La revisione del sistema dei privilegi nella legge delega

Luigi Amerigo Bottai
29 Novembre 2017

Rem tene, verba sequentur, insegnava Catone, e la Commissione Rordorf ha recepito il brocardo scolpendo un principio direttivo di delega rilevante per riformare dal fondo la disciplina delle crisi d'impresa, che impone il riordino del sistema dei privilegi, definito dapprima nel codice civile e poi cresciuto selvaggiamente in numerose leggi settoriali, in dipendenza del dominante corporativismo e dell'influenza dei più disparati gruppi di pressione.
Premessa

Rem tene, verba sequentur, insegnava Catone, e la Commissione Rordorf ha recepito il brocardo scolpendo un principio direttivo di delega rilevante per riformare dal fondo la disciplina delle crisi d'impresa, che impone il riordino del sistema dei privilegi, definito dapprima nel codice civile e poi cresciuto selvaggiamente in numerose leggi settoriali, in dipendenza del dominante corporativismo e dell'influenza dei più disparati gruppi di pressione.

Soltanto con una misura radicale di diritto sostanziale e processuale insieme, che si auspica possa giungere al traguardo prima della fine della legislatura (marzo 2018?), si può affrontare il vero nodo gordiano di qualunque procedura concorsuale, rappresentato dal problema della corretta ed equa distribuzione dell'attivo realizzato e, per l'effetto, della salvaguardia concreta del diritto di credito.

Perché si può anticipare l'emersione dell'insolvenza e voler conservare il valore organizzativo dei fattori produttivi, ma se i creditori chirografari continueranno a non beneficiare, neppure in parte, di tali utilità, qualunque riforma perderà di interesse per la gran parte dei suoi destinatari naturali. E quel che è peggio, come spiega l'analisi economica, il costo del credito continuerà ad aumentare, ampliando la forbice esistente con i paesi dell'area euro e rendendo sempre più ardua la concorrenza fra le imprese (basti vedere la differenza tra i tassi d'interesse bancari italiani e quelli tedeschi o francesi).

Come sottolineava Vivante, la prima regola di ogni costruzione giuridica è l'osservazione genuina dei fatti; ebbene, pur in assenza di statistiche ufficiali sui fallimenti (ferme al 2007 per grave responsabilità dell'Istat) la delega si basa su dati che fanno riflettere (cfr. l'Analisi di impatto della regolamentazione, premessa ad ogni legge, AC 3671, pag. 38 ss.): il rapporto tra attivo e passivo delle procedure si è dimezzato dagli anni 2004-2005, arrivando oggi a soddisfare neppure il 10% dei crediti sforniti di prelazione, in un tempo medio di circa 2.500 giorni, mentre i dati dell'Agenzia delle Entrate riportano una riscossione dei crediti tributari ammontante a non oltre l'1,64% del totale ammesso al passivo, pari a 2,64 mld di € a fronte di insinuazioni per 161,7 mld (dato provvisorio, essendo ancora aperte oltre la metà delle procedure censite). Chi frequenta le aule giudiziarie sa, peraltro, che sovente neppure i privilegiati di secondo grado riescono a percepire somme nei riparti.

Le cause più diffuse che incidono in modo artificioso sul patrimonio responsabile, erodendolo in pregiudizio dei creditori privi di garanzia, possono essere compendiate nelle seguenti:

A) la notoria lentezza (vera e propria irresponsabilità) con cui il Fisco e gli enti previdenziali azionano i loro crediti, confidando sul privilegio esteso per legge dal 2011 a tutte le rispettive pretese, inclusi interessi e sanzioni. Ciò costituisce un primo disincentivo per i creditori a denunciare lo stato di crisi/insolvenza del proprio debitore;

B) connessa è poi l'interpretazione erariale della nuova formulazione dell'art. 182-ter l.fall., in vigore dal 1° gennaio 2017, la quale, ritenendo obbligatoria la proposta di transazione fiscale nelle soluzioni negoziali della crisi, vorrebbe affermare l'infalcidiabilità dei crediti dello Stato per iva e ritenute non versate in ogni ipotesi di concordato (ma la tesi è stata già smentita da Cass. S.U. 13.1.2017, n. 760, e Cass. 19.1.2017, n. 1337, sulla scorta del precedente della Corte di Giustizia UE 7.4.2016, in C 546-14);

