Condominio e locazione

Usufrutto (locazione)

Marcello Sinisi
Fulvio Troncone
06 Dicembre 2017

L'art. 999 c.c. - norma eccezionale - è volta a contemperare l'interesse del conduttore che ha stipulato un contratto di locazione con l'usufruttuario, titolare di un diritto temporaneo, con quello del proprietario del cespite locato.
Inquadramento

In linea generale l'usufruttuario, potendo ricavarne i frutti naturali e civili, può concedere in locazione le cose che formano oggetto del suo diritto. Peraltro, poiché il diritto dell'usufruttuario-concedente è ad tempus, in applicazione del principio resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis, ne dovrebbe conseguire - all'atto della cessazione dell'usufrutto - l'automatica cessazione del rapporto locativo instaurato dal predetto. Il legislatore, consapevole dell'incongruenza di questo generale assetto regolatorio con le specificità dello statuto locatizio, ha trovato, con la disciplina dettata dall'art. 999 c.c., un punto di equilibrio più avanzato tra l'esigenza del conduttore di continuità del rapporto locativo e quella del proprietario di non essere danneggiato da impegni contrattuali dell'usufruttuario di lunga durata. In particolare, l'art. 999 c.c. stabilisce che le locazioni concluse dall'usufruttuario, se in corso al tempo della cessazione dell'usufrutto, purché constino da atto pubblico o da scrittura privata di data certa anteriore, godono di ultrattività ovvero continuano per la durata stabilita, ma non oltre il quinquennio dalla cessazione dell'usufrutto. Se, però, la cessazione dell'usufrutto avviene per la scadenza del termine stabilito, le locazioni in ogni caso non durano se non per l'anno, e, trattandosi di fondi rustici dei quali il principale raccolto è biennale o triennale, se non per il biennio o triennio che si trova in corso al tempo in cui cessa l'usufrutto.

Natura dispositiva della disciplina

La norma ha carattere dispositivo ed è, perciò, derogabile dalle parti: pertanto il nudo proprietario, il quale abbia partecipato alla stipulazione del contratto di locazione posto in essere dall'usufruttuario obbligandosi a rispettarlo in tutte le sue clausole, compresa quella della durata oltre il termine quinquennale dalla cessazione dell'usufrutto, non ha diritto al rilascio dell'immobile alla scadenza del detto termine (Cass. civ., sez. III, 19 aprile 1972, n. 1263). Del pari, l'adesione del nudo proprietario al contratto stipulato dall'usufruttuario per una durata eccedente il quinquennio dalla cessazione dell'usufrutto vale a derogare al divieto posto dall'art. 999 c.c. (Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2005, n. 15599).

Inoltre è da ritenersi valida la clausola che preveda la risoluzione del contratto di locazione stipulato dall'usufruttuario in caso di cessazione dell'usufrutto, sempreché, ovviamente, non si tratti di rapporti locatizi assoggettati alla disciplina di cui alle l.nn. 431/1998, 392/1978: ciò in virtù dell'applicazione analogica dell'art. 7 della l. n. 392/1978 tuttora vigente.

Ambito applicativo

Rientrano nella previsione della disposizione in esame soltanto i contratti di locazione, abbiano essi a oggetto immobili urbani o fondi rustici e non anche i contratti di mezzadria e di colonia (Cass. civ., sez. III, 21 dicembre 1982, n. 7060).

Inoltre, secondo parte della dottrina, la disciplina di cui al comma 1 concerne tutte le ipotesi di estinzione dell'usufrutto ivi incluse la cessazione per rinuncia ovvero per abuso a norma dell'art. 1015, comma 1, c.c. ad eccezione di quella derivante dalla cessazione del termine (contemplata dal comma 2) e della cd. consolidazione in favore dell'usufruttuario, conseguente cioè alla riunione nella stessa persona del diritto di usufrutto e di proprietà. Alcuni autori opinano poi che l'operatività della disposizione andrebbe esclusa anche laddove la consolidazione avvenisse in favore del nudo proprietario, il quale dovrebbe, in tal caso, considerarsi terzo acquirente della cosa locata e, come tale, soggetto alla disciplina dettata dagli artt. 1599 e ss. c.c..

