Bonus mamma anche alle straniere titolari di permesso unico di lavoro

La Redazione
04 Dicembre 2017

Impossibile per le ricorrenti, cittadine extracomunitarie titolari di permesso unico di lavoro, accedere alla procedura telematica dell'INPS volta a richiedere il premio alla nascita, introdotto dalla legge di Bilancio dello scorso anno. Il Tribunale di Bergamo ha dichiarato discriminatoria la condotta dell'Istituto che ha negato la prestazione alle neo-mamme.

Impossibile per le ricorrenti, cittadine extracomunitarie titolari di permesso unico di lavoro, accedere alla procedura telematica dell'INPS volta a richiedere il premio alla nascita, introdotto dalla legge di Bilancio dello scorso anno. Il Tribunale di Bergamo ha dichiarato discriminatoria la condotta dell'Istituto che ha negato la prestazione alle neo-mamme.

Si ricorda che il premio alla nascita (o Bonus mamme) consiste nell'erogazione in un'unica soluzione di 800€ alla nascita o all'adozione di un minore; è riconosciuto, a decorrere dal 1° gennaio 2017, alle donne gestanti o alle madri in possesso dei requisiti presi in considerazione per il Bonus bebè (l'assegno di natalità di cui alla legge di Stabilità 2015): cittadine italiane, europee o extracomunitarie con permesso di soggiorno UE per i soggiornanti di lungo periodo ex art. 9 D.Lgs. n. 286/1998.

Le odierne ricorrenti, atteso che la modulistica on-line non consente di inserire il permesso di soggiorno in loro possesso, hanno presentato la domanda via PEC, ritenuta inammissibile dall'INPS.

Una tale lettura dell'art. 1, co. 353, L. n. 232/2016, come anche dell'art. 1, co. 125, L. n. 190/2014, – afferma il Tribunale di Bergamo – non solo introduce un requisito non espressamente richiesto dalla normativa, ma contrasta con l'art. 12, Direttiva 2011/98/UE (non recepita, ma direttamente efficace nel nostro ordinamento) che garantisce “la parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro di soggiorno, in materia di sicurezza sociale, a tutti i cittadini di paesi terzi ‘lavoratori'ex art. 3, par. 1, lett. b) e c) della Direttiva.

Pertanto, viene ordinato all'INPS di cessare la condotta discriminatoria e di emendarla per il futuro, nonché di pagare le somme non corrisposte.

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