I limiti del sindacato del Giudice dell'esecuzione sul provvedimento sospensivo del P.M.
21 Novembre 2017
Massima
Il Giudice dell'esecuzione cui sia stato trasmesso il provvedimento del pubblico ministero che, sulla base dell'elenco fornito dal prefetto, dispone la “sospensione dei termini” di una procedura esecutiva a carico del soggetto che ha chiesto l'elargizione di cui alla legge n. 44/1999, non può sindacare né la valutazione con cui il pubblico ministero ha ritenuto sussistente il presupposto della provvidenza sospensiva, né l'idoneità della procedura esecutiva ad incidere sull'efficacia dell'elargizione richiesta dall'interessato. Spetta invece al Giudice dell'esecuzione sia il controllo della riconducibilità del provvedimento del pubblico ministero alla norma sopra citata, sia l'accertamento che esso riguarda uno o più processi esecutivi pendenti dinanzi al suo ufficio, sia la verifica che nel processo esecutivo in corso o da iniziare decorra un termine in ordine al quale il provvedimento di sospensione possa dispiegare i suoi effetti. Il caso
La presente pronuncia delle Sezioni Unite è occasionata da un ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di Cassazione a norma dell'art. 363 c.p.c.. Il Procuratore generale, in particolare, rilevava l'esistenza di contrasti, nella giurisprudenza di merito, attorno alle modalità di applicazione, con riguardo al processo di esecuzione forzata, della sospensione dei termini in favore dei soggetti vittime di richieste estorsive e di usura, che abbiano presentato istanza di elargizione dei benefici previsti ai sensi della legge 23 febbraio 1999, n. 44: risultava controverso, in particolare, se il provvedimento adottato dal pubblico ministero a norma dell'art. 20, comma 7, della l. n. 44/1999 fosse di per sé sufficiente ai fini della sospensione del processo esecutivo pendente nei confronti del debitore-soggetto vittima di richieste estorsive e di usura, ovvero se il Giudice dell'esecuzione mantenesse, anche con riferimento a tale fattispecie, i propri poteri di valutare la sussistenza dei presupposti per la sospensione. La questione
L'intervento delle Sezioni Unite è stato dunque sollecitato al fine di pronunciare un principio di diritto nell'interesse della legge inerente l'inquadramento del rapporto esistente tra l'autorità giudiziaria preposta alla valutazione dei presupposti e dei requisiti per l'elargizione dei benefici previsti dalla normativa a favore dei soggetti vittime di richieste estorsive e di usura e l'autorità giudiziaria investita del processo di esecuzione forzata, cui spetta di adottare il beneficio della sospensione. Con maggiore analiticità, i nodi da risolvere sono stati individuati nei seguenti punti: a) la vincolatività, nei confronti del Giudice dell'esecuzione, del provvedimento di sospensione emesso dal pubblico ministero, e i conseguenti poteri riconosciuti al primo nell'ambito della procedura esecutiva incardinata presso il suo ufficio; b) il regime impugnatorio dei provvedimenti emessi dal Giudice dell'esecuzione che abbia ricevuto il provvedimento del pubblico ministero; c) la reclamabilità del provvedimento del Giudice dell'esecuzione che rifiuti di sospendere la procedura esecutiva. Le soluzioni giuridiche
In via preliminare, le Sezioni Unite hanno vagliato la sussistenza dei presupposti dettati dall'art. 363 c.p.c. per la pronuncia di un principio di diritto nell'interesse della legge. Il riferimento, in particolare, era a quei provvedimenti della giurisprudenza di merito denunciati dal Procuratore generale come portatori di orientamenti discordanti sulle questioni poc'anzi rammentate. A tal riguardo, la Suprema Corte si è espressa nel senso dell'ammissibilità del ricorso in quanto dette pronunce non risultavano “altrimenti impugnabili”, nel senso (fatto proprio da Cass. civ., Sez. Un., 18 novembre 2016, n. 23469) di non ridiscutibili mediante un mezzo di impugnazione: si trattava infatti, rispettivamente, di un provvedimento emesso dal Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Salerno su un'istanza di sospensione ex art. 624 c.p.c. e di due provvedimenti emessi sempre dal Tribunale di Salerno, in composizione collegiale, in sede di reclamo ex art. 624 c.p.c., e relativamente ai quali non constava se fossero seguiti oppure no i giudizi di opposizione nel merito. Trascorrendo all'esame dell'istanza avanzata dal Procuratore generale, le Sezioni Unite muovono da un'analisi storica della disposizione in rilievo. La versione originaria dell'art. 20, comma 7, della l. n. 44/1999, in particolare, prevedeva che la sospensione ivi disciplinata avesse effetto a seguito del parere favorevole del prefetto competente per territorio, sentito il presidente del Tribunale. Su tale testo fu sollecitato l'intervento della