C) la creazione di forme di segregazione del patrimonio, destinato a scopi ritenuti meritevoli di tutela dall'ordinamento (v. artt. 2447-bis, 2645-ter c.c.), per la cui inefficienza, in termini di esternalità negative nei confronti dei creditori meno “attrezzati”, non sembrano esservi rimedi esperibili al di là della revocatoria (cfr. D. Galletti, La ripartizione del rischio di insolvenza, Bologna, 2006, 295 ss.);

D) ancora, la funzione dei privilegi processuali di lasciar proseguire l'esecuzione singolare sui beni vincolati pur in pendenza della procedura concorsuale (v., ad es., gli artt. 53 e 107 l.fall., art. 4 d. lgs. 170/2004, 42-44 T.U.B.), sebbene abbia perso ragione di sopravvivenza alla luce dell'universalità delle procedure stesse e della ormai acclarata maggiore efficienza del curatore fallimentare (rispetto alle espropriazioni forzate), rischia di pregiudicare la vendita in blocco dell'azienda e comunque rallenta le liquidazioni cercando di sottrarre le banche ai controlli degli organi concorsuali;

E) inoltre, il processo concorsuale – che di regola deve operare come un filtro neutrale sui diritti preesistenti e possibilmente accrescerne la soddisfazione per mezzo delle azioni recuperatorie - pare attualmente divenuto una fonte di diritti per taluni creditori soltanto, trasformati d'incanto in crediti prededucibili. Questo è uno dei punti oggetto dell'intervento riformatore, che agli artt. 2, 6 e 7 prevede il ridimensionamento dell'incidenza delle prededuzioni sia nel concordato che nella liquidazione giudiziale.

In definitiva, occorre evitare di produrre il disinteresse dei creditori ordinari alle sorti dell'impresa debitrice, sia per i predetti costi a carico del sistema, sia perché rappresenterebbe la più eloquente dimostrazione dell'inefficienza della redigenda riforma.

Ora, pertanto, il legislatore delegato deve riuscire in brevissimo tempo a tradurre il precetto direttivo, espresso nell'art. 10 della Legge 19.10.2017, n. 155 (intitolata “Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza” e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 254 del 30 ottobre 2017), di “procedere al riordino e alla revisione del sistema dei privilegi, principalmente con l'obiettivo di ridurre le ipotesi di privilegio generale e speciale, con particolare riguardo ai privilegi retentivi, eliminando quelle non più attuali rispetto al tempo in cui sono state introdotte e adeguando in conformità l'ordine delle cause legittime di prelazione” in un articolato normativo dettagliato e coordinato, così da adeguare (finalmente) la graduazione delle cause di prelazione dei crediti alle reali esigenze della moderna economia di mercato.

Le ragioni della necessaria revisione dei privilegi: il bilanciamento degli interessi in gioco

Nei sistemi concorsuali la tutela dei diritti di credito è affidata al bilanciamento di due principi opposti: quello di preferenza e quello di proporzionalità, storicamente sviluppatisi per attenuare gli impatti delle insolvenze dei debitori. Senza tutela, infatti, non si avrebbe lo sviluppo del credito, essenziale per qualunque economia. Nel Medioevo - epoca in cui proprio nei comuni italiani nasce il diritto fallimentare - le comunità urbane dipendevano dal commercio, riservato alla classe mercantile, e il fallimento di un mercante determinava un effetto domino da evitare dalle conseguenze disastrose; di qui l'esigenza di distribuire la perdita proporzionalmente fra tutti i creditori (a differenza di quanto avveniva nel diritto romano e nel diritto comune: U. Santarelli, Mercanti e società tra mercanti, Torino, 1992, 84 ss.). Ragioni di rapidità della soluzione e di prevenzione dei conflitti giustificavano la preminenza della regola del pari passu (esportata prima in Francia e, nel 1500, in Inghilterra) sul criterio prior tempore, potior iure di origine romana. Le poche eccezioni riguardavano la protezione della famiglia del fallito e il fisco, mentre pegni e ipoteche non avevano un ruolo di rilievo perché ostacolavano i traffici. I mercanti ricorrevano, piuttosto, alla compensazione e al diritto di ritenzione per limitare i rischi di inadempimento.

