Struttura sanitaria e medico: regresso o rivalsa?

21 Novembre 2017

L'Autore svolge delle considerazioni a margine della legge n. 24/2017, mediante un'analisi degli art. 7, 9 e 12, per proporre dell'art. 7 comma 3 un'interpretazione che distingua l'area delle responsabilità del medico verso il paziente danneggiato da quelle della struttura, leggendo altresì, ma criticamente, l'art. 9 come norma che limita i diritti di regresso della struttura per danni arrecati al paziente dal sanitario quali conseguenza dell'inadempimento di prestazioni di diagnosi e cura.
Responsabilità solidale della struttura e del medico?

Con l'entrata in vigore della l. n. 24/2017 si è compiuta la decontrattualizzazione della prestazione del medico non libero professionista (v. R. CALVO, La “decontrattualizzazione” della responsabilità sanitaria, in NLCC, 3, 17, 453). L'indicazione proviene univoca dal disposto dell'art. 7. Il comma 3 di questo articolo stabilisce che la responsabilità del medico, se afferente ad una struttura sanitaria (pubblica o privata) anche se non necessariamente ad essa legato da un rapporto di lavoro, si inquadra nell'ambito del fatto illecito, come definito dall'art. 2043 c.c. Lo stesso art. 7 stabilisce che la struttura sanitaria nei confronti del paziente che lamenti pregiudizi causati da prestazione di diagnosi e cura è responsabile a termini degli artt. 1218 e 1228 c.c. e dunque per inadempimento proprio o dei propri ausiliari. La sussunzione nella disciplina dell'inadempimento della obbligazione della responsabilità sanitaria non introduce alcuna novità a cospetto di un ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale tra i pazienti e la struttura sanitaria si instaura una relazione giuridica qualificata o come contratto di spedalità (da ultimo: Trib. Ascoli Piceno, 3 gennaio 2017) o comunque di indole tale da rendere il paziente creditore di un obbligo o di una prestazione (Cass. civ., 13 ottobre 2017 n. 24073).

La applicazione dell'art. 1218 c.c. nella giurisprudenza si è proposta non soltanto con riferimento al rapporto paziente-struttura sanitaria, ma pure nelle vertenze intentate dal paziente insoddisfatto contro il medico dipendente da struttura ospedaliera (Trib. Milano, 18 novembre 2014, in Ragiusan, 2016, 387-388-389; Trib. Bologna, 14 febbraio 2011).

Il simmetrico trattamento riservato alla struttura e al medico è stato posto in discussione allorché nel Decreto Balduzzi, nell'art. 3, è stato citato l'art. 2043 c.c. a proposito della responsabilità civile del medico esentato da responsabilità penale quando la sua colpa fosse risultata lieve (Trib. Milano, 17 luglio 2014; Trib. Enna, 18 maggio 2013, in Danno e Resp., 2014, 74). La Suprema Corte ha cercato di riallineare le proprie sentenze al dato normativo, proponendone una interpretazione restrittiva, limitata alle sole fattispecie in cui il medico sottratto ad una imputazione penale sembrava passibile di responsabilità risarcitoria verso il paziente danneggiato (Cass. civ., 19 febbraio 2013, n. 4030, in Giur.it., 2013, 2514). Con il più recente intervento legislativo lo spazio per sottoporre il medico alla disciplina dell'art. 1218 c.c. si è ristretto ai soli casi in cui egli operi quale libero professionista a termini dell'art. 2230 c.c. La collocazione della responsabilità del medico al di fuori della disciplina dell'inadempimento lo ha allontanato dagli orizzonti del paziente danneggiato. Questo – è stato osservato (G.PONZANELLI, Medical malpractice: la legge Bianco-Gelli, in Contratto e Impresa, 3, 2017, 356) – preferirà, nel nuovo quadro normativo rivolgere le proprie istanze risarcitorie contro la struttura, anzi contro la sua assicurazione come ammesso dall'art. 12 l. n. 24/2017.

Se questo è il plausibile scenario aperto dalla l. 24/2017 è da domandarsi per quale motivo la posizione del medico non sia stata assorbita in quella della struttura di afferenza, mantenendo ferma soltanto la sua responsabilità contrattuale per l'ipotesi in cui egli svolga attività libero professionale, concludendo con il paziente contratto di prestazione intellettuale.