Secondo la giurisprudenza, i principi di cui all'art. 999, comma 1, c.c., sulla continuazione delle locazioni concluse dall'usufruttuario in corso al momento della cessazione dell'usufrutto, sono applicabili anche all'ipotesi di estinzione dell'usufrutto per consolidazione in favore del nudo proprietario (Cass. civ., sez. III, 27 marzo 1975, n. 1165). Anche di recente i giudici di legittimità hanno ribadito che, nel caso di consolidazione dell'usufrutto per morte dell'usufruttuario, le locazioni da questi concluse non possono protrarsi oltre il quinquennio dalla cessazione dell'usufrutto, ai sensi della norma di cui all'art. 999 c.c., la quale, come detto, realizza un equo contemperamento tra il diritto del nudo proprietario e quello del conduttore, al quale è cosi assegnato un congruo termine per reperire un altro immobile (Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2011, n. 11602).

La disposizione del comma 2 si riferisce invece solo all'ipotesi di cessazione del diritto di usufrutto per scadenza del termine.

Da ultimo, v'è da evidenziare che poiché la locazione si consideri in corso al tempo della cessazione dell'usufrutto, non è sufficiente che il contratto sia stato concluso prima dell'estinzione dell'usufrutto, essendo necessario che esso abbia già avuto concreta esecuzione mediante la consegna della cosa locata (Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 1959, n. 518).

Opponibilità

Il nudo proprietario si trova in posizione di terzietà rispetto ai contratti conclusi dall'usufruttuario aventi ad oggetto il bene dato in usufrutto. Ne consegue che, ai sensi della disposizione in esame, il contratto di locazione stipulato dall'usufruttuario è opponibile allo stesso proprietario solo se risulti da scrittura avente data certa anteriore (Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 1999, n. 1643) o da atto pubblico ai sensi dell'art. 999, comma 1, c.c. Peraltro, altra giurisprudenza ha equiparato al requisito dell'atto pubblico avente data certa anteriore, l'effettiva conoscenza da parte del nudo proprietario della stipula del contratto di locazione (Cass. civ., sez. III, 28 ottobre 1969, n. 3557). La prova di tale circostanza di fatto può essere data con ogni mezzo dalla parte interessata ed è desumibile dal comportamento processuale tenuto dal nudo proprietario al quale la scrittura privata sia stata opposta (Cass. civ., sez. III, 11 marzo 2005, n. 5421). Il principio stabilito dall'art. 999 c.c. secondo cui il contratto di locazione concluso dall'usufruttuario verbalmente non è opponibile al proprietario in caso di cessazione dell'usufrutto (in essa compresa l'ipotesi della consolidazione) non ha subito deroghe per effetto della legislazione vincolistica, né dopo l'entrata in vigore della legge sull'equo canone, perché dette leggi non hanno abrogato né modificato la norma suddetta sul punto concernente i requisiti di forma (atto pubblico, scrittura privata di data certa) previsti per l'opponibilità del contratto al proprietario, avendo esse modificato soltanto la disciplina della durata della locazione (Cass. civ., sez. III, 5 dicembre 1994, n. 10433).

Peraltro è evidente che la questione dell'opponibilità della locazione stipulata dall'usufruttuario ha perso di rilevanza pratica attesa l'elevazione dell'obbligo di registrazione del contratto di locazione a requisito di validità del patto locatizio in virtù dell'art.1, comma 346, della l. n. 311/2004.

Estinzione dell'usufrutto e durata della locazione

Per ciò che riguarda la durata, nell'ipotesi di consolidazione in favore dell'usufruttuario è evidente che quest'ultimo, divenuto proprietario, deve rispettare il contratto concluso per tutta la durata pattuita, anche se per ipotesi superiore a quella minima legale, non potendo certo avvantaggiarsi dell'eventuale inferiore durata imposta dalla disciplina imperativa per il solo fatto di essere divenuto nel corso della locazione pieno proprietario del cespite.