Con il sorgere dei primi Stati nazionali, però, il diritto dei mercanti perde autonomia e i sovrani iniziano a regolamentare tutte le attività: a farne le spese è il principio del riparto proporzionale, soppiantato dal sistema preferenziale a causa dell'espansione delle categorie di creditori e dell'enorme incremento dei crediti pubblici (dovuto alle funzioni assunte dallo Stato in tutti i campi, fino alla moderna invasione pure dell'economia).

Di talché tutto si può dire tranne che il credito chirografario sia stato di recente tutelato e incentivato, malgrado i proclami, con l'ovvia conseguenza che la sorte dei fornitori - unici veri sostenitori delle imprese - resta più o meno indifferente a qualsiasi legislatore di ogni latitudine.

Oggi, tuttavia, con l'affermarsi della cultura della conservazione dell'impresa e dei suoi valori organizzativi, “le tecniche di tutela preferenziale (dei crediti, ndr) perdono il loro senso, giacché il soddisfacimento dei creditori è subordinato all'effettivo mantenimento dell'unità produttiva” (R. Costi, Attività creditizia e procedure concorsuali. Un profilo del processo di socializzazione del rischio di impresa, Pol. Dir., 1975, 517).

La conservazione dell'impresa, esigenza dettata dall'attuale struttura organizzativa delle aziende, costituite da una serie di contratti aventi ad oggetto i fattori produttivi (a differenza di quelle del passato), comporta poi l'insorgenza di nuovi debiti, assunti dagli organi della procedura, che devono essere pagati in prededuzione.

Qual è allora l'unica reazione possibile per i creditori sprovvisti di garanzie e/o di tutela legale? Solo di cercare gli strumenti idonei ad evitare la graduazione e, quindi, il ricorso a forme contrattuali di cd. prevenzione del rischio, quali la compensazione, la rateizzazione (con riserva di proprietà), il leasing.

In siffatto contesto è illusorio continuare a parlare di par condicio come principio cardine del sistema (v. già P.G. Jaeger, Par condicio creditorum, Fall., 1984, 51). E' “illusorio perfino il senso della graduatoria, giacché l'accumulazione dei privilegi fa sì che un numero sempre più grande di crediti privilegiati non sia soddisfatto” e molti privilegi codicistici siano diventati “scatole vuote” (J. Garrido, Preferenza e proporzionalità nella tutela del credito, Milano, 1998, 38).

Ecco perché si parla di “morte del fallimento” (R. Goode, The death of insolvency law, 1 Company Law, 1980, 123).

Ma le linee di tendenza emerse in vari ordinamenti segnalano una inversione di rotta nel modo di tutelare i diritti di credito in situazioni di incapienza patrimoniale, aggirando efficacemente il problema della moltitudine di privilegi.

  • Come sopra anticipato, si osserva “il costante trend di crescente parcellizzazione del patrimonio del debitore, secondo una sorta di “specializzazione della responsabilità”, che mina profondamente la garanzia su cui si appunta la tutela dei privilegi”: la moltiplicazione delle fattispecie di separazione patrimoniale o di destinazione a specifici scopi fissati dalla legge, a cominciare dai trust, dai patrimoni destinati del diritto societario, dai negozi di destinazione per interessi meritevoli di tutela, fino alle forme più sofisticate degli SPV, delle SGR e delle società veicolo per le cartolarizzazioni (cfr. A. Patti, I privilegi, Trattato dir. civ. e comm. Cicu-Messineo, Milano, 2003, 318).

  • Al contempo la dematerializzazione dell'impresa, sostituita dal sapere tecnologico e dalle capacità organizzative e commerciali (know-how e avviamento), cui si accompagna la residualità dei mezzi produttivi in proprietà del debitore a vantaggio di modi di possesso finanziariamente meno onerosi (quali il leasing, i noleggi, le vendite a rate, il rent to buy di cui all'art. 23 L. n. 164/2014), riducono notevolmente gli oggetti su cui possono gravare i privilegi, aumentando però le forme di compensazione o garanzia indiretta a disposizione dei fornitori.

  • Vi è poi la facoltà, nella legge sui concordati preventivo e fallimentare, di suddividere i creditori in classi omogenee per posizione giuridica e interesse economico, che determina il superamento della distinzione tra privilegiati e chirografari in base alla maggiore o minore utilità del loro apporto alla prosecuzione dell'attività ovvero alla liquidazione del patrimonio. E qui la tutela giurisdizionale contro l'opportunistica formazione delle classi dev'essere assicurata a pena di incostituzionalità.

