Transfer pricing: tra mancata corrispondenza del valore normale del prezzo di acquisto ed elusione
23 Novembre 2017
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 27787/2017, è stata chiamata a valutare l'opportuna rimessione alle Sezioni Unite della causa trattante il transfer pricing. Nello specifico, venivano ritenuti illegittimi gli avvisi di accertamento per IVA, IRPEG ed IRAP con i quali era stata recuperata a tassazione la differenza rispetto al valore normale a seguito di cessioni di beni infragruppo dalla controllante, oltre alla contabilizzazione di costi non di competenza e non inerente.
La ricorrente - Agenzia delle Entrate - contesta la violazione dell'art. 76 del d.P.R. n. 917/1986, oltre che mancata corrispondenza tra valore normale del prezzo di acquisto della merce, attività "caratteristica" svolta in perdita.
Ora, la Corte ricorda che la prova gravante sull'Amministrazione finanziaria non riguarda la maggiore fiscalità nazionale o il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, ma solo l'esistenza di transazioni, tra imprese collegate, ad un prezzo inferiore rispetto a quello normale, incombendo, invece, sul contribuente, l'onere di dimostrare che tali transazioni siano intervenute per valori di mercato da considerarsi normali alla stregua di quanto previsto dall'art. 9 del TUIR. Tale comportamento, guardando orientamenti risalenti, potrebbe essere considerato elusivo, ma con la sentenza in commento la Corte di Casssazione non condivide tale pensiero, tenuto conto che la ratio della normativa va rivenuta "nel principio di libera concorrenza enunciato nell'art. 9 del modello di Convenzione OCSE", e di conseguenza la valutazione in base al valore normale investe la "sostanza economica dell'operazione" che va confrontata "con analoghe operazioni realizzate in circostanze comparabili in condizioni di libero mercato tra soggetti indipendenti".
Dunque non ricorrono, a parere dei giudici di legittimità, le condizioni che permetterebbero una trattazione dinnanzi le Sezioni Unite. Non potendosi nemmeno ravvisare un'illegittimità costituzionale, da un lato vi è l'evidente differenza tra operazioni poste nel mercato interno, soggette ad una unitaria disciplina nazionale, e quelle transfontaliere, per le quali l'esigenza è di tutelare il potere impositivo nazionale, e, dall'altro il necessario perseguimento della libera concorrenza e nell'oggetivazione del valore delle operazioni ai soli fini fiscali, senza che ne siano alterati gli equilibri tra i contraenti, che restano regolati dal solo reciproco consenso (non vi è lesione, dunque, nè dei principi di iniziativa economica, nè della capacità e progressività nell'imposizione). |