Notifica via PEC a indirizzi errati: quali conseguenze?

Giuseppe Vitrani
11 Dicembre 2017

In presenza di indirizzi PEC che da Registro Imprese risultano assegnati a più società, è lecito sanzionare con la nullità la notificazione effettuata per via telematica o sussistono oneri particolari a carico delle imprese assegnatarie di indirizzi che risultino essere in realtà duplicati o errati?
Massima

La notifica telematica del ricorso di fallimento e del decreto ex art. 15, comma 3, l. fall., nel testo successivo alle modifiche apportate dall'art. 17, d.l. n. 179/2012, convertito dalla l. n. 221/2012, si perfeziona nel momento in cui perviene all'indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario, precedentemente comunicato dal medesimo al momento della sua iscrizione nel registro delle imprese, ai sensi dell'art. 16, comma 6, d.l. n. 185/2008, convertito dalla l. n. 2/2009, e dell'art. 5, comma 1, d.l. n. 179/2012, convertito dalla l. n. 221/2012, salva la prova che l'indirizzo PEC risultante dal detto registro sia erroneo per fatto non imputabile all'imprenditore che ha effettuato la comunicazione.

Il caso

Il caso scrutinato dalla Corte di Cassazione si inserisce nel dibattito dottrinario e giurisprudenziale relativo alle notificazioni effettuate a indirizzi PEC che risultino errati o comunque attivati per imprese differenti da quelle che si vedono assegnato un determinato indirizzo.

Il tema ha una nutrita ricorrenza soprattutto nell'ambito delle notificazioni effettuate ai sensi dell'art. 15, l. fall., nell'istruttoria prefallimentare; succede spesso, infatti, che imprese in crisi non curino più la manutenzione della propria casella PEC e tentino poi come estrema arma di difesa di far valere il vizio processuale di notifica.

Nello specifico, infatti, una società destinataria di istanza di fallimento allegava di non aver avuto conoscenza del ricorso e del decreto di fissazione di udienza davanti al Giudice delegato in quanto gli stessi erano stati notificati a un indirizzo PEC che formalmente risultava assegnato ad altra società ma che era stato indicato al Registro Imprese anche quale indirizzo della stessa società fallenda.

Sulla base di tali motivazioni la Corte d'Appello accoglieva il reclamo volto a far valere la mancanza della notificazione ex art. 15, l. fall., con conseguente mancata instaurazione del contraddittorio e nullità della sentenza dichiarativa di fallimento.

Avverso detto provvedimento il Fallimento ricorreva in Cassazione e otteneva in realtà pronuncia favorevole.

La questione

In presenza di indirizzi PEC che da Registro Imprese risultino assegnati a più società o professionisti è lecito sanzionare con la nullità la notificazione effettuata per via telematica o sussistono invece oneri particolari a carico delle imprese assegnatarie di indirizzi che risultino essere in realtà duplicati o errati?

Le soluzioni giuridiche

La questione giuridica affrontata dalla Corte di Cassazione risulta particolarmente importante per le conseguenze pratiche che può comportare in tema di regolarità della notificazione effettuata tramite posta elettronica certificata e anche di certezza giuridica nell'utilizzo dello strumento di notificazione telematica.

Nel caso di specie, a fronte di una notifica effettuata ad un indirizzo che la società fallita aveva dimostrato esserle stato attribuito per errore, la Corte di Cassazione è giunta ad affermare un principio di responsabilità a carico dell'imprenditore affermando come, nel sistema normativo attuale, sia «di chiara evidenza come la PEC costituisca l'indirizzo pubblico informatico, che deve esser attivo e rinnovato nel tempo, la cui responsabilità sia nella fase di iscrizione che successivamente, grava sul legale rappresentante della società, non avendo a riguardo alcun compito di verifica l'Ufficio camerale».

In forza di tali considerazioni si stabilisce dunque un vero e proprio onere a carico dell'impresa di verificare che l'indirizzo PEC sia attivo e funzionante, facendo solo salva la possibilità di dimostrare la ricorrenza di un errore non imputabile all'imprenditore.

Osservazioni

La fattispecie analizzata dalla Corte di Cassazione è relativa ad una problematica che dovrebbe essere superata entro qualche anno. Infatti, sino ai primi mesi del 2015, gli uffici del Registro delle Imprese non effettuavano alcun controllo sulla paternità ed attribuzione degli indirizzi PEC e si limitavano a verificare che lo stesso fosse presente sulle richieste di iscrizione.

A seguito dell'emanazione della Direttiva del Ministero dello Sviluppo Economico del 22 maggio 2015, i compiti e poteri dei Conservatori del suddetto Registro sono stati ampliati e si è demandato loro sia il compito di verificare, in fase di iscrizione, che l'indirizzo PEC non fosse già attribuito ad altre imprese sia il compito di censire le PEC irregolari o duplicati e di invitare le imprese a regolarizzare le rispettive posizioni indicando indirizzi univoci e funzionanti. A seguito di tali nuovi controlli dovrebbe dunque venir meno il rischio di registrazione di indirizzi PEC attribuiti a più imprese.