Sono queste le tecniche negoziali che la pratica ha (lecitamente) elaborato per neutralizzare il peso opprimente dei privilegi legali. Forse è questa anche la via che il legislatore delegato potrà seguire per disciplinare in maniera sistematica il tema in oggetto, dal momento che un drastico taglio delle fattispecie di prelazione non sembra allo stato possibile, attesa la robusta stratificazione di privilegi accumulatasi in decenni di legislazione spesso emergenziale.

Fra i diversi interessi contrapposti che si contendono il campo nella crisi d'impresa il legislatore deve scegliere invero “le priorità di valori indicate dalla carta costituzionale”, individuando così di volta in volta anche “quella causa, che è il fondamento giustificativo del privilegio” (A. Patti, op. cit., 319).

Il bilanciamento degli interessi secondo Costituzione induce gli studiosi a chiedersi se la par condicio creditorum sia un principio assoluto, ispirato a interessi superiori di carattere economico o sociale: taluni lo negano (oltre a Jaeger, cit., anche V. Colesanti, Mito e realtà della par condicio, Fall., 1984, 32; V. Andrioli, Fallimento, voce Enc. Dir., vol. XVI, 398), sulla considerazione che la regola dell'”eguale diritto” dei creditori è solo la norma tendenziale di attuazione del concorso – oggi si dovrebbe dire “residuale” -, destinata a operare se e in quanto non esistano obbiettive situazioni di disuguaglianza espressamente rilevate dalla legge; altri lo sostengono in virtù degli artt. 3 e 24 Cost., con le eccezioni ragionevolmente poste dalle cause legittime di prelazione o da istituti tipizzati ex lege come la compensazione e ora anche il leasing. Le discriminazioni devono profilarsi come “coessenziali, non già al risanamento, ma alla stessa conservazione dell'azienda, in funzione del suo possibile ed unitario trasferimento. In questo caso l'obiettivo perseguito non apparirebbe antitetico alla tutela dell'interesse dei creditori (…) anche nelle procedure dichiaratamente liquidatorie” (Gius. Tarzia, Par aut dispar condicio creditorum?, Riv. dir. proc., 2005, 10).

Le fughe in avanti dell'ordinamento e le interferenze “(pan)penalistiche”

In Italia l'urgenza della tutela effettiva dei crediti è stata compresa assai in ritardo e, per effetto della pressione della UE-BCE (allorché le banche italiane avevano accumulato sofferenze per oltre 200 miliardi di euro), si è pervenuti all'emanazione del decreto-legge n. 59/2016, conv. con modif. nella L. n. 119/2016, il quale con gli artt. 1 e 2, sotto la rubrica “Misure a sostegno delle imprese e di accelerazione del recupero crediti”, ha introdotto

(i) una nuova forma di diritto reale di garanzia, il cd. "pegno mobiliare non possessorio", per favorire i finanziamenti alle imprese a fronte di una garanzia sui mezzi di produzione e finanche sulle merci (che permette il "revolving", ossia il suo trasferimento dalla materia prima al prodotto finito e/o al ricavato della vendita. La garanzia, con adeguate forme di pubblicità, assiste genericamente i crediti inerenti all'esercizio dell'impresa ed è riferita sia a quelli presenti che a quelli futuri, determinati o determinabili); e

(ii) l'art. 48-bis del d. lgs. 385/93 contenente una deroga al divieto del cd. "patto marciano", che per i finanziamenti garantiti da immobile consente il trasferimento del bene in proprietà del creditore in caso di inadempimento protratto (per 9 mesi) del mutuatario alle obbligazioni di rimborso, senza dover procedere all'esecuzione, a condizione che il valore del bene sia determinato in maniera oggettiva (relazione giurata di stima, con possibilità di controdeduzioni e replica) e salvo l'obbligo di restituire immediatamente l'eventuale eccedenza.