Nelle altre ipotesi di estinzione dell'usufrutto (salvo il caso di cui al comma 2) la giurisprudenza per lungo tempo prevalente ha affermato che l'ulteriore durata della locazione fosse interamente disciplinata dalla legislazione imperativa di cui alle leggi di settore (nn. 431/1998, n. 392/1978, n. 203/1982). Si osservava infatti che se era indubbio che la disposizione dell'art. 999 c.c., costituisse norma «speciale» rispetto alla disciplina generale in materia di locazioni, tuttavia, la disciplina generale e organica introdotta ad esempio dalla l. n. 392/1978 in materia di locazioni urbane avesse natura «imperativa e inderogabile» in senso meno favorevole al conduttore (art. 79), e quindi non potesse essere derogata neppure da norme speciali (analogo rilievo poteva in ogni caso essere svolto in riferimento alla disciplina introdotta dalla l. n. 431/1998, art. 13, comma 3). Per quanto riguarda lo specifico aspetto della durata dei rapporti aventi a oggetto immobili adibiti a uso diverso dall'abitazione, la giurisprudenza di merito evidenziava l'imperatività e inderogabilità della durata minima di sei anni (nove per gli alberghi) alla stregua della formulazione dei commi 1, 3 e 4 dell'art. 27 della l. n. 392/1978 e che gli stessi caratteri dovevano riconoscersi anche al meccanismo di tacita rinnovazione del contratto disciplinato dall'art. 28, che in relazione alla prima scadenza contrattuale riduce in modo significativo e categorico per il locatore le possibilità di opporsi alla rinnovazione. Pertanto, anche a non volere ritenere che le locazioni di cui all'art. 27 della l. n. 392/1978 avessero «in via normale durata di dodici anni», si doveva concludere che la durata minima del contratto di locazione e la sua automatica rinnovazione, stabilite dalla normativa cogente di cui agli artt. 27, 28 e 29 della l. n. 392/1978, dovessero essere comunque rispettate e fossero opponibili al nudo proprietario, una volta cessato l'usufrutto, anche oltre i limiti del quinquennio previsto dall'art. 999 c.c., e per la durata minima stabilita dagli artt. 1 e 27 della cit. l. n. 392/1978 (Trib. Milano 13 luglio 1992).

In altri arresti, la giurisprudenza osservava come il coordinamento, che necessariamente si imponeva, tra la disciplina della durata della locazione, dettata dall'art. 999 c.c., e quella introdotta prima dalla legislazione vincolistica dei canoni e delle locazioni e poi dalla l. n. 392/1978, che aveva regolato ex novo l'intera materia delle locazioni, induceva a ritenere che l'art. 999 c.c. avesse conservato la sua funzione solo in relazione alla condizione di forma ivi prevista per l'opponibilità al (nudo) proprietario delle locazioni concluse dall'usufruttuario, ma avesse perduto la sua vigenza in relazione alla durata della locazione, che, sebbene conclusa dall'usufruttuario, non poteva non avere la durata stabilita dalla nuova normativa sulle locazioni (App. Napoli 19 luglio 1994).

Peraltro, secondo parte della dottrina e della giurisprudenza, la disposizione in esame avrebbe potuto ancora trovare un'applicazione residuale nelle ipotesi in cui la durata pattizia fosse stata superiore a quella minima legale (e non vincolata da rinnovi automatici alla prima scadenza come quelli previsti per le locazioni ad uso diverso o per quelle a canone libero di cui all'art. 2 della l. n. 431/1998) e alla data dell'estinzione dell'usufrutto fossero residuati ancora oltre cinque anni rispetto alla scadenza convenzionale. In base a tale impostazione, quindi, la norma avrebbe conservato ancora una funzione rilevante a tutela del nudo proprietario in quanto avrebbe impedito frodi ai suoi danni non consentendo all'usufruttuario di stipulare contratti di durata superiore a quella minima di legge che potessero valere più di cinque anni dopo la morte dell'usufruttuario (Trib. Napoli 4 aprile 1992).

