Rinuncia prima della costituzione di controparte: il provvedimento di estinzione non regola le spese di lite
04 Dicembre 2017
Massima
Il provvedimento che dichiari l'estinzione del giudizio, a seguito di atto di rinuncia effettuato prima della costituzione della controparte, non deve contenere alcuna statuizione in ordine alle spese processuali, le quali vanno poste a carico del rinunciante soltanto nel caso in cui la controparte, già costituita, abbia accettato la rinuncia, ai sensi dell'art. 306, comma 4, c.p.c.. Il caso
La società Alfa aveva formulato appello contro un'ordinanza ex art. 700 c.p.c. emessa dal tribunale, seguito da atto di rinuncia agli atti notificato alle controparti in data anteriore alla loro costituzione nel giudizio di appello. Tutte le appellate costituite si erano opposte alla rinuncia ed avevano chiesto la declaratoria di inammissibilità dell'appello. Ritenuta l'applicabilità dell'art. 306, comma 4, c.p.c., secondo cui il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro, la Corte d'appello ha affermato che non poteva che conseguirne la condanna dell'appellante. La società Alfa ha proposto ricorso in Cassazione avverso la sentenza di secondo grado denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 306, 91 e 92 c.p.c., avendo la Corte d'appello condannato la parte rinunciante al pagamento delle spese di giudizio in favore degli appellati, che si erano costituiti dopo aver ricevuto la notifica dell'atto di rinuncia, senza peraltro avere alcun interesse alla prosecuzione del giudizio. La questione
La Cassazione ha esaminato la questione se il provvedimento che dichiari l'estinzione del giudizio, a seguito di atto di rinuncia effettuato prima della costituzione della controparte, debba o meno contenere una statuizione in ordine alle spese processuali ai sensi dell'art. 306, comma 4, c.p.c.. Le soluzioni giuridiche
La rinuncia agli atti del giudizio è la dichiarazione dell'attore di voler porre fine al processo prima che lo stesso giunga alla pronuncia sulla domanda dallo stesso proposta. Attesi i limitati effetti della rinuncia agli atti del giudizio quanto alla possibilità per il rinunciante di riproporre nuovamente domanda giudiziale volta alla tutela del medesimo diritto soggettivo, il comma 1 dell'art. 306 prevede che la rinuncia debba essere accettata dalle altre parti costituite che abbiano interesse alla prosecuzione del processo. Sulla scorta della formulazione letterale della previsione normativa viene, pertanto, esclusa la necessità di accettazione del convenuto rimasto contumace dell'avversa rinuncia agli atti del giudizio (cui non deve essere notificata la dichiarazione, da depositare semplicemente in cancelleria, cfr. Cass. civ., sez. I, 3 aprile 1995, n. 3905). Il quarto comma dell'art. 306 c.p.c. dispone che le spese del processo estinto per rinuncia sono poste a carico della parte rinunciante e liquidate dal giudice, salvo diverso accordo tra le parti. La giurisprudenza di legittimità ha all'uopo evidenziato che detta disposizione attribuisce al giudice - in deroga alla previsione contenuta nell'art. 91 comma 1, del medesimo codice di rito - la sola funzione di "liquidazione" delle spese, non anche quella che è prevista dal primo periodo della stessa disposizione normativa, che contempla la "condanna" al rimborso delle spese, ovvero che individua la parte da considerare soccombente e alla quale farne carico, e neppure gli attribuisce le distinte funzioni previste nel primo e nel secondo comma dell'art. 92 c.p.c., che regolamentano la facoltà, rispettivamente, di ridurre o compensare le spese con valutazione discrezionale dell'utilità delle stesse e del livello della responsabilità del soccombente nel promuovere il giudizio o nel resistervi (cfr. Cass. civ., sez. II, 10 ottobre 2006, n. 21707). Viene, pertanto, attribuito valore di sentenza - impugnabile con i mezzi ordinari - all'ordinanza con cui il giudice di merito dichiari estinto il processo per rinuncia agli atti del giudizio e disponga la compensazione delle spese di lite anziché la mera liquidazione delle medesime, non limitandosi a prendere atto della rinuncia e dell'accettazione ma risolvendo la controversia sull'esistenza stessa dei presupposti dell'estinzione (cfr. Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 2009, n. 26210; Cass. civ., sez. III, 3 luglio 2009, n. 15631). Nella pronuncia in esame la Suprema Corte ha esaminato la questione afferente alla necessità o meno che il giudice adotti una statuizione in ordine alle spese processuali ai sensi dell'art. 306, comma 4, c.p.c. nell'ipotesi in cui l'estinzione del giudizio vada ricondotta ad un atto di rinuncia effettuato prima della costituzione della controparte. I Giudici pervengono ad una risposta negativa evidenziando che la fattispecie fuoriesce dal paradigma di cui all'art. 306, comma 4, c.p.c., che presuppone la concorde accettazione della rinuncia, in quanto l'atto di rinuncia compiuto prima della costituzione della controparte non necessita di accettazione ma produce immediatamente il proprio effetto estintivo. Pertanto, in siffatta ipotesi il provvedimento che dichiari l'estinzione non deve contenere nessuna statuizione in ordine alle spese processuali a carico del rinunciante, prevista dalla norma soltanto se in occasione dell'atto di rinuncia la controparte è già costituita (cfr. Cass. civ., sez. I, 10 marzo 2011, n. 5756). In base al tenore testuale della norma, l'accettazione della rinuncia è difatti richiesta soltanto quando, nel rapporto processuale già instaurato, vi sia una parte costituita e questa abbia interesse alla prosecuzione: interesse che, essendo correlato alla domanda in concreto proposta dal convenuto, presuppone, evidentemente, la sua effettiva costituzione in giudizio (cfr. Cass. civ., sez. I, 10 dicembre 1996, n. 10978). La giurisprudenza di legittimità ha, peraltro, già da tempo chiarito che detto interesse non sussiste allorquando la costituzione operata sia determinata dal solo intento di ottenere il rimborso delle spese processuali (cfr. Cass. civ., sez. I, 11 ottobre 1999, n. 11384), dovendosi concretare nella possibilità di conseguire un risultato utile e giuridicamente apprezzabile, e che perciò si sostanzia nell'avvenuta proposizione di richieste il cui integrale accoglimento procurerebbe alla parte una utilità maggiore di quella altrimenti derivante dall'estinzione del processo (cfr. Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1999, n. 8387). Osservazioni
L'ordinamento processuale non prevede un'espressa disciplina della rinunzia agli atti nel giudizio di impugnazione, limitandosi l'art. 338 c.p.c., a disporre che l'estinzione del procedimento d'appello (o di revocazione di cui dell'art. 395, nn. 4 e 5 c.p.c.) fa passare in giudicato la sentenza impugnata, salvo che ne siano stati modificati gli effetti nel procedimento estinto. Non si dubita, peraltro, che la rinuncia agli atti del giudizio di appello, per quanto non espressamente disciplinata dalla legge, sia comunque ammissibile in forza del richiamo alle norme regolatrici del giudizio di primo grado contenuto nell'art. 359 c.p.c. (cfr. Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1999, n. 8387; Cass. civ., sez. I, 19 maggio 1995, n. 5556). La rinuncia agli atti del giudizio di appello, se interviene dopo il giudizio di primo grado, va peraltro tenuta distinta dalla rinuncia all'impugnazione, la quale è rinuncia di merito ed è immediatamente efficace anche senza l'accettazione della controparte (cfr. Cass. civ., sez. I, 10 settembre 2014, n. 18255). La rinuncia all'impugnazione determina — come la rinuncia agli atti del giudizio di appello — il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. L'identità degli effetti, tuttavia, non comporta la piena corrispondenza dei due istituti perché mentre la rinuncia agli atti del giudizio di appello è efficace in quanto accettata o in quanto non richieda accettazione, la rinuncia alla impugnazione fa venire meno il potere-dovere del giudice di pronunciare con efficacia immediata, senza bisogno di accettazione (cfr. Cass. civ., sez. I, 5 marzo 2014, n. 5112; Cass. civ., sez. II, 15 maggio 1996, n. 4499).
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