La legge delega n. 155/2017, all'art. 11, ha confermato tali istituti imponendo di:

a) introdurre una forma di garanzia mobiliare senza spossessamento, avente ad oggetto beni, materiali o immateriali, anche futuri, determinati o determinabili, fatta salva la specifica indicazione dell'ammontare massimo garantito, eventualmente utilizzabile anche a garanzia di crediti diversi o ulteriori rispetto a quelli originariamente individuati;

b) regolamentare forme, contenuto, requisiti ed effetti dell'iscrizione nel registro informatizzato di tale garanzia, direttamente accessibile per via telematica secondo modalità che salvaguardino la protezione dei dati, al fine di consentire le operazioni di consultazione, iscrizione, annotazione, modifica, rinnovo ed estinzione delle garanzie, nonché la regolazione del concorso conseguente all'eventualità di plurime annotazioni;

c) prevedere forme di pubblicità e di controllo giurisdizionale dell'esecuzione stragiudiziale sul bene, regolare i rapporti tra la stessa e le procedure esecutive forzate e concorsuali, adottare forme di tutela dei terzi che abbiano contrattato con il debitore non spossessato ovvero abbiano acquistato in buona fede diritti sul bene mobile oggetto del pegno.

Da altra angolazione occorre misurare l'incidenza del coordinamento delle emanande disposizioni con il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al d. lgs. n. 159/11, appena modificato dalla L. 17.10.2017, n. 161, stabilendo condizioni e criteri di prevalenza, rispetto alla gestione concorsuale, delle misure cautelari adottate in sede penale, anteriormente o successivamente alla dichiarazione di insolvenza (fenomeno sempre più frequente, legato alla espansione della criminalità economica).

In realtà, l'art. 22 di quest'ultima legge ha già assolto al compito prefissato, novellando gli artt. 63 e 64 e prescrivendo che “4. Quando viene dichiarato il fallimento, i beni assoggettati a sequestro o confisca sono esclusi dalla massa attiva fallimentare. La verifica dei crediti e dei diritti inerenti ai rapporti relativi ai suddetti beni viene svolta dal giudice delegato del tribunale di prevenzione nell'ambito del procedimento di cui agli articoli 52 e seguenti. 5. Nel caso di cui al comma 4, il giudice delegato al fallimento provvede all'accertamento del passivo e dei diritti dei terzi nelle forme degli articoli 92 ss. (…) 6. Se nella massa attiva del fallimento sono ricompresi esclusivamente beni già sottoposti a sequestro, il tribunale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, dichiara chiuso il fallimento con decreto ai sensi dell'articolo 119” l.f.

Del pari, qualora il sequestro o la confisca di prevenzione intervengano dopo il fallimento e abbiano per oggetto l'intera massa attiva fallimentare, il tribunale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, dichiara la chiusura del fallimento.

Soltanto nel coordinamento con la disciplina di cui al d. lgs. n. 231/2001, e in particolare con le misure cautelari previste dalla disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, dovrebbe avere prevalenza il regime concorsuale, “salvo che ricorrano ragioni di preminente tutela di interessi di carattere penale” (art. 12, comma 2, L. n. 155/17).

Si percepisce, dunque, da simili indicazioni quale sia l'ordine di priorità che si pone il legislatore, lasciando ai normali fornitori dell'impresa in crisi niente più che uno spicchio di patrimonio su cui potersi rivalere.

E allora non resta che pronosticare come gli interventi di riordino potranno, al più, circoscriversi ai crediti tributari e previdenziali, sulla base del principio di delega di cui all'art. 4, comma 1, lett. c), oltre che sulla scia di alcune pronunce della Corte Costituzionale.

Talune fattispecie di privilegi emendabili

Proprio il nuovo principio esortativo sugli istituti di allerta e prevenzione del rischio di insolvenza mostra la strada da percorrere anche in tema di revisione dei privilegi.

Già lo schema di ddl delega della Commissione Trevisanato previde (nel testo di maggioranza, art. 3, e nella relazione generale, §4.1) l'obbligo degli uffici tributari statali e locali e degli enti previdenziali, “a pena di decadenza dalle cause di prelazione agli effetti della partecipazione nelle procedure di crisi e di liquidazione concorsuale, di iscrivere in apposito registro, con tempestiva comunicazione all'autorità giudiziaria, i crediti, iscritti a ruolo ovvero muniti di titolo esecutivo, di importo superiore a un determinato significativo ammontare”, analogamente a quanto esiste negli ordinamenti inglese e francese.

Sappiamo l'esito di quella Commissione, ma oggi il lavoro è stato fortunatamente ripreso e reinserito nell'art. 4, comma 1, lett. c) della L. n. 155, con la seguente formulazione direttiva: “imporre a creditori qualificati, come l'Agenzia delle entrate, gli agenti della riscossione delle imposte e gli enti previdenziali, l'obbligo, a pena di inefficacia dei privilegi accordati ai crediti di cui sono titolari, di segnalare immediatamente agli organi di controllo della società o, in mancanza, al competente organismo di composizione della crisi il perdurare di inadempimenti di importo rilevante”.

