Domande nuove
23 Novembre 2017
Inquadramento
Il contenuto della domanda rappresenta l'oggetto del giudizio, inteso sia come oggetto della decisione del giudice, sia come oggetto da cui il convenuto è chiamato a difendersi. Il processo civile è scandito dal sistema delle preclusioni e, con particolare riferimento alla tematica della domanda nuova, dal divieto della cd. mutatio libelli. E ciò al precipuo fine di consentire al giudicante e al convenuto la conoscenza, sin dalle fasi iniziali del giudizio, dell'oggetto del processo e di quella che sarà l'espletanda istruttoria. In generale, la domanda è nuova se introdotta in violazione, con riferimento al giudizio di primo grado, ai precetti sanciti dalla norma di cui all'art. 183 c.p.c.. A fronte di una domanda nuova, il giudice, con una sentenza di rito, pronuncia l'inammissibilità della stessa, con la conseguenza che l'attore (o il convenuto in caso di domanda riconvenzionale) può riproporre la domanda in un nuovo giudizio, onde ottenere una pronuncia di merito. Elementi oggettivi
La domanda nuova si compone degli elementi costitutivi della domanda giudiziale (il petitum e la causa petendi) alla quale, però, si aggiunge un quid pluris. É ontologicamente nuova, e dunque inammissibile, anche la domanda ulteriore e diversa rispetto a quella introduttiva del giudizio, avanzata dopo l'udienza ex art. 183 c.p.c. e, per il convenuto, quella riconvenzionale svolta dopo i termini perentori di costituzione di cui agli artt. 166 e 167 c.p.c..In tali casi, trattandosi dellaproposizione di istanze del tutto nuove, ciò che risulta mutato è innanzitutto il petitum mediato (il bene della vita di cui si chiede tutela) e quello immediato (la pronuncia richiesta al giudice). É quindi inammissibilmente nuova, ad esempio, la domanda risarcitoria non avanzata in citazione ma proposta con la prima memoria ai sensi dell'art. 183, comma 6, c.p.c.. Nella prospettiva del convenuto, è inammissibile la domanda riconvenzionale svolta in comparsa di costituzione e risposta ove la costituzione sia tardiva; così come è inammissibile la domanda riconvenzionale spiegata nella prima memoria ai sensi dell'art. 183, comma 6, c.p.c.. Se la domanda nuova/ulteriore a quella proposta con l'atto introduttivo non crea particolari problemi di individuazione, quella nuova che non si aggiunge alla domanda originaria, ma la sostituisce, costituisce oggetto di vivo dibattito giurisprudenziale con particolare riferimento all'individuazione dell'elemento di novità. L'individuazione dell'elemento distintivo della novità è operazione ermeneutica complessa che ha visto prevalere, storicamente, il divieto della cd. mutatio libelli. Il mutamento inammissibiledella domanda ricorre allorquando vengano allegati fatti e circostanze o formulate richieste che non costituiscono precisazione e/o spiegazione delle argomentazioni spese nella domanda introduttiva, ma che incidono sul petitum e sulla causa petendi, senza lasciare alcun elemento di collegamento o connessione con la domanda originariamente articolata. In sostanza, gli elementi costitutivi della domanda nuova che si aggiunge a quella originaria, sono un petitum e una causa petendi diversi e ulteriori rispetto a quelli della domanda introduttiva, alla quale si aggiungono non sostituendola. Di contro gli elementi costitutivi della domanda nuova che sostituisce la domanda originaria, mutandola, si sostanziano nella introduzione di fatti e circostanze idonei a mutare il petitum e/o la causa petendi. Tale seconda ipotesi ricorre normalmente quando ad essere modificati sono i fatti principali sottesi alla pretesa dedotta in giudizio. Così ad esempio, può ritenersi, in tema di querela di falso, che gli elementi della falsità allegati, rappresentando il proprium della causa petendi dell'azione esercitata, costituiscano fatti principali costitutivi del diritto fatto valere. Sicché l'eventuale introduzione, ad esempio con le memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., di differenti elementi di falsità, introduce una diversa querela di falso e, dunque, una domanda inammissibile, in quanto nuova. Il problema non si pone per i cd. diritti autodeterminati – come il diritto di proprietà – nell'ambito dei quali è usualmente considerata una mera emendatio l'allegazione di un fatto costitutivo nuovo.