Questo essendo il panorama della giurisprudenza più risalente, la Suprema Corte è intervenuta ex professo sul tema affermando, specificamente in materia agraria, ma operando un ragionamento sicuramente applicabile anche per tutti i tipi di locazione di immobili urbani (ad uso abitativo e non), che l'art. 999 c.c. non è stato implicitamente abrogato dalla legislazione di settore, non solo quanto alla «forma» del contratto di affitto posto in essere dall'usufruttuario, perché sia opponibile al nudo proprietario, ma neppure dalle disposizioni delle stesse leggi in tema di «durata» dei contratti di affitto e/o di locazione conclusi dalle parti i quali quindi non possono avere una durata eccedente il quinquennio dalla cessazione dell'usufrutto (Cass. civ., sez. III, 25 luglio 2003, n. 11561; Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2005, n. 15599). La Suprema Corte con tale arresto ha, tra l'altro, evidenziato che è contraddittorio affermare, da un lato, che l'art. 999 c.c. nella parte in cui prevede che i contratti di locazione conclusi dall'usufruttuario devono risultare, per essere opponibili al nudo proprietario, da atto pubblico o da scrittura privata avente data certa - nonostante l'ampia previsione in tema di rapporti agrari dell'art. 41 della l. n. 203/1982 secondo cui i contratti agrari ultranovennali sono validi e hanno effetto anche riguardo ai terzi anche se verbali, così come del resto i contratti di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello abitativo - e dall'altro, contemporaneamente, invocare la parziale abrogazione dell'art. 999 c.c. nella parte in cui prevede che i contratti risultanti da atto pubblico o da scrittura privata aventi data certa sono opponibili nei limiti di un quinquennio dalla data di cessazione dell'usufrutto (con la conseguenza che tali contratti non avrebbero più durata quinquennale successivamente alle scadenza dell'usufrutto, ma ad esempio quindicennale, ex art. 1 della l. n. 203/1982 o anche superiore).

In realtà, o si ritiene che tutto l'art. 999 c.c. è stato abrogato, per incompatibilità, dalla l. n. 203/1982 (o dalle altre leggi in materia di locazione di immobile urbano), o – escluso che esista detta incompatibilità stante la specificità della disposizione di cui all'art. 999 c.c. – che tutto l'art. 999 c.c. è ancora in vigore.

A prescindere da quanto precede, la Suprema Corte ha osservato che ai sensi dell'art. 15 preleggi, l'abrogazione tacita di una legge ricorre quando sussiste incompatibilità tra le nuove disposizioni e quelle precedenti, ovvero quando la nuova legge disciplina la materia già regolata da quella anteriore. Il riferito principio, peraltro, come in molteplici occasioni avvertito dalla giurisprudenza di legittimità, trova deroga nell'ipotesi in cui ad una legge speciale faccia seguito una nuova disciplina generale della materia (lex posterior generalis non derogat legi priori speciali) (in questo senso, ad esempio, v. Cass. civ., sez. III, 26 aprile 2002, n. 6099, nonché Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 1994, n. 1297 e Cass. civ., sez. III, 4 marzo 1993, n. 2611). Pacifico quanto precede, non può dubitarsi che mentre le leggi di settore dettano la disciplina «generale» dei contratti agrari e delle locazioni di immobili urbani, l'art. 999 c.c. è una norma «speciale», rispetto a quelle appena prima richiamate, in quanto diretta a disciplinare, con riguardo al tempo della cessazione dell'usufrutto, i contratti di locazione conclusi dall'usufruttuario e non è, pertanto, suscettibile di modifica per effetto della prima. Da ultimo la norma di cui all'art. 999 c.c., non riguarda «la forma del contratto» di locazione ex artt. 1350 ss. c.c., ma ha, come avverte la Relazione al codice civile, una funzione tipica e propria, quella di tutelare il «nudo proprietario» contro atti di frode posti ai suoi danni dall'usufruttuario. Appunto in questa ottica, per attuare un congruo contemperamento dei vari interessi coinvolti nella vicenda (quello dell'usufruttuario, quello del nudo proprietario e quello, infine, del terzo che ha assume in locazione, la cosa) la disposizione in esame, da un lato, prevede che per essere opponibile al nudo proprietario il contratto di locazione deve avere una certa forma (risultare da «atto pubblico o da scrittura privata di data certa anteriore» alla cessazione dell'usufrutto), dall'altro, dispone che anche nell'ipotesi in cui un tale contratto sia «opponibile», ciononostante, lo stesso ha una durata «massima» non derogabile dalla autonomia privata (cinque anni dopo la estinzione dell'usufrutto).

