Appalto cessato: inapplicabili i criteri integrativi per la scelta dei licenziandi

La Redazione
24 Novembre 2017

A seguito della cessazione del contratto d'appalto, veniva intimato il licenziamento per GMO ad un autista, la cui posizione lavorativa era stata soppressa. La Cassazione chiarisce il "perché" non siano stati violati gli obblighi di correttezza e buona fede nella scelta dei lavoratori da licenziare.

A seguito della cessazione del contratto d'appalto, veniva intimato il licenziamento per GMO ad un autista, la cui posizione lavorativa era stata soppressa. Questi, nel ricorrere in Cassazione, deduceva la violazione degli obblighi di correttezza e buona fede nella scelta dei lavoratori da licenziare.

Chiarisce la Suprema Corte che, nel caso di specie, non trattandosi di provvedimento espulsivo che trova giustificazione in una generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, non vi è l'esigenza di fare ricorso ai criteri integrativi di correttezza e buona fede per la selezione dei licenziandi.

Al contrario, il recesso è conseguenza della “soppressione dei posti di lavoro di personale adibito all'espletamento di un servizio per un appalto venuto meno, per cui è il nesso causale che necessariamente lega la ragione organizzativa e produttiva posta a fondamento del recesso con la posizione lavorativa non più necessaria ad identificare il soggetto destinatario del provvedimento espulsivo, senza necessità di fare ricorso ad ulteriori criteri selettivi”. La Cassazione, pertanto, rigetta il ricorso.

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