Gli importi minimi degli onorari di avvocato sono riducibili?
11 Dicembre 2017
Massima
In tema di liquidazione delle spese processuali, l'applicazione della disposizione di cui all'art. 4 l. 13 giugno 1942, n. 794, che prevede la riduzione dei minimi tariffari per le controversie di “particolare semplicità”, disponendo che la riduzione degli onorari non possa superare il limite della metà, integra la previsione di cui all'art. 60, comma 5, r.d. n. 1578/1933; di tale riduzione, il giudice deve dare espressa ed adeguata motivazione, non limitata ad una pedissequa enunciazione del criterio legale. Il caso
La Corte d'appello, nell'ordinare all'Inps la reiscrizione di Tizia nell'elenco dei lavoratori agricoli in relazione al periodo di accertamento del rapporto di lavoro subordinato, condannava il predetto ente al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate in un importo inferiore rispetto ai minimi tariffari in considerazione della semplicità delle questioni giuridiche trattate e della relativa serialità. Tizia proponeva ricorso per cassazione, assumendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c., della l. 7 novembre 1957, n. 1051, nonchè della tariffa di cui al d.m. 8 aprile 2004, n. 127, anche in relazione agli artt. 10 e ss. c.p.c.. La questione
Nella liquidazione delle spese processuali il giudice può ridurre, ed eventualmente in che misura, l'importo minimo degli onorari di avvocato? Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte, dando continuità ai propri precedenti (Cass. civ., 3 ottobre 2016, n. 19712), ritiene in primo luogo applicabile, nella controversia sottoposta al suo esame, lo scaglione previsto dalla tariffa forense di cui al d.m. n. 127/2004 per le cause di valore “indeterminabile”, trattandosi di domanda avente ad oggetto l'accertamento di un rapporto di lavoro subordinato in agricoltura. Posto che la richiesta degli onorari di avvocato era stata formulata in relazione ai minimi previsti dalla predetta tariffa forense, la riduzione degli stessi operata dalla Corte di merito, peraltro senza alcuna motivazione, si poneva in contrasto con il principio della inderogabilità dei minimi edittali sancita dall'art. 24 l. 13 giugno 1942, n. 794. La violazione di tale principio non era esclusa dal mancato deposito di una specifica nota spese, posto che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, il regolamento delle spese di lite è consequenziale ed accessorio rispetto alla definizione del giudizio, potendo la condanna essere emessa, a carico del soccombente ex art. 91 c.p.c., anche d'ufficio e pure se non sia stata prodotta la nota spese prevista dall'art. 75 disp. att. c.p.c. (Cass. civ., 28 febbraio 2012, n. 3023). La Suprema Corte, quindi, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ha rideterminato i diritti e gli onorari per ciascun grado di giudizio ed in relazione all'attività defensionale svolta, applicando le voci di onorario nei valori minimi, come richiesto dalla parte, ed ha poi ritenuto legittima la decisione della Corte territoriale di ridurre della metà il predetto minimo, in base al combinato disposto dell'art. 60, comma 5, r.d. n. 1578/1933 e dell'art. 4 l. n. 794/1942, in ragione della «semplicità delle trattate questioni, anche per la relativa serialità», locuzione che costituisce adeguata motivazione dell'operata riduzione, in quanto espressione di una valutazione più complessiva in ordine al peculiare andamento del processo ed alla natura delle questioni, tali da non richiedere uno studio approfondito o la soluzione di tematiche giuridiche complesse. Osservazioni
La pronuncia in esame appare condivisibile, in quanto, in relazione alla tariffa professionale ratione temporis vigente, si pone in linea con il costante orientamento secondo cui l'art. 60, comma 5, r.d. n. 1578/1933 - disposizione non sostituita, ma solo integrata, da quella contenuta nell'art. 4 della l. n. 794/1942 - consente al giudice di scendere sotto i limiti minimi fissati dalle tariffe professionali quando la causa risulti di facile trattazione, sebbene limitatamente alla sola voce dell'onorario e non anche a quelle dei diritti e delle spese, cui non fa riferimento detta norma, e sempre che sia adottata espressa ed adeguata motivazione con riferimento alle circostanze di fatto del processo, non limitata, pertanto, ad una pedissequa enunciazione del criterio legale, ovvero all'aggiunta dell'elemento estrinseco, meramente indicativo, quale l'identità delle questioni; la riduzione dei minimi previsti dalla tariffa per gli onorari, in ogni caso, non può superare il limite della metà, ai sensi del predetto art. 4, né, in caso di riunione di cause, esime il giudice - una volta operata la riduzione - dall'obbligo di procedere alla liquidazione mediante la determinazione del valore di ciascuna delle controversie riunite (Cass. civ., 29 febbraio 2016, n. 3961; Cass. civ., 4 agosto 2009, n. 17920; Cass. civ., 21 novembre 2008, n. 27804). É stato, ad es., ritenuto giusta causa di riduzione dell'onorario il richiamo alla «facilità della trattazione» ed