Certo quanto sopra, è palese che ove si ritenesse che deve prevalere, rispetto all'art. 999 c.c., la speciale normativa di settore si giungerebbe a privare di qualsiasi idonea tutela il nudo proprietario contro atti in frode o comunque pregiudizievoli dei suoi diritti, posti in essere dall'usufruttuario. Poiché per effetto di una tale conclusione verrebbero, palesemente, violati diversi principi costituzionali e, in primis, l'art. 42 Cost. sulla tutela del diritto di proprietà è evidente, secondo il citato arresto, che la stessa deve disattendersi. Deve ribadirsi, infatti, al riguardo, che a fronte di più significati possibili della stessa disposizione è compito dell'interprete escludere quello che difetti di coerenza con i dettami della Costituzione, in quanto in linea di principio le leggi si dichiarano incostituzionali perché è impossibile darne interpretazioni secundum constitutionem e non in quanto sia possibile darne interpretazioni incostituzionali (Corte Cost. 12 marzo 1999, n. 65), per cui tra le varie interpretazioni in astratto possibili delle fonti legislative, si deve scegliere quella che non si pone in contrasto con la Costituzione (Corte Cost. 27 dicembre 1996, n. 418), dovendo l'interprete privilegiare solo quella più conforme alla Costituzione.

Pertanto, sulla scorta del nuovo orientamento di legittimità, può ritenersi che il rapporto locativo relativo ad un immobile concesso in godimento dall'usufruttuario sia assoggettato, quanto alla durata, alla disciplina dettata dal codice civile (nelle residue ipotesi di applicabilità del medesimo), dalla l. n. 392/1978 (per le locazioni ad uso commerciale) e dalla l. n. 431/1998 (per quelle ad uso abitativo) solo se la successiva scadenza della locazione sia inferiore al quinquennio al momento della cessazione dell'usufrutto, mentre, in caso contrario, il contratto in questione cesserà ipso iure al termine del quinto anno successivo a quello della morte dell'usufruttuario, con la conseguente possibilità per il proprietario-locatore di ottenere la condanna del conduttore al rilascio del cespite per la detta data.

Mette conto, infine, segnalare che ai sensi dell'art. 999, comma 2, c.c. «se la cessazione dell'usufrutto avviene per la scadenza del termine stabilito, le locazioni non durano, in ogni caso, se non per l'anno e, trattandosi di fondi rustici dei quali il principale raccolto è biennale o triennale, se non per il biennio o il triennio che si trova in corso al tempo in cui cessa l'usufrutto».

Continuazione del rapporto di locazione

All'atto della cessazione dell'usufrutto, ha luogo la continuazione del rapporto di locazione concluso dall'usufruttuario ragione per cui titolare del rapporto diviene il nuovo avente diritto al godimento, verificandosi un fenomeno di cessione ex lege del contratto, per l'operatività della quale non occorre il consenso e l'adesione del conduttore, al pari di quanto previsto, con riferimento alla compravendita del bene locato, dall'art. 1599 c.c.. Conseguentemente, il soggetto subentrato in tutti i diritti del precedente locatore acquisisce anche quello alla risoluzione del contratto nei confronti del conduttore per inadempienze verificatesi successivamente all'evento modificativo della titolarità del rapporto, mentre la comunicazione di tale evento al conduttore ha il solo scopo di porlo in grado di adempiere ai propri doveri nei confronti del soggetto subentrato ex lege nella posizione di locatore (Cass. civ., sez. III, 11 aprile 1983, n. 2558).