La sollecita reazione dei creditori pubblici serve a mutare quel costume dilagante presso quasi tutti gli uffici erariali e previdenziali di disinteressarsi del recupero delle imposte e dei contributi nei confronti delle imprese insolventi, arrivando a far accumulare loro ingenti debiti (sovente azionati poi dai PM in luogo dei diretti titolari) che, invece, non avrebbero dovuto neppure sorgere. L'esempio di paesi-modello come Francia e Gran Bretagna (che nell'Enterprise Act del 2002 ha eliminato il cd. privilegio della Corona) rappresenta il miglior viatico per l'approvazione della misura.

Un'altra direttiva nei riguardi del fisco proviene da due sentenze della Corte Costituzionale, la n. 170/2013 e la n. 176 del 13.7.2017, le quali con riferimento al parametro di cui all'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 6 della CEDU, oltreché all'art. 3 Cost., hanno dichiarato l'illegittimità costituzionale dei commi 37 e 39, ultimi periodi, e del connesso comma 40, dell'art. 23 del d.l. n. 98/2011, che estendevano i privilegi a crediti già ammessi al passivo come chirografari, per la ragione che una tale disciplina «altera [...] i rapporti tra i creditori, già accertati con provvedimento del giudice ormai consolidato dall'intervenuta preclusione processuale, favorendo le pretese economiche dello Stato a detrimento delle concorrenti aspettative delle parti private». E ciò in «assenza di adeguati motivi che giustifichino la retroattività della legge», tale non essendo l'esigenza di rimpinguare le finanze pubbliche. In altri termini, il Giudice delle leggi censura le disposizioni che siano volte a perseguire unicamente l'interesse economico dello Stato nel procedimento concorsuale, ritenuto inidoneo di per sé a legittimare un intervento normativo retroattivo che determina una disparità di trattamento a scapito dei creditori concorrenti, i quali vedono ingiustamente frustrate le aspettative di riparto del credito che essi avevano legittimamente maturato.

Riprendendo il criterio direttivo delegante che mira a ridurre le ipotesi di privilegio generale e speciale, con particolare riguardo ai privilegi retentivi, eliminando quelle non più attuali, si possono svolgere alcune semplici osservazioni.

Dando per noto che i privilegi hanno tassativa fonte legale e possono trovare origine in convenzioni pattizie solo se esplicitamente contemplate dalla legge (art. 2745 c.c., correlato ad es. al nuovo pegno non possessorio di cui all'art. 1 d.l. n. 59/2016), l'esercizio del privilegio generale può avvenire su tutti i beni mobili del debitore – a differenza di quello speciale (art. 2746), che postula un rapporto diretto con un bene specifico -, non però sul compendio immobiliare, salva l'eccezione dell'art. 2776 c.c., allo scopo di non pregiudicare i creditori ipotecari (v. art. 2748 cpv.).

I privilegi retentivi o possessuali hanno come paradigma la fattispecie dell'art. 2756 c.c., che si riferisce ai crediti per prestazioni (d'opera e di somministrazione) e spese di conservazione o miglioramento di beni mobili, e si esercitano su cose corporali, ma non immateriali (A. Patti, op. cit., 78), purché la relazione di fatto con la cosa permanga fino all'attuazione della prelazione, benché il bene non sia di proprietà del debitore ma il creditore lo ignori in buona fede (2° comma).

Parimenti possessuale o retentivo è il privilegio di cui all'art. 2761, in favore del vettore, mandatario, commissionario e depositario, i quali detengono il bene direttamente per un certo periodo e su di esso possono esercitare la prelazione per spese, anticipazioni, compensi e altri esborsi sostenuti. Non si estende, però, ai crediti dell'agente, tutelati dall'art. 2751-bis, n. 3.

Il diritto di ritenzione riconosciuto a questi creditori, in caso di fallimento del debitore (non di concordato per il divieto dell'art. 168), concede loro la facoltà di procedere alla vendita del bene gravato in pendenza di procedura, ma non la configura come esplicazione di autotutela in senso proprio, come avverrebbe al di fuori del fallimento, poiché i relativi crediti debbono essere previamente ammessi al passivo con prelazione e la vendita deve essere autorizzata dal giudice delegato (v. art. 53 l.fall.). Inoltre il ricavato non viene trattenuto in via satisfattiva dal creditore procedente (Cass. 18.12.2006, n. 27044; Cass. 2.2.1989, n. 651), ma è assoggettato alla ripartizione che il curatore deve effettuare ogni quattro mesi ex art. 110, comma 1, l.fall..