Ciò detto, la sentenza della Corte di Cassazione presenta profili condivisibili ma anche un profilo critico da analizzare con attenzione.

È certamente condivisibile l'enunciazione di un principio di responsabilità a carico dell'impresa che, nel caso di specie, aveva tollerato per lungo tempo che fosse esposto sui pubblici registri un indirizzo PEC che non era neppure il proprio e non si era invece attivata in alcun modo per rettificare quel dato e far inserire quello corretto.

In tal senso il fatto di considerare comunque perfezionata la notificazione avvenuta ad un indirizzo che pacificamente non era quello della società fallita ha un marcato accento sanzionatorio ed è in astratto condivisibile.

Invero, se si fosse accolta la tesi contraria sostenuta dalla Corte d'Appello si sarebbe di fatto legittimato un comportamento omissivo in grado di porre in seria crisi l'intero sistema di notifica telematica; sarebbe stato sufficiente, infatti, indicare volutamente un indirizzo PEC errato per vanificare la possibilità di utilizzo dello strumento telematico.

In tale contesto la Suprema Corte ha lasciato giustamente spazio alla possibilità che si verifichi un errore non imputabile con conseguente iscrizione di un indirizzo PEC errato senza alcuna colpa a carico dell'imprenditore.

All'enunciazione di tale principio, ad avviso di chi scrive, non è però seguita la considerazione che proprio nel caso oggetto di scrutinio da parte della Suprema Corte ci si poteva trovare di fronte ad un caso di non imputabilità dell'errore.

Da quanto è dato comprendere, infatti, la ricevuta di consegna dell'avvenuta notificazione venne generata per errore, in quanto la casella PEC era stata in realtà cancellata (o avrebbe dovuto essere cancellata) in epoca precedente alla notifica; anche questo dato appare pacifico in quanto attestato dal provider della PEC.

Eppure secondo la Suprema Corte neppure tale dato elide il principio secondo cui è «a carico della società, e del suo legale rappresentante, l'obbligo di indicare al registro delle imprese l'indirizzo corretto di posta elettronica certificata e quindi di mantenerlo attivo e funzionante». Sennonché, l'enunciazione di tale principio pare confliggere con la previsione dello stesso art. 15 l. fall.; detta norma, infatti, prevede implicitamente che una parte possa non mantenere il proprio indirizzo PEC attivo e funzionante, tant'è che vengono disciplinate le modalità di notifica ove si verifichi tale eventualità.

Possiamo dunque affermare che in realtà l'ordinamento (soprattutto la legge fallimentare) non pare autorizzare alcuna operazione ermeneutica volta a considerare avverata un notificazione elettronica non effettuata secondo legge, prevedendo invece espressamente i passaggi procedurali da seguire nei casi in cui questa non possa essere eseguita.

Su tali specifici aspetti la sentenza si presta quindi ad una critica: è certamente corretto affermare che l'impresa non può giovarsi del fatto di aver indicato una PEC errata al Registro Imprese, ma se poi quella PEC viene disattivata con comunicazione ufficiale al PEC provider, da quel momento non pare giusto addossare all'imprenditore gli errori di chi, con negligenza, non ha provveduto a bloccare gli accessi a quella casella di recapito elettronico.

In effetti, se la procedura di disattivazione fosse stata eseguita tempestivamente la notifica non sarebbe andata a buon fine; pare pertanto che nel caso di specie ci si trovi a tutti gli effetti in presenza di una notificazione perfezionatasi per errore davvero non imputabile al soggetto titolare della casella PEC.

Si ritiene dunque che tale aspetto avrebbe dovuto essere valorizzato dalla Suprema Corte e potrà comunque essere preso in considerazione dal Giudice del rinvio.

In conclusione si può osservare come nel caso di specie la Suprema Corte dimostri un indubbio favor nei confronti della notifica telematica al punto da giungere ad affermare un principio di responsabilità forse eccessivo. Se è corretto affermare che la parte non può giovarsi delle indicazioni errate fornite al Registro Imprese, è anche vero che nel momento in cui la fonte da cui promana quell'errore viene eliminata dal mondo del diritto (ad esempio attraverso una richiesta di revoca o di rettifica), non pare giusto addossare a quella parte un errore del gestore PEC.

Occorre invero considerare che ove si consolidasse un orientamento come quello in commento sarebbero a forte rischio tutti i passaggi da un gestore PEC ad un altro; in presenza di un evento del genere, se il precedente intestatario della casella non provvedesse alla disattivazione, continuerebbe un afflusso di messaggi che non verrebbero legittimamente letti ma si correrebbe il rischio di dover rispondere della non adeguata manutenzione della casella di PEC.

È evidente, dunque, come un simile orientamento non possa trovare applicazione generalizzata ma debba essere invece confinato a casi estremi, volti ad un uso strumentale della casella di posta elettronica certificata.

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