Se il legislatore non ha optato per il silenzio sulle responsabilità del medico afferente a struttura sanitaria, evidentemente si è inteso conservare azione nei suoi confronti da parte del danneggiato, sia esso il paziente o i suoi prossimi congiunti. Anzi, se il richiamo all'art. 2043 c.c. deve ritenersi strettamente collegato con la responsabilità di rilevanza penale del sanitario, è ragionevole supporre che della responsabilità aquiliana del medico si avvalga la “parte offesa”, secondo la nomenclatura penalistica. La responsabilità civile del medico (non libero professionista) ricorre sia quando al medico è ascritta la commissione di un reato – segnatamente di omicidio o di lesione – sia nell'ipotesi ora più ridotta in cui opera l'esimente della imperizia non grave. A termini dell'art. 2049 c.c. il datore di lavoro interviene vicariamente di fronte al danneggiato e il datore di lavoro può essere chiamato nel processo penale quale responsabile civile. La responsabilità vicaria rispetto alla parte lesa rende l'obbligo risarcitorio rapporto soggettivamente non complesso, essendo unico il soggetto debitore.

In giurisprudenza fino all'attuale temperie si era voluta riportare nell'ambito d'applicazione dell'art. 1218 c.c. la inadempienza della struttura sanitaria così come quella del medico e non si esitava a pronunziare condanna in solido del medico e della struttura sanitaria quando il paziente formulava le proprie istanze risarcitorie contro entrambi i soggetti (Cass. civ., 9 novembre 2006, n. 23918, in Danno e Resp., 2007, 337).

Il testo dell'art. 7 della legge n. 24/2017 esclude ora che al medico (non libero professionista), sebbene inadempiente e danneggiante, possa applicarsi l'art. 1218 c.c. Sulla struttura grava la responsabilità per inadempimento dovuto a condotte di suoi ausiliari. Per un breve periodo di tempo si è discusso se nell'area dell'inadempimento delle prestazioni potessero o meno, in via generale, includersi eventi di danno ingiusto occasionati dalla esecuzione della prestazione al di là delle ipotesi tipizzate dalla disciplina positiva. Attraverso il ripensamento dei cosiddetti doveri di protezione si è gradualmente imposta la tesi della contrattualizzazione della responsabilità risarcitoria per lesioni alla integrità fisica della persona e della sua vita (v. S.CICCARELLO, Doveri di protezione e valore della persona, Giuffrè, Milano 1988). In materia di responsabilità sanitaria il terreno di applicazione di questa tesi è stato fertile. Non si dubiterebbe perciò ora se le conseguenze dell'inadempimento di una prestazione di diagnosi e cura, qualora incidenti su beni fondamentali, ricadano nell'ambito della responsabilità contrattuale.

La responsabilità da reato prevede il ristoro del danno morale. La figura però si è pressoché ecclissata nella definizione del danno non patrimoniale. Il medico autore di un reato, tuttavia, potrebbe, in ragione del disposto dell'art. 7, comma 3 della legge 24/2017, ritenersi ancora responsabile esclusivo del danno morale recuperato alla sua originaria funzione afflittiva e personale. Del danno morale la struttura sanitaria non sarebbe chiamata a rispondere. Su di essa invece graverebbe obbligo risarcitorio per danni patrimoniali e non patrimoniali anche se dipendenti da reato commesso da suo ausiliario. La separazione delle responsabilità del medico e della struttura in ordine al titolo si riverserebbe, sul piano del risarcimento, nella separazione di responsabilità, gravando sul medico il solo obbligo di ristoro del danno morale. Distinte le tipologie di danno della struttura e del medico, cade l'unicità del debito posto a connotato qualificante la obbligazione solidale.

L'ipotesi ricostruttiva coinciderebbe con le conclusioni espresse da qualche parte della giurisprudenza di fronte ad istanze risarcitorie avanzate dai prossimi congiunti del paziente iure proprio o congiuntamente al paziente offeso significativamente nella sua integrità psicofisica (Trib. Verona, 24 aprile 2014).