Tuttavia, è stato diversamente evidenziato che l'estinzione del diritto di usufrutto, pur comportando l'opponibilità al proprietario (nei limiti di cui all'art. 999 c.c.) dei contratti di locazione conclusi dall'usufruttuario, non determina - di per sé - l'effettivo subentro nel rapporto di locazione del pieno proprietario ove questi rimanga del tutto silente ed estraneo al rapporto; per esercitare i diritti derivanti dal rapporto (compreso quello di farne dichiarare la risoluzione), il locatore non è dunque tenuto a dimostrare la persistente titolarità di un diritto reale sul bene, né il conduttore può pretendere la dimostrazione di tale diritto per sottrarsi all'adempimento degli obblighi nascenti dal rapporto locatizio e per contestare la legittimazione dell'attore, trattandosi di eccezione de iure tertii, a meno che non risulti che il (pieno) proprietario abbia manifestato la volontà di fare proprio il rapporto, subentrando al locatore e privandolo della disponibilità del bene.

Pertanto, fintantoché il (pieno) proprietario non manifesti la volontà di subentrare effettivamente nella posizione dell'originario locatore, il rapporto di locazione prescinde dalle vicende attinenti la titolarità dei diritti reali sul bene e la vicenda rimane «centrata sui rapporti meramente personali fra locatore e conduttore» (Cass. civ. sez. III, 20 agosto 2015, n. 17030) in coerenza con la sua natura «personale»; ne consegue che, silente il proprietario, la morte dell'originario usufruttuario/locatore determina la trasmissione della titolarità del rapporto di locazione agli eredi, con possibilità -per essi- di esercitare i diritti e le azioni che derivano dalla locazione e senza che il conduttore possa contestarne la legittimazione per il solo fatto che sia venuto meno il diritto di usufrutto (Cass. civ., sez. III, 20 luglio 2016, n. 14834).

SUBENTRO NELLA LOCAZIONE DEL PROPRIETARIO: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Cessione ex lege della locazione a seguito della morte dell'usufruttuario

La continuazione del rapporto di locazione concluso dallo usufruttuario nel caso di cessazione dell'usufrutto - prevista, per la durata contrattualmente stabilita, dall'art. 999 c.c. - comporta necessariamente (non diversamente da quanto stabilito, con riferimento alla compravendita del bene locato, dall'art. 1599 c.c.), che titolare del rapporto divenga il nuovo avente diritto al godimento, verificandosi un fenomeno di cessione ex lege del contratto, per l'operatività della quale non occorre il consenso e l'adesione del conduttore. Conseguentemente, il soggetto subentrato in tutti i diritti del precedente locatore acquisisce anche quello alla risoluzione del contratto nei confronti del conduttore per inadempienze verificatesi successivamente all'evento modificativo della titolarità del rapporto, mentre la comunicazione di tale evento al conduttore ha il solo scopo di porlo in grado di adempiere ai propri doveri nei confronti del soggetto subentrato ex lege nella posizione di locatore (Cass. civ., sez. III, 11 aprile 1983, n. 2558).