Corte costituzionale, che con la sentenza n. 457 del 23 dicembre 2005 ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma limitatamente alla parola «favorevole»: un intervento, questo, che, conferendo carattere meramente consultivo – e non più vincolante – all'intervento del prefetto, contestualmente attribuendo il potere decisorio al Giudice dell'esecuzione, si rivelava idoneo a ricondurre la norma al rispetto dei principi costituzionali di indipendenza e autonomia della funzione giurisdizionale. La sentenza in epigrafe ricorda poi il precedente di legittimità espresso da Cass. civ., 24 gennaio 2007, n. 1496, la quale aveva affermato che riconoscere carattere non vincolante al parere prefettizio significava affidare la valutazione dell'esistenza dei presupposti del provvedimento sospensivo al Giudice dell'esecuzione, tramite il tradizionale potere di sindacato inerente all'applicazione e alla disapplicazione degli atti amministrativi (conf., quanto alla non automaticità degli effetti sospensivi sanciti nel provvedimento prefettizio, Cass. civ., 28 maggio 2012, n. 8434 e Cass. civ., 4 giugno 2012, n. 8940). La versione attuale della norma in commento è quella scaturita dalla legge 27 gennaio 2012, n. 3, che ha sostituito il parere consultivo del prefetto con il provvedimento favorevole del Procuratore della Repubblica competente in ordine alle indagini sui delitti di estorsione e usura, al dichiarato scopo di affidare la valutazione esclusiva sulla concedibilità della sospensione al pubblico ministero della connessa vicenda penale. Tale modifica ha tuttavia fatto riemergere alcuni dubbi di costituzionalità legati alla norma, in quanto il Procuratore della Repubblica, che non è un giudice, finisce per condizionare, mediante un proprio provvedimento – peraltro non motivato – l'attività giurisdizionale di un giudice. Sulla questione, le Sezioni Unite richiamano Corte cost., 4 luglio 2014, n. 192, che ha chiarito come il provvedimento sospensivo adottato dal pubblico ministero abbia carattere meramente temporaneo e non decisorio, e in quanto tale sia inidoneo a influire in senso sostanziale sul giudizio civile: sarebbe così esclusa la configurazione di una illegittima compressione della funzione giurisdizionale esercitata dal giudice dell'esecuzione. Il passaggio interessante della pronuncia, tuttavia, rimane quello in cui si afferma che il provvedimento del Procuratore della Repubblica non è suscettibile di valutazione da parte del giudice civile quanto alla determinazione dell'effetto sospensivo. Da tale sentenza (nonché da Corte cost., ord., 6 dicembre 2013, n. 296), le Sezioni Unite traggono alcuni elementi ermeneutici imprescindibili ai fini della pronuncia del provvedimento in commento; in particolare, si tratta: a) della riconduzione delle funzioni svolte dal Procuratore della Repubblica al potere giudiziario; b) della specificazione che compete al pubblico ministero di accertare non già che la procedura esecutiva da sospendere si riferisca effettivamente al soggetto che ha richiesto il beneficio, bensì soltanto che il richiedente ha subito direttamente l'evento lesivo individuato dalla l. n. 44/1999 (ossia, in altri termini, la correlazione tra il richiedente e le indagini per i delitti di estorsione e usura). Muovendo da tali considerazioni, le Sezioni Unite qualificano l'intervento del pubblico ministero quale svolgimento di funzioni inerenti alla giurisdizione penale: ne consegue, allora, che ammettere la possibilità per il Giudice dell'esecuzione di sindacarne il provvedimento quanto alla valutazione della ricorrenza delle condizioni per beneficiare della sospensione sarebbe del tutto contraddittorio; l'indiscutibilità di tale valutazione, infatti, discende proprio dalla collocazione del potere di adottare il provvedimento sospensivo nell'ambito della giurisdizione penale e, dunque, al di fuori di quella esercitata dal Giudice dell'esecuzione. Il carattere vincolante di un provvedimento adottato nell'ambito della giurisdizione penale su un giudizio civile, peraltro, non è un fenomeno sconosciuto al nostro ordinamento, e appare giustificato nel caso di specie in quanto l'accertamento dei relativi presupposti si ricollega ai delitti sui quali il pubblico ministero è competente per le indagini. In definitiva, le Sezioni Unite affermano che, in mancanza di una autonoma previsione che attribuisca al Giudice dell'esecuzione un potere di controllo sul provvedimento adottato dal pubblico ministero, si deve ritenere che il legislatore abbia voluto creare a carico della giurisdizione ricevente, per effetto della mera trasmissione del provvedimento dal pubblico ministero al Giudice dell'esecuzione, un vincolo attorno all'esistenza del presupposto giustificativo del provvedimento, senza che quest'ultimo