Lecito l'accordo traslativo degli oneri fiscali in un contratto di locazione ad uso non abitativo? La decisione alle Sezioni Unite

06 Dicembre 2017

Con la recente ordinanza interlocutoria, la III Sezione della Corte di Cassazione ha investito le Sezioni Unite per decidere sulla liceità, o meno, di un accordo traslativo di natura fiscale inserito in un contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo.

La causa prendeva le mosse da una domanda, proposta dal conduttore, volta alla condanna del locatore alla restituzione di quanto il primo aveva corrisposto al secondo in forza della clausola del contratto di locazione inter partes (avente ad oggetto un centro commerciale) così formulata: «nel corso dell'intera durata del presente contratto, il conduttore si farà carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai beni locati, tenendo conseguentemente manlevato il locatore relativamente agli stessi».

Entrambi i giudici di merito avevano rigettato tale domanda, in buona sostanza, ritenendo l'incidenza esclusiva sulla regiudicanda della normativa dettata per i contratti di affitto di immobili non abitativi, senza che avesse rilievo alcuno la traslazione dell'imposta, atteso che, con la clausola de qua, non si prevedeva un obbligo diretto verso il fisco del conduttore per quanto concerne le imposte che variamente gravavano sull'immobile, ma si prevedeva che esso si facesse carico, nei confronti del locatore, dei relativi oneri.

Il conduttore ha proposto ricorso per cassazione, denunciando soprattutto la violazione dell'art. 1418, comma 1, c.c. (secondo cui «il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative»), in riferimento all'art. 53 Cost. (in base al quale «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva»), in collegamento con l'art. 2 Cost. (che richiede «l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»).

In particolare, il ricorrente ha sostenuto che una clausola avente ad oggetto la traslazione palese di un'imposta dovrebbe dichiararsi nulla per violazione dei suddetti precetti costituzionali non solo se diretta a sottrarre il debitore al suo obbligo tributario, ma altresì qualora non risulti inclusa nel corrispettivo negoziale, ponendosi invece a fianco di un sinallagma già perfetto ed avendo ad oggetto il tributo in quanto tale anziché una quota del corrispettivo sinallagmatico.

Di contro, viene richiamato l'art. 8, comma 2, della legge n. 212/2000 (c.d. Statuto del contribuente), il quale stabilisce, che è «ammesso l'accollo del debito d'imposta altrui senza liberazione del contribuente originario», esplicitamente ammettendo la negoziabilità del debito di imposta con l'unico limite posto all'autonomia privata consistente nell'impossibilità di liberare, tramite l'accollo, l'originario contribuente: l'accollo dell'imposta sarebbe valido, dunque, quando la sua efficacia rimane inter partes, poiché non potrebbe invece liberare chi ha un obbligo attribuitogli dalla legge.

La questione sottoposta al Supremo Collegio concerne, dunque, la sussistenza o meno di un limite all'autonomia negoziale - che, se sussistesse, sarebbe presidiato dalla nullità - riguardo ad un accordo di traslazione di imposta patrimoniale posto in una scrittura contenente un contratto locatizio ad uso non abitativo, ossia a prestazioni corrispettive, accordo però estraneo al sinallagma contrattuale locatizio; il nucleo della questione si identifica, pertanto, nel quesito se l'obbligo costituzionalmente rilevante di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva abbia un significato esclusivamente “oggettivo”, nel senso di obbligo di adempiere a quanto sia giustificato dalla capacità contributiva, oppure anche “soggettivo”, nel senso che l'adempimento debba essere compiuto - non solo oggettivamente in modo completo, ma altresì - dal soggetto che per legge ne ha l'obbligo, escludendosi il trasferimento dell'obbligo ad un soggetto diverso.

Il coinvolgimento del massimo organo di nomofilachia è stato giustificato alla luce degli elementi dubbi circa la corretta ricostruzione giuridica della fattispecie, considerata, per un verso, la risalenza nel tempo degli interventi dei giudici di legittimità (anche nella massima composizione) e valutata, per altro verso, la notevole valenza nomofilattica della questione, in quanto correlata alla diretta precettività dell'art. 53 Cost.

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