Le posizioni dei prossimi congiunti e quelle del paziente se si utilizza il paradigma della responsabilità da inadempimento non potrebbero che mantenersi separate. Per i prossimi congiunti la tutela proverrebbe dal precetto del neminem laedere non essendo essi creditori di alcuna prestazione di diagnosi e cura. Né una contrattualizzazione della loro protezione potrebbe giustificarsi attraverso l'inclusione nella responsabilità da inadempimento mediante il ricorso alla figura del danno indiretto o riflesso, quale pregiudizio rilevante secondo una più estesa definizione del danno conseguenza. L'art. 7 della legge 24/2017, qualora la sua interpretazione si attestasse nel significato qui attribuitole, si proporrebbe come disciplina innovativa e non priva di qualche valore preventivo, se l'esposizione ad un rischio di una responsabilità risarcitoria possa costituire un deterrente di condotte superficiali o imprudenti da parte del medico.

Regresso e rivalsa: art. 9 legge n. 24/2017

La legge 24/2017 ha stabilito all'art. 9 la rivalsa della struttura sanitaria verso il medico responsabile del danno che essa abbia risarcito. La rivalsa di cui si legge nell'art. 9 mostra una pluralità di limitazioni. Innanzitutto la rivalsa può esercitarsi soltanto se il medico sia passibile di responsabilità per dolo o colpa grave. La regola segue una linea già tracciata dalla contrattazione collettiva (art. 21 CCNL 3 novembre 2005). Il datore di lavoro è, secondo il criterio della allocazione del rischio, il soggetto che deve sopportare il costo pure delle conseguenze negative che la sua attività può generare. La disposizione dell'art. 1229 c.c. non permette tuttavia che l'autore di condotte gravemente colpevoli o intenzionali possa essere esonerato da responsabilità. In euritmia con questa prescrizione il medico che sia legato da un rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione con struttura sanitaria è sottoposto alla rivalsa di quest'ultima, sia essa struttura pubblica o struttura privata. Rispetto al comparto della sanità pubblica la responsabilità del dipendente risponde ad un principio di ordine generale posto a tutela pure dello Stato.

L'esercizio della facoltà di rivalsa incontra, secondo l'art. 9 legge 24/2017, ulteriori limiti. La norma ha stabilito un tetto parametrato alla entità del trattamento retributivo goduto dal sanitario (comma 5 art. 9), così escludendo che la rivalsa possa tradursi in una penalizzazione del medico tale da privarlo di capacità reddituali necessarie per il sostentamento proprio e dei propri familiari.

La facoltà di rivalsa può inoltre esercitarsi nell'ambito del giudizio nel quale medico e struttura siano stati convenuti. In mancanza di questa circostanza il tempo nel quale la rivalsa può compiersi è ridotto ad un anno e della facoltà la struttura può avvalersi soltanto se essa abbia assolto gli obblighi risarcitori verso il paziente danneggiato (comma 2 art. 9). La disciplina della rivalsa, per qualche aspetto, richiama quella del regresso spettante al coobbligato che abbia eseguito a favore del creditore prestazione superiore a quella di cui esso sia gravato nei rapporti interni. La rivalsa come il regresso sono subordinati all'attuazione dell'obbligazione e dunque alla soddisfazione della parte creditrice. A differenza di quanto avviene nella surroga, il condebitore non agisce nella stessa veste del creditore. Il condebito è retto da titoli che seguono, nei rapporti interni, regole indipendenti da quelle che governano i rapporti con il creditore, anche se in sede di regresso non si esclude la opponibilità delle eccezioni che si possono sollevare di fronte al comune creditore. L'azione di rivalsa contemplata nell'art. 9 legge 24/17 è prossima all'azione di regresso, là dove si presuppone che medico e struttura possono essere parti convenute nel giudizio promosso dal paziente danneggiato. Sembra quasi che il legislatore in tale fattispecie abbia riprodotto le soluzioni adottate in giurisprudenza e delle quali si è fatto cenno, ovvero la corresponsabilità del medico e della struttura, entrambe qualificate come responsabilità da inadempimento secondo il disposto dell'art. 1218 c.c. (Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 577, in Giur. It., 2008, 1653; Cass. civ., 30 settembre 2009, n. 20547). Se, però, il senso dell'art. 7, legge 24/2017 è quello della canalizzazione delle responsabilità sulla struttura sanitaria, in ragione del disposto dell'art. 1228 c.c., l'ipotesi di corresponsabilità del medico e della struttura sembra tramontata a favore delle loro responsabilità separate per titolo e per tipo di pregiudizio (N.DE LUCA, M.FERRANTE, A.NAPOLITANO, La Responsabilità civile in ambito sanitario, in NLCC, 4, 2017, 740). La rivalsa di cui fruisce la struttura sanitaria in questa prospettiva si allontana dal regresso di cui si legge nell'art. 1299 c.c. La responsabilità della struttura per i danni riferiti all'inadempimento della prestazione di diagnosi e cura si propone come norma speciale svincolata dal tema della responsabilità solidale del medico e della stessa struttura. Questa rispetto al medico ha diritti che si collegano al rapporto di lavoro o di collaborazione e ai limiti imposti dall'art. 1229 c.c. nella esecuzione di qualsiasi prestazione.

