La mancata reiterazione delle richieste istruttorie nella precisazione delle conclusioniFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 189
12 Dicembre 2017
Cosa accade nel caso in cui la parte non reiteri, nell'udienza di precisazione delle conclusioni, le istanze istruttorie precedentemente disattese?
Prima di rispondere al suindicato quesito occorre rammentare l'importanza dell'udienza di precisazione delle conclusioni la quale risiede nel fatto che, in ossequio al principio del contraddittorio, ciascuna parte ha l'esigenza di conoscere la formulazione definitiva e non più mutabile delle posizioni assunte dalle altre parti. In effetti, l'art. 189, comma 1, c.p.c. (applicabile, ex art. 281-quinquies c.p.c., anche a giudizi di competenza monocratica), stabilisce che a detta udienza le parti precisano le conclusioni «nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell'articolo 183», considerato che, decorsi i termini di cui al comma 6 dell'art. 183 c.p.c., le parti non possono modificare le domande, le eccezioni e le richieste istruttorie già formulate, né possono produrre nuovi documenti. Ciò chiarito, con riferimento alle richieste istruttorie, l'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato afferma che l'istanza istruttoria non accolta nel corso del giudizio, che non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, deve reputarsi tacitamente rinunciata a prescindere da ogni indagine sulla volontà della parte interessata (cfr. Cass. civ., sez. III, 10 agosto 2016, n. 16886). Ciò significa che sia le istanze istruttorie disattese sia quelle sulle quali il giudice istruttore non ha comunque provveduto devono essere reiterate nell'udienza di precisazione delle conclusioni per evitare che le stesse vengano ritenute abbandonate. Infatti, la giurisprudenza ritiene che le richieste istruttorie disattese nel giudizio di primo grado e non reiterate in sede di precisazione delle conclusioni definitive, al momento della rimessione della causa in decisione, non possono essere riproposte in appello (v. anche art. 356 c.p.c.), essendo precluse dall'inerzia del proponente nel grado pregresso (Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 2008, n. 25157). Tuttavia autorevole dottrina (Arieta-Montesano) ritiene però che si debba distinguerel'ipotesi in cui si siano già formate le preclusioni attorno ai mezzi di prova (se del caso con la concessione del termine ex art. 183, comma 6, c.p.c.) da quella in cui, a seguito di rimessione immediata ex art. 187, commi 2 e 3, c.p.c., disposta all'udienza di prima comparizione e trattazione ex art. 183 c.p.c., il giudice istruttore non abbia concesso i termini di cui al comma 6, impedendo la formazione delle relative preclusioni istruttorie: nella prima ipotesi la mancata riproduzione dei mezzi istruttori eventualmente non ammessi può essere intesa come rinuncia agli stessi (con conseguente impossibilità di nuova richiesta anche in appello), mentre nella seconda è sempre possibile, anzi doveroso secondo tale dottrina, che l'organo decidente, ove decida di pronunciare sentenza non definitiva, rimetta la causa in istruttoria allo scopo di consentire alle parti, nella prima udienza fissata davanti all'istruttore, di richiedere i termini (prima non concessi) per la definitiva formulazione dei mezzi istruttori (art. 187, comma 4, c.p.c.). |