Necessità della manifestazione della volontà di subentro da parte del pieno proprietario

L'estinzione del diritto di usufrutto, pur comportando l'opponibilità al proprietario (nei limiti di cui all'art. 999 c.c.) dei contratti di locazione conclusi dall'usufruttuario, non determina - di per sé - l'effettivo subentro nel rapporto di locazione del pieno proprietario ove questi rimanga del tutto silente ed estraneo al rapporto; per esercitare i diritti derivanti dal rapporto (compreso quello di farne dichiarare la risoluzione), il locatore non è dunque tenuto a dimostrare la persistente titolarità di un diritto reale sul bene, né il conduttore può pretendere la dimostrazione di tale diritto per sottrarsi all'adempimento degli obblighi nascenti dal rapporto locatizio e per contestare la legittimazione dell'attore, trattandosi di eccezione de iure tertii, a meno che non risulti che il (pieno) proprietario abbia manifestato la volontà di fare proprio il rapporto, subentrando al locatore e privandolo della disponibilità del bene (Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2015, n. 17030).

Azione revocatoria

Fortemente controversa è l'ammissibilità di una sorta di azione revocatoria nei confronti delle locazioni concluse dall'usufruttuario, dal proprietario che lamenti l'inserimento di clausole particolarmente svantaggiose per il nudo proprietario in particolare in riferimento all'entità del canone pattuito.

Sul punto non solo la dottrina, ma anche la giurisprudenza è divisa: l'azione de qua è utilmente esperibile secondo la risalente Cass. civ., sez. II, 31 agosto 1966, n. 2300, la quale ha ritenuto che il contratto di locazione stipulato dall'usufruttuario, se contiene clausole obiettivamente e particolarmente onerose per il locatore, è impugnabile per frode da parte del proprietario alla cessazione dell'usufrutto senza che occorra anche la sussistenza di un ulteriore requisito, il consilium fraudis (inteso come semplice e generica conoscenza da parte del terzo di tale pregiudizio) richiesto invece da App. Milano 9 agosto 1955 e da Trib. Parma 23 giugno 1999; in senso negativo, si è invece espresso Trib. Sanremo 5 novembre 1993 e Trib. Foggia 26 giugno 2002, n. 1344 secondo cui l'art. 999 c.c. circoscrive la tutela del proprietario al solo riconoscimento di un limite temporale alla durata del rapporto locatizio per il periodo successivo all'estinzione dell'usufrutto. Pertanto, poiché tale disposizione nulla detta circa i diritti spettanti al nudo proprietario per il caso di frode in suo danno, essa non può essere invocata da quest'ultimo onde contestare clausole contrattuali quali quelle afferenti all'ammontare del canone o alle modalità del suo pagamento anticipato.

Da ultimo, anche la Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 25 luglio 2003, n. 11561 e Cass. civ., sez. III, 20 marzo 2008, n. 7485) ha ritenuto che non esiste nell'ordinamento positivo un'azione di impugnativa della locazione stipulata dall'usufruttuario per frode in danno del nudo proprietario, l'unico strumento previsto a tutela di quest'ultimo essendo la disciplina specifica dettata dall'art. 999 c.c. che stabilisce, oltre che le condizioni di forma e di sostanza richieste per l'opponibilità al proprietario del contratto costitutivo del diritto personale di godimento, la durata massima del rapporto di locazione dopo la cessazione dell'usufrutto. Né la mancata configurazione, a tutela del proprietario, accanto e a integrazione di quanto derivante dalla previsione contenuta nel citato art. 999 c.c., di un'azione diretta a far valere la nullità per frode della locazione stipulata dall'usufruttuario, si pone in contrasto con gli artt. 3 e 42 Cost., essendo la disciplina in materia frutto di un equilibrato contemperamento dei vari interessi in gioco.