Mutatio ed emendatio libelli
La giurisprudenza di legittimità e di merito hanno storicamente interpretato i termini precisare e modificare utilizzati dall'art. 183 c.p.c. in relazione a domande, eccezioni e conclusioni già formulate, rientranti nel concetto di emendatio libelli (ammessa), ossia di mera modifica della domanda, e non di mutatio libelli (vietata, in quanto costituente proposizione di una istanza del tutto nuova, preclusa in tale fase del giudizio). Tradizionalmente, si è ritenuto che la precisazione ammissibile fosse quella consistente nello sviluppo e nel chiarimento di un quid già implicitamente contenuto nelle precedenti difese che la parte si limita solo ad esplicare. Ciò avviene, ad esempio, quando la precisazione viene effettuata mediante l'allegazione di fatti secondari volti a chiarire le dinamiche di un sinistro stradale già compiutamente descritto nei suoi elementi costitutivi. La modificaammissibile invece è stata ricondotta al mutamento della causa petendi, ove però risulti modificata soltanto l'interpretazione o la qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto. Pure ammissibile è stata ritenuta la modifica del petitum quando questo risulti ampliato o limitato per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento del diritto fatto valere. La mutatio libelli, invece,è stata configurata allorquando muti l'oggetto della pretesa o vengano introdotti, attraverso la modificazione dei fatti posti a fondamento della domanda, un tema di indagine e di decisione completamente nuovi.
Dal punto di vista strettamente processuale, la pretesa può essere mutata anche in seno all'udienza di cui all'art. 183 c.p.c., durante la quale è consentito all'attore di proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale eventualmente spiegata dal convenuto. Tale facoltà difensiva riconosciuta al solo attore in seno all'udienza ex art. 183 c.p.c. non integra l'ipotesi dell'introduzione di elementi di novità tali da mutare la domanda originaria, ma quella della introduzione di una domanda nuova/ulteriore e diversa, che sia però conseguenza delle difese spiegate dal convenuto [«sono (implicitamente) vietate tutte le domande nuove ad eccezione di quelle che per l'attore rappresentano una reazione alle opzioni difensive del convenuto, secondo una struttura in parte dissimile da quella riscontrabile nel più volte citato art. 345 c.p.c.» (Cass. civ., Sez. Un., sent., n. 12310/2015)]. É sempre sul tema della mutatio ed emendatio libelli che si snoda la pronuncia delle Sezioni Unite n. 12310/2015, le quali hanno avuto modo di osservare che «l'art. 183 c.p.c. non prevede limiti né qualitativi nè quantitativi alla modificazione ammessa e che in nessuna parte della norma suddetta è dato riscontrare un (esplicito o implicito) divieto di modificazione - in tutto o in parte - di uno degli elementi oggettivi di identificazione della domanda. Del resto, la stessa giurisprudenza «che, ritenuta in astratto indiscutibile l'inammissibilità della modificazione degli elementi identificativi oggettivi della domanda, ha poi trovato tali difficoltà ad indicare una ammissibile modificazione della medesima che non si riduca ad una mera precisazione, da pervenire ad affermazioni illogiche identificando la modificazione ammissibile ai sensi dell'art. 183 c.p.c., non nella prospettazione di un fatto costitutivo diverso da quello addotto nell'atto di citazione bensì nella diversa qualificazione giuridica di tale fatto (v. tra le altre Cass. civ., n. 17457/2009 e n. 12621/2012), come se una diversa qualificazione giuridica del fatto non fosse sempre ammissibile, perfino nel corso dei giudizi di impugnazione, ad opera della parte ed anche del giudice, senza bisogno di una specifica norma che autorizzi a tanto, addirittura distinguendo questa attività da quella di precisazione della domanda e prevedendo tale possibilità solo all'inizio del procedimento di primo grado e con la contemporanea prescrizione di importanti "cautele" a tutela della controparte, come la previsione di doppi termini per memorie e articolazione di prova diretta e contraria».
Alla luce dei principi espressi dalla Suprema Corte, allora, deve ritenersi nuova e dunque inammissibile: a)l'introduzione, in sede di udienza ex art. 183 c.p.c., di una domanda nuova/diversa/ulteriore rispetto a quella originaria che non sia necessitata dalle difese del convenuto; b) la modifica della domanda originaria con l'introduzione di fatti principali nuovi (con conseguente modifica della causa petendi, oltre che del petitum) tali da mutare la vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l'atto introduttivo e/o recidere ogni collegamento secondo le indicazioni contenute nel codice in relazione alle ipotesi di connessione a vario titolo.