Tuttavia le disposizioni dell'art. 53 sono, a loro volta, derogate nelle ipotesi disciplinate dall'art. 4 d. lgs. n. 170/04, secondo cui “1. Al verificarsi di un evento determinante l'escussione della garanzia, il creditore pignoratizio ha facoltà, anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione, di procedere osservando le formalità previste nel contratto:

a) alla vendita delle attività finanziarie oggetto del pegno, trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del proprio credito, fino a concorrenza del valore dell'obbligazione finanziaria garantita;

b) all'appropriazione delle attività finanziarie oggetto del pegno, diverse dal contante, fino a concorrenza del valore dell'obbligazione finanziaria garantita, a condizione che tale facoltà sia prevista nel contratto di garanzia finanziaria e che lo stesso ne preveda i criteri di valutazione;

c) all'utilizzo del contante oggetto della garanzia per estinguere l'obbligazione finanziaria garantita.

2. Nei casi previsti dal comma 1 il creditore pignoratizio informa immediatamente per iscritto il datore della garanzia stessa o, se del caso, gli organi della procedura di risanamento o di liquidazione in merito alle modalità di escussione adottate e all'importo ricavato e restituisce contestualmente l'eccedenza”.

Anche questa deroga abbisogna di recepimento nella nuova legge sull'insolvenza.

I privilegi quasi possessuali risultano invece desueti, per la loro connessione ad un'economia agricola non più attuale; fa eccezione l'art. 2764 c.c., che disciplina il credito del locatore di immobili, sia urbani che rustici, per i canoni insoluti dell'anno (solare) in corso, di quello precedente e dei successivi, nonché per le mancate riparazioni (ordinarie), per i danni e qualunque inadempimento contrattuale (compresi dunque gli oneri condominiali). Sono esclusi i canoni di affitto dell'azienda, pur se comprendente un immobile: questo sembra un punto da rivedere in occasione del riordino dei privilegi, stante l'importanza dell'affitto d'azienda nell'attuale disciplina della crisi.

L'oggetto del privilegio è, però, limitato alle cose che si trovino nell'immobile e servano a coltivare il fondo o ad arredare l'appartamento, il negozio o lo stabilimento, anche se di proprietà del subconduttore o di terzi.

Da riordinare anche la Sezione intitolata “Dei privilegi sopra gli immobili”, in quanto accomuna fattispecie rilevanti ma eterogenee, come i crediti per atti conservativi ed espropriativi (art. 2770), quelli per tributi indiretti (art. 2772) e per la mancata esecuzione di contratti preliminari (art. 2775-bis), oltre alla disposizione sulla collocazione sussidiaria (art. 2776): un criterio unificante dovrebbe portare alla soppressione quantomeno delle norme sui tributi indiretti (vista la promozione nell'art. 2752) e sulla collocazione sussidiaria dei privilegi generali, veri anacronismi sulla strada della semplificazione.

In merito ai crediti di lavoro, il legislatore delegato potrebbe occuparsi di ridefinire i) la regola del rapporto al momento dell'ingresso nella procedura di liquidazione – applicazione dell'art. 72 con sospensione delle prestazioni fino alla scelta del curatore? - e, successivamente, gli aspetti ii) della legittimazione attiva del lavoratore ovvero del Fondo complementare per l'insinuazione al passivo e iii) della necessità o meno dell'accertamento del TFR per la parte relativa al Fondo di Tesoreria.

Sarebbe assai opportuno, infine, se la legge delegata provvedesse a definire meglio l'incidenza delle prededuzioni – specifiche e generali pro quota - sui beni gravati da privilegio, pegno o ipoteca, allo scopo di offrire chiarezza soprattutto alle banche e agli organi delle procedure. Nel rapporto fra crediti prededucibili e crediti di cui all'art. 53 l.fall. l'orientamento maggioritario è nel senso della prevalenza di questi ultimi, salve le spese per la liquidazione del bene oggetto della prelazione (Cass. 17.2.1996, n. 1238), ma la tesi è dibattuta e necessita di soluzione univoca (cfr. F. Macario-G. Ivone, Gli effetti del fallimento per i creditori, in AA.VV., Fallimento e concordato fallimentare, a cura di A. Jorio, Torino, 2016, vol. I, 1315).

