La circolazione a causa di morte delle quote di società di persone e le clausole di predisposizione successoria

Cosimo Di Bitonto
23 Novembre 2017

Le quote di società di persone, a differenza delle partecipazioni in società di capitali, sono intrasferibili ai successori a causa di morte del socio premorto, a meno che vengano inserite nel contratto sociale specifiche previsioni pattizie di deroga, compatibilmente con il divieto dei patti successori ex art. 458 c.c., alla regola legale (dispositiva) dell'intrasferibilità.
Le deroghe pattizie al principio d'intrasferibilità successoria delle quote di società di persone

Diversamente da quanto accade per le società di capitali, nelle società di persone vige la regola di legge dell'intrasferibilità, sia per atto tra vivi che a causa di morte, della quota sociale, salvo che vi sia il consenso unanime dei soci. Ogni vicenda circolatoria di quote sociali e quindi qualsiasi mutamento soggettivo della compagine sociale rileva infatti, come modifica del contratto sociale soggetta alla (derogabile) regola unanimistica (art. 2252 c.c.).

L'unica eccezione alla regola legale d'intrasferibilità delle quote di società di persone riguarda le quote spettanti ai soci accomandanti, le cui quote sono trasmissibili per causa di morte e possono esser cedute per atto tra vivi, con effetto verso la società, con il consenso dei soci che rappresentano la maggioranza (e non l'unanimità) del capitale (art. 2322 c.c.).

Con specifico riferimento alla circolazione a causa di morte delle quote dei soci di società di persone diversi dagli accomandanti di s.a.s. (i.e., tutti i soci di s.s. o s.n.c., nonché gli accomandatari di s.a.s.) vige la seguente regola legale di default d'intrasferibilità: “salvo contraria disposizione del contratto sociale, in caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano” (art. 2284 c.c.).

La liquidazione della quota del socio deceduto a favore dei successori mortis causa

In caso di mancato inserimento nel “contratto sociale” (ossia, l'atto costitutivo o un successivo atto modificativo) di specifica clausola di “predisposizione successoria”, abbiamo – nella prospettiva dei successori mortis causa del socio deceduto - che la morte determina automaticamente lo scioglimento del rapporto sociale del socio deceduto, che, come tale, è intrasmissibile ai propri eredi o legatari.

In altri termini, alla morte del socio i suoi successori mortis causa - sia a titolo universale (o eredi in senso stretto) sia a titolo particolare (detti anche legatari) - non diventano soci della società, subentrando automaticamente nella titolarità della quota del socio deceduto; ma acquistano semplicemente un diritto di credito avente ad oggetto la liquidazione di detta quota: ossia il diritto di ricevere una somma di denaro pari al valore della quota del socio deceduto, “in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento” (art. 2289, comma 2, c.c.).

Quanto al soggetto passivo tenuto a corrispondere il valore di liquidazione, secondo l'art. 2284 c.c. i debitori verso i successori mortis causa del socio deceduto sarebbero “gli altri” soci; anche se proprio recentemente la Cassazione ha individuato come debitore direttamente la società, laddove ha stabilito che quella relativa alla liquidazione di quote di socio defunto sarebbe un'obbligazione non degli altri soci ma della società medesima quale soggetto passivamente legittimato, potendosi altresì evocare in giudizio anche i soci superstiti, qualora siano solidalmente ed illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali (ossia tutti i soci di società di persone ad eccezione degli accomandanti di s.a.s.).

Viceversa, nella prospettiva dei soci superstiti, abbiamo che la citata regola di default dell'art. 2284 c.c. attribuisce loro tre diverse ed alternative opzioni:

(i) la prima, continuare la società con liquidazione degli eredi o legatari (i.e., come detto, pagamento a questi ultimo del valore della quota al momento del decesso del socio);

(ii) la seconda, continuare la società con i successori del socio deceduto (che non vengono quindi liquidati), qualora questi vi acconsentano;

(iii) la terza, sciogliere e mettere in liquidazione la società che, di conseguenza, non continuerà né tra i soli soci superstiti né tra i soci superstiti e i successori del socio deceduto.

Le deroghe pattizie al principio d'intrasferibilità successoria delle quote di società di persone

L'art. 2284 c.c. fa espressamente salva la possibilità di inserire nel contratto sociale pattuizioni che deroghino al regime legale sopra delineato: ossia le citate clausole di “predisposizione successoria”.

