
  • Le eventuali variazioni di livello dei percorsi devono essere raccordate con lievi pendenze ovvero superate mediante rampe in presenza o meno di eventuali gradini ed evidenziate con variazioni cromatiche. [Nuovamente la richiesta di variazioni cromatiche – ndA]
  • Le rampe di scale che costituiscono parte comune o siano di uso pubblico devono avere una larghezza minima di 1,20 m, avere una pendenza limitata e costante per l'intero sviluppo della scala.
  • I gradini devono essere caratterizzati da un corretto rapporto tra alzata e pedata (pedata minimo 30 cm): la somma tra il doppio dell'alzata e la pedata deve essere compresa tra 62/64 cm.
  • Un segnale al pavimento (fascia di materiale diverso o comunque percepibile anche da parte dei non vedenti), situato almeno a 30 cm dal primo e dall'ultimo scalino, deve indicare l'inizio e la fine della rampa. (Segnale a pavimento prima e dopo di ogni rampa di scale – ndA)
  • Il parapetto che costituisce la difesa verso il vuoto deve avere un'altezza minima di 1.00 m ed essere inattraversabile da una sfera di diametro di 10 cm.
  • In corrispondenza delle interruzioni del corrimano, questo deve essere prolungato di 30 cm oltre il primo e l'ultimo gradino.
  • La pendenza delle rampe non deve superare l'8%. Sono ammesse pendenze superiori, nei casi di adeguamento (fino al 12% - ndA).
  • I grigliati inseriti nella pavimentazione devono essere realizzati con maglie non attraversabili da una sfera di 2 cm di diametro; i grigliati ad elementi paralleli devono comunque essere posti con gli elementi ortogonali al verso di marcia.
  • Nelle autorimesse Le rampe carrabili e/o pedonali devono essere dotate di corrimano.
Gli adeguamenti

Quanto detto nel paragrafo precedente, assolutamente incompleto e parziale, è richiesto negli edifici costruiti dopo l'entrata in vigore delle norme sul superamento delle barriere architettoniche, ed anche sugli edifici esistenti quando si interviene con una ristrutturazione edilizia (ripetiamo: intervento molto raro in condominio). In tutti gli altri casi, l'applicazione di una specifica disposizione del d.m. n. 236/1989 non è così automatica né scontata. È un dato di fatto che i criteri regolamentari territoriali (regolamenti edilizi e di igiene) si siano adattati negli anni ad alcune prescrizioni minime del d.m. n. 236/1989, in qualche caso anche superandole: le rampe inclinate devono avere le pendenze massime indicate nel decreto, i parapetti devono essere inattraversabili da una sfera diametro 10 cm ed in alcuni casi (Comune di Milano, per esempio) devono essere alti dieci centimetri in più delle richieste del citato d.m.

In assenza di regolamenti territoriali espliciti, l'applicazione del regolamento della legge n. 13/1989 è comunque garanzia di rispetto dei criteri per il superamento della barriere architettoniche e quindi cautela sempre augurabile.

Applicazioni pratiche: le situazioni più frequenti

Mancanza di (doppio) corrimano e gradini di dimensioni irregolari

Pavimento sdrucciolevole se bagnato

Distanza superiore a 10 cm e mancanza di doppio corrimano (a destra le integrazioni)

Criticità operative: Gli adeguamenti e l'assemblea

Che cosa fare quando si riceve il mandato di amministrare un condominio costruito dai primi anni 90 in avanti? Ammettiamo (senza fatica) di essere nella situazione in cui nessuno si sia preoccupato di analizzare le «condizioni di sicurezza» ex art. 1130 c.c. da trascrivere nel registro di anagrafe condominiale.

L'amministratore, se ritiene di essere in grado, può analizzare da solo alcuni semplici indicatori di rispetto delle norme sulle barriere architettoniche (doppio corrimano sulle scale? corrimano sulla rampa carrabile? parapetti inattraversabili da sfera diametro 10 cm?) e poi proporre all'assemblea un percorso più raffinato, che parta dalla analisi delle parti comuni ad opera di un tecnico competente per arrivare ad una valutazione assembleare che tenga conto dell'età dell'immobile (e quindi della eventuale possibilità di rivalersi sul costruttore), dell'importanza economica degli adeguamenti, della percezione di pericolosità che certi adeguamenti comportano: se il pavimento dell'androne di ingresso è scivoloso se bagnato – cosa non consentita dalla legge – spesso si ritiene che un buon zerbino sia sufficiente. A torto.

Non c'è alcun dubbio, lo si ripete, che una mancanza di legge sia facilmente invocabile come concausa di incidente o infortunio. Se non fanno paura le ipotetiche denunce ai comuni o alle aziende sanitarie locali, che quasi sempre ignorano le richieste, almeno la sterminata giurisprudenza in materia qualche effetto dovrebbe produrlo.

Guida all'approfondimento

Maria Agostiano, Giovanni Caprara, Anna Milaneschi, Erminia Sciacchitano,Elisabetta Virdia, Muoversi nell'immobile. Superamento delle barriere architettoniche nei luoghi d'interesse culturale: Catalogo delle proposte progettuali, Gangemi Editore, 2016

Cristoforo Moretti, Millescale 1999-2014 – Archivio storico sulla sicurezza dei lavoratori nel condominio – ANACI Milano, 2014

Ileana Argentin, Matteo Clemente, Tommaso Empler, Eliminazione barriere architettoniche. Progettare per un'utenza ampliata, DEI ed., 2008

Michele Di Sivo, Elisabetta Schiavone, Massimo Tambasco, Barriere architettoniche. Guida al progetto di accessibilità e sicurezza dell'ambiente costruito, Alinea ed., 2005

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