Numerosissime pronunce di legittimità affrontano il problema della violazione del principio di immutabilità della domanda e della differenza tra emendatio e mutatio libelli. Si è registrato, dopo la sentenza a Sezioni Unite n. 12310/2015 un ampliamento della nozione di modifica ammissibile nel senso sancito dalla Suprema Corte: deve, cioè, ritenersi ammessa la modifica della domanda senza limiti quantitativi e qualitativi purché rimanga immutato l'elemento soggettivo e permanga la medesima situazione sostanziale originariamente dedotta in giudizio o sussista comunque collegamento o connessione secondo i canoni dettati dal codice. Quanto ai termini processuali per operare la suddetta modifica, la Corte nella pronuncia in esame fa esplicito riferimento all'udienza di cui all'art. 183 c.p.c. e non anche alle memorie di cui al successivo sesto comma della stessa norma. Né espresso riferimento a tale ultima norma si rinviene nelle pronunce di legittimità successive, le quali, in effetti, si sono limitate a richiamare genericamente la barriera preclusiva dell'art. 183 c.p.c.. La questione non è di poco momento se solo si consideri che, ove il principio sancito dalle Sezioni Unite volesse estendersi anche alle memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., si avrebbe che sino alle richieste di prova diretta (seconda memoria di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c.) potrebbero formularsi domande “nuove” (recte modificarsi la domanda originaria senza limiti quantitativi e qualitativi purché la domanda risultante dalla modifica risulti connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio) se la modifica è resa necessaria dalle difese, eccezioni e conclusioni modificate o precisate dall'altra parte. E così, in materia risarcitoria, la Suprema Corte ha ritenuto che la richiesta del risarcimento del danno per equivalente costituisce mera modificazione (emendatio), e non mutamento (mutatio), della domanda originaria di reintegrazione in forma specifica (Cass. civ., sez. VI-II, ord., n. 12168/2017). Di particolare interesse è poi l'affermazione secondo la quale, anche per i diritti eterodeterminati (quali quelli di credito), è ammessa la modifica in corso di causa della domanda originaria, mediante l'allegazione di un diverso fatto costitutivo, che ne comporti la sostituzione con una nuova domanda ad essa alternativa, purché abbia ad oggetto il medesimo bene della vita e siano rispettate le preclusioni processuali previste dall'art. 183 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, sent., n. 18956/2017). Sempre richiamando i principi sanciti dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 12310/2015, la Cassazione, in tema di rapporti tra il regime di responsabilità di cui all'art. 2043 c.c. e di cui all'art. 2050 c.c., valorizzando l'unicità del fatto costitutivo (la causazione del danno) e la sussistenza di un elemento reciprocamente specializzante (il criterio d'imputazione alternativo che, in un caso, è la colpa, e, nell'altro, lo svolgimento di un'attività pericolosa), ha statuito come «l'una domanda può essere modificata con l'introduzione dell'altra in corso di causa, nel rispetto delle previsioni dettate per il giudizio ordinario dall'art. 183 c.p.c.» (Cass. civ., sez. III, sent., n. 10513/2017). L'unicità del fatto costitutivo della pretesa dedotta in giudizio si ravvisa anche nelle azioni di stato, tanto è vero che a parere della Suprema Corte, nell'azione di disconoscimento della paternità, che è volta ad accertare unicamente l'insussistenza del legame biologico con il figlio nato nell'ambito del rapporto matrimoniale, non importa una mutatio libelli la modifica dei fatti addotti a sostegno della pretesa, giacché petitum e causa petendi restano comunque identici ed unitari (cfr. Cass. civ., sez. I, sent., n. 7965/2017). In ogni caso, anche dopo la sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite, rimane fermo il principio unanimemente riconosciuto e applicato in giurisprudenza per il quale la mutatio libelli (vietata)ricorre allorquando viene mutato l'oggetto della pretesa o viene introdotta, attraverso la modificazione dei fatti posti a fondamento della domanda, un tema di indagine e decisione completamente nuovi. Così, ad esempio, in tema di responsabilità medica, la Cassazione ha ritenuto «non consentita con la memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., la deduzione - in una domanda risarcitoria fondata sulla responsabilità di dipendenti di aziende sanitarie pubbliche ed ascritta a specifiche e ben determinate condotte - di un diverso titolo di responsabilità per differenti condotte, addebitate ad altri dipendenti o strutture sanitarie, benché facenti capo