A tal proposito, il sistema giuridico italiano pone tuttora l'annoso e ancora dibattuto problema – parzialmente irrisolto - di far convergere nel caso in esame le norme in materia societaria con quelle in materia successoria, che prevedono, in particolare, il divieto dei patti successori sancito dall'art. 458 c.c. e l'intangibilità della legittima riservata inderogabilmente agli stretti congiunti del socio (moglie e figli e, in mancanza di questi ultimi, gli ascendenti).

È pertanto necessario osservare e rispettare - nella delicata fase di concreta redazione della disciplina contrattuale derogatrice di quella legale - i limiti posti all'autonomia privata dalle norme imperative di diritto societario e successorio che non consentono la realizzazione di qualsiasi modello possibile di clausola di “predisposizione successoria” volta alla continuazione della società in caso di morte di un socio.

Tra i modelli di clausole di “predisposizione successoria” astrattamente utilizzabili nelle società di persone si possono distinguere, in ragione della loro diversa conformazione giuridica e dei fini che le stesse intendono perseguire, tre tipologie di clausole volte a regolamentare gli effetti endosocietari che scaturiscono dalla morte di un socio:

1. clausole di scioglimento;

2. clausole di continuazione;

3. clausole di consolidazione.

Le clausole di scioglimento comportano l'automatico scioglimento della società a seguito della morte del socio. Esse esaltano, non solo, il connotato personalistico della singola quota di partecipazione alla società, intrasmissibile agli eredi di un socio; ma anche la sua essenzialità per la stessa vita della società, la quale, alla morte di uno qualsiasi dei soci, entra automaticamente in stato di scioglimento e dovrà esser liquidata. Sul piano pratico, la principale conseguenza di una clausola di scioglimento per gli eredi o legatari del socio deceduto è che essi ne vedranno liquidata la quota in proprio favore solo all'esito della procedura di liquidazione volta a onorare tutti i debiti della società, non solo il debito per liquidazione di quota di socio deceduto a favore degli eredi o legatari.

Le clausole di continuazione si caratterizzano, invece, per il perseguimento di uno scopo opposto, tanto a quello della regola legale di default (intrasmissibilità successoria della quota, da liquidare ai successori mortis causa del socio deceduto), quanto a quello delle clausole di scioglimento (estinzione della stessa società): ossia lo scopo di assicurare che la società continui a rimanere in vita, anche con gli eredi o legatari del socio deceduto, che ne diventano soci, subentrando nella titolarità della quota del socio deceduto medesimo.

Esistono tre sotto-tipi di clausole di continuazione:

(i) clausole di continuazione facoltativa, che conferiscono espressamente agli eredi o legatari del socio deceduto la mera facoltà di subentrargli nella titolarità della quota al momento del decesso. In pratica, a tale momento, i successori mortis causa avranno una doppia opzione: la prima, profittare della clausola predisposta a loro favore, optando per l'ingresso in società; la seconda, richiedere la liquidazione del valore della quota del socio deceduto, non avvalendosi della clausola. In sostanza, agli eredi o legatari del socio deceduto viene, pertanto, riconosciuto il diritto potestativo di entrare o meno nella compagine sociale, in base ad una loro libera scelta. Non sono sorti dubbi circa la validità di questa clausola;

(ii) clausole di continuazione obbligatoria, che, diversamente dalle precedenti, eliminano la discrezionalità degli eredi o legatari di poter scegliere se entrare o meno in società, imponendo loro, da un lato, di partecipare alla società, e ai soci superstiti, dall'altro, di continuare la società con i successori mortis causa del socio deceduto, con conseguente obbligo di questi ultimi di risarcire il danno ai soci superstiti, nel caso in cui siano inadempienti all'obbligo di aderire alla società. La validità o l'efficacia di tali clausole è però controversa, alla luce del divieto dei patti successori o del principio di relatività del contratto (i.e., inefficacia negativa verso i terzi, quali sarebbero gli eredi del socio defunto rispetto al patto sociale contenente la clausola di continuazione obbligatoria);