possa effettuare alcun sindacato né sulla valutazione con cui il pubblico ministero, nell'ambito delle indagini di sua competenza, ha ritenuto sussistente i verificarsi del presupposto della sospensione, né sulla conseguente valutazione dell'idoneità della procedura esecutiva ad incidere sull'efficacia del beneficio richiesto dall'interessato. Le Sezioni Unite precisano, poi, che l'iniziativa della trasmissione del provvedimento sospensivo al Giudice dell'esecuzione sia di esclusiva competenza del pubblico ministero, dovendosi al contrario escludere che all'adozione del provvedimento sospensivo possa provvedere direttamente il Giudice dell'esecuzione su richiesta del beneficiario (in senso contrario si erano espresse Cass. civ., 24 gennaio 2007, n. 1496 e Cass. civ., 5 maggio 2016, n. 8956). Per converso, la trasmissione, ad opera del pubblico ministero, del provvedimento sospensivo al Giudice dell'esecuzione non rappresenta una istanza, essendo tale provvedimento di per sé già vincolante nei confronti del giudice civile; ne discende che l'atto di trasmissione non fa assumere al pubblico ministero la qualità di parte nel processo esecutivo, di talché, laddove il giudice civile si rifiuti di applicare il provvedimento sospensivo egli non sarà legittimato ad impugnare la decisione negativa. Dopo aver definito “in negativo” l'ambito dei poteri riconosciuti al Giudice dell'esecuzione nella fattispecie in esame, così come risultanti dai reciproci rapporti esistenti tra le due autorità giudiziarie, le Sezioni Unite passano poi a scrutinare “in positivo” lo spettro di attività cui, viceversa, tale organo risulta legittimato, chiarendo l'ambito delle valutazioni che gli sono consentite. Esse vengono identificate, per l'esattezza: a) nel potere di accertare se ciò che gli è pervenuto è identificabile come provvedimento riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 20, comma 7, l. n. 44/1999; b) nel potere di accertare se il provvedimento riguarda uno o più processi esecutivi pendenti dinanzi al suo ufficio; c) nel potere di apprezzare se il provvedimento effettivamente individui i processi esecutivi cui dichiara di volersi riferire; d) nel potere di rilevare l'erroneità del provvedimento del pubblico ministero in punto di pendenza, presso il suo ufficio, di un processo esecutivo a carico del beneficiario; e) nel potere di verificare che nel processo esecutivo pendente presso il suo ufficio decorre (o deve iniziare a decorrere) un termine in ordine al quale il provvedimento di sospensione possa dispiegare i propri effetti. Le Sezioni Unite chiariscono, poi, che nell'adozione del provvedimento che, recependo la sospensiva disposta dal pubblico ministero, va ad incidere sul processo esecutivo in corso, il Giudice dell'esecuzione è tenuto a sollecitare il contraddittorio delle parti. Tale provvedimento viene dichiarato impugnabile mediante opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., siccome mezzo di tutela spendibile avverso i provvedimenti incidenti sul quomodo dell'esecuzione: nell'ambito di tale giudizio, il Giudice dell'opposizione incontrerà gli stessi limiti valutativi propri del Giudice dell'esecuzione, poco sopra rammentati. Osservazioni
Riassumendo le conclusioni raggiunte dalle Sezioni Unite sui limiti del sindacato del Giudice dell'esecuzione sul provvedimento di sospensione pronunciato dal pubblico ministero a norma della l. n. 44/1999, resta di esclusiva competenza del pubblico ministero la valutazione circa la sussistenza del presupposto della sospensione e l'idoneità della procedura esecutiva a incidere sull'efficacia del beneficio richiesto dall'interessato: questioni, dunque, sulle quali si deve escludere il sindacato del Giudice dell'esecuzione. Ciò che tale organo può fare, all'opposto, è verificare la riconducibilità del provvedimento adottato dal pubblico ministero all'ambito applicativo dell'art. 20, comma 7, l. n. 44/1999, accertare che esso riguarda processi esecutivi effettivamente pendenti innanzi al suo ufficio e verificare che sia pendente (o possa decorrere) un termine in ordine al quale il provvedimento del pubblico ministero possa dispiegare i propri effetti. La pronuncia merita senz'altro di essere condivisa, sia per la sua conformità al dato testuale espresso dalla l. n. 44/1999, sia per l'aderenza ai principi espressi dalle citate pronunce della Corte costituzionale. Nella giurisprudenza di merito, peraltro, si segnala anche la recente sentenza del Trib. Benevento, n. 1245/2017, che aveva appunto escluso la possibilità per il Giudice dell'esecuzione di sindacare la valutazione compiuta dal pubblico ministero circa la sussistenza dei presupposti per la sospensione ex art. 20, comma 7, l. n. 44/1999.
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