alla stessa azienda, nonché realizzate nell'ambito delle cure somministrate in occasione della medesima infermità» (Cass. civ., sez. III, sent., n. 16504/2017). A conferma dell'immanenza del principio secondo il quale è inammissibile il mutamento della domanda ove introduca temi di indagine differenti, si colloca la pronuncia con cui è stata statuital'inammissibilità della richiesta avanzata in corso di causa di fondare la domanda di risarcimento del danno per occupazione illegittima sulla originaria illegittimità dell'immissione in possesso nel fondo privato quando, con l'atto di citazione, si era ricollegato l'illecito alla scadenza del periodo di occupazione legittima. A parere della Corte, infatti, la diversità dei fatti costitutivi della pretesa, comportando la necessità di nuovi temi di indagine su cui instaurare il contraddittorio,costituisce una inammissibile mutatio libelli (Cass. civ., sez. I, sent., n. 6389/2017). Merita, infine, particolare attenzione la pronuncia a Sezioni Uniten. 8510/2014 con cui la Corte, dirimendo il contrasto insorto tra le sezioni semplici, ha statuito che in caso di mutamento, nel corso del giudizio, della domanda di adempimento del contratto in domanda di risoluzione, contestualmente all'esercizio dello ius variandi riconosciuto ai sensi dell'art. 1453, comma 2, c.c., è ammissibile, oltre la richiesta di restituzione della prestazione eseguita, anche il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale. Alla stregua di quanto successivamente statuito dalle Sezioni Unite n. 12310/2015, la Corte, pur riconoscendo che l'esercizio dello ius variandi comporta la modifica del petitum immediato (la richiesta formulata al giudice), ha tuttavia sottolineato come le due azioni, quella di adempimento e quella di risoluzione mirano a risultati coordinati e convergenti dal punto di vista dello scopo, nonostante abbiano oggetti differenti. In particolare, «quando in luogo dell'adempimento chiede la risoluzione, l'attore non si limita a precisare o a modificare la domanda già proposta. Egli ne muta l'oggetto. L'azione di risoluzione è nuova rispetto a quella di adempimento: la trasformazione della domanda di adempimento a quella di risoluzione rappresenta un'autentica mutatio libelli. Sotto questo profilo, il passaggio, consentito dall'art. 1453, comma 2 c.c., dalla domanda di adempimento a quella di risoluzione costituisce una deroga alle norme processuali che precludono il mutamento della domanda nel corso del giudizio e la proposizione di domande nuove in appello. La disposizione dell'art. 1453, comma 2, c.c., infatti, abilita la parte che ha invocato la condanna dell'altra ad adempiere, a sostituire a tale pretesa quella di risoluzione, in deroga agli artt. 183 e 345 c.p.c., nelle fasi più avanzate dell'iter processuale, oltre l'udienza di trattazione: non solo per tutto il giudizio di primo grado, ma anche nel giudizio di appello (Cass. civ., sez. II, 5 maggio 1998, n. 4521; e questo indirizzo è stato ribadito - da Cass. civ., sez. II, 6 aprile 2009, n. 8234, e da Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 2014, n. 3207, entrambe riferite a vicende processuali iniziate dopo il 30 aprile 1995 - in seguito alle riforma del regime delle preclusioni processuali realizzata dalla l. 26 novembre 1990, n. 353)» (Cass. civ., Sez. Un., n. 8510/2014). Anche in tale ipotesi, rimane fermo il principio per il quale non è ammessa la modifica dei fatti costituivi (principali) posti a fondamento della domanda (il fatto inadempito, nel caso affrontato dalla Corte). Ed infatti, prosegue la Corte, l'immutazione dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, introducendo nel processo un nuovo tema d'indagine e di decisione, altererebbe «l'oggetto sostanziale dell'azione ed i termini della controversia», e si risolverebbe, in definitiva, nel far valere in giudizio «una pretesa... diversa, per la sua intrinseca natura, da quella fatta valere in precedenza». Poste tali premesse e valorizzando la ratio sottesa allo ius variandi riconosciuto dalla norma di cui all'art. 1453, comma 2, c.c. (offrire giusta protezione all'interesse dell'attore vittima dell'inadempimento, specie di fronte al comportamento del debitore convenuto in giudizio, che permane inattivo nonostante sia stato sollecitato a eseguire la prestazione),le Sezioni Unite hanno ritenuto ammissibile la domanda nuova, formulata in occasione del (e contestualmente al) mutamento della domanda di adempimento in quella di risoluzione del contratto, di risarcimento del danno, data la funzione complementare che la stessa svolge rispetto al rimedio diretto ad ottenere la rimozione degli effetti del sinallagma. Bussole di inquadramentoPotrebbe interessarti |