alla «assoluta semplicità espositiva e contenutistica», formule indicative del ridotto impegno professionale profuso dall'avvocato (Cass. civ., 29 febbraio 2016, n. 3961). Costituisce, altresì, ius receptum che la determinazione degli onorari di avvocato e dei diritti di procuratore, costituendo esercizio di un potere discrezionale del giudice, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità (Cass. civ., 9 ottobre 2015, n. 20289). In linea di principio, il giudice deve liquidare in modo distinto spese ed onorari, in relazione a ciascun grado del giudizio, per consentire alle parti di controllare i criteri di calcolo adottati e, di conseguenza, le ragioni per le quali sono state eventualmente ridotte le richieste presentate nelle note spese (Cass. civ., 30 settembre 2016, n. 19623; Cass. civ., 25 novembre 2011, n. 24890). Tuttavia, è consentito al giudice liquidare le spese, i diritti e gli onorari in un'unica somma se ha cura di specificare la voce degli onorari che concorre a formare tale somma, dato che tale specificazione consente anche di determinare gli importi della somma liquidata per i diritti e le spese, in quanto così viene permesso alla parte un controllo sulla legittimità o meno della disposta liquidazione, non potendosi ammettere che il giudice del merito sia onerato, in mancanza del deposito della nota spese ex art. 75 disp. att. c.p.c., a indicare specificamente le singole voci delle spese, dei diritti e degli onorari e quindi, sostanzialmente, a sostituirsi all'attività procuratoria della parte e, di fatto, a compilare ex officio la nota delle spese (Cass. civ., 3 ottobre 2005, n. 19269). In presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, il giudice non può, però, limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato in misura inferiore a quelli esposti, ma ha l'onere di dare adeguata motivazione dell'eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l'accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione all'inderogabilità dei relativi minimi, a norma dell'art. 24 l. n. 794/1942 (Cass. civ., 5 aprile 2017, n. 8824; Cass. civ., 14 ottobre 2015, n. 20604; Cass. civ., 24 febbraio 2009, n. 4404). In sostanza, in presenza di una nota spese specifica prodotta dalla parte vittoriosa, il giudice non può rideterminare globalmente i compensi in misura inferiore a quelli esposti, ma deve motivare adeguatamente l'eliminazione o la riduzione delle singole voci (Cass. civ., 28 luglio 2017, n. 18905). È peraltro onere del ricorrente in Cassazione, a pena d'inammissibilità del ricorso, specificare analiticamente le voci tariffarie e gli importi in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, nonché le singole spese contestate o dedotte come omesse, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (Cass. civ., 19 novembre 2014, n. 24635). Secondo altro, minoritario, orientamento, invece, il giudice del merito non è tenuto a motivare circa la diminuzione o riduzione di voci tariffarie tutte le volte, e per il solo fatto, che liquidi i diritti e/o gli onorari di avvocato in somme inferiori a quelle domandate nella notula, fermo il dovere di non determinarli in misura inferiore ai limiti minimi (o superiore a quelli massimi) indicati nelle tabelle in relazione al valore della controversia, salvo che sussista manifesta sproporzione e che la parte che vi abbia interesse esibisca il parere del competente consiglio dell'ordine (Cass. civ., 12 ottobre 2010, n. 21010; Cass. civ., 24 ottobre 2007, n. 22347). In tema di liquidazione delle spese processuali successiva al d.m. n. 55/2014, non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione (Cass. civ., 31 gennaio 2017, n. 2386). Con riferimento ai parametri di cui al più recente d.m. n. 55/2014, ed, in particolare, all'asserito vincolo del giudice alla determinazione media del compenso professionale, si è rilevato che tale vincolo non trova fondamento nella normativa, secondo la quale (artt. 1 e 4) il giudice deve soltanto liquidare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe (Cass. civ., 31 gennaio 2017, n. 2386). In relazione al precedente d.m. n. 140/2012 (che ha fatto venir meno la distinzione tra onorari di avvocato e diritti di procuratore), si è anche precisato che il giudice era tenuto ad indicare le concrete circostanze che giustificavano la deroga ai minimi e massimi ivi stabiliti (Cass. civ., 16 settembre 2015, n. 18167; Cass. civ., 12 gennaio 2016, n. 253; Cass. civ., 3 agosto 2016, n. 16225). Si rammenta che i nuovi parametri fissati dal d.m. n. 55/2014 si applicano in tutti i casi in cui la liquidazione giudiziale delle spese intervenga successivamente all'entrata in vigore (3 aprile 2014) del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché questa abbia avuto inizio e si sia in parte svolta ancora vigenti le tariffe abrogate, evocando l'accezione omnicomprensiva di "compenso" la nozione di un corrispettivo unitario per l'opera complessivamente prestata (Cass. civ., 19 ottobre 2016, n. 21205).
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