Né le nuove norme lasciano spazio per applicare il disposto dell'art. 2055 c.c., il quale postula il concorso di più soggetti nella commissione di un illecito. L'illecito ora appartiene al solo medico di cui la struttura non può ritenersi coautore concorrente, una volta che le disposizioni a riferimento sono gli art. 1218 e 1228 c.c.

Conclusioni

Successivamente all'entrata in vigore della legge 24/2017 gli scenari che si disegnano sono perciò due: l'uno ideale, l'altro realistico. Nel primo dei due scenari gli attori possono essere soltanto due. Il medico vi compare unicamente nell'ipotesi in cui il danno è conseguenza della commissione di un illecito di valenza penale. Di tale danno possono dolersi verosimilmente più i prossimi congiunti che il paziente. I prossimi congiunti o il paziente vittima di lesione agiscono per ottenere ristoro del danno morale dal medico autore del danno ingiusto del quale è responsabile il sanitario passibile di imputazione di reato anche se non punibile, per l'esimente della osservanza dei protocolli. Le domande risarcitorie, pertanto, pur potendo essere cumulative, mantengono distinti causa petendi e petitum. La solidarietà tra medico e struttura non si attaglia alla fattispecie.

Tuttavia qualora la struttura dovesse soddisfare integralmente il paziente, allora il medico non potrà sottrarsi ad azioni di ripetizione. Quest'ultima azione trova appoggio al di fuori della disciplina speciale. Anzi, la rivalsa potrebbe essere esercitata per surroga secondo la grammatica dell'art. 1916 c.c. dall'assicurazione, qualora di questo strumento di protezione la struttura si sia avvalsa. Le norme generali, del resto, non vengono rese inefficaci da disposizioni speciali con le quali non sono in conflitto ed anzi mantengono ruolo di supplenza, se non di integrazione di ciò che la legge speciale non ha detto.

Realisticamente la parte offesa non si curerà di rivolgere le proprie istanze risarcitorie, qualsiasi sia la fonte del danno, a soggetti diversi dalla struttura sanitaria e dalla sua assicurazione, ove eletta. La scelta processuale del danneggiato si spiega col disposto dell'art. 7 comma 1 legge 24/2017 e dell'art. 12 della stessa legge. Consueta sarà l'assenza del medico dai giudizi di responsabilità sanitaria, per i vantaggi che l'azione ex art. 1218 c.c. offre sul piano processuale alla parte che agisce per il ristoro del danno. Qualora questa coinvolgesse il sanitario sarà facile almeno finché agiranno le forze inerziali (Cass. civ., 5 luglio 2017, n. 16488) della elaborazione maturata in tema di responsabilità sanitaria che intervenga pronuncia di condanna in solido del medico e della struttura. Toccherà allora alla struttura riportare in equilibrio la situazione esercitando nel contempo la rivalsa come disciplinata dall'art. 9 l. 24/2017. Il medico godrà di guarentigie, per la volontà legislativa di assicurargli serenità nell'esercizio delle prestazioni e anche nel caso di suo errore.

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