(iii) clausole di continuazione automatica (o di successione), che prevedono che gli eredi del socio deceduto, a seguito dell'accettazione dell'eredità, assumano immediatamente e automaticamente la qualità di socio, senza alcuna esplicita adesione al patto sociale, subentrando nella titolarità della quota sociale del socio deceduto. Abbiamo, quindi, che, da un lato, gli eredi non hanno alcun diritto alla liquidazione della quota; dall'altro, i soci superstiti non possono impedirne l'ingresso in società (oppure scioglierla). Tali clausole sono ritenute valide e ammissibili, pur dovendo esser considerati i dubbi espressi da quell'orientamento, secondo cui le clausole di continuazione automatica sarebbero più a rischio di invalidità di quelle di continuazione obbligatoria. Ciò in quanto queste ultime permetterebbero all'erede di non adempiere l'obbligo di subentro in società in luogo del socio deceduto e di circoscrivere, mediante l'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario, le conseguenze patrimoniali del proprio inadempimento, nei limiti dell'attivo ereditario; mentre le clausole di continuazione automatica costringerebbero l'erede ad assumere una responsabilità illimitata, non limitabile con l'accettazione beneficiata (salvo che si prescriva nei patti sociali che il subentro “automatico” dell'erede venga accompagnato dalla trasformazione della società in s.a.s. e si riconosca all'erede la posizione di accomandante).

In ultimo, le clausole di consolidazione si caratterizzano per lo scopo di far accrescere la quota del socio deceduto a favore dei soci superstiti, in alternativa sia allo scioglimento della società (proprio delle clausole di scioglimento), sia alla trasmissione mortis causa della quota del socio deceduto (propria delle clausole di continuazione).

La pratica conosce due sotto-tipi di clausole di consolidazione, a seconda del trattamento patrimoniale riservato agli eredi o legatari del socio deceduto. In particolare, si parla di clausole di consolidazione pura, quando la quota del socio deceduto si accresce automaticamente a favore dei soci superstiti, con esclusione della liquidazione del relativo valore a favori dei successori mortis causa. Le clausole di consolidazione impura sono tuttavia nulle, in quanto contrarie al divieto dei patti successori posto dall'art. 458 c.c. che sancisce il principio secondo cui non può disporsi mediante contratto dei propri diritti successori quando si è in vita: in buona sostanza, le clausole in oggetto è come se fossero un (inammissibile) reciproco “testamento-contrattuale” (o “contratto-testamentario”) tra tutti i soci, con il quale ciascun socio dispone della propria quota a favore dei soci che gli sopravvivranno.

Si parla, invece, di clausole di consolidazione impura quando i soci superstiti, a favore dei quali avvenga la concentrazione della quota del socio deceduto, sono tenuti a corrispondere agli eredi o legatari la liquidazione della quota del socio deceduto medesimo. Queste clausole, seppur con alcune riserve, sono da ritenere valide ed efficaci, in quanto realizzerebbero una semplice sostituzione del soggetto debitore tenuto a liquidare gli eredi del socio deceduto, creditori del valore di liquidazione della quota: tale debitore degli eredi, cioè, non sarà più la società, ma la collettività dei soci superstiti beneficiari dell'accrescimento in loro favore della quota del socio deceduto.

In conclusione

Il principio normativo d'intrasferibilità mortis causa delle quote di soci di società di persone diversi dagli accomandanti della s.a.s. ha come importante conseguenza, dal punto di vista patrimoniale, che la società deve liquidare agli eredi o legatari il valore della quota del socio premorto. In alternativa, ossia qualora i soci volessero disciplinare diversamente gli effetti della premorienza di uno di essi, occorrerà inserire specifiche clausole di predisposizione successoria, ponendo particolare cura e attenzione nella fase redazionale.

Guida all'approfondimento

C.M. Bianca, Diritto civile. 2.2. Le successioni, Giuffrè, 2015

S.P. Cerri, Negozi successori e trasmissione dell'impresa, Padova, 2013

E. Cristiano – O. Ferraro, Il passaggio generazionale nella impresa familiare, Milano, 2013

AA. VV., L'impresa familiare: modelli e prospettive, Giuffrè, 2012

G. Zanchi, Trasmissione inter-generazionale della ricchezza d'impresa e autonomia privata, Padova, 2011

P. Bassilana – F. Nobili, Imprese di famiglia e passaggio generazionale, Milano, 2008

M. Palazzo, La circolazione delle partecipazioni e la governance nelle società familiari in prospettiva successoria, in Riv. not., 2007, 1375 ss.

In giurisprudenza:

Cass., Sez. III, 31 luglio 2017, n. 18963.

Cass., Sez. I, 19 maggio 2016, n. 10332.

Cass., Sez. I, 23 ottobre 2014, n. 22574.

Cass., Sez. I, 19 giugno 2013, n. 15395.

Cass., Sez. lav., 21 novembre 2011, n. 24476.

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