La giurisprudenza di legittimità ha argomentato che il nostro ordinamento non prevede in linea generale né un'azione di annullamento del contratto di locazione concluso dall'usufruttuario in frode dei diritti del proprietario, salvo i casi previsti dall'art. 999 c.c., né la nullità del contratto in frode ai terzi i quali sono tutelati soltanto in particolari situazioni e cioè con l'azione di nullità, ove questa sussista, oppure con l'azione revocatoria. Nell'ordinamento vigente, in altri termini, non esiste alcuna norma che sancisca la nullità del contratto in frode ai terzi, essendo prevista espressamente solo la nullità del contratto in frode alla legge (art. 1344 c.c.). Ne consegue che una volta denunziato un atto posto in essere dall'usufruttuario e idoneo a pregiudicare i diritti del nudo proprietario, il giudice deve limitarsi a verificare se lo stesso rientri nella sfera di applicazione degli artt. 999 o 1015 c.c. Nel dettare la disposizione di cui all'art. 999, comma 1, c.c., il legislatore ha difatti inteso - secondo una valutazione assolutamente discrezionale e non sindacabile sotto il profilo costituzionale - contemperare i vari interessi contrapposti nella fattispecie: ovvero sia quello dell'usufruttuario, sia quello del nudo proprietario che può, comunque, entro un termine ragionevole, avere la piena disponibilità della cosa, sia, infine, del terzo che ha fatto affidamento sui poteri spettanti ex lege all'usufruttuario al momento della conclusione del contratto (Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2010, n. 693; Cass. civ., sez. III, 1 aprile 2010, n. 8000).

In evidenza

È inammissibile un'azione di impugnativa della locazione stipulata dall'usufruttuario per frode in danno del nudo proprietario, l'unico strumento previsto a tutela di quest'ultimo essendo la disciplina specifica dettata dall'art. 999 c.c. che stabilisce, oltre che le condizioni di forma e di sostanza richieste per l'opponibilità al proprietario del contratto costitutivo del diritto personale di godimento, la durata massima del rapporto di locazione dopo la cessazione dell'usufrutto.

Contratti agrari

L'art. 999 c.c., a norma del quale le locazioni concluse dall'usufruttuario ed in corso alla data di cessazione dell'usufrutto sono opponibili al proprietario purché constino da atto pubblico o da scrittura privata di data certa anteriore, non è stato implicitamente abrogato dalla l. 3 maggio 1982 n. 203, che non disciplina anche le condizioni di forma e di sostanza richieste per l'opponibilità al proprietario del contratto di affitto di fondo rustico concluso dall'usufruttuario (Cass. civ., sez. III, 4 giugno 1997, n. 4966).

L'abrogazione di tutte le precedenti disposizioni incompatibili, sancita dall'art. 58, comma 2, della l. n. 203/1982 («Nuova disciplina dei contratti agrari»), non colpisce la disposizione di cui al comma 1 dell'art. 999 c.c. – laddove prevede che le locazioni concluse dall'usufruttuario, in corso al tempo della cessazione dell'usufrutto, sono opponibili al proprietario purché constino da atto pubblico o da scrittura privata di data certa anteriore – non sussistendo alcuna incompatibilità logica e/o giuridica fra la disciplina codicistica relativa alle condizioni formali di opponibilità di dette locazioni e la nuova normativa dei contratti agrari (Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 1988, n. 1915).

L'art. 999 c.c., a norma del quale le locazioni concluse dall'usufruttuario ed in corso alla data di cessazione dell'usufrutto sono opponibili al proprietario, purché constino da atto pubblico o da scrittura privata di data certa anteriore, in ogni caso per una durata non eccedente il quinquennio dalla cessazione dell'usufrutto, non è stato implicitamente abrogato dalla l. 3 maggio 1982, n. 203, né per quanto riguarda la forma del contratto di affitto posto in essere dall'usufruttuario, richiesta per l'opponibilità al proprietario, né per quanto riguarda la durata del contratto di affitto (Cass. civ., sez. III, 25 luglio 2003, n. 11561).

Guida all'approfondimento

Bigliazzi Geri, Usufrutto, uso e abitazione, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Cicu e Messineo, XI, Milano, 1979, 298;

De Martino, Dell'usufrutto, dell'uso e dell'abitazione, in Commentario del codice civile diretto da Scialoja e Branca, sub artt. 957-1026, Bologna-Roma, 1978, 261;

Palermo, L'usufrutto, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, Torino, 2002, 103;

Pugliese, Usufrutto, uso e abitazione, in Trattato di diritto civile italiano diretto da Vassalli, IV, Torino, 1972.

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