Conclusione

Al termine di questa breve rassegna si può trarre una considerazione finale: in nessuno dei principi generali di cui all'art. 2 della Legge n. 155 si legge l'intento di assicurare la massimizzazione del realizzo dei diritti di credito, pur prevedendosi, nell'art. 1, comma 1, l'obiettivo della “revisione del sistema dei privilegi e delle garanzie”.

Come già rilevato, non sembra netta l'opzione della riforma verso la tutela incondizionata o almeno prioritaria dei diritti di credito, in particolare chirografari; l'esordio della Relazione al ddl di ridorma enuncia quale “prima fondamentale scelta” quella di “disegnare un quadro normativo nel quale siano ben delineati i princìpi giuridici comuni al fenomeno dell'insolvenza, come tali idonei a fungere da chiari punti di riferimento per l'intera gamma delle procedure di cui si discute, sia pure con le differenziazioni di disciplina di volta in volta”. La stessa Relazione, poi, promossa la semplificazione delle regole processuali, propone meritoriamente di “evitare che, anche a causa di un uso non sempre controllato di istituti delicati, come quello della prededuzione, ci si trovi a dover constatare, a consuntivo, che una procedura è servita a nient'altro che ad assorbire le residue risorse disponibili dell'impresa”; ma indicazioni di principio sull'incremento di soddisfacimento dei crediti non si rinvengono, specie si pensa alla pressoché completa abolizione del concordato liquidatorio, dove una soglia minima era comunque prescritta.

Sicché, posto l'assunto della stimabilità e misurabilità del rischio d'impresa, imprescindibile per qualsiasi imprenditore (cfr. N. Irti, Un diritto incalcolabile, Torino, 2016), sarà verosimilmente la vitalità e la sofisticatezza della tecnica negoziale ad escogitare sempre nuove forme di contratti atipici che perseguano le medesime finalità prefissate dal ridondante sistema dei privilegi – i.e. separino celermente dal patrimonio del debitore assets di rilievo - con la flessibilità necessaria all'adattamento alle circostanze concrete.

Del resto, la più efficace alternativa di protezione del credito (di taluni determinati crediti, ad es. i subfornitori) consisterebbe nella creazione per legge di fondi di garanzia, che attraverso il meccanismo assicurativo dei premi versati dalle imprese aderenti – a fronte di doverosi sgravi fiscali – ripartissero il rischio d'insolvenza tra una moltitudine di partecipanti al di fuori dell'ordine dei privilegi (J. Garrido, op. cit., 350).

Stante la difficoltà di un simile approdo, non resta che sperare almeno nel fattore tempo quale risorsa succedanea, eppure preziosa, per il recupero almeno parziale delle perdite.

In proposito si è avvertito che “una buona normativa concorsuale non crea risorse aggiuntive, che consentano di superare la crisi senza costi per il sistema. L'unica risorsa, sulla quale può in qualche modo incidere l'intervento legislativo per venire incontro alle esigenze delle imprese, è il tempo” (G. Terranova, L'autonomia del diritto contrattuale, Torino, 2016, 228). Di là dalla deduzione della perdita su crediti (ammessa ora dall'art. 101 TUIR anche in un periodo di imposta successivo a quello in cui il debitore venga sottoposto a procedura concorsuale), la scommessa si giocherà tutta sul funzionamento degli istituti di allerta e prevenzione [su cui v. F. Lamanna, La riforma concorsuale in progress: dalla legge delega alla sua (rapida) attuazione, in questo portale, 23.10.2017].

Ancora una volta è l'analisi economica del diritto che permetterà di valutare la riuscita della riforma, sebbene si debba constatare come le economie di mercato siano efficienti nella produzione della ricchezza, ma incapaci di distribuirla equamente tra coloro che hanno contribuito a crearla (di qui l'antitesi con l'idea di “giustizia” distributiva): in base al teorema di Kaldor-Hicks una modificazione nella allocazione delle risorse è efficiente se il benessere ottenuto da alcune componenti supera le perdite di benessere subite da altri componenti.

Nel sistema che verrà si spera che la risposta al problema della maggiore soddisfazione dei crediti chirografari non rimanga inevasa.

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